Io sola sempre in cella colla mia tristezza…
di Giorgio Vasta
Pubblico a seguire la trascrizione di una lettera di implorazione di una donna sordomuta, tre volte recidiva per furto, vissuta presumibilmente nella Torino del secondo Ottocento. Questa lettera, insieme ad altri materiali analoghi, è contenuta nel volume Palimsesti del carcere. Storie, messaggi, iscrizioni, graffiti dei detenuti delle carceri alla fine dell’Ottocento, di Cesare Lombroso (Ponte alle Grazie, 1996). Si tratta di una lettera secondo me straordinaria, una sequenza di parole nella quale la sintassi non è altro che una eco sempre più sfumata, un miraggio, un presentimento, un incubo, un abbaglio, un fil di ferro annodato in grumi e poi riallungato in filamenti di lingua. Principalmente, è un testo che usa le parole come se fossero utensili. Il sottinteso è: il cucchiaio serve a mangiare la minestra, il martello e i chiodi a fare dei buchi nel muro, e le parole a parlare, semplicemente a parlare, a dire, a implorare di andare via, al limite di andare in “altra carcere”, che è pur sempre un andare.
Cercherò nel tempo di pubblicare altre zone di linguaggio analoghe, zone che mi sembrano esserci definitivamente precluse.
Sig. Procuratore del Re,
Io sono debole perché sempre piangere per mia passione sordomuta, e anche grande miserabile carcere. Non posso parlare qualche donne proibito, epperciò io sola sempre in cella per amara. Io ho ricevuto il suo biglietto, ho rubato alcuni abiti ed oggetti per un valore lire cento e lire 25; ma io aveva restituito tutti gli abiti alla sartoria Ditta Levi. Basta, non so altri abiti. Martedì sono due mesi in carcere, 15 gennaio. Il mio marito non può portarmi il cibo, perché il mio marito è povero; pagare due balie. Io pazienza molto e mangio il pane puro e la minestra. Ho male alla testa, che alcuni mesi io caderò. Io confido Lei ha la pietà di me, chiedo darmi la libertà provvisoria. Io sono il freddo e sono vecchia, bisogna bevere il caffè, mai. Io desiderio sapere quanti mesi per libertà provvisoria? Se la sua risposta già per sapere quanti mesi sarò tranquilla sapere bene, se il Procuratore non dia la libertà provvisoria o forse un anno ancora in carcere. Lei è come un buon padre per me povera; ma un anno ancora io non posso stare in carcere, ne dispiaccio perché non parlo mai colle donne. Prego sig. Procuratore sa mettermi altra carcere, all’Ergastolo molte donne parlano il permesso insieme la mia consolazione.
Io sola sempre in cella colla mia tristezza, non voglio più stare in carcere…