La merce invenduta piange
di Aldo nove
Io se fossi un pannolino avrei bisogno della merda di un bambino per esistere
perché la merce invenduta piange
e non capirei perché un bambino nella sua vita caga
migliaia di pannolini ma non me
che sono un pannolino normale come gli altri
con il mio codice a barre normale
sulla scatola.
E se fossi uno di quei cosi con la neve e con padre Pio
Penserei di essere meglio di un soprammobile di Giò Pomodoro perché
Tutte le merci sono uguali di fronte a Dio
E starei male a essere messo in vendita
Alla Stazione centrale di Milano
In un angolino della vetrina del tabaccaio
tra un cazzo finto e un portasigarette di plastica con lo stemma del Milan
languendo per giornate deriso
perché la merce invenduta piange.
Io conosco il dolore delle pile dei sacchi della spazzatura nascosti dietro le scope
nel reparto casalinghi
del supermercato, sacchi della spazzatura
verdi un tempo imposti per la raccolta differenziata dal comune e adesso
negletti e impolverati, decaduti
plastica più sola di un’anima a marcire.
E conosco quel senso così umano
di imbarazzo solo nell’esserci, nell’invadere lo spazio
dello sguardo di una casalinga frettolosa di certe
imitazioni di creme per il volto famose
che non sanno perché ancora stanno lì esposte
come due anziani che si stringono su una panchina al parco
il giorno prima di morire.
Io conosco il dolore della “gelatina per dolci
già detta colla di pesce” sommersa
da bustine di lieviti Bertolini e sacchetti di zucchero in scaglie per le guarnizioni.
Lo conosco e se io fossi lei mi chiederei perché
sono una “gelatina per dolci già detta colla di pesce”
e non, ad esempio, una fulgida appetitosa scatola
di mezzo chilo di mezze penne Barilla,
di quelle che si vendono a migliaia
nei supermercati di tutto il mondo.
Io penserei questo tutto il giorno e continuerei a piangere
perché la merce invenduta piange
e il suo dolore è tanto simile al nostro
biologico stare sul mercato fino a che c’è domanda
fino a che l’articolo che siamo non deperisce
come un diplomato di 52 anni alla ricerca del primo lavoro
come un corridore automobilistico amputato
oppure esattamente come una ragazza in Giappone
che a 25 anni nessuno l’ha sposata
è fuori catalogo
inutile
imbarazzata sugli
scaffali della vita raggelata miscela
Leone scaduta nel reparto
caffè o sugo di cinghiale con l’etichetta scollata,
scatola di sale dietetico schiacciata.
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Non è l’uomo ad essere merce, è il contrario.
Il dolore più grande è essere umano.
Mesto torno sul mio scaffale, a farmi rigirare tra le dita, a farmi leggere e scartare, e scadere.
Be’, insomma, Aldo Nove: grande!
aldo9, tu sei la Manzotin della poesia italiana!
bravoooooooo!!!!!!!!!!!
Ora, scusate se vi rovino la festa. Aprezzo Aldo Nove, la sua poesia pop, antiretorica, sociale ecc. Ma mi augurerei a presto un suo superamento di se stesso… Mi spiego meglio.
Già nell’ultimo post in cui compariva una poesia di Nove si è gridato al capolavoro e al ready-made. Ma il problema di Nove, secondo me, è proprio questo: il ready-made è prossimo a compiere i cento anni, l’avanguardia storica è diventata tradizione, Andy Warhol oggetto da museo (vedi l’esposizione dell’anno scorso a Monaco)… Certo, quella di Nove è una trasposizione in ambito letterario di quanto è avvenuto a livello pittorico, scultoreo ecc. Ma mi pare che il meccanismo, un misto di antipoesia, tendenze pop, critica sociale, sia ormai logoro e superato…
E’ apprezzabile che Nove sia evaso dalla gabbia della lirica elegante, “imbellettata” come direbbe lui, per proporre qualcosa di alternativo e innovativo nell’asfittico panorma della poesia nazionale, ma mi sembra, ecco, che il suo meccanismo poetico sia abusato, un po’ arrugginito o, come scrisse una volta Bertolucci delle proprie poesie, di una “perfezione noiosa”.
essere o esistere, quindi…..mhmmmm, notevole che ora sia uno degli slogan pubblicitari preferiti (live or exist, in verità recità lo slogan) e tu vai in “paturnia” pensando alla tua esistenza e via con le pippe mentali da non dormirci la notte e invece….invece era tutto ridotto all’osso del cash soldi il commercio equo o meno che sia può trasformarti la vita passando dall’esistenza all’essenza…..mhmmmmm qui si che c’è da non dormirci la notte, o forse, sarebbe meglio dormire la notte, invece che magari, nel cazzeggio delle ore vuote, dar vita alle uova e ai vermicelli producendo orribili generazioni da stonare con slogan pubblicitari!!!
Egregio signor Nove,
mi pare che con la sua consueta ma farfallina abilità nel manovrar verbi e nel ritmare cembali
lei vada a cucinare vecchie polpette surgelate da anni che già sanno di rancido
forse un po’ di adusto inveterato e blagheur,
però,
mi perdoni l’ardire
dove si vota per malatesta presidente?
Bah, Malatesta, ragioni per categorie estetizzantissime. Critichi l’avanguardia ma auspichi un “superamento”, che è categoria avanguardisticissima. Parli di ready-made, ma ti riferisci a una pernacchia di Aldo Nove, comparsa qualche giorno fa su N.I., arguta, sì, (e comunque, non mi pare che sia stata definita un capolavoro), ma che non aveva ovviamente nessuna pretesa rispetto a questa poesia. Ora, a me pare che questa poesia sia tutto fuorché il giochetto tutto INTERNO alle categorie estetiche a cui lo riduci tu: “un misto di antipoesia, tendenze pop, critica sociale…”: applichi le etichette dei critici giornalisti, dei manualotti, i luoghi comuni su Aldo Nove… Ma è proprio IL CONTRARIO! Questa è una poesia semmai fin troppo UMANISTICA. Aldo Nove qui fa IL CONTRARIO dell’antipoesia! Poeticizza anche l’impoetico, il non poeticizzabile! Rende compassionevole un pannolino che desidera essere imbrattato di cacca! (l’unico modo di essere “amato” del pannolino… l’uso, la consumazione della merce come suo desiderio d’amore…!) Traspone un sentimento nelle cose. Umanizza le merci. Fa la morale. Come alcuni testi di Ponge, introduce una lunga premessa per poi risolverla in una similitudine: COME… (“e il suo dolore è tanto SIMILE al nostro”, dice un verso). La mia impressione è che tu perdi di vista la sostanza di quel che DICE questa poesia, e te ne sbarazzi con categorie da manuale di storia della letteratura. Categorie usate male, trea l’altro, perché l’UMANIZZAZIONE fin quasi PATETICA delle merci che introduce qui Aldo Nove non appartiene affatto ai filoni che tu citi. Insomma, hai fatto una lettura nichilista, estetizzante, frivola: una lettura che gronda LETTERATURA, e che rimane impermeabile alle cose intense, dentro il suo scafandro di pre-giudizi iperletterari. Nota bene: non sto affibbiando alla tua persona questi aggettivi (tra l’altro ti firmi con uno pseudonimo, non so proprio chi tu sia e non ha importanza in questo caso; e comunque non mi permetterei mai), ma a QUESTA TUA SINGOLA lettura. Secondo me uno dei mali della poesia e dell’arte sono proprio le letture come questa e gli atteggiamenti estetizzanti da letterati che le nutrono.
qualche giorno fa dicevo che secondo me aldo nove è uno dei tre quattro migliori poeti oggi in italia. quell’altro che stava con me era scettico. ma io insistevo e insisto ancora di più ogni volta che leggo le sue cose. anche le più pernacchiose, come l’assoluta meraviglia di sognando aa roma. oggi mi sono anche letto mezzo suo libro nuovo: notevolissimo, ma talmente importante che viene da chiedere a uno scrittore del genere uno scarto maggiore. ma questo è un discorso lungo, l’ho fatto tutta la sera, e appena posso lo articolerò un po’ meglio.
Caro Scarpa,
le cose andrebbero meglio se si chiarisse l’equivoco di base.
Le mie righe (tranne quando parlo del post “La sinistra italiana cambia in meglio”) non facevano riferimento a questa poesia, ma in generale alla poesia di Nove, e in particolare all’ultimo Nove, quello che secondo alcuni inizia nel ’96 (col passaggio dal nome allo pseudonimo, suggello di una nuova identità), ma che secondo me risale almeno ai primi anni Novanta, con degli indizi ancora precedenti. Ergo, quando parlo di un misto di antipoesia, tendenza pop e critica sociale, mi riferisco all’intero “meccanismo” della poesia dell’ultimo Nove, dove spesso alcuni di questi elementi, frammischati ora tra loro ora con altri, compaiono. Tra l’altro lo stesso Pagliarani, nella prefazione a Fuoco su Babilonia, parla di “pop-scrittura”, di “mimesi pop” la Gaetani…
Dunque, concordo con lei quando osserva che questo componimento è il contrario dell’antipoesia. Conosco la tendenza di Nove a poeticizzare l’impoetico, a sublimare la quotidianità anche mediatica e commerciale (un’attenzione al minimo e al quotidiano che gli deriva da Giudici e, attraverso Giudici, fin dai crepuscolari, i primi a immettere nella poesia una materia volutamente povera e impoetica, “le bucce delle arance” di Govoni)… Ma converrà che altre poesie della produzione noviana (alla quale in generale, ripeto, mi riferivo), come “Perlana ammorbidente”, contengono una buona dose di antipoesia (non mi dirà che l’immagine del suicida che assapora il proprio sangue misto al perlana ammorbidente è impoetico poeticizzato?, anzi è proprio il contrario: un tema poetico e sublime come la morte banalizzato e spoeticizzato dall’accostamento all’entità commerciale, alla “merceterna” noviana…)
Ho compreso il senso della poesia, la sua componente “umanistica”. Anche per questo ho esordito parlando della poesia ” sociale” di Nove: se la sua fosse una poesia esclusivamente dedita ai dettagli e al quotidiano, certo non le avrei dato una simile connotazione (semmai avrei parlato di crepuscolarismo, che non è sociale – tranne un po’ quello govoniano -, i crepuscolari dichiaravano con Moretti di non avere nulla da dire, mentre Nove eccome se ha da dire…)
Dunque, ho trascurato per un attimo il messaggio (pur sempre una lacuna, lo ammetto) per privilegiare l’analisi estetica, formale. Anche perché, secondo me, nell’estetica si gioca gran parte della poesia di Nove. Ad es. nell’uso della metrica. Una metrica perfetta, raramente scassinata internamente come avviene da Pascoli, Crepuscolari e Montale in giù, e che serve a Nove a far strindere ancora più forte il contrasto tra le altezze del canto e la miseria della materia cantata. Oppure il riferimento ossessivo e wharoliano a marche, merci, “scatole e scatolette” (per citare un finale di poesia di Patrizia Cavalli, che riecheggia lontanamente quello di questa poesia di Nove).
Per altro, l’umanizzazione degli oggetti non mi ha colpito eccessivamente. Sia perché l’umanizzazione, la tendenza a far parlare gli oggetti è abusata in letteratura (Nove avrebbe potuto descrivere le merci anzicché farle parlare, dare al componimento un taglio più narrativo anzicché lirico-patetico: ma qui lei mi dirà che ragiono ancora con categorie estetizzanti), sia perché – ma questa è una opinione personale – l’idea dell’umanizzazione delle merci mi è sembrata un po’ scopiazzata, visto che in questi giorni qualcosa di estremamente simile si sente e risente alla radio, in un refrain di Samuele Bersani (“Sei una creatura di prima scelta / sopra il banco del reparto convenienza ecc.”).
Resta il fatto che Nove, e anche questa sua poesia, non mi dispiace, come ho già detto. Solo alcune cose non mi convincono, e per questo ho auspicato un “suo superamento di se stesso” (cioè banalizzando, ho detto: Nove sei bravo, ma secondo me puoi fare molto, molto meglio).
Dico “superamento” nel senso generico di “miglioramento”. Ma lei, caro Scarpa, scrive: “Critichi l’avanguardia ma auspichi un “superamento”, che è categoria avanguardisticissima.” Io non criticavo l’avanguardia, ma sostenevo l’esaurimento delle sue spinte iniziali. Né parlavo dell’avanguardia tout court, cioè del concetto in sé di avanguardia, ma dell’avanguardia ormai datata alla quale Nove in parte si rifà. In questo non vedo contraddizione, ma semmai coerenza: Nove, QUELLA avanguardia alla quale ti ispiri è vecchia, ergo sùperati, passa oltre, non restare impigliato ad essa, migliòrati…
Grazie delle precisazioni. Ne faccio un paio anch’io: questa poesia ha almeno due o tre anni (mi sono ricordato in ritardo che era pure comparsa in rivista nel 2001 o 2002; la rivista si chiama “Impakt”): a Samuele Bersani non deve proprio nulla… Un altra: Nove non fa affatto PARLARE (disneyanamente) gli oggetti. Ne descrive il SENTIMENTO principe: quello dell’aspirare a essere VOLUTI, SCELTI. E’ un tema che mi tocca molto, e mi sembra cruciale: le merci ci vogliono in questa forma paradossale: vogliono essere volute da noi. E in questo, alla fine, sugli scaffali, quelle che sono spoglie di tutta la mitologia pubblicitaria (quelle che non sono supportate da un marchio pubblicizzato in quel periodo su giornali e tivù…, quelle che hanno la confezione schiacciata…, quelle che sono irrimediabilmente merci di uso secondario, quasi ridicolo nella sostanza e nel nome – la gelatina già detta colla di pesce…): alla fine, al momento di essere scelte, sono disarmate come noi, poveri consumatori, miseri orchi sdentati, tutti quanti presi nel gioco drammatico del voler essere voluti, scelti, consumati, divorati. Queste sono le cose che mi interessano del discorso poetico di Nove (di questa poesia in particolare). Scusami, ma le tue sono considerazioni estetizzanti che appartengono a un mondo tutto estrinseco al discorso vivente, appartengono al guscio dei letterati, al callo coriaceo giallastro… Ma non voglio essere offensivo: combatto soltanto per una lettura più intensa delle cose, meno professorale. I poeti arrivano con il cuore in mano (“e i polsini insanguinati”, aggiungeva argutamente Bergonzoni), e i loro lettori nichilisti gli criticano il colore dei calzini…
Caro Malatesta, aggiungo una cosa. Noi non siamo a scuola, che dobbiamo giudicare il percorso di un poeta, confrontare i suoi testi uno alla luce dell’altro per trovare conferme interpretative, datare, periodizzare pre o post ’96 ecc. Noi siamo nella vita, adulti, di fronte a UNA poesia, una SINGOLA poesia. (Ho precisato “adulti”, intendendo che abbiamo una certa esperienza, una certa “cultura”, che secondo me dobbiamo tenerci stretta: insomma, non auspico una lettura ingenua, senza strumenti: per esempio bella quell’osservazione che hai fatto a proposito di altre poesie di Nove sul disavanzo fra altezza del canto data dalla metrica e miseria dei contenuti: anche se pure lì ci sarebbe da discutere, ma lasciamo stare. Volevo solo dire che gli strumenti interpretativi non li voglio buttar via, quando leggo). Per quanto mi riguarda, nella mia vita di essere umano adulto (e non di professore di letteratura, letterato, estetologo, ecc.) non è in gioco dove va l’estetica di Nove, che cosa introduce di nuovo nel suo percorso poetico…, come si colloca all’interno della sua produzione lirica…, in che cosa differisce dalle sue precedenti sillogi…, ma che cosa ha da dirmi QUESTA sua singola poesia. Saluti cordiali
Senti Scarpa, vengo dall’oltretomba per dirti che non può dare del nichilista a tutti. E tu cosa sei? Un tuttista? E poi COME CAZZO FATE a sparare tante minchiate tutti a tempo? Giuste o sbagliate non conta… I commenti sembrano un mucchio di segni giapponesi… $%£”%&$ e &/&/&%%%££ ma “£$$é*é… Ma sì Aldo Nove ha scritto una bella poesia, ma punto. Con tutti vostri commenti giapponesi (CAZZO C’ENTRANO LE AVANGUARDIE?!!!)rovinate il gusto di un semplice:”Yuppi, che figata!”.
O mio Marco Candidice,
macheccazzo c’entra Nice,
macheccazzo c’entri tu.
La tua Ace non mi piace
Candeggiando hai fatto “strapp!”
Godo di questa dotta disputa.
Appena ho letto la poesia mi è venuto da esclamare/postare: Nove è sempre Nove.
Dando ragione con ciò sia a Scarpa sia a Malatesta: è sempre grande, ma (anche) è sempre (troppo?) se stesso.
Ma perché, Malatesta, chiedere “di più” ai poeti? Non basta fare venti giri di pista per “dare di più”.
Nove corre il rischio della maniera? Non è più così nuova la sua merce? Rischia la permanenza in scaffale perché ormai circondata da canzonette che la imitano? Può darsi. L’offerta speciale di oggi, intanto, passa dallo scaffale al mio comodino.
Caro Scarpa,
perché non possiamo avere ragione tutti e due?
Lei ha ragione sostenendo che, davanti a una poesia, devo innanzitutto sentire cos’ha da dirmi. Ma anche io non sono tutto nel torto quando affermo che la cosa non può finire lì, che la lettura di un poeta non può esaurirsi alla prima impressione – quand’anche fatta con certi strumenti di base – e soprattutto a un’impressione “monadica”, isolata, scorporata dalle impressioni suscitate da altre poesie dello stesso autore e da, per così dire, una visione di insieme della sua opera. Questo le sa di scuola, di manuali, di professorale? Mi dispiace…
Io non ragiono esclusivamente per categorie estetizzanti, ma l’estetica nella poesia è parte integrante, fondante del discorso, e lo è anche nella poesia di Nove. In poesia il “come” si dice è importante quanto e, in alcuni poeti (non è il caso di Nove) anche più, del “cosa” si dice.
Ribadisco la mia stima di Nove ma ecco, quanto ai temi del sociale, a una poesia “umanistica” ecc., gli preferisco un Magrelli o un D’Elia…
(Ma ora smetto. E prometto di non rompere le scatole per un po’ di tempo, caro Scarpa, visto che ha da fronteggiare altre “frivole” accuse a lei e NI. Pensando anche alla discussione avuta sul sito di Lello Voce, a volte ho come l’impressione che lei sia qualcosa come il sistema immunitario di NI…)
Cordiali saluti
Ehi, capo… Va bene, ma veramente Nice non sono io… :-(
Malatesta Malditesta,
di cazzate una tempesta,
di stronzate una foresta,
di puttanate la gran festa.
Malatesta Malditesta,
cesta testa resta mesta
pesta lesta questa sesta.
Scarpa,
sciarpa.
Scarpa,
barca.
Scarpa,
carpa.
Scarpa,
scarpa.
Urka l’orca,
Scarpa!
Nice, vice-
pensatore, voce
fallica, fallita, fallace,
rapace, di rapa, foce
di nulla, fece, stira-
camice, specie
d’alopecie mentale, lice
nuocerti, mandarti a quel paese,
nice che dice “Yuppi, che figata!”,
nice che dice un’altra stronzata,
nice che dice boh!
“Sgozzano Tiziano!
Sgozzano Tiziano!”
“…Ma no, Adriano,
quello non è Tiziano!…
E’ Gozzano.”
…Quindi è Tiziano
che sgozza Gozzano?”
“…Ma no, Adriano,
non vedi la “foce”?
Quello è Lello Voce”
Ah.
Nove,
senti come Nove,
madonna come Nove,
senti come viene giù.
Nove,
madonna come Nove,
guarda come Nove,
senti come viene giù.
…Nove,
I love…
Premesso che la poesia di Nove va comunque a segno, anche io propendevo per una lettura di testa, più che per una lettura col cuore.
E invece è vero, il dolore delle merci e il dolore biologico sono facce di un’unica grande tragedia: mercantile, sentimentale, temporale…
Poi, sulle piccole tragedie, si potrebbero (rigurgito di una lettura di testa) avanzare piccoli sospetti. Ad esempio: è davvero meglio la tragedia della ragazza giapponese “in” catalogo? O è meglio una tragedia senza illusioni e mezze misure, dunque “fuori” catalogo?
Emma, se volevi usare il cervello il campo letteratura è il meno indicato. Prova con la matematica pura. Gli scrittori che usano la testa, ti stanno solo illudendo che la stanno usando. Ma quando lo capirai? Omero dixit:”Molto mentono i cantori!”
Parole sante! Per usare il cervello nel migliore dei modi conviene, al limite, se proprio non si ha la voglia e il tempo di rivolgersi a Omero, ascoltare i meno profondi ma senz’altro altrettanto sinceri ” Cantori Moderni di Alessandroni”. Roba di 40 anni fa, più o meno.
Questo nella categoria “entertainment”.
Per usare il cervello in modo più razionale la matematica pura citata da “Attenzione!” va benissimo. O anche la fisica quantica. 2+2 fa sempre 4. I poeti contemporeanei fanno spesso sòle.
Caro Attenzione!, caro Rapido ed Invisibile, vi ringrazio molto per i preziosi consigli, per l’ineguagliabile sollecitudine.
Ma ditemi, state ancora facendo ripetizioni?
Invenduti pure voi?
P.S.: Attenzione! (caro…), per mentire ci vuole la testa. “Ma quando lo capirai?”
Si Emma, io ripeto le tabelline. Però non mi sono mai venduto in vita mia. Dunque sono invenduto. Cioè, non sono un venduto.Insomma, fai tu.
Emma tu dici:”Poi, sulle piccole tragedie, si potrebbero (rigurgito di una lettura di testa) avanzare piccoli sospetti. Ad esempio: è davvero meglio la tragedia della ragazza giapponese “in” catalogo? O è meglio una tragedia senza illusioni e mezze misure, dunque “fuori” catalogo?”.
Ecco un esempio di modo assurdo di usare la testa. E’ come dire che Massimo Boldi è un cretino. No, è un comico. Ma se lo valuti con la testa, può anche essere un creto. Ma Massimo Boldi non chiede di essere valutato con la testa. Capisci, Emma? Quindi ho ragione io. Ciao.
Caro Rapido ed Invisibile, non sono stata sufficientemente chiara. Non intendevo dire che tu “frequenti” le ripetizioni da studente, ma che tu “dai” ripetizioni agli studenti “somari” (in coppia con Attenzione!, nel caso specifico; a me, nel caso specifico).
Se poi ti ripassi le tabelline: fatti tuoi.
Se poi non ti sei mai venduto: fatti tuoi anche quelli.
Caro Attenzione!, vedo che insisti e persisti. E che sei incollato alla logica (molto significativa…) del “Ma quando lo capirai?”
Ahimè, caro Attenzione… No, non capisco. Sono lunatica e ho un cervello molto limitato. Immagino che essere una donna significhi anche questo (ri-Ahimè)… Contento?
Ma dimmi, tu chi sei? Il detentore dell’unica incontrovertibile indiscutibile possibilità di lettura della poesia di Nove?
Beh, anche se tu fossi il portavoce ufficiale di Nove, anche se tu fossi Nove in persona, io – da lettrice – mi sentirei comunque in diritto di fare una “mia” lettura. Lo “capisci”, questo?
P.S.: Quanto a Boldi: non me ne può fregare di meno e non vedo il nesso. Boldi non lo seguo, non lo guardo, anzi lo evito. So che è un comico, sì, ma di una comicità cretina. Ma Boldi avrà naturalmente tutt’altra idea di sé, questo lo “capisco” bene…
P.S.: Sono davvero colpita (al cuore, ok?) dal tuo finale così patetico e così disperato. Va bene, hai vinto. “Attenzione! ha Ragioneee!!!”…
Pardòn, Emma. Però ti devo una precisazione. Io non vado in coppia con nessuno. (Fatti miei, certo).
Io non do nè prendo ripetizioni. (Fatti miei anche questi, si).
Sulle tabelline siamo d’accordo.
Non mi sono mai venduto (fatti miei ma proprio miei non sai quanto).
Ma insomma, perchè tutto questo livore?