Su “Gotico americano” di William Gaddis
Di Andrea Inglese
(Una versione più breve di questo articolo è apparsa nella rubrica “Gli introvabili” de il manifesto 4/12/07)
Di William Gaddis, uno dei massimi romanzieri statunitensi della seconda metà del XX secolo, il lettore italiano dispone oggi di un quinto soltanto dell’opera in traduzione italiana. Se il motto della nostra editoria, per quanto riguarda il panorama letterario statunitense, potrebbe suonare “Nulla resterà impubblicato”, non si capisce perché un pesce grosso come Gaddis sia facilmente passato tra le maglie. Senza sollevare, per altro, troppo scandalo presso lo stuolo di consiglieri culturali che ci tengono aggiornatissimi sulle correnti e le sigle letterarie più in voga oltreoceano. Dei suoi cinque romanzi, solo il primo, Le perizie (The Recognitions, 1955), è rintracciabile in libreria nell’edizione economica Mondadori del 2000, che riprende la traduzione di Vincenzo Mantovani apparsa nel 1967. JR (1975), A Frolic of His Own (1994) e Agape Agape (2002), uscito postumo, sono finora preclusi al pubblico italiano. Sorte diversa è toccata a Carpenter’s Gothic (1985), pubblicato da Leonardo nel 1990 con il titolo Gotico americano, ma oggi fuori catalogo.
Eppure proprio Gotico americano è un’opera cui gioverebbe moltissimo una riedizione. Si tratta probabilmente di uno dei romanzi più impietosi mai scritti sulla società statunitense. Un romanzo che, pur essendo vecchio di circa vent’anni, ci permette di leggere l’odierno disastro dell’amministrazione Bush alla luce dei presupposti ideologici più remoti e radicati che lo hanno reso possibile. (Bush, in questa prospettiva, non è una deplorevole eccezione, ma il coronamento politico di tendenze fasciste ben radicate in molteplici realtà sociali degli Stati Uniti: dai suprematisti bianchi alle milizie patriottiche, dai seguaci della Christian Coalition agli iscritti della National Rifle Association.) Il romanzo di Gaddis esplora i grandi demoni nazionali, riconducibili a quell’intreccio tra avidità cinica e ignoranza fanatica che permettono alleanze devastanti tra il capitale e il fondamentalismo religioso. Ma in Gotico americano la satira politica sfocia in una più cupa satira di civiltà: il progresso economico e tecnologico si realizza non solo distruggendo ogni forma di ossatura etica nei rapporti tra le persone, ma annienta persino ogni occasione di felicità individuale. Ad un livello più profondo, l’impianto satirico di Gaddis si trasforma in impianto tragico: la strada che l’umanità imbocca per salvarsi è la stessa che la conduce alla sua rovina. Questa condizione è poi vera per ognuno dei singoli personaggi del romanzo.
L’intera vicenda si svolge all’interno di una casa in legno che richiama lo stile gotico vittoriano. Gaddis rispetta rigidamente l’unità d’azione e l’intreccio, basato quasi esclusivamente sui dialoghi tra i quattro personaggi principali, ha un evidente carattere teatrale. Ma il limite spaziale è posto per essere fatto esplodere attraverso procedimenti propriamente romanzeschi: i dialoghi, innanzitutto, sono sottoposti a forme di frammentazione, amplificazione e ridondanza, tali da minare qualsiasi velleità di mimesi realistica. In secondo luogo, le quattro mura sono di continuo percorse da flussi di informazioni, che provengono dai più svariati media: posta, radio, telefono, televisione, stampa. Gaddis giunge così a fondere in un modo originale le tecniche stranianti del montaggio con la ricreazione di un parlato vivo e sempre individualmente caratterizzato.
Il lettore è così confrontato al primo paradosso che struttura l’intreccio romanzesco: la relativa immobilità spaziale, l’unità di luogo del teatro tradizionale, si accompagna ad una sorta di perpetuo decentramento rispetto sia ai flussi comunicativi dei vari media sia rispetto alla portata delle proprie azioni economiche, investimenti o richieste di fondi o speculazioni finanziarie, che rompono ogni vincolo e limite spaziale, geografico. La cornice da dramma a huis clos, claustrofobico e iperpsicologico, viene utilizzato, in realtà, per esplorare la condizione di delocalizzazione perenne a cui sono sottoposti i personaggi, inseriti nei molteplici flussi comunicativi della società dell’informazione e in quelli finanziari dell’economia globalizzata.
Il secondo paradosso di Gotico Americano potrebbe essere formulato così: un romanzo polifonico, in cui la comunicazione è azzerata. Il romanzo è costruito, sempre nel rispetto della sua ossatura teatrale, secondo una prevalenza del momento dialogico, a scapito di ogni forma di narrazione indiretta e sintetica. Ad incorniciare e punteggiare il continuo dialogico intervengono dei brevi ma fondamentali passaggi descrittivi, estremamente densi di connotazioni allegoriche o metaforiche (scorci di paesaggio “televisivo” o di finestra sul cortile). Tanto più i personaggi dialogano, comunicano tra loro, invece di agire non verbalmente, tanto meno si comprendono, entrano in empatia. Abbiamo qui un rovesciamento ironico ed amaro del leit-motiv modernista dell’incomunicabilità tra le persone: se c’è qualcosa che non scarseggia nelle società tecnologicamente sviluppate sono le occasioni di comunicazione, via telefono, fax, posta, televisione, giornali. Ma questo flusso di comunicazioni è sottoposto a forme d’interferenza che crescono con il crescere degli atti comunicativi. Il risultato finale, da un punto di vista statistico e dei grandi numeri, di una comunicazione diffusa e intensificata è un grado crescente di incomprensione. Vi è un effetto di alea del tutto incontrollabile da parte dei singoli individui o gruppi attivi nel produrre, gestire, manipolare le informazioni. Incontriamo qui, in filigrana, la struttura tragica che sottende l’intreccio di Gaddis. Struttura che svela un mondo i cui protagonisti sono perduti, quanto più s’impegnano per la loro salvezza: la corsa all’arricchimento senza scrupoli è ciò che li impoverisce umanamente ancor prima che economicamente; la pretesa di comunicare di più e più velocemente, li espone al rischio crescente di equivoco e incomprensione.
(L’equivoco, che è un procedimento prevalentemente comico, cessa in Gaddis di suscitare il riso, perché esso funziona per crescita esponenziale, pur muovendo da minime interferenze nell’ordine dello scambio comunicativo più ordinario. L’equivoco cresce, si rafforza, si moltiplica, e costringe i personaggi ad un perpetuo sforzo per ristabilire il valore semantico originario, autentico, di una espressione; sforzo vano, però, in quanto si risolve in una rincorsa paradossale, nella quale ogni possibile chiarimento si presta a nuovi ed imprevisti equivoci. La ragione dell’equivoco esponenziale è da ricercare innanzitutto nella velocità con la quale avvengono le comunicazioni. La velocità, infatti, costituisce uno dei principali e prioritari valori dello scambio comunicativo, tale da porre in secondo piano il contenuto semantico che dovrebbe costituirne la base. Comunicare prima degli altri, è più importante di ciò che si comunica. La comunicazione, infatti, è un aspetto integrato della strategia economica e di potere in cui sono impegnati quasi tutti gli individui dell’universo romanzesco di Gaddis. La comunicazione non è mai un atto indipendente, autonomo, tra un individuo ed un altro, o tra un gruppo di individui e degli altri, bensì un aspetto secondario di un progetto d’arricchimento. Non vi è possibilità di veloce e decisivo arricchimento, se non passando attraverso le forme di manipolazione dell’informazione (intervento sulle masse) e di manipolazione politica (intervento sulle élite). La tempestività della comunicazione è strettamente associata alla parzialità di essa, e in questo gioco, governato da uno scontro tra pure volontà di potenza, la comunicazione e l’informazione sono destinate ad un crescente pervertimento.)
Il personaggio centrale, intorno a cui ruotano tutti gli altri, è la trentatreenne Elizabeth Booth, figlia ereditiera di un magnate dell’industria mineraria. Elizabeth appare come il personaggio più fragile della vicenda, ma anche l’unico in cui persista ancora una coscienza morale del tutto assente, smarrita o rinnegata negli altri tre. Il marito Paul riassume in sé i tratti del megalomane, del paranoico e dell’arrampicatore spietato. Egli passa il tempo a mettere in piedi progetti di facile ed eclatante arricchimento, sprofondando nei debiti ogni giorno di più. All’inizio della vicenda è impegnato come consulente per le comunicazioni del predicatore evangelico Ude. Costui vuole impiantare in un paese dell’Africa nera un centro radio per l’evangelizzazione, finanziato con le donazioni dei fedeli americani. Billy, il fratello di Elizabeth, in attesa che si sblocchi l’eredità paterna, trascina la sua esistenza tra droga e buddismo. McCandless, infine, è un geologo dal passato avventuroso. Ha viaggiato in Africa e lavorato per la CIA. È l’uomo lucido e disincantato che coglie perfettamente il meccanismo generale che dal mantenimento dell’ignoranza ottiene ottusità, e dall’ottusità paura, e dalla paura quell’odio su cui il grande capitale può speculare su larga scala, favorendo guerre all’estero ed esclusione all’interno del paese.
La grandezza di Gotico americano non è comunque riducibile ad una critica dell’ideologia per via romanzesca. L’impianto tragico della vicenda, infatti, svela come ogni tentativo compiuto dai personaggi per sfuggire alla casualità della loro esistenza, e quindi all’indifferenza etica che li caratterizza, sarà per loro funesto. In una società ormai definitivamente malata, ogni sussulto di salute può essere letale. Su questo fosco paradosso si chiude il romanzo di Gaddis, senza contemplare alcuna forma di speranza.
Di Gaddis ho letto solo A frolic of his own, che è (anche) una sorta di satira del mondo degli avvocati statunitensi. Nella tua descrizione di Gotico americano ritrovo lo stesso gusto della complessità strutturale (che non preclude una fruizione immediatamente politica, quasi pamphlettistica – ed è un complimento -, dell’opera), la vertiginosa bravura nei dialoghi, la vena sarcastica di una rara e salutare acidità. Una satira sociale spinta all’estremo, che fa esplodere la propria definizione di partenza per spingerla sino ai limiti – non superati, ma del tutto corrosi – appena prima di una forma romanzesca ‘indecidibile’, perfettamente policentrica. Un grande scrittore.
Bell’articolo, complimenti.
Vero, è un bellissimo articolo.
Perché non creare altri tipi di categorie per raggruppare gli articoli: si potrebbe pensare a una categoria per la poesia e una per articoli come questo che recensiscono e allo stesso tempo portano in evidenza paradossi/disfunzioni/amenità della politica editoriale (si potrebbe anche inquadrare in una doppia categoria: “recensioni” e “tristezza editoriale”).
Per esempio, nel blog di georgia c’è la categoria “critica intelligente” e ogni articolo viene definito in più categorie a seconda degli aspetti, in modo che siano facoli le ricerche incrociate. La categoria “carte” è troppo generica. Una cassettiera con un solo grande cassetto è scomoda.
Mi associo ai complimenti : mi hi fatto venire voglia di leggere questo Gaddis, visto che ne Le perizie avevo visto soprattutto il tema della falsificazione dell’esperienza trattato a metà strada tra angoscia e snobismo da Village.
Altro discorso interessante è quelle relativo alla scarsa traduzione di Gaddis, a cui dovremmo aggiungere un altro grande come Coover: che io sappia non è tradotto in italiano nemmeno il romanzo su Pinocchio. Per non citare autori di altree aree linguistiche come quel Calaferte che tu stesso mi hai segnalato qualche anno fa e Hilbig e Arno Schmidt in Germania, per non parlare di un paio di autori slovacchi; ma da quella lingue si sa che l’unica probabilità di essere tradotti è che l’autore diventi famoso per qualcos’altro, che so un evento di cronaca nera o sportiva.
Si dovrebbe forse provare a fare recensioni di libri non tradotti
Giorgio
mi unisco ai complimenti (e dico che sono già in cerca del libro – che per altro leggerò insieme a quella cosa bellissima segnalata da raos – il racconto di antichi eventi – che non c’entra niente ma che mi ha conquistato con un paragrafo!). cmq, per rimanere nel post-modern usa da scoprire e/o riscoprire, ci metterei sicuramente il grandissimo “coltivatore del maryland” di barth che non ripubblicano credo dagli anni ’70 e il paradigmatico (ma sì sprechiamo gli aggettivi ;-) “biancaneve” di barthelme. infine segnalo david markson che ha scritto delle cose favolose (tipo “this is not a novel”) mai arrivate in italia se non in rivista, per le benemerite traduzioni di damiano abeni. di coover ho apprezzato davvero molto l’unico libro che ho letto: “sculacciando la cameriera”, una specie di fantasmagoria sadico-combinatoria.
qualcosa di paragonabile, ma successivo di almeno un paio di generazioni, lo troverei nell’ “ammezzato” di nicholson baker, a suo tempo uscito con einaudi e credo mai più ristampato. favoloso.
Libro angoscioso e magistrale, che in qualche modo mi ha ricordato Le onde della Woolf.
E gran pezzo critico di Inglese, pieno di spunti, da rileggere con calma.
avete notato come somiglia a Fini lo scrittore in foto? Impressionante!
Sono riuscita a trovare di William Gaddis solo il libro “Le Perizie”.
Qualcuno di voi l’ha letto ?
p.s. complimenti per Andrea Inglese: l’articolo è ottimo.
Mi è capitato di linkare in un blog di amici questo articolo di Inglese e naturalmente ho rinviato anche a una pagina su di lui http://www.poetilandia.it/poetilando/andreainglese.html
Beh, rileggendo alcune cose su quella pagina ho pensato di essermi scordato quanto è bravo a fare poesia.
grazie per il link al pezzo di Gaddis (e per i complimenti)