Mauro Curradi, scrittore d’Africa
di Roberto Saviano
Una complessa stratificazione di percezioni ed immagini: vicoli magrebini, cristalli d’ambasciate, aule d’università africane, liti politiche in interni borghesi, compongono il profilo di Mauro Curradi. Fuggo dalle contraddizioni di un presente che amo, fuggo da una generazione che vive lontano, troppo lontano da me. Fuggo da un Europa dissacrata dall’idiozia, dalla criminalità della morte. Questa confessione m’appare più d’ogni altra capace di mostrare la forma letteraria e biografica di Curradi, autore rarissimo che ha passeggiato per vie letterarie inesplorate dagli scrittori italiani.
Pisano, classe 1925, ha innestato, quasi come ultimo dandy, la sua esistenza sul tronco letterario, lasciando che si maturasse questa singolare pianta non già vita, non già scrittura. Tutta la sua opera è tinteggiata dalla fuga. Fuga dalla civiltà europea, dalla pacificazione della dialettica che vede nella sintesi il momento risolutore delle negazioni. La scrittura di Curradi si sottrae da questa morsa, esce dal gioco, rompe il cerchio della logica, persiste nella negazione e vuole rinnovarla. Nei suoi romanzi, soprattutto in quei capolavori che sono Via da me (L’Obliquo 2000), Cera e Oro (Meridiano zero 2002), Persona non grata (L’Obliquo 1997/MeridianoZero 2003), che vanno sotto la categoria di trilogia africana, v’è la traccia d’un esilio ma anche di un’iniziazione. Curradi fuoriesce dal continente europeo ormai sterile d’idee e di vita e si getta nella civiltà araba, africana, pronto a non trovare di meglio, a non trovare di peggio, ma a trovare altro. Come nuovo Paul Nizan, si getta in una vita che possa dargli il senso della totalità, sospingendolo lungo i perimetri ultimi del destino umano. Vuole bruciare sino in fondo quelle contraddizioni che nella crassa Europa avrebbe saggiato solo in punta di lingua. La scrittura gli diventa un ponte d’inchiostro per rendere vicenda ciò che in modo isolato sarebbe soltanto esperienza. Curradi, ha uno sguardo spesso antropologico facendo proprio, chissà se di proposito, il principio dell’etnocentrismo critico di Ernesto de Martino, ovvero pur consapevole dell’impossibilità di dismettere la propria cultura e le proprie determinazioni, tenta in ogni modo, in coerenza con le proprie contraddizioni, di descrivere la cultura altra, le molteplici differenze, le sterminate affinità. E’ questa una delle caratteristiche di Michele Serpegna protagonista di Cera e Oro ma presente anche in Persona non grata, orientato a nutrirsi delle più complesse situazioni, aperto ad una esperienza di vita che appare avventurosa ed inaspettata, ma che spesso diviene ovvia, necessaria, costretta. Michele dubitò che Karim fosse davvero il suo nome. Sempre meno col passare del tempo si fidava delle parole, facendo fede soltanto alle cose cui, per non cedere al sonno, poteva aggrapparsi con gli occhi. La prosa di Mauro Curradi possiede tutta la compostezza del suo cosmopolitismo, da ogni civiltà sembra aver raccolto una caratteristica peculiare che riesce come tassello d’un mosaico trasversale ad ogni arte, ad inserirlo nella sua esperienza. Il tratto della sua fuga è maturato attraverso un nomadismo per gli istituti di cultura italiana, ha insegnato infatti a Tel Aviv, Stoccolma, Addis Abeba, Nuova Dehli e Tunisi. Curradi è un profondo conoscitore della cultura araba, l’ha amata, vissuta, ha intuito l’occasione mancata dell’occidente, che emerge sempre nei suoi scritti ’africani’ come morale mai espressa; ovvero se non fossero stati colonizzati, violentati, irreggimentati i paesi arabi ma anche quelli africani (ed io aggiungerei l’estremo oriente ed il sudamerica) avrebbero continuato a dare contributi inestimabili alla civiltà umana. Ora invece sono costretti alle dipendenze di succedanee elemosine degli ex colonizzatori per tentare un’ipotesi di vita, per esprimere una stilla di capacità. E’ assai importante la lettura che fa del continente europeo, sterile e vecchio, in contrapposizione al continente africano, giovane, fertile, vitale. Quasi come se vedesse nella relazione con l’Africa, l’unica possibilità di salvezza per l’Europa. M’andrebbe di poter leggere i suoi romanzi anche in funzione di una nuova educazione sentimentale per una civiltà plurale, come una sorta di viatico d’apprendimento per vanificare le arabofobie degli ultimi tempi, generate dall’aberrazione del fondamentalismo religioso e dalle speculazioni economiche guerrafondaie. Ma questa è un’altra storia.
Il farla finita con i retaggi borghesi, i moralismi cattolici, avviene in Curradi anche grazie ad una catarsi presente nella prima parte della sua produzione – Città dentro le mura (Carucci 1957), Gli ermellini (Carucci 1954) Schiaccia il serpente (Mondadori 1964) – incentrata sul mondo borghese, che poi è il mondo biografico dell’autore. I drammi della guerra, le generazioni di giovani borghesi afflitte dal fascismo e dal dubbio della resistenza, una presenza dei primi romanzi di Curradi, nelle stanze private, nei salotti, nelle menti d’individui che, all’oggi possiamo dichiararlo, credevano errando d’esser gli esponenti dell’ultima decadente civiltà borghese. Ora Mauro Curradi è impegnato in un nuovo romanzo dal titolo Junior, dove ritornerà come aveva già fatto con Passato prossimo (L’Obliquo 1999/ MeridianoZero 2003), a focalizzare l’attenzione sulle scelte tra rivolta e velleità, delle generazioni degli anni ’40. Un sapore apparentemente neorealistico sembrano avere le pagine di Curradi, ma ciò forse è dato dall’affinità di alcuni suoi momenti letterari con il cinema. La scrittura cinematografica, appresa nei suoi brevi anni d’apprendistato come sceneggiatore (scrisse la presceneggiatura del film La donna del fiume), rende il piano di descrizione delle narrazioni simile allo sguardo d’una cinecamera: allargamenti, descrizioni di sfondo, restringimenti, primi piani. Ma oltre alla tecnica v’è una caratteristica tutta generata dalla devozione di Curradi al cinema di Roberto Rossellini. I personaggi non hanno mai una lettura interiore attraverso caleidoscopici interventi dell’autore, tutt’altro. Ogni personaggio è solo esterno, carne, testa, azione, ciò che è pensato e riflettuto, batte sui solchi del viso, rimbalza sui particolari, risalta nei discorsi. Insomma come in Rossellini, le figure curradiane al contrario della cultura ortodossamente neorealista, esistono nella misura in cui sono guardate, nel momento in cui esprimono. In breve un certo neorealismo faceva d’un emozione una figura:. il dolore esprimeva un contadino piagato dal lavoro, la felicità esprimeva una donna effervescente. Rossellini e Curradi interrompono questa relazione lasciando alla realtà del personaggio, e solo ad essa, l’espressione di quanto sia possibile tematizzare. In questo modo non si ha una morale data, non si dispone di una realtà a cui restare fedeli, non si possiede una caratteristica guida. Si è. Contraddizione, senso, dolore, felicità, vita. Le donne nei romanzi di Curradi esprimono meglio questa vorticosa celebrazione dell’esistenza; la sanguigna Giulia protagonista di Passato Prossimo e la fragile Eloise di Cera e oro, sono incendiate dalle loro passioni vitali ma non sembrano mai darsi completamente a ciò che scelgono. V’è sempre uno scarto, un insuperabile limite che permette loro di mutare, indietreggiare, trovare nuovi percorsi. Come Andrè Gide, Curradi appare figlio di un’ultima razionalità europea, certa della propria fine e fortemente motivata ad andare a raccogliere il proprio termine, o la propria nuova energia, altrove. Spirito delle leggi, lotta di classe, etiche categoriche, poggiano le loro fondamenta su bastioni d’argilla che meritano d’esser scavati, almeno prima dell’implosione. Ecco quindi che la fuga in mondi altri è una ricerca di sentieri per l’eventuale traccia di verità che nella superficie castrante dei pensieri non potrebbe essere raccolta. La scrittura curradiana è stata protetta in questi anni, come un tesoro dall’oblio fagocitante in cui l’editoria italiana lo stava spingendo. Il pittore e raffinato editore Giorgio Bertelli ha custodito gli scritti pubblicandoli per la sua casa editrice L’Obliquo, ora il loro peso specifico è tra le mani di MeridianoZero.
Un uomo ed uno scrittore, Mauro Curradi, una vita ed una letteratura che hanno succhiato l’esistenza, che non assapora di biblioteca, che non appesta l’aria d’infetta attività ipercognitiva. Tutte le donne descritte, tutti i visi amati, tutti i corpi maschili pennellati, gli orizzonti, le sabbie, il sangue, la fame eterna, tutto sembra essere teso in un meraviglioso connubio carnale con lo scrittore, e la prosa è il loro talamo. Curradi autore solitario, è riuscito per un attimo, un attimo lungo una biografia umana, a salvare la propria parola letteraria dall’universo concentrazionario fatto d’intelletto ed iridi di lettura, concedendo nuove reti di sensazione, aprendo golfi di senso ed immagini che allontanano dai piani quotidiani o banalmente esotici. La scrittura curradiana allontana il lettore dal noto, spingendolo lontano, via da sé, la dove la vita è vita.
Foto Mauro Curradi
Pubblicato su PULP Gennaio 2003
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gustoso Roberto…e grazie per aver sottolineato “….anche in funzione di una nuova educazione sentimentale per una civiltà plurale, come una sorta di viatico d’apprendimento per vanificare le arabofobie…..”
bacio, Giada.
acciderbola, Robbe’, ne sai sempre una più del diavolo!
;-) G.
Eh, il nostro Rob è un gran cacciatore di “atipici”! Gustaw Herling, Uwe Johnson, e adesso Curradi. Spero che metta in rete anche l’intervista, a Curradi, che è uscita per Pulp Libri qualche mese fa.
Eh si caro Franz, sono un almanaccatore di atipici, di misconosciuti, di scavatori occulti. Metterò anche l’intervista,
Giada, sono felice che tu sia rimasta positivamente colpita dalla qualità del messaggio della letteratura di Curradi che ho voluto in quelle parole sintetizzare. Curradi è davvero un educatore sentimentale…
Gianni! Forse avrò stretto un patto con il principe degli angeli ribelli? Speriamo!!!
Grazie a tutti.