La stanza
di Andrea Inglese
Furibarza era entrata nella grande stanza, da cui era impossibile uscire. Chi entrava interamente dentro la grande stanza, non aveva più vie di uscita, salvo riguadagnare il cammino all’indietro, con astuta precisione, in modo da uscire laddove era entrato, in quanto questa possibilità non era esclusa dalla logica, a meno che la porta non si fosse chiusa alle sue spalle o un guardiano nerboruto e con armi da taglio non gli sbarrasse il passo. Quindi pure Furibarza tentò il cammino a rovescio, con cura e metodo, cercando di capire al più presto se la porta si fosse già chiusa o un guardiano fosse già apparso. In realtà la porta era rimasta aperta e nessun guardiano era giunto minaccioso a bloccarle la via. Dentro la grande stanza circolava aria fresca e la temperatura era gradevole. Fuori dalla porta si scorgevano le fiamme di un immenso incendio. L’aria era irrespirabile a causa dei fumi tossici. Dentro la grande stanza, la tavola era apparecchiata per una persona e lungo le pareti erano raccolti scatoloni di cibo precotto o da cuocere. Fuori, ciò che era sfuggito alle fiamme, giaceva senza vita, devastato dalle epidemie, scarnificato dalle piogge acide, rinsecchito dalla carestia. Dentro, un maggiordomo alto, bello e completamente nudo, suonava con notevoli doti ritmiche e armoniche un banjo. Fuori, correvano qua e là uomini e donne con il cranio in fiamme, emettendo raccapriccianti suoni, che solo vagamente assomigliavano a grida di dolore. Furibarza capì che dalla grande stanza era impossibile uscire. Nessuna ferrea volontà le avrebbe permesso di realizzare questo sogno. D’altra parte, il sogno di uscire all’aperto, per farsi soffocare dai fumi tossici, o devastare dai batteri sopravvissuti al calore, o aggredire dalle fiamme, non era che un’evidente idiozia. Il maggiordomo aveva forse urgenza di abbandonare la grande stanza? Si torceva dalla rabbia, per non poter attraversare la porta, nonostante fosse ancora aperta e non sbarrata da guardie armate? Il maggiordomo, anzi, la guardava con sollecitudine. E il pene eretto sembrava accompagnare il suo sguardo.
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[Foto dell’autore in versione kopakabana]
Bello! Ha qualcosa di nothombiano.
Bello sì!
È bello, mi è piaciuto e mi ha fatto riflettere, non posso chiedere di più! Grazie!
Bellisssimo. Questo racconto si avvicina dell’incubo. Impronta di un mondo chiuso, con il paradosso della porte aperta ma barricata. Una frontiera divisa un mondo sensuale, musicale e la catastrofe fuori.
Davanti a un testo enigmatico l’immaginario del lettore lavora.
Ho visto il protagonista come uno scrittore nella sua stanza aperta, ma prigioniero in un universo dove la parola non si scontra con l’incendio: l’impotenza della scrittura in confronto con la follia degli uomini: guerra, catastrofe, carestia. Un detaglio insolito e bello: la nudità del maggiodormo. Un racconto molto ” freudien”, mi pare.
Amo questi raconti bagnati nell’acqua del sogno, strano, bizzaro.
Andrea, tu hai svegliato in me le due paure che ho: la stanza senza possibilità di uscire, la trappola e l’incendio: la fiamma è devastatrice, nemico dell’acqua.
Complimenti.
in effetti, Véronique, l’interpretazione che avanzi potrebbe anche collimare: il maggiordomo nudo, la musa; Furibarza, lo scrittore; la stanza, l’universo immaginario; i molteplici guasti dell’esterno, la realtà nuda e cruda. Naturalmente di cio’ è responsabile solo l’inconscio baro. Io non so nulla di più di quanto abbia scritto.
Sì bello, grazie