Velleitarismo

1996.jpg
di Andrea Inglese

(Per un glossario del tempo di guerra)

Il dizionario dice: caratteristica di chi o di ciò che è velleitario. Velleitario: che ha carattere di velleità. Velleità: “desiderio, intento ambizioso ma irrealizzabile per l’inadeguatezza delle capacità di chi vuole” (Palazzi Folena).
Si accusano i pacifisti ad oltranza di essere velleitari. Se i pacifisti ad oltranza sono quelli che richiedono un ritiro delle truppe statunitensi ed europee che occupano l’Iraq, bisognerebbe esplicitare quale sia il loro “il desiderio irrealizzabile”.

Non sono certo un portavoce ufficiale del movimento, ma parlo a nome mio, del mio essere contrario alla presenza italiana in Iraq. Di certo non credo che nessuno, in questo movimento, sostenga che, ritirando le truppe USA dall’Iraq: 1) il terrorismo islamico venga sconfitto o decida di dedicarsi alla lotta non violenta; 2) la democrazia s’imponga nel paese, escludendo sviluppi politici autoritari o teocratici. L’obiettivo realistico di chi è contro la guerra e l’occupazione è la riduzione dei morti ammazzati. Questa riduzione non sarà, almeno da subito, drastica. Le lotte tra fazioni politiche e gruppi armati potrebbero continuare per un certo tempo. Ma di sicuro, e fin da subito, ci saranno meno morti tra i civili, ovvero meno morti innocenti. E qui vorrei far riflettere un attimo i molti sostenitori dei diritti umani, di destra e sinistra. Vorrei dire ad essi una cosa soltanto: più importante del rispetto dei diritti umani, c’è il rispetto della vita. Ammazzare un solo essere umano di meno è più importante del rispetto di qualsiasi diritto umano. L’epigrafe dell’ultimo libro del poeta Giancarlo Majorino dice: la vita di ciascuno quale base di tutto. Siamo capaci di pensarla seriamente una frase come questa?

Nessuno può dunque venirci a dire: le vostre soluzioni per sconfiggere il terrorismo sono irrealizzabili. Non credo, infatti, che le persone che si oppongono a questa guerra abbiano delle soluzioni per sconfiggere il terrorismo (quella famosa ricetta che sradica il male dal mondo). Noi partiamo sempre da un punto. Perché dovremmo voler sconfiggere il terrorismo islamico? Perché, come l’attentato alle Twin Towers ci ha mostrato, esso ammazza le persone in modo indiscriminato per fini politici. Alla base di tutto, vi è sempre la volontà di contrastare l’eventualità che delle persone vengano ammazzate, soprattutto se disarmate, ignare, innocenti. È quindi chiaro che chi combatte contro le morti indiscriminate provocate dall’esercito statunitense e dai suoi molteplici avversari, all’interno dell’Iraq, sta combattendo già contro il terrorismo.
Questo ragionamento ha ovviamente senso, se quella “vita di ciascuno alla base di tutto”, rimane base anche se è vita di un iracheno, di un tipo dalla pelle scura, che magari parla arabo, che magari è mal vestito, che magari è molto povero. Se il bianco ammazzato vale più del negro ammazzato o del mediorientale ammazzato, allora il terrorismo è il giusto destino per tutti noi, bianchi e negri. Allora non esiste nessuna ragione davvero buona per sconfiggerlo.

Se l’obiettivo di questa guerra era la risposta militare contro l’organizzazione terroristica che ha pianificato la distruzione delle Twin Towers, allora gli USA e i loro alleati si sono dimostrati molto velleitari. È difficile sconfiggere un nemico, facendogli la guerra laddove non c’è. Se gli USA avessero voluto essere meno velleitari, avrebbero dovuto agire più massicciamente in Afghanistan e, in seguito, avrebbero dovuto invadere l’Arabia Saudita. Non dico che ciò avrebbe reso più realizzabile il loro obiettivo (sconfitta di Al-Qaida). Ma almeno andavano a cercare Bin Laden nel suo paese d’origine, là dove sono stati reclutati gli attentatori dell’11 settembre e là dove si trovano i soldi che finanziano l’internazionale terroristica. Inoltre, avrebbero portato la democrazia in un paese che non la conosce. (Certo, una guerra in Arabia Saudita avrebbe scatenato un inferno in tutto il Medio Oriente e non solo, e quindi riaffermato il velleitarismo della Casa Bianca.)

Ciò che invece gli strateghi di Washington hanno ottenuto, occupando l’Iraq, è l’allargamento del fronte terroristico e la creazione di inedite alleanze, in chiave antioccidentale, tra forze politiche in precedenza separate, come nel caso della progressiva inclusione dei nazionalisti iracheni nei ranghi di combattenti per la repubblica islamica. La violenza si è così moltiplicata, e allo stesso modo sono aumentate le morti indiscriminate, sia da parte statunitense (con i bombardamenti aerei nei quartieri), sia da parte del multiforme fronte contro l’occupazione, che prosegue gli attentati sanguinari. Una parola a parte bisognerebbe spendere per quelle bande che, pur praticando la violenza indiscriminata (rapimenti e sgozzamenti di soldati e civili), paiono ignorare del tutto le ragioni politiche, e probabilmente si muovono spinti solo da intenti criminali e di arricchimento personale.

Di conseguenza i veri velleitari sono coloro che pretendono di sconfiggere il terrorismo di Al-Qaida, occupando militarmente l’Iraq. Ma se risulta chiaro che il terrorismo islamico avrà ora più legittimazione ideologica per le sue campagne di reclutamento tra le popolazioni di religione mussulmana, il velleitarismo dei sostenitori della guerra tocca anche altri aspetti. Essi hanno non hanno solo provocato un’accresciuta risposta militare da parte dei terroristi e un accresciuto odio nei confronti degli Stati Uniti e dell’Occidente in generale. La loro idea di portare la pace in Iraq con i carri armati ha fallito. Qui è un caso di velleitarismo propriamente italiano. Portare la pace è infatti “un intento ambizioso ma irrealizzabile per l’inadeguatezza delle capacità di chi vuole”. Simile cosa, si può dire per democrazia. Buttata giù la statua del tiranno, l’aprile iracheno del 2003 prometteva, sempre secondo i fautori della guerra, un futuro di democrazia. Nulla di fatto, la democrazia in Iraq si è rivelato un “intento ambizioso ma irrealizzabile per l’inadeguatezza delle capacità di chi vuole”.
Ma un giorno, dopo che ventimila o trentamila morti innocenti saranno stati spartiti, tra occupanti e occupati (in genere nella proporzione di 1 a 10, per i più forti), anche questa guerra finirà, come è accaduto per tutte altre. E non ci si ricorderà più con chiarezza qual era il motivo di essa (la riduzione delle morti innocenti).

In uno dei più straordinari e misconosciuti libri del Novecento, L’eminenza grigia. Biografia di padre Giuseppe, segretario del Cardinale Richelieu di Aldous Huxley, si trova, tra le altre cose, una lunga riflessione sulla storia e sul ceto politico che, in epoche diverse, pretende di dirigerla. Le conclusioni di Huxley sono queste: “In fatto di politica si può fare una sola generalizzazione del tutto indiscutibile: e cioè che è assolutamente impossibile per gli uomini di Stato prevedere, oltre limiti di tempo assai brevi, i risultati di qualsiasi azione d’ampia portata. È ben vero che molti di loro giustificano le loro azioni asserendo a se stessi e agli altri di essere in grado di vedere molto lontano; ma rimane il fatto che essi non sono in grado di farlo.”

“Sebbene sia impossibile prevedere le più remote conseguenze di una determinata azione, non è affatto impossibile prevedere, alla luce dell’esperienza storica, quale genere di conseguenze di una determinata azione, non è affatto impossibile prevedere, alla luce dell’esperienza storica, quale genere di conseguenze farà presumibilmente seguito, in senso generale, a un determinato genere di azioni. Così, tenendo presente la documentazione dell’esperienza passata, sembra abbastanza chiaro che le conseguenze di una linea politica che richiede cose come guerre su larga scala, rivoluzioni violente, tirannia e persecuzioni senza freno, sono verosimilmente cattive. Di conseguenza, qualsiasi politico s’imbarchi in tale condotta non può invocare a sua scusa l’ignoranza.”

(Il libro di Huxley è del 1941, e la sua traduzione italiana del 1946.)

(scultura di Louise Bourgeois, 1996)

23 COMMENTS

  1. Ero profondamente contrario alla guerra in Iraq (per le sue motivazioni e la sua metodologia), lo sono tutt’ora.
    Ma in una situazione di guerra civile il ritiro delle truppe è una soluzione anch’essa azzardata soprattutto se “alla base di tutto, vi è sempre la volontà di contrastare l’eventualità che delle persone vengano ammazzate, soprattutto se disarmate, ignare, innocenti.” Gli americani & Co. hanno fatto un macello laggiù, non ci piove. Ma andar via domani, fra una settimana, fra un mese non causerebbe nuovi squilibri e ciò che temo nuove morti indiscriminate?
    L’impossibilità alla lungimiranza non deve farci diventare ciechi…

  2. Il problema è che in Iraq ci sono gli americani e c’è ancora la guerra. La guerra non è mai finita. Cinque mesi fa ho letto che sono morti fra i 9000 e gli 11000 civili (Adesso saranno di più. Di questi 3000 sarebbero stati uccisi dai ‘terroristi’, gli altri indovinate un po’ da chi….). Siamo sicuri che, senza l’apporto u.s.a., la situazione potrebbe peggiorare, rispetto a come è già?
    In Italia Fini dichiara che i pacifisti sono quelli che se ne fregano delle sorti della popolazione, dimenticando che gente come Simona Torretta e l’altra Simona appartengono a organizzazioni pacifiste che operano in Iraq dai tempi dell’embargo o giù di lì. Dov’erano i ‘loro ragazzi’ all’epoca di Cocciolone?
    Ora, se ci fosse la reale volontà di un ritiro degli americani certo non potrebbe avvenire in una settimana ma nel giro di sei-dodici mesi si. Nel frattempo, una volta fuori gli americani, si dovrebbe costituire (via Onu) un contingente internazionale, composto da paesi che alla guerra non hanno partecipato. Lo so, questa è fantapolitica. E non ho risposte, salvo rifugiarmi negli inganni del linguaggio e ribadire che preferisco essere un velleitario piuttosto che aderire alla logica della necessità. Si proprio lei, quella che Milton definiva come la logica del tiranno. Un saluto sconsolato.

  3. Scrive Marco Mantello: “Ora, se ci fosse la reale volontà di un ritiro degli americani certo non potrebbe avvenire in una settimana ma nel giro di sei-dodici mesi si. Nel frattempo, una volta fuori gli americani, si dovrebbe costituire (via Onu) un contingente internazionale, composto da paesi che alla guerra non hanno partecipato. Lo so, questa è fantapolitica.”
    Perché mai fantapolitica? Realisticamente, è qualcosa che si potrebbe fare. Ovviamente Bush, realisticamente, non lo farebbe mai. Kerry potrebbe almeno pensarci. Ma non si tratta di soluzioni assurde o irresponsabili. Ovviamente, deve esserci almeno un cambio di dirigenza politica. E una pressione fortissima della popolazione statunitense. Qualcosa di simile a quanto successo in Spagna. (Nessuna fantapolitica, ma certo ardua politica.)
    Quanto a vins, l’unica obiezione forte all’idea del ritiro, è la questione dei Kurdi. Non ne so davvero abbastanza. Ma temo che il vero problema di un ritiro USA sia connesso al destino delle popolazioni dei kurdi iracheni, che si sono troppo esposti a fianco dell’occupante. Anche qui pero’ soluzioni alternative si possono trovre, anche se non magiche e indolori.

  4. La mia modesta percezione della faccenda, oramai complicata in modo tale da rendere, mi perdoni Inglese, quasi velleitarie le analisi (unica speranza: che i moderati dell’una e dell’altra parte prevalgano sui falchi, fermo restando che da italiani una parte ce l’abbiamo, pacifisti o meno), è che il ritiro delle forze occidentali non solo metterebbe l’Iraq nella brace di una guerra civile a sfondo religioso, ma che l’eventuale e probabile vittoria della parte più estrema sarebbe pericolosissima per noi occidente, una sconfitta non solo di idee ma anche pratica, con “terrorismo” legittimato e all’ordine del giorno qui da noi, nonché incrudimento delle relazioni tra occidente e islam moderato. La mia modesta opinione è che prima del ritiro vadano neutralizzati sul posto gli estremi degli estremi, cioè i tagliatori di teste e i loro padri, prima che la simpatica abitudine assuma possibilità anche da noi.

  5. certo è contro questa (vigente) “modesta percezione” che io ed altri combattiamo. Come? Con discorsi, nel mio caso, il più possibile pubblici. Che efficacia hanno? Non lo so. Credo pochissima. Ma il silenzio non sarebbe più efficace. Questi discorsi hanno il senso del controcanto, dello spezzare la monotona litania che i responsabili politici, i giornalisti, gli esperti ripetono da ogni podio, schermo, megafono. Litania che poi diventa, nelle nostre teste, una “modesta percezione”, quasi che fosse nata nel nostro foro interiore.

  6. “Le lotte tra fazioni politiche e gruppi armati potrebbero continuare per un certo tempo. Ma di sicuro, e fin da subito, ci saranno meno morti tra i civili, ovvero meno morti innocenti”.

    Potrebbero? cioè, sarebbe una remota eventualità?

    Di sicuro meno morti fra i civili?
    Donde deriva tanta sicurezza? Le forze fondamentaliste si scatenerebbero contro autorità civili e gendarmeria, il sangue scorrerebbe a fiumi impedendo per sempre le elezioni. Nella migliore delle ipotesi (e siamo già nell’utopistico) gli sciiti imporrebbero un regime islamico di tipo iraniano (ma dopo quanti morti?).

    I più fieri oppositori della guerra, il Papa e Bertinotti, chiedono che le forze armate restino in Iraq ma Andrea, fedele alla linea, si inventa un autarchico eden iracheno. Velleitario? Gentile eufemismo.

  7. Ovviamente spero che Andrea Inglese abbia ragione e che il ritiro degli americani non sia fantapolitica (Io sono pessimista su Kerry, non solo perchè rischia di non essere eletto, ma anche perchè sul ritiro dall’Iraq non mi sembra sia stato molto chiaro).
    Ricordo a Elio Paolini che l’Iraq è già un bagno di sangue (ripeto: fra i 9000 e gli 11000 civili uccisi, in base a dati di quattro mesi fa). Trovo velleitario ritenere di per sè dimostrato che con un graduale ritiro degli americani, a cui subentri un contingente onu formato da paesi che non hanno partecipato alla guerra, la situazione peggiorerebbe. Il problema è che non c’è la volontà di fare una cosa del genere, anche perchè una miriade di petrolieri texani e di imprese edili americane stanno investendo miliardi in questo nuovo fantastico mercato creato da Bush. Nessuno, credo, vuole abbandonare l’Iraq a sè stesso. Il problema di cui si discute è la permanenza in questo paese di un esercito invasore, i cui raid producono una sessantina di morti ogni tre giorni.

  8. Sottoscrivo parola per parola quanto scritto da Mantello. Con un’aggiunta: finché resteremo colonia degli Stati Uniti, non ci sarà possibilità di creare quella volontà politica alterntiva di cui Mantello parlava. Che porterebbe a un’azione fattibile, altro che fantapolitica. Un tentativo – ancorchè cinico, tutto sommato – Francia e Repubblica Federale l’hanno fatto. Sono entrambi paesi molto interessati al “business Iraq”, ma si sono guardati bene da portare le loro truppe laggiù. Sulla forza contrattuale dell’ONU abbiamo già avuto “ottimi” riscontri, purtroppo.

  9. Colonia, Franz?
    Le colonie sappiamo bene cosa sono. Lo sanno bene i francesi (UN MILIONE di morti in Algeria con l’assenso dei partiti di sinistra).
    Certo che molti iracheni vedono gli americani come colonizzatori. Grazie anche alla disinformazione europeista che si aggiunge alla disinformazione dei dittatori prima e di Al Jazeera poi.
    Ma i fondamentalisti non possonoi tollerare che un occidentale appaia come “solidale”. Le Simone non sonop state rapite NONOSTANTE fossero buone ma PERCHE’ lo erano.
    I terroristi prendono in ostaggio i civili, si nascondono in ospedali e moschee perchè vogliono le vittime civili.
    I dati di Mantello non so da dove vengano. CIVILI, per Al Jazeera e i fiancheggiatori d’ogni paese, sono tutti quelli che non hanno una divisa.

    L’ONU è già scappata a gambe levate. Lì si vuole che gli americani restino soli e solo in divisa: sarà più facile far bere alla gente che sono colonizzatori.

    Anch’io non vedo l’ora che qualcuno rilevi gli americani, che non vedono l’ora (non hanno neanche i soldi per manterceli i soldati, altro che affari).

  10. Per Paolini: i dati di Mantello provengono dalla rivista ‘Internazionale’. Trovo scurrile affermare che ‘civili per Al Jazeera sono tutti quelli che non hanno una divisa’. Che vuol dire? Che i civili irakeni sono tutti terroristi? E’ come se io dicessi che ‘militari americani sono tutti quelli che sparano addosso ai feriti per finirli e se la ridono’ (come si evince da certe immagini televisive). Paolini si informi inoltre sugli interessi economci americani in Iraq e su quelli della famiglia Bush in Medio Oriente.

  11. Elione, guarda che parlavo dell’Europa, non dell’Algeria. Non fare confusione, dai… Siamo una colonia degli Stati Uniti. Non solo nel male, voglio dire. Però politicamente non siamo nulla. I Francesi e i Tedeschi sono stati più furbi. I Francesi si ricordano l’Algeria meglio di quanto te la ricordi tu, e i Tedeschi devono ancora finire di pagare le rate della Riunificazione. Per il resto ha già detto Mantello. Possibile che non ti è chiaro che gli Americani pensano sempre e solo agli affari? Eppure non è difficile. Ci pensano più di noi, addirittura.

  12. Intendevo dire, ovviamente, che i terroristi, non indossando una divisa, possono essere scambiati (magari benevolmente) per civili. Vedo, Mantillo, che oltre che su Internazionale, ci documentiamo sui blob di Moore.
    Colonia, Franz, è un posto dove ci sono i coloni. Dopo che hanno smantellato la base NATO dalle nostre parti, ho dimenticato pure come sono fatti gli americani. Ogni tanto vedo i loro hamburger in quei porcili illuminati e provo pena per loro. Poi mi dico che se questa è l’alimentazione giusta per garantire la libertà continuino pure a mangiare Mac Donald, anzi un Big Mac me lo faccio pure io (purché mi permettano di vomitare subito dopo).
    Bada, Franz, che accetto tranquillamente altri termini, da protettorato a impero. Ma è più di un secolo che gli americani hanno smesso di colonizzare. Anche perché l’istinto basilare dell’America profonda è l’isolazionismo.

  13. Elio, a Colonia ci sono i Coloniesi. Die Koelner… Ottima birra scura, tra parentesi!
    Hai capito benissimo cosa volevo dire. Facciamo la guerra dei glossari?…:-) Comunque è pieno di colonizzati americani. I coloni sono pochi, è vero, vengono 1 volta l’anno in torpedone ed esclamano: “Moulto pittoresquo!…” Hai ragione. Forte che tu chiami Mantello Mantillo e lui te Paolini!
    Quando vieni a Milano birra e Mac tutt’insieme, te lo prometto!

  14. Boh, dubito che Inglese abbia esperienza di racconti di guerra vera, del tipo: fino ad un giorno prima tutto ok, poi nemici, e dopo faticosamente cercare di ricostruire un filo perché la guerra è finita ma molto è accaduto. Ecco, cresce la consapevolezza di essere -come Italia- nel secondo stadio, da qui la “modesta percezione”, ossia l’impressione di essere già dentro (versus la parte più estrema degli integralisti islamici… anche se c’è da capire quanto strumentale sia l’islam) e che i discorsi servano a poco (con la parte più estrema di quegli islamici). Inglese & altri che combattono, chi combattono? Il demonio imperialista americano? Vadano a farsi una passeggiata in Iraq, con i loro discorsi: i moderati concorderanno (tutti i moderati vogliono infine concordare), gli estremisti in questione ce li sequestreranno e presenteranno in video vestiti di rosso e pronti allo sgozzo.

    Mi meraviglia in molti intellettuali questa cecità rispetto agli eventi, cecità più grave perché dimentica della nostra memoria storica, dato che situazioni analoghe succedevano da noi cinquant’anni fa. Eppure sono racconti che appena una generazione fa ogni ragazzo-uomo sentiva farsi in famiglia (o in sezione). Inglese non li ha sentiti, o a lui hanno raccontato solo favolette? Avrà ragione Paoloni, con l’autarchico eden iracheno, mi sa, purtroppo per noi che ci contentiamo delle “modeste percezioni” e della memoria. Secondo me non se ne viene fuori se non si stabilisce sul campo chi vince, gli USA o l’estremismo estremo islamico; questo è il punto. Il che non significa negare che gli USA siano un fondamentalismo non meno scriteriato, solo ammettere che come Italia siamo già una parte, mentre l’eventuale uscirne o tenersene fuori (come Francia e Germania) passa per canali più pratici, del tipo: candidarsi, prendere sufficienti voti, governare e indirizzare diversamente la barra politica. Caro Inglese, non combatta per me, la prego, a me stesso ci so badare meglio di quanto lei sappia badare a sé. Stia bene.

  15. “la vita di ciascuno quale base di tutto”… questa frase, purtroppo, non siamo capaci di pensarla veramente, di incorporarla.

    Condivido il punto di vista di a.i.

    … Ma, ahimè, ci sono morti che non contano. Sulle pagine dei nostri quotidiani campeggiano facce bendate con uomini incappucciati sullo sfondo. Per ogni ostaggio, il conto alla rovescia, le paginone dei giornali, la notizia finale dell’esecuzione per farci sentire, momento dopo momento, l’orrore della morte che arriva, barbara, dall’altra parte della barricata… I sepolti sotto le macerie invece non sono niente, non sono mai stati niente, l’orrore della loro morte nel mucchio non ci arriva, non ci viene fatto percepire. Perché non puntare i riflettori sulle storie delle famiglie devastate dai bombardamenti, perché non si intervistano gli amici, i parenti dei morti iracheni, perché non si pubblicano le loro foto in prima pagina, non si ricostruiscono le loro storie private, non viene fatto filtrare, goccia a goccia, tutto l’orrore di quelle morti?

  16. Quando ci furono i pestaggi delle “forze dell’ordine” a Genova per il G8, le immagini arrivarono in tv solo tre giorni dopo: pochi minuti di immagini in qualche tg. Il direttore dell’Unità scrisse che nessun governo sarebbe sopravvissuto a filmati come quelli in dosi massiccie. Se potessimo vedere ogni giorno decine o centinaia di morti irakeni, qualcosa nell’opinione pubblica cambierebbe. Qualcuno in un blog ha scritto che dovremmo “rallegrarci” per la cacciata di Saddam. Si potrebbe sostenere quel pensiero dopo aver visto in faccia i credo 13.000 morti della guerra in Iraq?
    E se vedessimo tutti i morti per l’embargo, 1.500.000 di persone? Se potessimo vedere su uno schermo la singola persona che muore perché non esistono medicinali nell’ospedale, come ci sentiremmo? Come dei tagliatori di teste?

  17. Qualcuno di voi ha mai sentito parlare di bombardamenti VERI? La parola Dresda non fa squillare nessun campanello? Non avete parenti a cui chiedere dei bombardamenti sui quartieri romani e su tante altre città? Nonostante i lutti spaventosi, quelli delle bombe li abbiamo poi abbracciati e coperti di fiori perché – anche grazie a quei bombardamenti – ci hanno liberati e regalato latte e democrazia. Dato che vi piace far la conta dei morti fate la partita doppia con quelli delle guerre vere, quando non ci si sforzava molto a cercare – e magari a trovare – bombe intelligenti. Tanto per rimanere nella contabilità. Se poi volessimo uscirne, invece, e parlare di etica o di diritto internazionale, quale criterio vi permette di mettere sullo stesso piano macellazione deliberata e danno collaterale? Quel danno collaterale che costituisce un tale incubo per le forze occidentali da renderle quasi sempre impotenti ed esposte?

    PS: d’accordissimo sull’embargo. Ritengo infame l’embargo, sempre, in qualsiasi circostanza. Notare, però, che è l’arma usata dall’ineffabile, pacifica, invocatissima ONU, sempre così delicata e incruenta.

  18. Elio, sono gli Irakeni a pensare che la coalizione sia lì per umiliarli, e la coalizione fa di tutto perché sia così. Ma secondo te le torture sistematiche nelle stesse prigioni dove torturava Saddam quanta forza hanno dato ai tagliatori di teste? Gli elicotteri che sparano contro la folla? I bombardamenti folli? I militari che vanno a scoparsi i bambini a Baghdad? Muoversi avendo in mente petrolio e affari secondo te porta a strategie efficaci per portare la democrazia? Là c’è il caos, l’hanno fatto gli americani e i loro amici, e prima hanno fatto i terroristi. Io a questi darei calci in culo altro che fiori.

    Su macellazione e – come lo chiami – tu “danno collaterale” basta che apri il codice penale del tuo paese, scoprirai che dolo e dolo eventuale sono la stessa cosa (ovvero: tizio brucia la casa di caio senza la volontà di ucciderlo ma sapendo che è dentro, la volontà è comunque quella di uccidere).

    L’ONU fa schifo? Certo, ma è l’unica speranza.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.