Grafopolis
di Gillioz*
Versificatori tenebrosi, panegiristi della ragion statale o di bottega, narratori dal cuore immenso, biografi di biografi, consulenti dell’ultra-minimo, stilisti della miseria, nobili riproduttori di sciagure, calligrafi del Profondo, pensatori del pensiero istrionico o analgesico, messia depennati, compilatori di cronache e canovacci per una patria alla frutta, e molto di più… Chi penserebbe mai che dove oggi sei sparuti isolotti annaspano tra le spume ci fu, tre secoli or sono, uno stivale di terra che rigurgitava di SCRITTURE? Che in quello stivale di terra, ancora lungi dallo sprofondare nel Mediterraneo causa il ben noto scioglimento dei ghiacci (2070-2110 d.c.), si stesse elaborando, a insaputa degli elaboratori stessi, il più significativo laboratorio di disfunzione psico-sensoriale della storia europea? E il più intenso esperimento di scissione mentale di un popolo intero?
E’ quello che sostiene il professor Mohammed Boukir, ordinario di Storia Europea alla Regia Università di Bassora. Il luminare ha raccolto le scarse testimonianze di quel periodo anomalo e oscuro nella sua ultima opera “Grafopolis”, (edizioni S. Hussein) e le ha interpretate secondo una inedita prospettiva critica. Secondo la sua ardita tesi, ancor prima della Rivoluzione Islamica (2025 d.c.) e della successiva Guerra Iconoclastica (2026-2039 d.c., nella quale, come ormai è ampiamente noto, sono andate perdute, oltre alla totalità delle testimonianze iconiche, molte testimonianze scritte relative alla già spacciata Civiltà Occidentale), l’Italia era la nazione europea più di altre afflitta da una notevole inflazione delle scritture. Questa fu tale, a quanto pare, da accelerare una mutazione antropologica in atto già da qualche ventennio e che consisteva nella trasformazione di ogni cittadino in scrittore, ossia in poeta o in prosatore.
Questa grafomania, oltre che espressione di una patologia collettiva, fu una delle cause indirette della guerra tra Secessionisti e Unitari, che risale al secondo ventennio (l’ultima guerra civile prima dell’inabissamento. Ancora oggi lo chiamano Bel Paese, ma solo i subacquei, s’intende). In principio le scritture si opponevano tra loro in nome della verità posseduta esclusivamente da una sola delle fazioni in contesa. Gli scriventi, singoli o regolati in clan, trovavano in questi dissidi una ragione di vita, oltre che uno stimolo a moltiplicare discorsi, schizzi, sparate, anche grazie a Libertà, l’unica dea venerata all’unanimità. In seguito, grazie al concorrere di altri fenomeni come i processi di tribalizzazione (con relativi totem e tabù provvisori) e la moltiplicazione dei modelli imitabili e intercambiabili, le discordie accrebbero, in nome di sempre nuove autorità da adorare o da annientare.
Molte fonti risalgono ai primissimi anni del secolo, all’epoca in cui cioè la diffusione vertiginosa della Rete aveva raggiunto livelli considerevoli per quanto riguarda la dissoluzione neurale e la soppressione della Cosa da parte del Dominio Iconico (a proposito vedi Abduhl Laden “Il cervello degli europei tra le due rivoluzioni del XXI secolo”, edizioni S. Hussein, collana
1) Mancanza quasi totale di consapevolezza da parte delle avanguardie spirituali di Grafopolis circa la mutazione in atto. (i pochi che ne avevano capito qualcosa preferivano tacere o, peggio, dedicarsi a testi incomprensibili ai più).
2) Tendenza generalizzata all’imitazione di modelli iconici, dato che i documenti pervenuti risultano indecifrabili per copiosità abnorme di riferimenti a qualcosa in corso che non ha lasciato tracce, le quali non rimandino a loro volta ad altri segni di natura non scritta. E’ una delle caratteristiche del Dominio Iconico quella di lasciar il campo bruciato, al pari della guerra più efferata.
3) Nella pubblicistica un servilismo inaudito all’Amministratore Delegato di Grafopolis o, al contrario, un antagonismo isterico che vede nel suddetto Amministratore la fonte di tutte le sciagure grafopolitane.
4) Nella produzione accademica una smania di frugare in un passato monumentale, operazione corroborante che rende fieri gli stolti senza fede né aura.
Le scritture d’arte meritano un discorso a sé, dal momento che, per uno strano caso, ne sono sopravvissute tracce documentali in quantità ingenti rispetto ad altre tipologie testuali (forse per la sovrabbondanza mostruosa di tale produzione, dinanzi alla quale pochi inorridivano). Oltre alla tendenza a riprodurre lo spettacolo in perenne corso, si delinea in queste scritture, specie in versi e in prosa narrativa, la scissione tra Scribi Olimpici e Scribi del Sottosuolo, che si stabilì prima della Rivoluzione della Ragnatela. Gli Scribi Olimpici erano quelli che funzionavano da centri privilegiati di attrazione del grande capitale: agivano più che altro in gruppo, anche se del gruppo solo uno faceva solitamente da prestanome, ed era definito Autore. Gli altri membri del gruppo erano banchieri, analisti di encefalogrammi del cervello di Mammona, sacerdoti del tempio chiamato Massa (dovrebbe essere, all’incirca, il popolo soggiogato all’Icona), vari aruspici e consiglieri. Per diventare Scriba Olimpico era necessario:
1) Aver ricevuto parere favorevole dalla Commissione Neurale e dalla Polizia Psichica circa la funzionalità dell’Offerta (per far colpo su questi organismi pare che fosse preferibile imbastire turpi storielle ridondanti di sceriffi e di morti, ma anche contorte vicende d’amore andavano benissimo, per il fatto che tutti a quei tempi erano dotati di un cuore enorme).
2) Una volta ricevuto il parere favorevole di questi illustri organismi della cosa pubblica, si poteva essere ammessi alla Stampa & Promozione, svolte in modalità di volta in volta variabili a seconda del Piano d’Attacco allegato al testo vero e proprio.
3) Dopo la fase della Promozione, si passava alla fase di Diffusione, a cui seguiva l’Accoglienza da parte della Massa dei Sollecitati. Se si stabiliva un cortocircuito tra segni dell’Offerta e cervello dei membri della Massa (impossibile ancora stabilire il numero minimo per definire il concetto di M.E.S.=Massa Effettivamente Sollecitata) e se questo cortocircuito provocava reazioni che potevano essere ricondotte a dei nomi quali EMOZIONE, PALPITAZIONI, SCORREVOLE, DIVORATO IN DUE ORE, allora automaticamente lo Scriba Olimpico veniva fatto oggetto di afflusso di capitale nonché di provvisoria venerazione, e inoltre invitato a riprodurre il trionfo di là a poco con una nuova Offerta. Se invece questa sollecitazione non si attivava allora c’erano tre possibilità per lo Scriba Olimpico: o cambiare configurazione e riorganizzarsi in un diverso assetto di squadra, nella speranza di poter attivare la sollecitazione col varo di una nuova Offerta; o convincersi che si era Olimpici per virtù propria, ossia anche senza provocare le sollecitazioni della MS (=Massa Sorda) e tirare dritto fino al prossimo trionfo o sino alla caduta definitiva; oppure, rifiutare le regole del gioco e accettare di degradarsi a Scriba del Sottosuolo (ovvero di tornare al punto di partenza; perché tutti nascono dal Sottosuolo e poi, se possono, ascendono).
Gli Scribi del Sottosuolo erano quelli che non accedevano alla prima fase del Ciclo dell’Arte Scritta, e quindi ne erano estromessi a priori, intestardendosi però a imbrattar carte, con la bella scusa che gli venivano dal cuore, e non potevano farne a meno. Questi Scribi agivano solitamente per proprio conto, specie quando non godenti di redditi certi se non cospicui. Aspiravano ardentemente di mutarsi in Olimpici, e questo provocava immense disfunzioni nella loro psiche e nell’organismo, fintanto che non ci riuscivano. La frustrazione e l’invidia li portavano a disprezzare tutti quei divini che erano riusciti a pagarsi ville lussuose in paradisi tropicali e bellissime donne o bellissimi fanciulli, azzeccando la lotteria del testo che formava l’Offerta. Com’era possibile che agli Olimpici riuscisse e a quelli del Sottosuolo neanche un po’? Non era certo questione d’ingegno o di mestiere, come ammettevano persino gli stessi Olimpici (infatti tutti, Olimpici e no, scrivevano versi o storie d’amore o di morte, chi modulando sull’orrido, chi sul morbido…). Si trattava di qualcosa in più, d’un imprecisabile Stato di Grazia, d’un divino alluce che si poggiava sulla fronte di quei fortunati e che restava ben discosto dal lobi del Sottosuolo. Tra questi ultimi però se ne contavano, a quanto pare, alcune dozzine che se ne infischiavano delle approvazioni degli organi di competenza, in quanto queste onorate istituzioni erano da loro giudicate inadeguate nella funzione. Questi singolari membri del Sottosuolo pare vivessero comunque male la loro estromissione, riconoscendola non come intralcio alla gloria ma come segno di una superiore e organica disfunzione di tutto l’apparato. (pare siano però documentati anche casi eccezionali di sventurati che, sfiniti dal proprio modo d’essere, avrebbero deciso di farsi devoti dell’apparato, finendo per trascendersi in Olimpici. Imprevedibile Grafopolis!).
L’avvento della Rete Planetaria, detta anche, all’epoca, Ragnatela, ci dice il professore, mutò radicalmente la natura del Sottosuolo. Ormai s’era innescato un fatale processo di democratizzazione dell’Offerta, che nel giro di un ventennio avrebbe dissolto qualsiasi traccia del nobile Ciclo dell’Arte Scritta. Seguì un vertiginoso rigoglio dell’auto-espressione, un’inarrestabile proliferazione di segni, di finzioni, di fantasie: un aumento clamoroso d’irrealtà, che raddoppiava quella già inflitta dall’Icona e che imitava la straripante eruttazione di merci, più che altro di valore simbolico. Fu il riscatto del Sottosuolo e lo scatenamento di una raccapricciante lotta tra produttori di segni. I due mondi convissero per qualche lustro; l’Offerta Olimpica non subì grandi flessioni, e anzi si democratizzò anch’essa. I criteri della Polizia Psichica restavano i medesimi, ma si cercava d’ingurgitare più Scribi possibili. Ormai erano però agli sgoccioli. A poco serviva difendere l’Offerta Olimpica dallo stuolo dei nuovi barbari. Davanti a tale sfacelo patetici moralisti della forma predicavano invano discriminando scritture ancora coerenti per quanto deformi da deformità senza criterio e senza volontà di condivisione, ma solo di deflagrazione, di farneticazione… La congiuntura economica devastante (fine del petrolio, incremento della desertificazione, crisi delle Borse) e un Dominio Iconico che in nome dell’EMOZIONE faceva dell’Isteria Collettiva una Legge, fecero sì che i dissidi verbali maturassero inesorabilmente in contese sanguinose, le sparate in sparatorie…
E questo fu, di fatto, il principio della fine di una civiltà di cui l’unica cosa degna di adottare è la tecnica di datazione del tempo.
(Per questa recensione si ringraziano, oltre al fratello professore H. M. Boukir, anche il Centro Studi Arafat e la Fondazione Hamas. Evviva il Profeta!).
*Al-Gilliozè il nome vero con cui la Polizia Psichica ricerca il pacifista sovversivo noto col nome italianeggiante di Gianluca Gigliozzi. Se qualcuno di voi dovesse imbattersi in qualche sua traccia, lo comunichi immediatamente al più vicino Sceriffato. Lunga vita al Sultano! Benedetto sia il Profeta!
Al Gillioz! Vorresti farci seppellire da una risata?
Ma questo sarebbe il trionfo, dell’Occidente! :-)
Caro Inglese, sono spariti i tuoi commenti e anche il mio, in cui ti dicevo che mi avevi messo curiosità e ti chiedevo se potevi postare qualche versicolo di Gigliozzi, visto che in Rete non gira praticamente nulla…