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Mai più maestri

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Di effeffe alias « il Maé » Francesco Forlani

(Segnalo l’uscita del n° 2 della rivista SUD, anomalo e fecondissimo laboratorio di scritture e d’immagini, collocato in un variabile campo di forze passanti per Lisbona Milano Napoli Parigi Praga… Eccovi un piccolo estratto. Il brano è anche innesco al tema del numero: maestri, maestranze, diseducazioni, e altro. Accludo l’indice. A. I.)

Ho smesso di cercare un maestro quando è morto mio padre. Ricordo la data esatta; e voglio dire il giorno, e se la memoria non m’inganna – la morte di certo no – potrei ricostruire l’ora e il minuto. Il luogo? Lo so. Perché è negazione di patria, è l’ex patria, mentre la lingua è quella non più materna, bensì dell’ospite, affrancata. Ho smesso di cercare maestri e mi accontento di osservare quelli degli altri, e mi piace ascoltare i racconti degli uni, i maestri, e degli altri, i discepoli, come attori di un film in cui si recita a soggetto, e che pero’ dietro le quinte ti rivelano il come e il perché.

E’ un po’ come spiegare – ma è il maschio che parla – il piacere della donna nell’identificazione del punto G. Oppure in amore – ed è la femmina che parla – il segreto dell’altrui felicità. Mi piace ascoltarli, i figli dei padri, perché la loro solitudine, rispetto alla mia, ha come dei solchi di umanità.

E’ vero che ho smesso di cercare maestri – ma era perché mi disperava non averne trovati? – com’è altresì vero che in pratiche recenti a Milano, intorno a calici grondanti vino, incontro una serie di piccoli maestri. Sono per lo più poeti e mi piace pensare a loro come a maestranze. Allora le maestranze in poesia sarebbero un po’ come i geometri, gli elettricisti, ed il mestiere quasi anagramma di maestro, si addice alla maestranza quando vi si aggiunga dell’arte. Del resto il mestiere è qualcosa che si sa, e non come oggi, qualcosa che si conosce. Che gli esperti conoscono, gli addetti ai lavori, dovrebbero se si sporcassero un po’ le mani – e mi riferisco ai critici senza critica degli artisti senza opera, quasi avessero cambiato il pannello originario affisso davanti ai cantieri, “è severamente vietato l’ingresso agli addetti.”

E il mestiere si tiene, non si ha. Lo puoi possedere e perdere, per un nuovo mestiere, o perderti con esso, lasciandone alcune chiavi, il senso, ad un altro che segue. Generalmente più giovane. Ci sono poi maestri che durano lo spazio di un istante salvo poi scomparire nel nulla. Sono maestri involontari, ma fisici, corporei, perché un maestro ti parla cosi’, non attraverso i discorsi, al massimo una parola. Sicuramente un corpo. Come un giorno m’era successo, nello spazio angusto di una fermata della metropolitana di Valbeneunamessa. A Montparnasse.

In principio era un piede.

Tremante, insicuro, calzato, bene può darsi, sicuramente teso e muscolare, ad arco- ma la scarpa non faceva trasparire alcunché- ed apparve così, un vecchio signore, dall’aria e dai modi gentili, le lenti spesse come fondi ed una cartella sotto il braccio. Giusto di fronte all’entrata del vagone con quella luce giallastra che ti intima, la luce: “Su, sbrigati che si va” seguita come se ciò non bastasse dal grido, acuto e stridente di sirena omerica dell’allarme di chiusura delle porte.

Intanto lui, il vecchio signore, dall’aria e dai modi eleganti benché di faccia non rasata, e cappotto liso, tremava dalla testa ai…al piede, che intanto iscriveva una parabola tra il marciapiedi e la porta, e che pur accarezzando il vuoto dell’apertura, della soglia, fissa davanti a lui, non ce la faceva proprio ad atterrare, a trascinare il corpo con un balzo naturale. E la luce era sempre più luce ed il suono, quel suono come sorto dal nulla, proseguiva imperterrito da quasi stacco finale il suo corso fino al silenzio. Un grappolo di passeggeri s’era raccolto intorno a lui e chi gli diceva : “Forza ou no’!”
“Ce la potete fare” – arrivo’ a dire una donna.
“Forza e coraggio” – dissero i bambini.
Un gruppo di turisti giapponesi, vestiti da europei e in americano: “Go, go, come on!”
“Avanti o popolo!”

Da dove ero, non potevo sapere se quella gente intorno al vecchio signore, dalla barba non fatta, coll’abito liso e coll’aria ed i modi gentili, gli dicesse veramente qualcosa. Si sbracciavano impazienti e a volte esausti, impensieriti, agitando i gomiti e lasciando cadere per terra le borse da lavoro. Gli facevano segno di avanzare, perché poteva, le porte erano alla portata di …piede e Cristo se poteva. Lo sapevano loro ed io pure lo sapevo. E più il tempo passava e più le porte incombevano aperte sul vecchio signore, cogli occhi spalancati dall’enorme fatica, certo, ma dai modi di un maestro di musica, di un generoso direttore d’orchestra, che avesse lasciato il coda di rondine da qualche parte e che ora non poteva volare.

Come quell’altra volta in cui un gabbiano dalla Senna s’era cacciato lì dentro, nella metropolitana, quasi che al posto di navi arrivassero treni ed invece del cielo ci fossero pareti di maioliche e sassi imbruniti. Eppure, l’esitazione del piede tremante – perfino il conduttore era disceso dalla macchina e gli intimava di entrare, “par dieu” – aveva spinto, chissà come e chissà perché, anche due grossi signori, di colore d’onice e imbiancati di perle di sudore e di polvere di colla – col secchio ad un fianco avevano appena finito d’incollare manifesti pubblicitari – e s’erano messi al punto dove le porte si rincorrono, per bloccarne lo slancio ed offrire al vecchio signore, ma si poteva dire un maestro, un vecchio uomo di scienza, una manciata di secondi.

Invece si sa come funzionano queste cose. La meccanica del tempo e della metropoli – una grande città è soprattutto tempo, prima tempo ed eventualmente dopo, denaro, – e le porte come richiamate ad un ordine antico, parvero crollare sotto i colpi della tecnica e della durata, del ritmo frenetico che si conta in centoventi secondi entro un convoglio e l’altro, obbligando gli altri due, seppur volenterosi operai, a cedere sotto il peso della spinta delle due ante di vetro e ferro.
“Chiamate la polizia” – disse l’uno.
“Ma che idea” – fece l’altro.
“I pompieri”.
“Calma, Signori calma” – fece la voce dagli altoparlanti.

E man mano che i secondi precipitavano nel buco dell’ormai passato, la folla – perché ormai si trattava di folla, e si tenevano per gruppi, ed una studentessa al vecchio signore gli teneva perfino la mano, porgendo il seno al bavero della giacca – aveva il sentimento che l’impresa fosse votata allo scacco. Ma poi lo sapete cosa succede in questi casi. Il mondo-macchina ha i suoi obblighi, le sue misure ed assai bruscamente, negli istanti che si susseguirono, ogni cosa riprese il suo corso. Ed il treno riparti’ senza chiedere niente a nessuno né tanto meno fornendo spiegazioni. E lui, ma lui, il vecchio signore dalla barba non fatta e dai modi e dall’aria gentile, nell’istante esatto in cui il convoglio aveva percorso il suo ultimo tratto di curva, quando anche il culo dell’ultimo vagone era sparito dall’orizzonte, senza esitare oltremodo, aveva ritirato il piede, e s’era messo a camminare leggero come un ballerino del Bolscioi, un centrocampista d’altri tempi, in tutt’altra direzione. Altrove. Dov’è la vita.

* * * * *
SUD n° 2 Periodico di cultura, arte e letteratura

INDICE:

in punta di piedi

Uscita
Marco Giovenale

Mai più maestri
Francesco Forlani

Maestri cercando
Matteo Palumbo

In prima pagina
Paola De Luca

Editoriale
a cura della redazione

Quel che i maestri non dicono
Antonio Ghirelli
*
mala lengua

L’arte della fedeltà
Milan Kundera
(traduzione di Massimo Rizzante)

Cavalcanti senza sella
Paolo Gentiluomo

Voi che (scolii)
Marco Berisso

Bisogna insegnare il sonetto a tutti i giovani europei
François Taillandier
(traduzione di Francesca Spinelli)
*
mater master

La città delle madri
Cesare Cuscianna

Per ogni giorno
Biagio cepolllaro

Così devi fare
Josè Muñoz

I maestri dell’occidente
Paolo Colautti
*
appello alla classe

Obbligati all’oblìo
Jean-Claude Michéa
(traduzione di Alessandra Mosca)

Il mostruoso volto del maestro
Paolo Graziano
*
direzione
Napoli maestra di vita
Francesco Jodice e Margherita Remotti

Trittico
Michele sovente

Maestri di scuola
Stefano Jossa
*
cose diverse
Il divano di Bouba
Andrea Inglese

Transit
Dominique Delcourt
(traduzione di Francesco Forlani)

Too sud
Petr Kral
(traduzione di Paola De Luca)

Insensata saggezza
Felice Piemontese
*
note contesto
Variazioni sulla musica e la violenza
Esteban Buch
(traduzione di Lidia Verde)

La morte del poulpe
Jean-Bernard Pouy
(traduzione di Paola De Luca)

Sonetti della morte
Bernard Noel
(traduzione di Paola De Luca°

Destini incrociati alla marsiglliese
Bruno Leydet
(traduzione di Laura Toppan)
*
inauditi maestri

Maestri di Nunziatella
Raffaello Franchini

Maestro Ettore
Alessandro Ortis

La ciancia per la ciancia (seconda parte)
Pietro Andrisani

Francesco de Sanctis
Giuseppe Catenacci

Paolo Barbi e basta
Antonio Concina
*
cattivi maestri

La nuova Europa
Luis de Miranda
(traduzione di Francesca Spinelli)

La missione del maestro
*
ora diaria

Il Lume spento
Vittorugo Contino e Mario Bernardi

Quarantacinque
Tomas Frybert

Lo stesso e l’altro
Ghiannis Kiurtsakis
(traduzione di Massimo Cazzullo)
*
orali materie prime

I nostri maestri
Domenico Grifoni

Nostra Signora di Zante
Spiros Brachidis
(traduzione di Panayotis Kiriazanos e Luca Lucchi)

Stelle dell’orsa
Renata Prunas

Il residuo amaro dell’uomo
Lakis Proguidis
(traduzione di Francesco Forlani e Francesca Spinelli)
*
ralenti

Dialoghi
Bernardo Bertolucci e Olivier Maillart
(traduzione di Francesca Spinelli)
*
auto didatti
Ernesto Calzevara: in memoria di un maestro farfalla
Massimo Rizzante

Inverno
Ernesto Calzevara

L’autodidatta
Walter Nardon

Sui maestri
Silvia Bertolotti e Nico Naldini

Poesia
Nico Naldini
*
quarta

A sud di Calvino
Pietro Berengo Gardin

Un punto nel tempo
Béatrice Commengé
(traduzione di Felice Piemontese)

(immagine di Andrea Pedrazzini, “il monodattilo”)

3 COMMENTS

  1. Anch’io ho smesso di cercare un maestro alla morte di mio padre…forse perchè quello che lui era,le cose che amava e che mi aveva insegnato ad amare,( la costellazione di Orione, il fascino delle navi all’orizzonte, il richiamo irresistibile dell’aereo che passa sopra la testa, a sollevare lo sguardo): le cose che amava erano improvvisamente diventate tutte e soltanto mie. Non cerco maestri, oggi, ma mi piace imparare dai compagni di banco, alla pari…

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.