Slanci frenati
di Carla Benedetti
Cari indiani,
la lettera di commiato di Antonio Moresco non mi sorprende. Chi era presente all’ultima riunione di Nazione Indiana sa che anch’io in quella occasione ho detto cose analoghe. E ora provo a ridirle qui, con la maggiore serenità possibile.
Come sapete tutti, ma lo ricordo per i lettori, tra gli stili di comportamento che ci siamo dati al momento di dar vita a questa cosa che è andata avanti per più di due anni, c’era anche l’impegno a riunirci una volta al mese. Potrebbe sembrare una regola meno significativa delle altre, e invece è altrettanto importante, non solo perché, come è ovvio, con la voce e il corpo si dialoga meglio che non scrivendoci mail o leggendosi nei post, ma anche come correttivo alla frantumazione e alla solitudine atomizzata a cui sono state ridotte oggi le nostre attività, e che la rete rischia di favorire ancor più.
Lo stesso spirito ci ha portato anche a organizzare delle iniziative fuori dalla rete. Abbiamo sempre pensato che la rete è un mezzo, non un mondo in cui ritirarci. La rete può essere un strumento potente per fare delle cose, per agire nel mondo. Ma se diventa essa stessa il mondo, allora non è più un mezzo ma una prigione asfissiante, di irrealtà e di impotenza. Ce ne siamo resi conto tante volte, anche grazie a questa esperienza.
Le nostre iniziative fuori dal blog sono state finora sei. Cinque al teatro i, e una a Torino. Tra queste, oltre a letture e feste (come l’ultima “Aspettando Genji”), ci sono stati anche due incontri-convegni. Il primo su “Giornalismo e verità”, il secondo su quella cosa che abbiamo chiamato “la restaurazione”. E altre erano e sono tuttora in preparazione. Di ognuna c’è stato un responsabile, o più responsabili, che si sono sobbarcati il lavoro di organizzazione.
E’ fisiologico che a queste riunioni mensili alcuni che non stanno a Milano facciano fatica a venire. Tuttavia c’è anche chi, almeno qualche volta, si è sobbarcato il viaggio da Napoli, da Firenze, per non parlare di quelli che vengono sempre da Torino. Oppure se non vengono mandano una lettera, che poi viene letta.
Però ci sono anche alcuni indiani che non vengono mai, che non sono mai venuti neppure una volta, pur abitando a Milano. Lo dico non per rimproverarli, ma perché la loro percezione dell’iniziativa sulla restaurazione può essere stata falsata proprio da questo.
Perché magari non sapevano che anche quell’iniziativa, come tutte le altre, è stata decisa in una riunione. Non sapevano che a proporla e a offrirsi di organizzarla è stata Bendedetta Centovalli. Che quel pezzo intitolato “La restaurazione” e firmato da Antonio Moresco era stato il frutto di una discussione. Non era lo “squillo di tromba” del capo, come scrive Raul Montanari, e come anche altri indiani, tra le righe, hanno fatto capire di ritenerla. Certo, lo ha scritto Antonio prendendosene la responsabilità, ma come eravamo stati io e Jacopo a scrivere il testo introduttivo per la precedente iniziativa “Giornalismo e verità”.
Al testo scritto da Jacopo e da me, e che era altrettanto generale di quello di Antonio su “La restaurazione”, essendo appunto un testo introduttivo, sono seguiti moltissimi interventi, uno più interessante dell’altro, con la partecipazione di indiani e di molti esterni. Li potete ancora leggere qui, in questo ricchissimo archivio di Nazione Indiana che in due anni ha postato molti testi significativi, e che – fa bene Antonio a ricordarlo – sono stati frutto della passione volontaria di scrittori, registi, saggisti: una massa di passioni e riflessioni che potrebbero dar vita a un buon numero di pubblicazioni e di libri che saprebbero dire cose forti sul nostro tempo.
Cosa è seguito invece a quell’intervento introduttivo di Antonio Moresco? Qualcuno ha scritto addirittura che si trattava di una “profezia indiscutibile”, con tanto di immaginetta della madonna di Lourdes. Ci sono stati alcuni interventi di indiani volti a delegittimare lo stesso tentativo di parlare dei meccanisi dell’editoria e della circolazione della cultura in Italia. In alte parole, alcuni indiani hanno cominciato a remare contro l’iniziativa. In maniera più o meno diretta, a volte anche un po’ subdola.
Non voglio recriminare. Ognuno di noi ha dato nel tempo splendidi contributi. Però come si fa a non constatare la differenza tra come è andata avanti l’iniziativa su “Giornalismo e verità” e cosa invece è successo con questa. “Giornalismo e verità” ha dato ottimi frutti. Eppure nessuno di noi, eccetto Roberto Saviano, è giornalista di professione. Invece, guarda caso, pur essendo la maggior parte di noi coinvolta, in un modo o nell’altro, nell’editoria, proprio questa iniziativa è stata o ignorata o addirittura frenata dall’interno. Non vi sembra sintomatico tutto questo?
Tutti bravi a dire ai giornalisti che hanno risposto generosamente alla nostra iniziativa: “Continuate così, siate coraggiosi, rischiate denunce, rischiate anche la vita, noi vi apprezziamo, noi siamo con voi!”. Che tristezza invece vedere che nel nostro campo, quello della circolazione della cultura, delle pagine culturali, dell’editoria, eravamo in pochi a aver voglia di discutere fino in fondo, a esporsi e a rischiare anche solo un centesimo di quello che rischia quotidianamente Roberto Saviano o altri giornalisti che hanno partecipato al convegno.
Di che cosa si è avuto paura? Che l’editore tal dei tali non ci pubblichi più? Che il tal critico non ci faccia più la recensione? Che la franchezza e la radicalità degli argomenti potesse minacciare i piccoli compromessi che qualcuno si trova a fare nel proprio cabotaggio quotidiano?
Certo, so bene che Nazione Indiana è espressione di posizioni individuali e plurali. Ma una cosa è la pluralità, o la divergenza di opinioni, altra cosa è remare contro e cercare di paralizzare dall’interno un’iniziativa scomoda.
So anche che non si può chiedere a tutti un eguale impegno in ogni momento. E’ legittimo, è fisiologico che ognuno dia come può e secondo il momento in cui si trova. Ma una cosa è non aver tempo o interesse a impegnarsi troppo in un’inizativa, altra cosa è lavorare attivamente per delegittimarla. In alcuni testi e in alcuni commenti di indiani, in questi ultimi mesi, io ho letto non solo il dissenso su certi contenuti, e nemmeno solo la paura di esporsi troppo (cosa che può essere comprensibile in certi casi), ma anche la voglia di far naufragare la discussione su certi meccanismi perché troppo compromettente, perché troppo in rottura con le logiche gregarie che vigono nel mondo della cultura. Ci sono state persino delle vere e proprie reprimende da parte di indiani contro altri indiani. Cosa nuova, che non è mai stata nello stile di Nazione Indiana.
Ciò che ha distinto Nazione Indiana da altri blog e che l’ha fatta diventare in soli due anni un punto di riferimento importante è stata l’unione di individui diversi ma accomunati da uno stesso grado di densità e di radicalità: densità di riflessione, densità di scrittura, radicalità di stile d’intervento. Certo, ognuno a suo modo, e ognuno nel proprio campo. Ma questo è lo spirito con cui questa cosa è nata e con cui si è conquistata uno spazio, una visibilità e una forza di incisività. Se questo spirito viene meno, se la densità e la radicalità di ognuno invece di moltiplicarsi nell’incontro viene paralizzata dall’interno, a me non interessa più parteciparvi.
Come ha scritto Antonio Moresco, se ci si unisce è per fare di più di ciò che si può fare da soli, non per fare di meno. Questo è anche la mia opinione. Perciò anche per me è diventato impossibile continuare a partecipare a questa avventura con lo stesso slancio di prima, per la semplice ragione che gli slanci non possono continuare quando ci sono forze che li frenano.
Non ci sono indiani di serie A e indiani di serie B, come è stato scritto in un post in questi giorni. Ci sono invece densità e radicalità diverse. Sono e resto molto legata a molti indiani, con cui voglio continuare a vedermi e confrontarmi, e sono infinitamente grata a questo sogno che per un po’ si è realizzato. Se qualcuno riterrà utile che io partecipi alla prossima riunione per un ultimo confronto, parteciperò volentieri. Sono convinta che da questa “crisi” verranno dei frutti, e si potrà creare qualcosa di ancora più bello e più forte.
Il mio commiato non è una rinuncia, è una scommessa.
Non sono d’accordo su niente. Ma da dove devo cominciare a criticare non lo so. Aspetto qualcuno che mi apra la strada.
De profundis per “Nazione Indiana”.
Un’antica leggenda indiana racconta che una volta i guerrieri di una tribù, rinchiusi dai bianchi in una riserva, dapprima cercarono in ogni modo di aprirsi un varco e di rompere i muri della segregazione; poi, quando videro che tutti i loro sforzi erano vani, litigarono fra di loro e si scannarono a vicenda. Rimasero in vita solo pochi testimoni della terribile lotta fratricida, come volle il dio Coyote, un pericoloso trickster, il quale condannò i superstiti alla pena dei solitari: una masturbazione smodata e priva di piacere.
Ho ripensato a questa leggenda l’altro giorno, quando ho appreso la fine ingloriosa della rivista-blog “Nazione Indiana”. Le pose da serafini di Carla Benedetti e Antonio Moresco, i piagnistei di Raul Montanari, le schermaglie di Gianni Biondillo, la laconicità del peraltro logorroico Tiziano Scarpa celano infatti una lotta all’ultimo sangue, nella quale la posta in gioco è quella solita di ogni lotta: il potere. “Nazione Indiana” doveva essere – nelle buonissime intenzioni dei fondatori – lo spazio virtuale dei vasi comunicanti, della radicalità irriducibile, del rapporto con l’altro. E invece “Nazione Indiana” è stato il contenitore dell’esperienza esemplare della modernità, un luogo di confino entro il quale i saperi più avanzati trovavano la loro sterile concentrazione e distillazione, dove la radicalità era il pretesto del più marcato conformismo alle tecniche dominanti e il rapporto con l’altro ridotto al rapporto con se stessi, il trionfo dell’uguale. “Nazione Indiana” icona della società attuale.
Ora Coyote ha deciso di buttare per aria il tavolo, di mischiare le carte. La punizione scende implacabile su trionfatori e perdenti, su carnefici e vittime. Del resto, perché preoccuparsi? Ognuno degli Indiani ha il suo posto di potere al quale ritornare, dove preparare un nuovo laboratorio per la riproduzione esatta dei meccanismi repressivi e restaurativi della nostra società, e una nuova, fascinosa vetrina. Un’altra riserva indiana nascerà fra non molto, a immagine e somiglianza di quella appena defunta, solo tecnologicamente più avanzata e, pertanto, più pretestuosa della prima. Intanto, però, come nell’antica leggenda, Coyote ha assegnato la sua pena.
Per questo, il presente De profundis non ha altra ragione che salutare la fine di un’altra, non ultima, occasione mancata.
GUSTAVO PARADISO
Questo è il rischio che si corre a concepire la critica “militante” come qualcosa per cui “militare”: che si finisce per dividere tutti in buoni e cattivi, o di qua o di là, chi non è con me è contro di me. E se chi non condivide la
tua (e di Moresco e di Tiziano) visione delle cose
non lo facesse per convenienza, gregarismo, timore di essere penalizzato nel suo lavoro editoriale – come in modo un po’ offensivo, perdonami carla, lasci intendere in questo post -,
ma lo facesse solo e semplicemente perché non ci crede? Perché magari giudica francamente esagerato e inopportuno il lessico apocalittico (“genocidio”) adoperato, per quanto pasoliniano?
Perché magari non vede alcun complotto ma solo terribili e certamente penalizzanti logiche di profitto; peraltro estese anche a tutti gli altri settori?Perché magari non si riconosce nel tono messianico, da leader invasato, che assume
spesso e volentieri Moresco? E se dietro “il terrore della purezza”, che ha dichiarato di avere Mozzi, che non amo come scrittore ma che apprezzo come editor, non ci fossero chissà quali maneggi sporchi e convenienze, ma solo e semplicemente quello che ha detto e che secondo me molti condividono? Siamo talmente adusi a scorgere infinite interpretazioni dietrologiche che si celano in ogni affermazione da esserci dimenticati quella più elementare, quella “alla lettera”. E un’altra cosa Carla, il paragone con il giornalismo, del tutto incongruo. Saviano fa reportage su Napoli, la camorra, gli appalti ai boss, la corruzione politica: che c’entra questo
con chi scrive racconti, poesie, recensioni? Mi ricorda la polemica fra Beniamino Placido e Manganelli sulla recensione, in cui il primo obiettò al secondo che doveva essere oggettiva e circostanziata, e come esempio gli portò una recensione inglese a un saggio storico su Napoleone, in cui all’autore del saggio venivano
rimproverati errori di date e fatti verificabili.
Qui si sono recensite mostre d’arte moderna e contemporanea, romanzi classici e attualissimi,
si sono fatte interviste a romanzieri; insomma si è discusso di arte e letteratura proponendo
“opinioni”, non verità scientifiche incontrovertibili. E poi sulle opinioni ci si confronta, anche duramente, e spesso e volentieri, leggendo il parere e le argomentazioni di chi stimo, ho cambiato idea; anche perché penso che non siano riprovevoli le persone che cambiano idea, è riprovevole che le idee non cambino le persone. Erano opinioni, le mie ma non solo, dettate unicamente dal gusto, e gli elogi non miravano ad alcun tornaconto, così come le stroncature non erano frutto di invidia.
Io qui sono solo un lettore. Ho avuto l’onore di postare alcuni pezzi su Nazione Indiana ma non sono mai stato un indiano, anche se mi sarebbe piaciuto esserlo.
Penso che chiunque abbia un minimo di onestà intellettuale riconoscerà che l’esperienza di
Nazione Indiana – a mio avviso il miglior blog
letterario italiano – sia stata qualcosa di importante e di nuovo, pubblicando articoli e saggi di notevolissimo spessore e proponendoli gratuitamente al lettore, oltre a permettergli di intervenire e dialogare con gli autori; motivo per il quale se questa esperienza dovesse davvero concludersi sarà un autentico rammarico per molti lettori, me compreso.
E da lettore che non ama i gialli e le teorie
della cospirazione ti assicuro
che chi non ha condiviso l’impostazione tua e di Moresco non lo ha fatto per chissà quali convenienze o timori, lo ha fatto perché non ci credeva. Tutto qui.
Sarà per un residuo della famigerata
ironia postmoderna, che prescrive di non prendere mai niente troppo sul serio, o sarà che non capisce niente di meccanismi editoriali, forse perché non li conosce, ma il lettore dissenziente come me ha espresso la sua contrarietà senza secondi fini; cioè per il semplice motivo che non li condivide, e non perché così facendo poteva trarne qualche vantaggio. E dato che tu ami le persone che si espongono in prima persona, dichiarando quello che non gli converrebbe dichiarare, considera il fatto che a me, dire queste cose, può significare giocarmi la stima e la frequentazione tua e di Tiziano, alle quali tenevo moltissimo.
Parecchie volte, leggendo i vari articoli, non mi sono trovato d’accordo, senza avvertire, tuttavia, la necessità di un mio commento. Ero interessato a conoscere i diversi punti di vista che fotografavano ai miei occhi una realtà complessa, dalla quale, ad un certo momento della mia vita, ho preferito tenermi lontano. Non leggo più i quotidiani, alla tv vado cercando i film di una volta e il mio canale preferito e Sky Cinema Classic. Nazione indiana, con le sue diversità, mi offriva ciò che era ancora vivo nel mio Paese, e rappresentava uno dei pochi strumenti (insieme con vibrisse, i Miserabili e Lipperatura) con i quali sentivo il dovere di tenermi in contatto. Consideravo i commenti, inoltre, la parte più stimolante, quella che mi metteva di fronte la complessa diversità dei nostri tempi, almeno qui in Italia. Anche se silenziosamente, mi confrontavo con essa, e mi domandavo se anch’io – che ho scelto di vivere appartato – potevo considerarmi ancora vivo.
Quando ho letto il commiato di Moresco, e poi degli altri a seguire, mi è cascato il mondo addosso. Dunque, mi sono detto: ciò che io consideravo il valore più importante di NI, non era presente nella mente dei suoi fondatori? Possibile che non fosse alla base della loro avventura? Possibile che, ascoltando i molti commenti, non abbiano magari capito più tardi che la bellezza di una rivista web come NI era proprio racchiusa nel valore della sua complessa diversità?
Ho letto di Franz e del suo proposito di recuperare i cocci e andare avanti. Lo ammiro. Gli auguro di riuscire.
Nazione indiana non deve propore nessuna rivoluzione, secondo me, ma seminare idee, confrontarle, far emergere la nostra realtà attraverso i commenti. Se le idee sono buone, troveranno esse il modo di diffondersi e di essere condivise.
Le rivoluzioni annunciate e frettolose il più delle volte falliscono. Le buone idee si affermano, prima o poi.
Io credo molto di più, per restare nel campo della narrativa, nel potere di un buon romanzo, che in tante dichiarazioni di intenti enunciate ad alta voce.
Auguri di nuovo a Franz (che ha un cognome così difficile che dovrei fare il copincolla:.) ).
io sono grata a N.I. per diverse cose che ho potuto leggere e in particolare per avermi dato modo di scoprire Saviano. basterebbe questo per dispiacersi se la faccenda finisse qui. per questo ringrazio, io pure, franz e anche helena e tutti gli indiani “marginali” che prendono forza e coraggio dalla quotidianità del loro piccolo o meno piccolo lavoro. del resto “gutta cavat lapidem”, mentre le furiose tempeste scivolano via, come questi tempestosi abbandoni provano con dolorosa evidenza…
La logica “militare” è una logica di “potere”: Garufi e Paradiso hanno scritto il miglior epicedio possibile per una esperienza che resta comunque apprezzabile, ma sulla quale – checché facciano i superstiti – pesa ormai ineluttabilmente il marmo tombale.
A.L.
Andiamoci piano con gli epicedi, le lapidi, cenotafi, coccodrilli, neh…
Moresco non è tutto nella vita.
Io spero che i redattori restanti facciano maggiore chiarezza, scrivano pulitamente ovvero senza troppi fumosità allusive e ci sollevino almeno un po’, gli animi dai fanghi delle restaurazioni presenti.
Mario Bianco
andiamoci pure piano, o andiamoci forte, o come volete: qui resta il fatto che, come direbbe Paradiso, il dio Coyote già raccoglie i primi frutti del suo godimento, mi pare…
Secondo me Andrea Inglese va avanti e porta avanti anche gli altri.
Forza Andrea!
Mi riconosco totalmente nelle parole e nel rammarico espressi da Garufi. Spero che Nazione Indiana sopravviva a questi abbandoni, perché
è un luogo di confronto intellettuale come pochissimi altri.
caro andrea ti ringrazio per la fiducia (per altro spropositata), io spero davvero che ci sia tra noi un confronto, che sarà ormai pubblico, e che ognuno porti un suo bilancio sull’esperienza di NI; io lo faro’ appena ci riesco e con dovizia; solo in questo modo si potrà vedere se c’è un futuro di ni, anche al di là della sua forma attuale; lasciami pero’ dire una cosa per gustavo paradiso e la sua mentalità cinica; quella mentalità vede tutto e riduce tutto a lotta-per-il-potere sempre e comunque, a commedia dei bassi istinti; è quel cinismo italiano che mi fa vomitare; quale che siano gli errori che sono stati fatti in ni, quali che siano i motivi delle divergenze, del conflitto e della rottura, la storiella di gustavo paradiso descrive solo l’eterno ritorno dell’uguale, a cui la sua visuale cinica si costringe
Poiché la verità dei criteri di selezione può solo venire dall’esterno, cioè da una oggettivazione, che viene respinta in anticipo come grossolana e riduttiva, un gruppo può convincersi del fatto che la propria formazione abbia a proprio fondamento soltanto quell’indefinibile senso di affinità che solo l’appartenenza stessa può procurare. Il miracolo dell’elezione reciproca raggiunge il suo culmine nei gruppi di intellettuali, che non hanno mai l’ingenuità di concedere quella oggettivazione anche minima, che è invece indispensabile per costituire un club: poiché si affidano al senso quasi mistico della partecipazione, che definisce appunto i partecipanti, condannano gli esclusi – che non possono fornire altra prova dell’esistenza di un gruppo esclusivo, se non quella che essi stessi forniscono, loro malgrado, con il fatto stesso di denunciarne l’esistenza – a combattere contro delle ombre, tutte le volte che cercano di indicare i confini invisibili che li separano dagli eletti. Se i gruppi intellettuali, e soprattutto quelli più prestigiosi, sono protetti in modo tanto formidabile dai rischi dell’oggettivazione, ciò non succede solo per il fatto che, per padroneggiare praticamente i meccanismi che definiscono l’appartenenza, bisogna farne parte, o per il fatto che coloro che ne fanno parte non sono evidentemente i più inclini a oggettivarli, mentre coloro che non ne fanno parte rischiano sempre di ignorare l’essenziale, e sono comunque sospetti di essere spinti dalla loro esclusione ad una visione fondata sul risentimento, e quindi riduttiva. C’è anche il fatto che non è possibile oggettivare il gioco intellettuale, se non a condizione di mettere in gioco la propria appartenenza a questo stesso gioco, rischio che è insieme irrisorio ed assoluto.
Da P.Bourdieu – La distinzione, critica sociale del gusto. p.168
In altre parole, ritengo che la “logica militare” di cui alcuni hanno parlato sia effettivamente presente nei fatti anche senza essere necessariamente presente nelle coscienze e nelle intenzioni. Le ambizioni extra-letterarie (“politiche”) di N.I. mi sembrano molto alte e richiederebbero il coordinamento di molte menti sopra a delle tematiche estremamente difficili e scabrose: la scorciatoia di un certo autoritarismo mi è sembrata più una necessità disperata che non una scelta. Ma per risultare, in questo alto e difficile compito, convincenti verso l’esterno, essi dovevano perlomeno predisporsi a rispondere – con estrema pazienza – a molte domande, probabilmente troppe in rapporto ai vincoli immanenti, di cui ovviamente nessuno ha colpa. Rimane il possibile, mezzo vuoto per alcuni, mezzo pieno per altri.
Mah, da fuori io ho sentito la logica militare solo in occasione della questione su Caliceti che poi ha portato molti a vedere malissimo il convegno sulla restaurazione. Però, se anche è stato così, è un errore punto e basta: le fesserie le facciamo tutti, pace. Certo che se per quell’errore (nemmeno riconosciuto tra l’altro) la Benedetti se ne va, diventa un errore ancora più grande. Ancora una volta, pazienza. NI può andare avanti lo stesso, c’è gente in gamba dentro e sarebbe veramente una buona idea che entrasse Piero Sorrentino. Moresco ha scritto che NI fa/farà piccolo cabotaggio, però anche che il suo archivio è un grandissimo contributo. Io credo più alla seconda, e l’archivio può crescere ancora. D’altra parte, se Tiziano, Moresco e la Benedetti non sentono più il progetto non possono che andarsene. Vuol dire che il tempo risparmiato lo useranno – ne sono sicurissimo – per scrivere grandi libri, di cui finalmente, essendo esterni, Nazione Indiana potrà parlare.
E finisco rinnovando l’urlo fanatico nei confronti di Andrea Inglese e aggiungendone uno anche per Helena.
Dai continuate!
Salutoni e in bocca al luvo.
ps, però se NI continua, le dimissioni del Monta sarebbero da respingere…
Ciao Bernardo
Beh, Paradiso è impietoso e impeccabile. Io consiglierei ai superstiti indiani di ripartire da lì, dalla storia del Coyote (se proprio hanno voglia di ripartire).
Paradiso dice cose dell’altro mondo.
(ahahahah)
Gli eventi di questi giorni mi hanno portato a riflettere su che cosa sia NI rispetto anche al mondo blog e perché io ci entri quasi ogni giorno.
Fino a qualche mese fa lo consideravo un esperimento molto elitario, nato e alimentato come se fosse un’interminabile lettura per pochi, che poi si ritrovavano nei commenti, come in un enorme salotto autoreferenziale.
Poi, non so come, c’è stata (o l’ho percepito io) un’apertura ad altri percorsi, a parole maturate altrove (penso solo alla recente pubblicazione del testo di Max Viel).
Ecco, oggi NI ha una forza innovativa attraverso la pubblicazione di testi, di recensioni o di poesie che messe su internet in modo libero, al di là delle scuole di appartenenza, attraggono nuove comunità, nuove persone, che ormai considerano appuntamento quotidiano l’entrare in NI per il gusto di farlo e per arricchire la loro giornata e le loro basi di conoscenza.
Quando mai ricapiterà un’occasione del genere?
La gratuità del progetto di NI e le possibilità di incontro e di pensiero che scatena sono proprio la sua forza.
Pensando a questo, sono curiosa di vedere che cosa porteranno i cambiamenti degli ultimi giorni in NI, e la mia richiesta va a voi,perché proseguiate a tener vivo lo spazio di incontro e di espressione di Nazione Indiana. Proprio questa, senza ulteriori mutazioni genetiche di nomi, di spazi, di colori.
andate, andate: era ora. buffoni. buffoni in malafede. puah
Sempre mi gloriò l’esser buffone
molto meglio che far il servo
ehi, bella risposta cf05103025. grazie.
(però mi chiedo, fare il buffone è per forza solo alternativa a esser servo, o può essere a sé stante?, cioè uno può essere buffone e basta, e anche se non lo è non deve essere necessariamente servo? – tieni conto che non uso la parola buffone con in mente la sua etimologia e il suo significato storico, ma nel senso che io oggi sento che ha, cioè di persona che ha un comportamento poco serio… anzi adesso che mi ci fai pensare, in effetti l’ho usata un po’ come insulto e se ci penso non so che significato darle.. ecco, era per dire che mi hanno fatto ridere, ma non la risata del comico che mi diverte, ridere per incredulità – ma possibile che non vedano? che non si rendano conto che non si capisce cosa vogliono? che danno contro a non si sa chi (Mozzi? Montanari? Nove? noi lettori? i commentatori che osano prendere parola? o solo i commentatori che insultano?) e non si capisce per cosa, o meglio quel che sembra di capire è che danno contro a certi perché la pensano diversamente su certe cose, perché hanno espresso parere contrario – allora mi chiedo ma sono seri? ma credono seriamente di poter prendere in giro tutti? o non si rendono conto? ma questo io non posso crederlo.. e mi arrabbio e arrivo a insultare dando dei buffoni. scusate.)
la “mentalità” di paradiso e il suo stile ironico e pungente a me sembrano lucidissimi, altro che cinismo. di “cinismo italiano” al contrario mi pare intrisa tutta questa triste vicenda indianesca, fatta di lotta per il potere – e tra poteri – ma travestita con il solito intellettualismo provinciale da belpaese, secondo il quale la responsabilità dello status quo è sempre di qualcun altro, mai la nostra. andrea inglese farebbe bene a riflettere non sugli “errori” (quelli li facciamo tutti) ma proprio sul metodo e sui modi in cui si sta insieme e ci si propone al pubblico e agli altri. in NI, nonostante l’apparente disponibilità e democraticità dei commenti, è mancata appunto una capacità vera ed effettiva di dialogare con gli altri, ricadendo infine nei soliti meccanismi socialmente dominanti, secondo cui conta apparire, pubblicizzarsi, avere clienti, pesare più degli altri (vedi gli atteggiamenti di benedetti e moresco). su questo, paradiso ha proprio ragione, ahimé.
m.t.
gli errori si fanno nel metodo come nella sostanza, Tarcone; “apparire pubblicizzarsi avere clienti”: è la solita solfa che ritorna; che cosa intendi? un blog sulla rete è basato sull’idea di rendere pubblico uno scritto, un pensiero; e allora? qual’è il problema? il problema è semmai “che cosa vale la pena di rendere pubblico su un blog in rete?” Vuoi accusare uno scrittore perché pubblica un libro? Vuole apparire, si fa pubblicità, cerca clienti? Comincia col discutere DI QUELLO CHE SCRIVE, e poi varrà forse la pena continuare
Penso che in assenza di obiettivi, valori e persino di “concetti” condivisi (al posto dei quali vi era soltanto una pletora di fraintendimenti basati su stereotipi e luoghi comuni) non si possa neppure parlare di “errori”: ciascuno ha fatto le proprie mosse, all’interno di obiettivi propri e “costellazioni” psicologiche irriducibili. No problem whatsoever, finiamola con le lagne.
(btw Ciao Temperanza!)
Bernardo, la tua citazione di Bourdieu e tutto il resto sono assai degne di nota – secondo me, in assenza di punti di vista ecc…)
E grazie per tutti gli incoraggiamenti! Di tutti, of course, e magari pure dei necrologi che- così narra la leggenda- allungano la vita.
i necrologi e le cerimonie funebri allungano la vita verso “altri” mondi, ci trasportano altrove. io spero, per NI e per quelli che continueranno a lavorarci, che riescano almeno ad evocarlo, questo altrove, agendo in tutt’altri modi e mondi, riuscendo infine a sfuggire al mefistofelico coyote.
m.t.
ho appena finito di vedere “vero amore” con la defilippi, una specie di grande fratello che mette a prova la lealtà o la sincerità delle coppie. propongo una cosa simile per i lettarati o gli intellettuali di nazioneindiana. oppure che ci si metta a parlare e a scrivere di cos’è l’amore. dai. vediamo cosa si può DIRE dell’amore. per me niente, ma io non sono uno scrittore. vi lancio una palla. vediamo chi accolgie. (per me nessuno)
per l’ennesima vola, la Benedetti Carla cita il moresco in un suo pezzo sull’espresso (parlando del romanzo di massimiliano parente), naturalmente in positivo (per il parente e per moresco). Ma la vogliamo fare finita? Ma un critico non deve anche “criticare”? E poi: ma la Benedetti ha letto solo Moresco?