Prendere corpo, di Gherasim Luca
da La fine del mondo (1969)
tradotta da Andrea Raos
Io ti floro
tu mi fauni
Io ti scorzo
io ti porto
e ti finestro
tu mi ossi
tu mi oceani
tu mi audaci
tu mi meteoriti
Io ti soglio
io ti straordinario
tu mi parossismi
Tu mi parossismi
e mi paradossi
io ti clavicembalo
tu mi silenti
tu mi specchi
io ti orologio
Tu mi miraggi
tu mi oasi
tu mi uccelli
tu mi insetti
tu mi cataratti
Io ti luno
tu mi nuvoli
tu mi altamarei
Io ti trasparento
tu mi penombri
tu mi traslucidi
tu mi castelli
e mi labirinti
Tu mi parallassi
e mi paraboli
tu mi sollevi
e mi stesi
tu mi obliqui
Io ti equinozio
io ti poeto
tu mi danzi
io ti particolo
tu mi perpendicoli
e sottoscali
Tu mi visibili
tu mi profili
tu mi infiniti
tu mi indivisibili
tu mi ironici
Io ti frango
io ti ardento
io ti fonetico
tu mi geroglifici
Tu mi spazi
tu mi torrenti
io ti torrento
a mia volta ma tu
tu mi fluidi
tu mi cadenti, mi stelli
tu mi vulcanici
noi ci polverizzabile
Noi ci scandalosamente
giorno e notte
noi ci oggi stesso
tu mi tangenti
io ti concentrico
Tu mi solubili
tu mi insolubili
tu mi asfissianti
e mi liberatrici
tu mi pulsatrici
Tu mi vertigini
tu mi estasi
tu mi passioni
tu mi assoluti
io ti assento
tu mi assurdi
[prendere corpo]
Io ti naso io ti capigliaturo
io ti osso
tu mi ossessioni
io ti petto
io busto il tuo petto poi il tuo volto
io ti corsetto
tu mi odori tu mi vertigini
tu scivoli
io ti coscio io ti carezzo
io ti fremito
tu mi cavalchi
tu mi insopportabili
io ti amazzono
io ti golo io ti ventro
io ti gonno
io ti giarrettiero io ti calzo io ti Bach
sì io ti Bach per clavicembalo seno e flauto
io ti tremo
tu mi seduci tu mi assorbi
io ti litigo
io ti rischio io ti scalo
tu mi sfiori
io ti nuoto
ma tu tu mi turbini
tu mi sfiori tu mi scruti
tu mi carni cuoi pelli e morsi
tu mi slip neri
tu mi ballerini rossi
e quando tu non tacchi alti i miei sensi
tu li coccodrilli
tu li fochi tu li affascini
tu mi copri
io ti scopro io ti invento
a volte tu ti libri
tu mi umidi, mi labbri
io ti libero io ti deliro
tu mi deliri e appassioni
io ti spallo io ti vertebro io ti caviglio
io ti ciglio e pupillo
e se non ti scapolo prima dei miei polmoni
anche lontana tu mi ascelli
io ti respiro
giorno e notte io ti respiro
io ti bocco
io ti palato io ti dento io ti unghio
io ti vulvo io ti palpebro
io ti alito
io ti inguino
io ti sanguo io ti collo
io ti polpaccio io ti certezzo
io ti guancio e ti veno
io ti mano
io ti sudoro
io ti languo
io ti nuco
io ti navigo
io ti ombro io ti corpo e ti fantastico
io ti retino nel mio soffio
tu mi iridi
io ti scrivo
tu mi pensi
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Gherasim Luca nasce a Bucarest nel 1913, da una famiglia ebrea liberale. Scampato al nazismo grazie ad anni di clandestinità, è arrestato dai comunisti nel 1947. La sua unica possibilità di uscire dalla Romania è chiedere un visto per il neonato Israele. Lo ottiene nel 1952. In Israele, per sfuggire alla leva militare obbligatoria, sopravvive alcuni mesi nascosto in una grotta senza mai uscirne – si faceva luce con uno specchio con cui catturava i raggi del sole. Dopodiché riesce a partire per la Francia, dove vivrà da apolide per il resto della sua vita. Verso la fine degli anni Ottanta, una procedura burocratica legata all’assegnazione delle case popolari lo costringe ad assumere la cittadinanza francese. Vedendo in questo gesto una risorgenza delle antiche vessazioni, nonché di comportamenti razzisti ed antisemiti, la notte del 9 febbraio 1994 si getta nella Senna. Nella sua ultima lettera, dice di voler abbandonare “un mondo in cui non c’è più posto per i poeti”. [A.R.]
(immagine di Max Ernst)
Stupenda! Penso che non me la dimenticherò mai. Grazie a Andrea Inglese e Andrea Raos.
CAPOLAVORO ASSOLUTO! Da declamare ad alta, altissima voce. (vorrei, però, vedere anche l’originale, no?).
Gianni
…non ti voglio, ti stravoglio, non ti penso, ti strapenso, non mi manchi, mi stramanchi, non ci soffro, ci strasoffro…
si ci vuole l’originale (cosi capiremo anche il tasso di disperazione attraversato dal traduttore)
non ho messo l’originale perché mi sembrava troppo lungo. quanto all’ascoltare ad alta voce, esiste un cd: senza far uso di effetti o scenografie particolari, luca, che leggeva in francese con un incredibile accento rumeno, era un recitatore straordinario, di quelli che mandano in trance gli ascoltatori (purtroppo non l’ho mai visto, ma ho parlato con persone che dopo vent’anni se ne ricordano ancora – già solo l’ascolto del cd fa venire i brividi). le informazioni su http://www.jose-corti.fr da cui si possono anche scaricare un paio di brani. vi assicuro che ne vale la pena. [a.r.]
senza parole… mi innamoro della poesia ogni giorno di più, grazie a tutti e due.
(senza parole)
Straordianria! Davvero da declamare ad alta voce.
un’ulteriore conferma di un fatto ormai assodato: i romanzieri faranno anche i soldi, pero’ i poeti cuccano! scegliete un po’ voi… “(°-°)”/“
Stamattina l’ho letta a una settantina di studenti a Torino.
anche a me è piaciuta molto, però mi sembra che alla lunga un po’ si incastri, come se andasse avanti per inerzia, da una trovata bellissima e tenerissima si ingorga su una strada un po’ lunga, più che tortuosa.
comunque grazie per il bel post a inglese.
f.
a’ rega’, ve piace sto verso che m’è venuto stamatina?
ANDO’ STA’ ER CESSO CHE DEVO DA LIBERA’ ER PRIGIONIERO NEGRO?
O bella, è tornato giggettoercarettiere… come stai? al ristorante tutto bene? comunque il cesso è sempre in fondo a destra!
a gigge’, ce sei mancato…
G.
io ti scrivo.
tu mi pensi.
raramente ho letto qualcosa che riuscisse cosi’ bene e ridare corpo e transattivita’ a due verbi arrivati al ventesimo secolo (diciamocelo) un po’ consunti. in questo senso, fabio, la lista non e’ lunga, e’ solo necessaria: e’ inevitabile, arrivati alla fine, leggere i due verbi in maniera del tutto “nuova”. bellissima, davvero.
Quello di quest’uomo era un vero corpo a corpo con la lingua.
(Non è una battuta);-)
Non so di “quest’uomo”, né della sua opera – nulla a parte il breve avvertimento – ma davvero ho idea che il corpo a corpo del traduttore mai come in questo caso (struttura sintattica elementare, tutto che ruota sui singoli lemmi) non sia stato da meno. O persino peggio:
“Il mio problema è assai più difficile di quello di Cervantes. Il mio compiacente precursore non rifiutò la collaborazione del caso: andava componendo la sua opera immortale un poco à la diable, portato da inerzie del linguaggio e dell’invenzione. Io ho contratto l’obbligo misterioso di ricostruire letteralmente la sua opera spontanea.” Pierre Menard
Raos, chapeau.
Ha ragione Bianca dove dice che la lista è necessaria. Anche in alcuni versi di Lello Voce compaiono termini come “m’inarterio”, “m’inventro” ecc. Anche in Porta leggiamo “lascia che io la polpastrelli” e simili (e infatti il discorso sulla fisicità, sulla parola-corpo, Lello lo mutua innanzitutto da Porta).
Nelle forme espressionistiche della poesia del novecento (italiana e non), nella rincorsa sperimentale al neologismo, all’esercito di verbi guerrieri nato dalle osse seminate dei nomi, casi del genere ne possiamo trovare a bizzeffe (per non dire dei verbi rimandanti alla sfera del corpo in Dante).
La forza di questo testo, dunque, risiede proprio nel catalogo, nel magma anarchico senza sintesi, nel suo scorrere torrentizio…
Potrebbe essere un esercizio di stile, se non fosse per la scintilla che a un certo punto dà il via ai fuochi d’artificio e si spegne solo dopo aver coscienziosamente bruciato tutta la catasta di parole.
Finisce davvero senza parole.