i poeti appartati: Eugenio Tinto
Lamento ventre cuore caldo viscere
Madre silente battito di ciglia
Sospiro riposo ed eterno migrare
Occhi mani una corona di firmamento
L’uomo a volte ti vive
I rami stentano alla gravità.
La tua prima casa
Sabbione, calce, mattonelle e mattoni,
Malta e tanto sudore.
Le sue fondamenta sono studiate,
ingegno, maestranze e prevaricazione.
La tiro su con lena e speranza che non cada
La solitudine degli altri
Il tempo dell’attesa
Il mio paese muore
Nel silenzio dei suoi
Suoni, nel caldo tiepido
Della sua indifferenza.
Sa che un altro domani
Ci sarà.
L’illusione dell’eterno
Ormai è un’ombra
Gettata alle spalle
E il domani speranzoso
È in questi rami smossi.
Ritorna il silenzio.
Il treno in lontananza,
L’incombenza di Aversa
E nessuna ombra da domandare.
Succivo Sguardi Quotidiani
Viviamo separati,
Il nostro occhio
Ci scruta, ci divide
La nostra lingua
Tace un infinito
Che né io né tu
Apriremo mai.
È il mese dei fuochi
O quello delle preghiere,
Non bastano dodici mesi
A scandire il tempo dell’abbandono.
Sulla testa già ci siamo
Sul corpo noi balliamo,
alla fiera dell’usato ci sono
I nostri cenci,
Li abbiamo visti consumarsi
Di pioggia, di vento, di silenzio.
Un velo ricopre di polvere
I ricordi in queste
teste sempre piene:
è giunto il tempo di lasciare fermi i sassi.
Splendido…
Interessante, questo autore. Ci ricorda che la poesia è fatta d’una delicatezza che taglia, che punge ma senza offendere. Mi piacerebbe discutere direttamente con Lui di alcune scelte formali. Anche il mio io mi considera un “poeta appartato” o, meglio, un “non-poeta illimitato”.
belle davvero.
Eugenio è un amico splendente di poesia
Eugenio è un amico splendente di poesia, anche quando i suoi versi segnalano dolore…
Bella e felice sorpresa. L’ultima mi è particolarmente cara ed è la mia più apprezzata tra quelle qui proposte.