Anonymous. La grande truffa. I
(Mesi fa, su Amazon, è apparso un pamphlet, autopubblicato da un anonimo, dal titolo Anonymous. La grande truffa. L’ebook criticava, in modo puntuale e per nulla benigno, un gruppo di attivisti altrettanto anonimi, dediti a operazioni globali di hackeraggio in sostegno a lotte e movimenti di tutto il mondo: Anonymous. Recentemente, in uno dei canali di chat più elitari dell’hacking tedesco, sono stato contattato dall’autore, che mi ha messo a disposizione il testo. Per quanto non mi trovi del tutto d’accordo su più di un punto, la lettura che dà del fenomeno Anonymous mi sembra comunque utile, mettendo in luce diversi punti cruciali della politica e dei movimenti ai tempi della rete e della deterritorializzazione. Per questo ho deciso di mettere su Nazione Indiana tutto il pamphlet. Data la lunghezza del testo, l’uscita sarà in quattro post, uno alla settimana, a partire da quello di oggi. Buona lettura!)
Anonimi e falsi anonimi
Della nebulosa Anonymous, alcuni sostengono che non si possa dire nulla. Troppo sfuggente, troppo composita per essere definita. Troppo mutevole perché le parole non risultino presto già vecchie. Anonymous imporrebbe dunque il silenzio, come una divinità neo-platonica? Invitiamo coloro che lo pensano a ritirarsi in preghiera, in buon ordine assieme ai novelli teologi dell’evo cibernetico.
Da parte nostra, crediamo di avere alcune domande utili da porre e alcune risposte interessanti da dare. Crediamo che Anonymous abbia una storia, che non è soltanto quella dei suoi membri ma soprattutto quella dei suoi simboli, idee, narrazioni, miti. E più precisamente la storia di come queste idee e questi simboli siano stati mescolati, trasformati, rovesciati.
Ma nel titolo annunciamo una truffa. Potrebbe essere quella di chi questi miti li smercia: potenti multinazionali dell’industria culturale, santoni del pensiero antagonista prêt-à-porter… Oppure la truffa potrebbe essere quella di chi questi miti li stravolge e rivolge contro il sistema: un esercito di hacker che vuole rovesciare il mondo per scoprire cosa c’è dietro. Una cosa non esclude l’altra, ed è possibile che la più grande truffa sia quella dove tutti sono contemporaneamente truffatori e truffati.
“Nel futuro, tutti avremo quindici minuti di anonimato.” Banksy
Prima che s’iniziasse a parlare di un movimento chiamato Anonymous, chi si firmava Anonymous era considerato semplicemente anonimo, privo di nome, come tutti coloro che commentano o pubblicano su Internet senza identificarsi. Anche questo libro è firmato da un Anonimo, e speriamo davvero di non avere infranto nessun diritto d’autore. In questo caso ci scusiamo con i diretti interessati.
Su Amazon si trovano decine di migliaia di libri il cui autore è Anonymous: sono dei libri prodotti automaticamente da un software a partire da contenuti anonimi liberamente disponibili online, come le pagine di Wikipedia. Sono le opere complete di Anonymous? Sono la sua segreta fonte di finanziamento? In verità, si tratta solo di una specie di truffa editoriale, e con i celebri hacker ha ben poco a che vedere. Di tutt’altra truffa parleremo in queste pagine. E di tutt’altro anonimato.
Da qualche anno la firma Anonymous indica l’appartenenza a un movimento chiamato Anonymous. Un movimento al quale tuttavia si può appartenere o non appartenere secondo la propria volontà, e senza alcuna “selezione all’ingresso”. Un motto accompagna talvolta la firma: «We are Anonymous. We are Legion. We do not forgive. We do not forget. Expect us». Possiamo tradurla come segue: «Noi siamo Anonymous. Noi siamo Legione. Noi non perdoniamo. Noi non dimentichiamo. Tremate!». La versione più diffusa è però leggermente diversa: «Noi siamo gli Anonymous. Noi siamo una legione. Noi non perdoniamo. Noi non dimentichiamo. Aspettateci!».
Come sempre in materia di traduzione si può dibattere. Le sfumature di significato evocano visioni differenti di ciò di cui parliamo: Legione biblico o legione romana? Tremate o ci aspettate? Se il “tremate” da noi scelto risulta un po’ fumettistico, va detto che “aspettateci” suona fantozziano: come se un gruppo di anonimi ragionieri in ritardo stesse correndo tenendosi un paio di pantaloni troppo larghi, sudando e ansimando per raggiungere la comitiva. Aspettateci!
Esistono varie teorie su cosa sia Anonymous e su come vi si possa aderire, almeno tante quanti sono gli anonimi che pretendono di parlare a nome di un’organizzazione che forse nemmeno esiste. E sono tantissimi: decine di conti twitter semi-ufficiali, centinaia di blog, centinaia di migliaia di video su Youtube. Sul sito AnonNews, «piattaforma indipendente di notizie su Anonymous», nella sezione FAQ (Frequently Asked Questions), si risponde alla domanda «Come posso unirmi ad Anonymous?»:
Questa domanda è piuttosto frequente. Anonymous non ha una lista d’iscritti, e non ci si può propriamente “iscrivere”. Se vi identificate con Anonymous, o se dite di esserlo, voi siete Anonymous. Nessuno ha l’autorità per dirvi se siete Anonymous o oppure no, tranne voi stessi.
Questa risposta non è ufficiale, visto che ci dice che nessun Anonymous è in grado di produrre atti ufficiali. Alcuni Anonymous non esitano a denunciare dei falsi Anonymous, in ciò contraddicendo la definizione secondo la quale nessuno avrebbe l’autorità per farlo. D’altra parte chi ha prodotto questa definizione, per definizione, non ha alcuna autorità per produrre definizioni… Insomma l’appartenenza ad Anonymous è retta da un paradosso, una proposizione autonegante come quella del cretese Epimenide di Creta (VI secolo a.C.), il quale affermò che «i cretesi sono tutti bugiardi».
Mano a mano che Anonymous guadagna visibilità, questo genere di paradossi emerge in maniera vieppiù evidente e drammatica. E paradossalmente proprio questi paradossi attirano l’attenzione e rendono avvincente l’avventura di Anonymous. Nel luglio 2011, un sedicente rappresentante di Anonymous appariva in un video su Youtube per annunciare l’Operazione Facebook, che avrebbe portato alla distruzione del social network. Indossava la proverbiale maschera di V for Vendetta, raffigurante il cospiratore Guy Fawkes. Il comunicato venne presto confutato da un altro Guy Fawkes, che definiva questo tipo di minaccia «contraria ai principi» del gruppo. Ma tra i principi del gruppo non c’era proprio il fatto che chiunque possa aderirvi, e perciò emettere comunicati?
In febbraio, un tweet firmato AnonOps (Anonymous operations) denunciava un’altra «fake operation», e qualche giorno dopo è apparso un video «For All Fake Members» nel quale il solito Guy Fawkes, serissimo e grave, se la prende con gli usurpatori e lancia un’accusa che potrebbe suonare surreale: «You are not Anonymous». Non siete anonimi. Insomma esisterebbero degli anonimi e dei falsi anonimi, che passano sempre più tempo a regolare i conti tra loro a colpi di comunicati e video-comunicati.
Secondo il sito Linkiesta, che ha intervistato presunte «fonti interne», l’hacker che in febbraio ha defacciato il sito della deputata Paola Binetti rivendicando l’azione a nome di Anonymous non sarebbe in alcun modo legato al gruppo. Si tratterebbe di un millantatore, di un falsario, anzi più precisamente di un usurpatore. Il suo comunicato, un apocrifo nel corpus dell’anonymismo ortodosso. Il caso è chiuso? Al contrario, si è appena aperto.
In effetti se esistono degli atti apocrifi è necessario che esistano anche degli atti ufficiali, e dunque un’entità in grado di produrli e convalidarli, o invalidarli se necessario. E però Anonymous si presenta come un aggregato spontaneo, un’intelligenza collettiva dai contorni sfumati, un vero grande “partito liquido” come poteva sognarlo Walter Veltroni, nel quale la distinzione tra dentro e fuori, e perciò tra ufficiale e apocrifo, è tenuta a sciogliersi completamente. Come scriveva il sito Punto Informatico a proposito del caso Binetti, «nessuno può smentire o confutare che un’azione come quella di oggi sia davvero o meno un’azione di Anonymous». Cosa sarebbero poi le «fonti interne» di un movimento che non ha né interno né esterno?
Insomma la Binetti stessa potrebbe firmarsi Anonymous e scrivere in un forum — come ha già detto in passato — che «tendenze gay fortemente radicate possono portare alla pedofilia», magari ricorrendo al Fake Anonymous Meme Generator che si trova in rete. Oppure un giovane squilibrato potrebbe indossare la maschera di Guy Fawkes per andare a massacrare i suoi compagni di scuola. Tutte azioni che gran parte degli Anonymous non approverebbe di certo. Ma d’altronde nessuno ha il diritto di dirti se appartieni o non appartieni ad Anonymous…
Il movimento eredita le sue contraddizioni dalle esperienze che l’hanno preceduto e ispirato. Tra le più simili c’è sicuramente il progetto Luther Blissett, nato e morto in Italia negli anni Novanta, pseudonimo collettivo per una galassia di artisti e attivisti neo-situazionisti, “condividuo” tenuto a incarnare un intero movimento. Nel loro manuale di guerriglia e sabotaggio del 1996, i Luther già scrivevano:
Nel film Spartacus di Stanley Kubrick (USA 1960), tutti gli schiavi sconfitti e catturati da Crasso dichiarano di essere Spartaco, come gli zapatisti sono tutti Marcos e io siamo tutti Luther Blissett… Il nome collettivo ha una valenza fondativa, in quanto mira a costruire un mito aperto, elastico e ridefinibile.
Interessante coincidenza, cinque membri del collettivo, autori del romanzo Q, fonderanno nel 2000 il collettivo Wu Ming, che in cinese mandarino significa… Anonimo.
Tra le varie avventure legate al Luther Blissett Project si ricorda almeno un episodio imbarazzante: la pubblicazione nel 1996 per Mondadori del demenziale regesto net.gener@tion, ad opera di un giovane Giuseppe Genna, oggi affermato scrittore. La quarta di copertina annunciava «il manifesto con cui si proclama l’inizio di una nuova Rivoluzione destinata a cambiare il sentimento del mondo grazie all’uso di Internet, la Madre di tutte le Reti».
Presentato come una burla ai danni dell’industria culturale, una patacca rifilata dai “veri” Luther a un ignaro editor, il libro poneva tuttavia un problema serio: se chiunque può firmare con il nome Luther Blissett, perchè il povero Genna no? Che cosa distingue il Blissett vero dal Luther artificiale? La risposta è semplice: una cascata di comunicati. Il condividuo situazionauta aveva prodotto la sua bella burocrazia, in grado di stabilire di volta in volta la legittimità degli enunciati e degli atti. Non si può tuttavia escludere che, per molti aspiranti ribelli digitali, quel libro-scherzo sia stato una prima introduzione alla materia.
Così vanno le cose anche per gli Anonymous, che passano sempre più tempo a prendere le distanze gli uni dagli altri. Questo perché contrariamente ad altre associazioni segrete del passato (che usavano l’anonimato o la pseudonimia per la sua funzione pratica ma erano comunque in grado di distinguere l’interno dall’esterno del gruppo) gli Anonymous considerano l’anonimato un fine e una ragion d’essere. Conoscendo la propensione alla paranoia dei gruppi clandestini, questa situazione è capace di minare rapidamente l’equilibrio delle cellule, soprattutto da quando il mitico hacker Sabu si è rivelato essere un infiltrato. Diffondendo il sospetto che alcuni anonimi possano fare il doppio gioco, l’FBI sembra avere conseguito la sua prima vera vittoria contro il movimento.
In effetti Anonymous, oltre che un mito aperto, è anche il nome di una costellazione di persone che — più tradizionalmente — tramano assieme, si scambiano informazioni, codici, obiettivi, e localmente provano a darsi coerenza e disciplina, denominando singole sezioni — sotto-insiemi di Anonymous — per provenienza geografica. Nella pratica, è possibile che alcuni attivisti si stanchino di questa rischiosa confusione. Stufi di dovere rispondere di ogni atto di teppismo in rete, stufi di sentirsi rinfacciare che la maschera di Guy Fawkes gliela vende la Warner, alcuni sceglieranno altri nomi e prenderanno a indossare altre maschere, o passamontagna, calze, mutande.
Ogni volta che un ragazzino sigilla una bravata con il marchio di V for Vendetta, gli Anonymous devono sentirsi come Walter Veltroni quel giorno in cui Massimo Calearo passò al gruppo misto. Il problema è che nomi come “democratici”, “indignati” o “anonimi” non aiutano a circoscrivere un’identità. E se una certa misura di vaghezza è fondamentale per costruire enunciati e simboli nei quali possano riconoscersi sensibilità differenti, c’è comunque un limite alla cardinalità di un insieme politico (ovvero al numero di elementi che lo compongono). La questione allora non è nemmeno di giudicare se la filosofia di Anonymous sia coerente ma di stabilire come, di fatto, Anonymous possa logicamente esistere.
È evidente che nel movimento stanno combattendo due forze opposte, una centripeta e una centrifuga, una che lavora alla costituzione di un gruppo vero e proprio, l’altra che procede verso il disordine. Ognuna di queste forze è inoltre composta da gruppi e persone con diverse priorità e linguaggi, che emanano messaggi contraddittori in un regime d’apocrifia incontrollata. Per ora la linea sembra essere: tutti siamo anonimi, ma alcuni sono un po’ più anonimi degli altri. [to be continued…]
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Bene molto bene ….
Scusate ma … fin qui solo fango, molto annacquato e molto maleodorante.
è solo l’inizio!
boh boh, a me sti anonimous mi hanno sempre puzzato di morto con la loro retorica populista e gli ammiccamenti a uno spirito di rivolta hollywoodiano come quello del film v per vendetta.
Morto è inteso come punto morto, ovvero come la strombazzata apertura di un cantiere per una nuovo e larghissimo ponte diretto a utopia, il quale però si rivela non un’opera faraonica costruita sui cadaveri e destinata a crollare sotto il peso della sua unica e incompiuta navata (come da consueto incubo post-leninista), bensì come un annuncio fatto di progettazioni e presentazioni in 3-d strafighissime, conferenze, studi di fattibilità e, soprattutto, infinite campagne di marketing, virali e non, le quali non conducono mai alla creazione del cantiere.
Insomma: Anonymous è parte di quella sorta di Stretto di Messina S.P.A. del cambiamento sociale che trova massima espressione nel mediattivismo (la fine di luther blisset è emblematica) come fine in sè.
In questo senso sarebbe interessante porre a confronto anonymous e wikileaks, ovvero: l’attacco alle interfacce grafiche condito di roboanti proclami con il furto e la pubblicazione di informazioni segrete, al netto di cosa le interfacce grafiche e cosa il segreto delle informazioni contino, per il funzionamento del famoso “sistema”.
E bons, non c’è bisogno di scovare i segreti per riconoscere una sòla, basta vedere l’entità materiale delle azioni e commisurarla all’entità dei proclami e dell’esposizione mediatica. E’ una formula il cui risultato è un coefficiente di scollamento dalla realtà che, per Anonymous, risulta insolitamente elevato (aldilà di tutto ciò che esso è, dei rischi reali e delle motivazioni reali di chi ne fa parte, ecc. ecc.).
Per un discorso su anonimato e pseudonimo ci vorrebbe altro spazio (domani mi svejo presto, pardon), dico solo che non me li lascio sfregiare da dilettanti o profittatori, da Anonymous o Wu Ming.
In realtà la scrittura virtuale è una truffa, dove il truffatore è più virtuoso del non truffatore, e il truffato è più furbo del non truffato.
[Gorgia da Leontini]
Si attribuirono ad Anonymous tutte le opere possibili e immaginabili, ma io credo che chi ha scritto “l’ira canta, dea” e ” l’uomo raccontami, Musa” non sia lo stesso Anonymous che ha scritto i Kypria e la Iliou Persis…
[Aristotele]
da principio, da quando hanno imparato tutti secondo Anonymous
[Senofane di Colofone]
Ma soprattutto:
Fra quelli che si occupano della questione di Anonymous non ha senso in fondo distinguere fra analitici ed unitari, perché siamo tutti unitari. Le divergenze cominciano quando si puntualizza l’identità e la collocazione storica di Anonymous.
[Martin]
PS (ritardatario e volante)
consiglio questo libro:
http://www.ippolita.net/it/libro/nellacquario-di-facebook-online
in particolare questi capitoli si affacciano sul tema qui discusso:
http://www.ippolita.net/it/libro/laffaire-wikileaks-una-sfida-sensata
http://www.ippolita.net/it/libro/anonymous-un-attivismo-anomalo
In quest’epoca siamo tutti anonimi ma identificati.
Il sistema di controllo ha coniugato perfettamente l’insignificanza dell’anonimato con la sudditanza implica nella facile raggiungibilità dei potenziali soggetti da reprimere.
Il capolavoro dei sistemi totalitari.
Erratum corrige:
** implica, ovviamente lege “implicita”.
@daniele: però qui la questione dell’anonimato diventa non tanto del controllo o della clandestinità ma quello della comunità e dell’identità, no?
Dal no logo al no name?
Naomi Klein come Chirone?
Sinceramente mi pare l’ennesimo tentativo di infangare un movimento che cerca di migliorare un po’ una realtà che non convince praticamente a nessuno.
Pensavo mentre leggevo il testo che un discorso simile era stato fatto nei confronti degli indignati, e infatti alla fine di questo pezzo parla anche di quelli.
Insomma, a me sembrano le parole di qualcuno che non sapendo o non volendo protestare e lottare lui, attacca chi lo fa più per impotenza personale che per convinzione vera.
@monica: come premettevo, non sono del tutto d’accordo con l’autore e quindi posso capire le tue perplessità. e tuttavia i punti sottolineati fino ad ora non sono riducibili ad un livore generico ma colgono alcune contraddizioni di un’azione politica come quella degli anonymous (ma in parte anche degli “indignati”).
per farla (molto) breve: una volta la società civile si organizzava politicamente in partiti e questi avevano una forte presenza territoriale ed una strutturazione identitaria altrettanto forte, portando ad una serie di disfunzioni (burocratizzazione, potentati locali, élite, ecc.); ora alcuni dei nuovi movimenti mi sembra cerchino di evitare questi pericoli mantenendo una strutturazione ed un’identità molto fluide, cosa non necessariamente negativa né positiva. inoltre, se una volta i partiti si misuravano in modo diretto soprattutto con la dimensione nazionale ora quella transnazionale è diventata ineludibile e questo, di nuovo, ha un impatto sulla costituzione di un’identità politica e di un discorso condiviso. ora, per gestire questo impatto spesso si ricorre ad una retorica che forse crea più danni di quanti ne risolva (forse no, sia chiaro, ma almeno il problema dobbiamo porcelo).
Interessanti, nei commenti, i due riferimenti al “fango” che il libro getterebbe su Anonymous. Il punto è che Anonymous, strutturalmente, attira il fango: perché non ha gli strumenti per impedire che qualcuno faccia, in suo nome, qualcosa di contestabile. Però altrettanto strutturalmente dovrebbe esserne immune, poiché da ogni accusa è in grado di schivarla in base al medesimo principio. Questa è la sua forza e la sua debolezza: la ragione del suo successo ma forse anche il germe della sua sconfitta. Parlarne mi pare interessante, anche se a qualcuno sembra non piacere che si tocchi a ciò che è sacro.
(mi scuso per i due errori nel mio commento, dovuti alla fretta)
Esco dallo scherzo ominoso.
Le componenti del movimento di Anonymous che sono genuine, semplicemente cercano di definire un’azione e una controinformazione che possa essere veramente transnazionale e fuori controllo, come sono fuori controllo e transnazionali le dinamiche distruttive che hanno portato le democrazie al collasso di fatto.
Un partito rivoluzionario oggi sarebbe facile obbiettivo di repressione per le polizie degli Stati zombies, o facile oggetto di strumentalizzazione.
Interview with Geert Lovink by Oliver Leistert
http://networkcultures.org/wpmu/geert/2012/10/03/steierischer-herbst/
OL: Anonymous are recently getting huge mass media attention and appear to be the current pop-cultural common denominator of net activism. How do you see this phenomena?
GL: As you know I am a defender of the anonymous communication culture on the internet (and this is my main objection to Facebook, not so much the privacy aspect). I might even call myself a fan of most Anonymous actions. I hesitate to go for it 100% because of the specific sub-cultural agenda of the image board 4chan, which is so far removed from my own world of critical theory, visual arts and media activism. Don’t get me wrong, I do not condemn it. For instance, lolcats are funny. What I dislike is the right-wing populism and resentment culture on websites such as Geen Stijl (NL), one of the most visited sites here in NL. They also do 4chan-type of acts and their cynical humor can be attractive but on the whole I find them really racist, sexist and disgusting. What does it mean if you say that you’re a nihilist? It cannot turn into a religion, right? Either you don’t believe in anything, and that would include Anonymous itself, or you don’t. Anon is the school of activism of our age, beyond left and right, a post-Coldwar product of the neo-liberal post-ideological condition. It is no longer an expression of ignorance and indifference. I like that. At least something happens. I just finished working with Daniel de Zeeuw who wrote his MA thesis with me on this issue. Gabriel Coleman works on it as well, but more from a geek-programmers perspective. We can’t expect the Zizeks and Rancieres to say anything about it. They are perhaps too old for this male adolescent material, it is not on their radar, the major thinkers of today are still busy with books and films (which is fine with me, I respect that). It will be up to us to make a cultural analysis of the online reality. Let’s take up that challenge. I don’t believe it is part of a move towards contemporary fascism but it’s not progressive either. Is it justified to speak about a Third Way here? Probably not in the way Tony Blair once did. It is more like a cultural desert. Such environments are no longer moderate and reasonable. You have to let go of the consensus cult and go underground if you want to understand the cynical, paradoxical culture of young people who grow up with all this stuff.
@daniele: attento però: uno) stai introducendo una distinzione tra anon genuini e finti che, come sottolinea il pamphlet, contraddice le basi stesse dell’operazione anon (e anche la logica dell’anonimato); due) storicamente, e anche logicamente, sono proprio i movimenti e i gruppi clandestini ad essere più facilmente infiltrati e strumentalizzati.
Storicamente non sono mai esistite nazioni zombies strumentalizzate non da poteri egemonici localizzabili, ma da poteri finanziari senza localizzazione.
@jan: caspita, bellissima citazione che sposerei credo in toto (e non solo nel pezzo in cui dice: For instance, lolcats are funny ;-)
“It is more like a cultural desert”
(Interview with Geert Lovink by Oliver Leistert)
“Et cette vérité, c’est que nous sommes les locataires d’une existence qui est un exil dans un monde qui est un désert”
(Tiqqun, Théorie du Bloom)
Il Bloom, ancora lui.
L’anonimato non è una scelta, ma una condizione.
Anonymous, muovendosi nello Spettacolo, inteso alla Debord, ha rinunciato all’anonimato facendone la propria bandiera. Nel momento in cui annuncio al mondo, in maniera roboante e teatrale, spettacolare, appunto, che mi chiamo Anonimo, non posso pretendere di restare anonimo. La differenza è tutta là: tra nome proprio e nome comune, iniziale maiuscola o minuscola.
Salire su un palco con una maschera non vuol dire rinunciare all’evidenza del palco, tutt’al più tentare di far risaltare la maschera al posto di chi la porta.
Lodevole iniziativa, questa, in un mondo in cui, delle funzioni comunicative di Jakobson, a livello di discorso pubblico, rimangono disponibili solo la emotiva, la fatica e la conativa.
Ma il discorso di Anonymous resta in questo contesto, laddove il suo messaggio è un continuo riferirsi a sè (we are legion, ecc. ecc.), ai propri destinatari (caro x, anonymous è arrivata a farti il culo, caro x ci ricorderemo di te, ecc. ecc.) e ai propri canali di comunicazione (la retorica dell’azione internautica, della rivoluzione che parte dalle reti digitali e dall’informazione attraverso le reti digitali, ecc. ecc.); la maschera non serve a ristabilire una giusta attenzione verso le funzioni linguistiche soccombenti attraverso la rimozione dell’emittente, insomma; soprattutto, scarso peso è dato alla referenzialità della comunicazione, normalmente ci si accontenta di copincollare contenuti altrui e partecipare a lotte mosse da altri (o magari dagli stessi individui, ma comunque sotto altro nome, magari realmente anonimo, come qualunque nome proprio di persona immersa in una massa. quando parlo di massa parlo di massa à la Elias Canetti).
La maschera, come direbbe Canetti la metamorfosi, è un attributo del potere. Serve a garantirsi maggiori possibilità di soppravvivenza, a mistificare la propria essenza negli sguardi di qualunque nemico presente, passato, futuro, reale, immaginario, nascosto e visibile. La paranoia è la condizione mentale del potente che sopravvive sulla massa, condizione (e qui deragliamo dal bignami Canettiano) che l’individuo atomizzato, il Bloom, nella sua condizione di separazione forzosa e perpetua dalla massa, di ipertrofizzazione indotta dell’io, sperimenta quotidianamente. Non credo si siano mai visti tanti disprezzatori della folla e misantropi come in questa epoca, soprattutto visto e considerato che la misantropia contemporanea si autogiustifica in sè e per sè e anzi si glorifica, senza bisogno di sublimarsi nella vita contemplativa, nella poesia lirica o nel servizio verso entità divine cui sempre meno persone credono realmente.
I misantropi non fanno le rivoluzioni, le capeggiano.
Siamo pieni di capi senza seguito, che lottano tra loro per un trono che non c’è, infatti.
In questo trovo lodevole il tentativo di ristabilire un contatto umano, fisico prima che culturale, operato dagli indignados spagnoli; contatto tra uguali, il tentativo di ristabilire le condizioni di esistenza della massa, la quale trova difficoltà ad esistere in forme non mediate e domate da un qualche tipo di istituzione ritualizzante. Siamo qui nell’ambito della differenza tra massa aperta e massa chiusa, sempre usando il linguaggio di Canetti.
Trovo che, aldilà di tutti i limiti di quell’esperienza, sia decisamente ingeneroso metterla nello stesso calderone con Anonymous, lo stesso vale, anche se in minor misura, per Occupy Wall Street.
no beh la differenza tra anon e indignados c’è ed è forte (fosse solo perché i primi scelgono la deterritorializzazione radicale e i secondi invece puntano sulla prossimità). tuttavia mi sembra ci siano, da un punto di vista politico, alcune “affini criticità” e credo che il pamphlet le metta in luce.
[…] Nazioneindiana sta pubblicando a puntate il testo di Anonymous la grande truffa, il libello apparentemente reazionario di cui abbiamo già parlato. Quasi nello stesso momento dai meandri del deep web è emerso un testo simile, ma in inglese, che viene attribuito ad una fantomatica (e per molti versi ossimorica) “Banda Anarchica Formalmente Organizzata”. Il testo contiene alcune subdole differenze rispetto all’originale, quindi potrebbe trattarsi di una caricatura, ma non si può nemmeno scartare l’ipotesi opposta, e cioè che questa che sia la fonte segreta del testo italiano. Del resto non sarebbe la prima volta che uno scherzo viene preso fin troppo sul serio. Ci riserviamo di pubblicare l’intero documento, una volta accertato che il BAFO non possa nuocerci, e nel frattempo vi offriamo questo significativo brandello: […]
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