La nuda vita
di Agostino Zanotti
Avviare una campagna per l’apertura di un canale umanitario verso l’Europa implicitamente è mettere una pezza alla problematica della condizione di vita delle persone nei vari Paesi del mondo. E’ vero che in questo modo si tutela il diritto alla fuga, però così facendo si accetta la situazione che li spinge a fuggire da luoghi dove esistono poteri dittatoriali e logiche postcoloniali che rendono inabitabili alcuni Paesi.
In questi territori ci sono dei meccanismi effettivamente che fanno sì che la nuda vita non sia garantita. Questa è la causa per la quale li vediamo arrivare sulle nostre coste e il veder morire tutti quei corpi in diretta ci rimbalza dallo schermo come un problema di coscienza perché tutti i media ci propongono continuamente le stesse immagini. Una sensazione che dura poco perché purtroppo vediamo tanti corpi. Poi le questioni si accavallano spesso, i media hanno i loro tempi e la notizia passa in secondo piano e contemporaneamente anche la commozione che è stata scatenata. Una commozione più di facciata che di sostanza: l’indignazione dovrebbe essere quotidiana rispetto a quello che sta accadendo. Quindi questi morti rimbalzano sulle nostre responsabilità in primo luogo dal punto di vista dell’impegno politico, dal punto di vista degli impegni internazionali che non sono efficaci, o delle regole del mercato globale con settori, come quello delle armi, che creano alti profitti sulle nazioni che si trovano in queste condizioni di mancata tutela.
Su queste situazioni paradossali come Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere di Brescia abbiamo aperto una serie di denunce. Per esempio quella che viene dall’organizzazione non profit SaferGlobe Finland, che in un rapporto dal titolo “Cosa è stato esportato a chi?” ha messo sotto esame il sistema dei controlli sulle esportazioni di armi leggere e di munizioni della Finlandia. Nel rapporto, la Beretta di Gardone Val Trompia è ripetutamente citata, e molti sospetti si sono concentrati sulla Sako Oy, azienda finlandese con sede a Riihimäki (Finlandia) che fa parte del gruppo Beretta, produttrice di fucili per sniper (cioè “da cecchino”) in dotazione alle forze speciali di numerosi paesi e in gara anche per rifornire i green berets USA. Quindi va bene indignarsi, piangiamo sulle lapidi, piangiamo sulle cento bare allineate, ma poi interroghiamoci sulle schizofrenie che viviamo ogni giorno.
Altro esempio di questa schizofrenia è l’iniziativa del Comitato Internazionale della Croce Rossa (ICRC) di collaborare con le aziende produttrici di videogiochi, che riproducono situazioni reali di guerra per introdurre nei videogames le regole di guerra e del diritto umanitario internazionale. Non solo in questo modo si legittima l’uso e la diffusione di questi videogiochi ma, paradossalmente, si contribuisce a renderli ancora più realistici creando una pericolosa affinità tra il gioco e la realtà.
Andiamo oltre questi casi, e arriviamo al sistema europeo di Frontex, agenzia europea delle frontiere col compito di sorvegliare il Mediterraneo. E’ un sistema militarizzato che controlla tutti i passaggi alle frontiere con strumenti altamente sofisticati. Anche su questo punto possiamo confrontarci sul senso della retorica utilizzata nel presentare la Marina Militare Italiana che improvvisamente viene impiegata per soccorrere i migranti in mare. In realtà la Marina Militare è attrezzata per bloccare le persone alle frontiere con radar, sistemi di puntamento e altri strumenti altamente sofisticati che bloccano qualsiasi diritto alla fuga.
Poi l’iter è lo stesso in ogni punto di accesso all’Europa: chi arriva viene arrestato, viene portato nei centri, viene espulso. Quindi nella realtà sono stati alzati tanti muri che bloccano il diritto alla fuga. Si veda a tale proposito la campagna Frontexit .
Che cosa significa dunque in un contesto così definito aprire un canale umanitario? Che senso ha? Significa togliere al sistema mafioso e corrotto, che guadagna sul traffico di esseri umani la possibilità di arricchirsi sulle disgrazie degli altri. Se fosse possibile costruire questo corridoio umanitario si potrebbero alleggerire le tensioni di sovraffollamento dei campi profughi per inviarli in zone più tranquille, o coloro che si trovano in situazioni di persecuzione o di pericolo vitale potrebbero accedere alle agenzie umanitarie per poter esser trasferiti in altri paesi. Consideriamo che, in linea generale, il corridoio umanitario è sicuramente molto complicato da attuare, perché deve essere costruito nelle pieghe del diritto internazionale, che, come diceva il diplomatico nel post pubblicato su NI, consente alle persone che richiedono asilo di farlo solo se non si trovano nel paese di origine. A parte che le ambasciate sono territori extraterritoriali e potrebbero agire in questo senso. A parte che è un problema specifico dell’Italia se le ambasciate non sono adeguatamente equipaggiate con personale e struttura, ma invece di destinare ingenti quantità economiche al sistema Frontex per bloccare alle frontiere coloro che arrivano, si potrebbe destinare risorse anche minori alle ambasciate così da intercettare queste persone alle origini e indirizzarle, senza togliere a loro il diritto alla fuga. Si potrebbero anche provare delle strade percorse in altre situazioni del recente passato, come accadde in occasione del conflitto balcanico. Per far questo, occorre un’adeguata politica dell’accoglienza, un’adeguata politica dell’immigrazione, un’adeguata politica di tutela dei diritti umani. Consideriamo anche che, in queste rotte che gli immigrati e i i rifugiati seguono, esistono soggetti, che guadagnano ingenti quantità di denaro e acquistano anche un elevato grado di potere. In quest’ottica, il corridoio umanitario andrebbe a toccare i poteri forti della mafia e del contrabbando degli esseri umani. Inoltre, agendo in questa direzione, si rompe il meccanismo perverso del reato di clandestinità che, espressione del divieto di libera circolazione delle persone, legittima il sistema del contrabbando illegale di esseri umani tra le frontiere.
Un corridoio umanitario è da considerarsi solo come un presupposto ad un di “qua”, cioè la premessa necessaria a territori che siano in grado di costruire un sistema dell’accoglienza adeguato. Il rischio infatti è che anche creando il corridoio umanitario garantiamo il diritto alla fuga senza garantire il diritto all’accoglienza. Il diritto all’accoglienza nei nostri territori sicuramente è minato dalle politiche di austerity che sono in corso e quindi dalle politiche che stanno indebolendo fortemente il nostro stato sociale. Se le persone che arrivano sono considerate “predatori delle risorse scarse” a disposizione dello stato sociale, il cittadino italiano teme di perdere anche quel poco che è rimasto, con la creazione di un muro invisibile che si erige sulle paure e sulla crisi. Oltre a tale difficoltà sono necessari altri strumenti adeguati per poter inquadrare la questione dei corridoi umanitari nel quadro complesso del diritto internazionale. Stiamo agendo in situazione di emergenza e lo si vede dai morti in mare e dalla pressione dei campi profughi che si trovano sui confini dei paesi come la Siria o l’Egitto, ad esempio. Questi campi stanno registrando delle pressioni di rilevanti quantità di persone con oltre due milioni di profughi che permangono lì e sono situazioni che sicuramente tra poco esploderanno.
Nella crisi economica che stiamo attraversando e con folle di persone nei campi profughi come si può costruire un approccio all’accoglienza? Occorre che il processo culturale si inverta e ci si confronti con quanto accadeva ai tempi della nostra origine. Come uno dei miti fondativi del mediterraneo è stato il viaggio di Ulisse, attraverso la lettura dell’Odissea sappiamo che Ulisse ha percorso questi spazi incrociando grandi difficoltà, ma mai trovando nei luoghi di approdo la richiesta di essere identificato prima rispetto ai gesti semplici dell’accoglienza. Oggi agiamo in modo inverso. Quindi il sistema dell’accoglienza deve essere invertito: non mi interessa che nome hai, mi interessa il tuo bisogno di accoglienza. Per molto tempo la nostra società è stata una società “accogliente”, quindi si richiede una riscoperta di quanto accadeva nel passato inserendo tale atteggiamento nell’approccio culturale, che parte dal presupposto che le nostre città sono città in movimento e si arricchiscono con l’arrivo dello straniero. E l’arrivo dello straniero, dell’altro è sicuramente il meccanismo attraverso il quale io scopro me stesso. E’ chiaro che l’arrivo dello straniero è accompagnato da un senso di paura, espressione di un timore naturale, che però va maneggiato nella forma adeguata e non rinforzato con le misure sicuritarie che invece mettiamo in atto e con la chiusura umana e culturale. L’Italia e i nostri territori locali dovrebbero dotarsi di un sistema di accoglienza che investa le strutture degli enti territoriali a partire dai Comuni, ASL, Servizi sociali, Prefetture, Questure e così via. E’ quello che stiamo cercando di costruire anche noi qui a Brescia in modo che non si entri nelle cosiddette “emergenze costruite”. Il sistema che in Italia si chiama SPRAR, Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati permette di poter supportare l’inserimento dei rifugiato in modo diffuso in diversi comuni in tutta Italia. Fortunatamente questo governo ha pensato di allargare il sistema dai 5/8mila posti di quest’anno ai 16mila posti previsti nel 2014 e questo ci permette una risposta concreta alla richiesta di quella accoglienza decentrata che è il presupposto per un’accoglienza di qualità. Accoglienza decentrata vuol dire non persone nei centri CARA ma persone dislocate sui territori dei vari comuni italiani con più possibilità di trovare risposte alla loro richiesta di asilo, alla loro richiesta di salute, e anche alla loro possibili richieste di lavoro. Le risorse per lo SPRAR -trienno 2014-2016 sono state già inserite in apposito bando per le diverse agenzie che come l’Associazione ADL a Zavidovici onlus si occupano di accoglienza dei rifugiati e dei richiedenti asilo.
Diciamo che se tutte le province d’Italia fossero in grado di mettere in campo un sistema di questo tipo i rifugiati potrebbero essere assorbiti nel tessuto sociale dei comuni di provincia. Per dar un’ idea concreta di che cosa avviene, si considera che il mettere in piedi a Brescia un’accoglienza di questo tipo, significa, concretamente, attivare accordi con circa una ventina di comuni per circa cinque posti a comune. Il comune di Brescia ha trenta rifugiati dislocati qui. Trenta soggetti che possono essere assorbiti in modo naturale considerando che Brescia ha circa duecentomila residenti. Con l’arrivo di queste persone, l’accoglienza assume un duplice aspetto: occorre rispondere ai bisogni primari della persona e contemporaneamente è necessario evitare di inserirli in meccanismi di mero assistenzialismo. Quindi le persone chiedono di essere ascoltate, di essere comprese e soprattutto vanno rinforzate nella loro potenzialità di ricoprire il ruolo di grandi narratori di come stanno andando i paesi più lontani. Noi qui abbiamo la percezione di cosa accada realmente sul confine pakistano, di che cosa accada in Afghanistan, di che cosa è successo in Mali, in Somalia o in Eritrea. Non ci spostiamo, ma siamo investiti dalle storie dei rifugiati e dei migranti che arrivano fino a noi. E molte volte questi uomini e donne sono in grado di denunciare i regimi di appartenenza, per cui sono anche persone che non vanno spente nella loro potenzialità di essere soggetti politici. I progetti SPRAR sono progetti a termine proprio perché non dovrebbero essere assistenzialistici. Molte volte i percorsi individuali supportati dallo SPRAR si concludono bene, altre volte si arriva ad una fine problematica perché magari la persona avrebbe bisogno di maggiore tempo, o perché ha maturato aspettative più alte e quindi in alcuni casi entrano in campo dei meccanismi vendicativi, che per carità dal loro punto di vista non è del tutto sbagliato. Per cui alcune volte vorrebbero avere da questi progetti il massimo guadagno.
Lo SPRAR è in Italia, ed è simile al sistema di ogni paese europeo che riceve il supporto finanziato dal relativo ministero degli interni. Poi ci sono i finanziamenti europei (FEI Fondo Europeo per l’integrazione, FER Fondo Europeo Rifugiati) di supporto ai processi di migrazione.
Nell’ultimo rapporto SPRAR 2011-2012 si possono leggere i flussi migratori in Italia e in Europa per cifre e per destinazione finale. Lo SPRAR è un modello ben visto in Unione Europea perché comunque offre una serie di garanzie interessanti, pur riconoscendo la necessità di potenziamento, a fronte anche delle masse dei richiedenti. E’ inutile organizzare un sistema di accoglienza di cinquemila posti, sapendo che i richiedenti asilo sono trentaquattromila e quelli che vengono/ottengono lo status sono circa ventimila a seconda degli anni. E’ un sistema sottodimensionato che non risponde agli obblighi di nazione europea. Ecco, dare accoglienza ai richiedenti asilo è un obbligo non solo della Convenzione di Ginevra ma anche della nostra Costituzione all’art.10 in cui si recita che lo Stato Italiano offre asilo a chi ne fa richiesta.
Altro aspetto da trattare è il regolamento Dublino III che dice in sintesi che è il paese di ingresso quello che deve dare risposta alla accoglienza. Quindi se tutti arrivano in Europa sbarcando in Italia è l’Italia che se ne deve far carico, nel caso in cui presentano la domanda d’asilo sul nostro territorio. Se tutti entrano in Germania è la Germania a farsi carico e così via. E’ un meccanismo discutibile, che blocca la possibilità dei rifugiati di avere accesso a sistemi di accoglienza di qualità. In definitiva se il rifugiato, dopo aver fatto domanda d’asilo in Italia, si sposta in altro stato europeo, interviene un dispositivo di competenza che molte volte rischia di risolversi solo dopo tempi lunghissimi. Inoltre, alcuni stati europei, pur riconoscendo la competenza nella gestione della domanda d’asilo all’Italia, fermano il rientro del rifugiato per il livello di accoglienza negativa presente nei centri come i CARA . In questo senso anche il Regolamento di DublinoIII dovrebbe essere modificato nell’ottica di una maggiore flessibilità, certezza e velocità di risposta.
(intervista raccolta da Maria Luisa Venuta)
Agostino Zanotti è presidente di ADL a Zavidovici onlus di Brescia.
L’Associazione “Ambasciata della democrazia locale a Zavidovici”, onlus nata nel 1996, oggi è configurabile come associazione di secondo livello, cioè come una struttura che vede al suo interno la collaborazione tra gruppi del volontariato e della società civile, ong, enti locali italiani ed europei ed organizzazioni internazionali.
Per approfondimenti on line:
Sistema Centrale deri richiedenti asilo e rifugiati SPRAR
Frontiere, migranti e rifugiati Traduzione di Giulio Frigieri, Marianna Pino e Marion Lecoquierre
Su un tema correlato: Luke Mogelson, “The Dream Boat“, in The New York Times Magazine, 15 novembre 2013