Post in translation: Jiří Karásek ze Lvovic
Note di traduzione
di Růžena Hálová
Il Romanzo di Manfred Macmillen, pubblicato a Praga nel 1907, è la prima parte della trilogia Romanzi di tre maghi di Jiří Karásek ze Lvovic. Appartiene al mondo della letteratura fantastica fin de siècle. Alla sua uscita, rappresentò un anacronismo, un tentativo di ridare nuova vita al romanzo gotico nella modernità di inizio Novecento. A proposito del racconto fantastico dell’Ottocento Italo Calvino, nell’Introduzione ai Racconti fantastici dell’Ottocento (1983), scrive che il soprannaturale appare al lettore di oggi “carico di senso, come l’insorgere dell’inconscio, del represso, del dimenticato, dell’allontanato dalla nostra attenzione razionale (…) Ci dice più cose sull’interiorità dell’individuo e sulla simbologia collettiva”. Nel romanzo di Jiří Karásek tutto questo è già nelle intenzioni dell’autore. Il tema principale di questo libro è il rapporto tra la realtà del mondo che abitiamo e la realtà del mondo del pensiero che abita in noi, l’oscillazione di livelli di realtà inconciliabili.
Subito, dalle prime pagine, si alza lo spettro di una Praga misteriosa, il suo fantasma pallido si fa avanti dalle lontananze scure e fatali avvolto negli onirici veli dell’irrealtà. Una città del passato, dei sogni e del mistero è percepita come un’entità che domina chiunque vi posi il piede, che incanta con la sua bellezza fatale e con il mistero della morte Praga raffigura uno spazio destinato alla ricerca dell’identità messa in dubbio o persa da uno dei protagonisti, il conte Manfred Macmillen. Da lui stesso è paragonata ad un monastero: “Quando era triste, quando voleva stare da solo, diceva di ritirarsi nel ‘monastero’, e partiva, non rivelandolo a nessuno, per Praga”.
Il conte Manfred Macmillen, dandy dal carattere ambiguo e dalla nazionalità indefinita, è un personaggio caratterizzato da una non ostentata eleganza e da una sottile ironia. Compone il proprio mondo di ambienti selezionati come se fossero delle quinte, in un’atmosfera che è in armonia con la sua vita, e a tal fine sceglie anche le persone di cui si circonda. Frequenta luoghi antichi, misteriosi e solitari; fuori da questi spazi si maschera con la noia e l’indifferenza.
Dietro le apparenze nasconde nella sua anima la passione di una vita movimentata quanto solitaria, il cui ritratto Manfred svela dinanzi al suo amico Francis, invitandolo a unirsi a lui, a entrare nel suo mondo. Un mondo che, attraverso lo sguardo di Francis, aprirà al lettore-spettatore uno spazio in cui si fondono la cornice del mondo reale e il molteplice ritratto del mondo interiore, rendendo la veridicità e la finzione delle sue immagini ancora più incerte. La maschera dandy di Manfred, o meglio il dubbio di Francis se essa sia una parte, e quanto consapevolmente giocata da Manfred, o se essa faccia parte della vita stessa di Manfred, trasforma il suo racconto in una finzione continua a cui allude anche il nome dell’opera stessa. Il tormento di Manfred per un suo misterioso doppio, un diario che si rivela identico al testo di un’opera teatrale, l’ossessione per la figura di Cagliostro in cui Manfred coglie la menzogna elevata a elemento fondamentale dello stile e la trasformazione degli altri in elemento adatto alla creazione di una propria realtà: tutto questo sviluppa simultaneamente con la narrazione esoterica la linea del gioco di vivere proprio del dandy.
Una fusione di finzione e vita reale il cui abisso è svelato da un finale aperto e incerto, quando dalla materia stessa della vita prende forma un’opera d’arte tutta incentrata sulla finzione. L’essenza di questo romanzo potrebbe essere racchiusa nell’ultima frase, dalla venatura autoironica, dell’introduzione del romanzo scritta dallo stesso Jiří Karásek : “Un buono stilista, se s’ingegna, raggiunge sempre l’incomprensibilità desiderata”.