Meditazioni joxiane #2
di Dario Voltolini
Il brano del generale Ralph Peters che ho ripreso dal libro di Joxe esprime credo con chiarezza una visione della situazione mondiale e del tipo di azione per intervenire su di essa da parte dell’unica potenza rimasta sul pianeta. Si tratta di una visione di destra. Di una destra, come dice Joxe, “pessimista”. Ma Joxe cita questo brano all’interno di un discorso che ha come tema la politica clintoniana, con al centro il concetto di “enlargement”, visto come strategia “ottimistica”. Dice Joxe: «Sotto Bill Clinton , il concetto politically correct adottato dall’establishment per esprimere il rinnovamento dell’impero non è il tetro e pessimista clash of civilization di Samuel Huntington ma l’enlargement di Antony Lake che, con ottimismo, affida agli Stati Uniti il compito di estendere e consolidare la “libera comunità delle democrazie di libero mercato” (market democracies)[1]. L’enlargement, pur essendo soprattutto di carattere politico-economico, propone tuttavia alle alleanze militari degli Stati Uniti un contenuto diverso dalla difesa di un territorio statico, come l’area Nato del passato o la cristianità di Samuel Huntington, in quanto si rapporta a un territorio in espansione.» [2]
Ora, il fulcro del discorso di Joxe è che sotto il coperchio dell’enlargement clintoniano ottimista già vive il conflitto preventivo di destra e pessimista. C’è una continuità strategica e di autorappresentazione americana, cioè da un lato il mercato sostituisce la nazione, il mercato è in espansione, il mercato va difeso come andava difesa la nazione, ergo l’espansione del mercato va difesa. Qui si saldano la difesa e l’attacco, mi pare in modo evidente e soprattutto privo di precedenti storici, come è esplicitato nella visione di Joxe (il quale appunto cerca di costruire interpretazioni e concettualizzazioni adeguate a un presente che non ha precedenti qualitativamente analoghi). Dall’altro lato, l’incubo di riflessi interni del disordine esterno permette di evocare la militarizzazione come vettore dell’attacco-difesa apparentemente fondato su questioni a-ideologiche quali quelle del mercato.
Qui voglio essere esplicito: secondo me il mercato non è certo una nozione a-ideologica, bensì precisamente l’ideologia dominante oggi; tuttavia uso la qualificazione che ritengo errata di “a-ideologico” rispetto al mercato perché questa mi sembra che sia esattamente la percezione che se ne ha, in maniera generalizzata e mediaticamente ribadita, almeno dalla fine dell’Unione Sovietica in poi: il mercato sembra essere una condizione se non proprio “naturale” almeno “naturalmente evolutasi nella società”, cioè una condizione verso cui la società, liberata dalle ideologie, per sua natura tende. Questa è la visione del mercato che il mercato stesso produce, mi pare. Ora, vedere il mercato come ideologia non è in effetti una cosa semplice, perché secondo me lo è ma in modo differente dalle ideologie come le abbiamo conosciute. Anche il mercato, come la potenza militare e la leadership planetaria e in ultima analisi Il Potere è oggi in condizione di pensarsi come unicità. Non ha l’economia pianificata come contraltare, per esempio. Il che – ci tengo a dirlo – è secondo me un bene, ché non sono mica un economista comunista! Ma non ha nemmeno altri mercati in contrapposizione. E il concetto di “mercati contrapposti” non so nemmeno se sia coerente o non piuttosto autocontraddittorio. Vero è che lo spazio di mercato è percorso da attori che non sono più Il Potere che conoscevamo, e quindi non sappiamo cosa possa prendere il posto di “poteri contrapposti” in questa situazione dove gli attori sono cambiati, dove – come dice Joxe a più riprese – il concetto di sovranità nazionale (uno dei principali candidati alla definizione di cosa sia Il Potere, o almeno un potere) è reso inutilizzabile proprio dall’espandersi sovranazionale – e spesso contronazionale – del mercato e dei suoi attori.
Nel nuovo assetto di mercato e di attori che ne occupano e gestiscono lo spazio in espansione, sembra esserci una certa fluidità fra capitale e forza militare, fra l’azienda e il bombardiere. Il passaggio dall’uno all’altra, cioè dall’ottimismo clintoniano al pessimismo di destra, abbiamo visto che è realmente un fatto. In questo trascolorare di toni dal roseo al terreo non c’è spazio per una vera speranza, credo. Il nostro povero ruolo in Iraq non ha bisogno di altre considerazioni, credo: l’azienda, il mercato, la democrazia, la prevenzione, la difesa, l’occupazione, la liberazione… tutto si mescola in un torbido non-colore. La sovranità nazionale al tramonto – più da noi che altrove, ma da noi in modo accelerato dal 12 settembre 2001, con una cambialona in bianco firmata dal tricolore alla stars&stripes dalla sera alla mattina – è una realtà che conosciamo bene, ma che forse non concettualizziamo in maniera adeguata. A sinistra si evoca spesso la deriva autoritaria e dittatoriale dell’attuale governo, ma forse ha più ragione (dal suo punto di vista) Berlusconi a lamentarsi via video che lui purtroppo non è un dittatore. Se lo fosse sarebbe più efficace e efficiente! dice lui. Abbiamo quindi in Italia il peggio delle due condizioni: un potere che opererebbe con modalità di dittatura se ne avesse il… Potere. Ma il potere questo Potere non ce l’ha perché è in mano a un nuovo soggetto (il mercato) che comporta l’abbattimento del potere nazionale. Questo nuovo soggetto ha un volto finanziario e un volto militare, come minimo. Siamo dunque in mano a una combinazione inedita di poteri verso la quale non esiste un’altrettanto nuova combinazione di opposizioni.
Ma sembra di capire dall’anima del libro di Joxe che se un potere senza mandato, o comunque con mandati non ancora pienamente concettualizzati, può esistere, non può esistere un potere senza un’opposizione. Sarebbe questo un fatto strutturale, un sorta di relazione figura-sfondo, di polarità tipo pari-dispari. Il momento attuale sarebbe allora di attesa sia di nuove concettualizzazioni del Potere così come è diventato e sta diventando, sia di un’opposizione che ne sia all’altezza (all’ampiezza?).
Un’ulteriore linea non disfattista del pensiero di Joxe è rappresentata dalla riflessione che sebbene il potere come sovranità nazionale sia al tramonto, poiché lo sono le nazioni, non necessariamente alla sua scomparsa può essere opposto solo un vuoto di potere, dal momento che tra le nazioni e il mercato potrebbe sorgere un soggetto intermedio e storicamente nuovo dotato di un Potere storicamente nuovo. Joxe pensa all’Europa. Dove porta questa linea?
—-
[1] Antony Lake , in “International Affairs”, 30 settembre 1993.
[2] Joxe, p. 168.
Belle domande, caro Dario. Io avrei una considerazione (generica, ma forse riguarda anche quanto scritto e riportato qui): si dà spesso per scontato che questo attacco della globalizzazione alle sovranità nazionali non riguardi la sovranità degli Stati Uniti. So benissimo che la maggior parte delle multinazionali ha origine, investimenti iniziali sedi centrali, e menti americane. Non mi sfugge di certo il legame molto stretto (e quasi sempre anche dichiarato) tra certe lobby e l’Amministrazione statunitense. Ma proprio questi pericolosi legami dimostrano che anche la sovranità americana non è così salda. E che, per quanto adesso la difesa del mercato coincida per tutti, e in particolare per governi ed elettori statunitensi, con la difesa, in primo luogo, di interessi americani, il mercato finirà sempre più per ledere interessi americani. Non a caso le Amministrazioni di quel paese ricorrono con frequenza a misure protezionistiche d’altri tempi (particolarmente scandalosa mi è parsa, qualche tempo fa, la proibizione di importare miele argentino).
Ricordo vagamente di una conferenza tenuta un paio d’anni fa da un sociologo americano sull’antisemitismo in Germania prima e durante la 2 guerra mondiale. Che c’azzeccha? La teoria del signor prof. Postone partiva dai due punti di riferimento che hai trattato: il mercato (Il Potere) e la nazione (il potere). I nazisti, cito liberamente, erano terrorizati dalla visione di un mercato internazionale. Gli ebrei erano l’elemento che oggi chiameremmo del capitalismo mondiale, Il Potere, un elemento che varcava ogni confine e spaccava i limiti nazionali, in più erano una forza intangibile ed intoccabile (nel senso materiale che non si poteva toccare con mano sulla carta geografica). Il mercato a detta di Postone era il diavolo per i nazisti, al lavoro quotidiano del buon tedesco per la sua Deutschland venivano comparate le peripezie economiche delle borse e dei grandi capitali. Da qui l’apice nazionalista.
Ebbene io a questa teoria basata sull’aspetto fetale del Capitale di Marx non ci credo molto, ma ne prendo spunto per fornire un’altra riflessione. La nazione, quando non può controllare più il mercato perché le scappa dai confini, incomincia a temerlo, il mercato, e trova nuovi accorgimenti. L’Europa unita, la vedo come una forma di risposta economica che prova europeizzare il mercato invece di globalizzarlo e si propone come antagonista al presupposto dominio americanio. La Nazione Europa diventa così fine e mezzo del nostro mercato.
Una cosa ancora la vorrei dire: ci si basa sempre su concetti estremamente capitalistici di mercato, mercato globalizzato o nazionale. Non c’è più posto forse per un anticapitalismo che non significa fosilizzazione nazionalistica, come Postone imputa ai nazi? O forse è un concetto troppo passato di moda?
Saluti
Il fatto è che ogni riferimento al potere di una “NAZIone” deve confrontarsi con il NAZIsmo, non lo metto in dubbio. Questo fa parte della difficoltà che oggi abbiamo di comprendere quello che sta succedendo, perché un potere che spazza via quello delle nazioni, per il fatto che il potere delle nazioni è stato anche nazista, gode del credito riflesso di essere un poere che ha spazzato via il nazismo. Ora, i poteriche hanno spazzato via il nazismo erano due fono a poco tempo fa, ora è rimasto solo quello americano di mercato, essendo l’altro quello sovietico del socialismo reale (che con un miserabile gioco di parole chiamerei piuttosto socialismo imperiale). Nel libro di Joxe la questione del potere nazionale è visto però attraverso una discussione complessa della filosofia di Hobbes, in cui non mi addentro ma che citerò in una prossima “meditazione”, perché c’è un aspetto del potere che viene fuori da quella discussione che vale la pena di considerare, e cioè la caratteristica che il potere ha di difendere qualcuno. C’è da chiedersi se il potere oggi egemone ha ancora o non ha più questo mandato.