Le scimmie… (78)
di Dario Voltolini
ma non la uso e non l’ho mai usata
finirà che me la scordo
se non avrà lasciato le sue orme
sul supporto di una carta un po’ inchiostrata
rimarrà così ipotetica e sprecata
come il suono blu della campana simbolista
immagine fragile di cristallo
che risuona un tocco solamente
poi per molti giri di sfere
rimane silente
non dice più niente di nuovo
diventa sordastra rispetto alle sue stesse
primitive promesse
come sembravano gravide
come mettevano voglia di esplorare
perle di miele su labbra di marmo bianco
subito però l’algoritmo si manifestava stanco
grandi speranze risultavano ridotte al riporto
alla prova del nove
al mettere in colonna
quelle pareti di luce arabescate
con le proiezioni dei pampini e dei tralci sul tessuto ricamato
impreziosito dal raso e dalla seta e dallo specchio
che come una polla d’acqua dorata
rimandava i profumi duplicati
di fonti frizzanti sperdute nel bosco
e l’indaco e il lilla e l’argenteo tintinnio
che paravento polveroso alla fine di tutto il giro di parete
parete interna
però la tentazione è davvero eterna
e di lì si passa sempre anche se non si vuole
è come il suono della parola aiuole
così limitatamente consonante
quasi totalmente planante
senza un vero e proprio referente importante
una specie di ginnastica della bocca
non proprio uno scioglilingua
piuttosto un tonico per labbra
l’uomo con la tasca interna sfondata
si aggira nei dintorni della stazione
la luce del sole basso all’orizzonte
penetra in una vetrata e stinge
sul piazzale dove arrivano gli autobus
una curva di strada passa a ponte sulle rotaie
l’uomo aspetta il suo treno e passeggia
sbircia in un negozio di articoli per africani
poi in un negozio di alimentari
con tutte le bottiglie di vino allineate
i palazzi sembrano vuoti
le finestre ritagliate
i portoni serrati
le targhe silenziose parlano di notai
di avvocati di dottori
gli uffici di un consorzio di bonifica
a quest’ora sono deserti