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di Sergio Garufi
Ho copiato Giulio Mozzi. Una volta lui ha scritto che quando legge un bel libro gli viene voglia di telefonare all’autore per chiedergli delucidazioni. Io ho telefonato a un personaggio. Lo si incontra a pag. 383 de Il disordine perfetto, l’ultimo volume di Marcus Du Sautoy (Rizzoli). Il personaggio in questione si chiama Leonardo Fogassi. L’episodio che lo vede protagonista è una delle storie più affascinanti che mi sia capitato di leggere. Si svolge in un laboratorio scientifico dell’Università di Parma, un giorno imprecisato di 16 anni fa. Fogassi stava indagando su quali neuroni si accendono nel cervello quando le scimmie muovono le mani in determinati modi. Questi neuroni sono chiamati “neuroni motori”, perché presiedono alle capacità motorie. Assieme a Vittorio Gallese e Giacomo Rizzolatti, con i quali conduceva queste ricerche, Fogassi aveva attaccato degli elettrodi alla corteccia frontale delle scimmie, in modo tale da individuare gli specifici neuroni che si accendono per ogni specifico movimento. Quando gli elettrodi erano collegati a una particolare zona del cervello, ogni volta che la scimmia allungava la mano per prendere una nocciolina la macchina emetteva un suono, per indicare che i neuroni si stavano accendendo.
Quel giorno del ‘91 Fogassi era solo in laboratorio. Aveva trascorso tutta la giornata osservando le azioni delle scimmie e registrando i suoni corrispondenti sulla macchina. Soddisfatto dei risultati ottenuti, iniziò a riordinare il laboratorio. Ma quando stese la mano per portar via le noccioline la macchina improvvisamente suonò. Che strano, pensò. Quando distese la mano per prendere un’altra nocciolina vide che la scimmia seguiva il suo movimento con gli occhi e sentì ancora il suono. Ma la scimmia non aveva affatto mosso la propria mano. Fogassi temette che l’attrezzatura potesse essere difettosa. Controllò e vide che funzionava perfettamente. Anche se di fatto la scimmia non stava prendendo una nocciolina, sembrava che i neuroni del suo cervello si accendessero, come per creare una versione virtuale di quell’azione. Non erano i neuroni motori ad accendersi, ma qualcosa che i ricercatori battezzarono “neuroni specchio”, o neuroni scimmiottanti. Vedere qualcun altro che compie un’azione sembra una cosa molto diversa dall’immagine che uno ha di se stesso mentre esegue la medesima azione; tuttavia, l’attività del cervello è quasi identica. Qualcosa nel cervello trattiene dal mandare un segnale per compiere realmente l’azione. Ma ciò a volte non funziona: il segnale parte lo stesso e il corpo copia l’azione che sta osservando. Il caso più frequente è lo sbadiglio. Se vediamo qualcuno che sbadiglia ci viene da sbadigliare pure se non siamo stanchi. L’accensione dei neuroni specchio sta producendo nel nostro corpo il desiderio di riflettere in una perfetta simmetria l’azione della persona di fronte a noi.
Per il neurologo Vilayanur Ramachandran i neuroni specchio rappresentano per la psicologia ciò che il DNA ha rappresentato per la biologia. Una scoperta sensazionale dalle infinite ripercussioni. Alcuni scienziati ipotizzano addirittura che costituisca il Big Bang dello sviluppo culturale degli uomini. Circa 40.000 anni fa qualcosa innescò una forte e rapida espansione dei neuroni specchio nel cervello umano. All’improvviso gli utensili degli uomini preistorici divennero più raffinati. Pezzi di roccia furono modellati in punte di frecce simmetriche. Gli strumenti furono abbelliti da disegni che replicavano degli stilemi particolari, perché il cervello stava diventando sempre più attratto dalle forme simmetriche.
I neuroni specchio contribuiscono pure a spiegare la sorprendente abilità dei bambini a emulare in modo così perfetto la mimica facciale dei genitori, pur non avendo alcuna idea di che aspetto abbia la loro stessa faccia. Quando i suoi genitori tirano fuori la lingua, un bambino è in grado di ripetere l’azione. Il bambino non ha bisogno di pratica davanti allo specchio per copiare l’espressione facciale dei suoi genitori, sono i suoi neuroni specchio ad accendersi, creando nel suo cervello una copia dell’azione. Questi neuroni specchio hanno probabilmente aiutato gli esseri umani a sviluppare abilità linguistiche più sofisticate. L’acquisizione del linguaggio dipende dal rispecchiare i suoni prodotti da altri. Difatti, la collocazione dei neuroni specchio è simile per posizione, origine e struttura evolutiva all’area di Broca del cervello, che ha a che fare con il linguaggio. In sostanza, i neuroni specchio permettono all’animale di capire cosa fanno gli altri. Perché per comprendere cosa fa un altro individuo non occorre un complicato processo cognitivo, basta un raccordo tra azione osservata e azione codificata dai neuroni motori. Quando i neuroni specchio si attivano passivamente segnalano all’organismo la stessa azione di quando la compiono. In questo modo l’individuo che osserva si mette nei panni dell’attore dell’azione. Io capisco cosa fa un altro perché questo suscita in me la stessa attività neuronale di quando io faccio quell’azione. L’empatia, la capacità di questi neuroni specchio di aiutarci a entrare nella testa degli altri, è anche considerata una sorta di chiave per unire gli esseri umani in gruppi con chiare identità culturali. Si pensi alla comunità degli Amish, o al fenomeno degli skin heads, gruppi perfettamente omologati all’interno dei quali l’individuo costruisce la propria identità differenziale. I neuroni specchio custodiscono inoltre la chiave per comprendere patologie gravi quali l’autismo. L’incapacità di immedesimarsi negli altri potrebbe essere dovuta a un sistema di neuroni specchio ipofunzionante, che non si attiverebbe durante l’osservazione degli altri.
Tempo fa, nel post Simmetrie e coefficienti di correlazione, riferii la sentenza di Samuel Taylor Coleridge secondo la quale “tutti gli uomini nascono aristotelici o platonici”. Quando devo dichiarare le ragioni per cui sento di appartenere alla seconda categoria, in genere metto in rilievo la ricerca dei nessi, delle affinità segrete che legano le cose e le persone. Senza per questo disconoscere le differenze, il platonico è qualcuno che pensa che il destino sia comune, che ciò che ci succede non sia mai solo nostro. Gli eventi importanti della vita: nascere, crescere, scoprire il mondo, innamorarsi, soffrire, morire, sono cose che ognuno vive in modo irripetibilmente suo, individuale, ma anche a nome di tutti, perché ognuno di noi è un coro. Questo atteggiamento col tempo è diventato qualcosa di più di un abito mentale, è una specie di ossessione. Le discussioni con la fidanzata, un amico o un cliente vengono valutate in base al criterio della reciprocità, cioè immaginando come mi sarei comportato se fossi stato nei loro panni, a ruoli invertiti. Così facendo, si giunge spesso alla conclusione che le posizioni dell’altro non sono poi così astruse come si pensava inizialmente.
Altra convinzione tipica del platonico è quella secondo cui “Dio opera sempre attraverso principi geometrici”, e la geometria perfetta, il riflesso più evidente dell’armonia del mondo, è la simmetria. La maggior parte dei fenomeni naturali tende a questa caratteristica, giudicata la condizione più stabile. Il fiocco di neve è simmetrico. Il corpo umano è simmetrico. La goccia di pioggia che cade dal cielo non ha, come si crede, la forma a lacrima con cui viene generalmente rappresentata. Quella è solo la convenzione artistica per comunicare l’idea del movimento. La vera immagine di una goccia di pioggia che precipita è una sfera perfetta, ossia il solido tridimensionale con la simmetria più accentuata.
Mentre leggevo il libro di Marcus Du Sautoy, il cui sottotitolo è L’avventura di un matematico nei segreti della simmetria, ero a Istanbul in vacanza. L’albergo si trovava nel centro storico, a poche centinaia di metri dalla Moschea blu e da Santa Sofia. Malgrado la maggior ricchezza storica e figurativa della seconda, il mio sguardo era irresistibilmente attratto dalle elegantissime proporzioni simmetriche della prima. Il fatto poi di aver saputo che l’epoca in cui venne costruita (il XVII sec.) e perfino alcuni dei suoi architetti erano gli stessi del Taj Mahal, accrebbe ulteriormente la mia ammirazione per quel capolavoro di armonia. Ma è anche vero che esistono armonie non così i evidenti e immediatamente intelligibili, armonie e bilanciamenti talmente complessi da non risultare affatto, se non agli spiriti più sensibili. Armonie che, se analizzate con logiche tradizionali, possono apparire frutto del caso. I numeri primi, per esempio, l’ultimo grande enigma della matematica. La loro irriducibilità, quel loro stagliarsi come monadi isolate all’interno di un sistema perfettamente coerente, mi ha sempre procurato un certo disagio, come l’ultima tessera di un puzzle che non si inserisce laddove dovrebbe. Di questo disagio avevo accennato in un racconto intitolato self control 4-7, ed è forse lo stesso disagio che ha spinto generazioni di matematici come Carl Friedrich Gauss a cercare di dare un ordine a quella sequenza imprevedibile (2,3,5,7,11,13,17,19,23,29,31…). Chissà, forse quando si proverà la suggestiva ipotesi di Bernhard Reimann, che descrisse un paesaggio immaginario in cui i numeri primi si convertono in musica, allora quel giorno il puzzle sarà completo, e noi potremo finalmente ascoltare ammirati l’armoniosa melodia della creazione.
E’ sempre questione di nessi, di affinità segrete da scoprire. Ciò che lega i numeri primi fra loro, il mistero di quelle note apparentemente indipendenti le une dalle altre, e ciò che unisce le cose e le persone. I matematici son tutti platonici per definizione, e il platonico ama l’astrazione. Per lui ogni essere umano è solo la copia di un’idea. Christian Raimo lamenta, nel suo recente post intitolato Sorellastre, il luogo comune letterario e cinematografico che ritrae i matematici come dei simil-autistici, dei geni strampalati e misantropi. E’ un luogo comune fino a un certo punto, se lo stesso Du Sautoy, sia ne L’enigma dei numeri primi che ne Il disordine perfetto, riferisce della ricerca dalla quale risultò che nei dipartimenti di matematica c’è una percentuale di persone affette da Sindrome di Asperger più alta rispetto a ogni altro dipartimento universitario. Per chi non lo sapesse, Hans Asperger era un pediatra viennese che identificò quella sindrome nella sua tesi di dottorato del 1944, descrivendola come una variante ad alto funzionamento dell’autismo. In pratica, la Sindrome di Asperger sta all’autismo come la distimia sta alla depressione. Sono le versioni socialmente accettabili di quelle terribili patologie.
I sintomi più evidenti della Sindrome di Asperger sono la difficoltà nella comunicazione non verbale, l’adozione di comportamenti stereotipati, un forte impulso a sistematizzare, una ristrettissima cerchia di interessi e una scarsa propensione alle interazioni sociali. Dal che si desume che questa sindrome appartiene anche ad altre categorie professionali, tutte più o meno rinserrate in un loro mondo di astrazioni. Mi vengono in mente gli informatici creativi di JPOD, il romanzo di Douglas Coupland, che inventano una “macchina degli abbracci” che aziona dei cuscini che ti stringono, dandoti la sensazione piacevole del calore umano senza il pericolo di un coinvolgimento emotivo. Ma penso che atteggiamenti simili siano riscontrabili anche in molti letterati con frequenti crisi di panico e stati d’ansia, e questo forse potrebbe costituire un inquietante punto di contatto fra due discipline che vengono comunemente presentate come antinomiche o quasi.
Ne Le particelle elementari di Michel Houellebecq, per esempio, i fratellastri protagonisti del romanzo sembrano appunto simboleggiare il conflitto fra scienza e umanesimo. La soluzione di questo conflitto prospettata dal francese sembra andare in direzione antiumanistica. Alla fine l’umanità decide la propria liquidazione come un esperimento fallito, col ricorso a un’eutanasia su scala planetaria. L’essere umano viene sostituito da cloni indefferenziati. La de-antropizzazione dell’uomo è affidata alle scienze biologiche. Ma se è vero che il geniale biologo misantropo e il pornomane inveterato che insegna lettere, diversi in tutto tranne che nell’origine e nella fine – ossia nell’avere uno stesso genitore e nel morire tragicamente -, incarnano quella divaricazione stigmatizzata da Raimo, è altrettanto vero che non di rado proprio le teorie scientifiche più avanzate finiscono per ricorrere alla vecchia sorellastra letteratura al fine di illustrare con metafore libresche i concetti più ardui.
E’ il caso di Nima Arkani-Hamed, il 35enne di Berkeley che ha postulato l’idea che il nostro universo sia solo uno tra un’infinità di quelli esistenti, (“quasi fosse una pagina in un tomo alto 10 cm.”). Senza parlare poi delle enormi implicazioni filosofiche che avrebbero queste teorie qualora fossero dimostrate; e penso sia ai numeri primi che al “multiverso”. Per il riscontro di quest’ultimo non dovremo aspettare ancora molto, basterà attendere la fine di quest’anno, con l’entrata in funzione del Large Hadron Collider, l’acceleratore di particelle del Cern di Ginevra. Qui si condurranno una serie di esperimenti che daranno indicazioni sui primi istanti di esistenza dell’Universo, e si spera in quell’occasione di scoprire l’esistenza di particelle che nel gergo della fisica teorica sono dette, guarda caso, “supersimmetriche”.
Questo rapporto osmotico, benché all’apparenza residuale, fra le varie discipline che investigano il reale, ci invita a considerare il sapere come qualcosa di profondamente unitario. Le forme artistiche della conoscenza investono solo alcuni aspetti dei fenomeni, così come i modelli filosofici e scientifici ne affrontano altri, e non è ragionevole disprezzare nessuno di questi approcci (come il colore rosso, che nel film di Kieslowski allude al destino, nella simbologia politica ha altri significati, in quella erotica altri ancora, mentre per la scienza è un’onda elettromagnetica di una determinata lunghezza).
Per Nabokov, l’intreccio dei diversi linguaggi che indagano il Gran Libro della Natura era addirittura inevitabile, se si concorda con la sua idea che l’invenzione creativa presuppone necessariamente un’ispirazione di natura poetico-matematica. La metrica non è soprattutto calcolo del numero di sillabe indispensabile per ottenere un certo effetto musicale, di ritmo interno ai versi? E l’anafora non è forse un efficace strumento retorico per suggerire un effetto di simmetria nella composizione?
Come nel caso del macaco di Fogassi, il cervello dell’uomo sembra programmato per scovare un significato nei calchi, nelle ripetizioni, nei rispecchiamenti. Questo è il motivo per cui Rorschach ideò le macchie simmetriche d’inchiostro, quale mezzo utile a sollecitare l’inconscio del paziente. La letteratura postmoderna ha fatto un vanto di quest’opera di copiatura di modelli precedenti, quasi a voler esorcizzare “l’angoscia dell’influenza” di cui parlò Harold Bloom. Secondo Michael Maar, Lolita è un plagio di un racconto breve con lo stesso titolo pubblicato molti anni prima da Heinz von Eschwege, scrittore tedesco vissuto a Berlino per diversi anni nello stesso periodo di Nabokov. Non vi sono brani identici, ma oltre allo stesso titolo l’eroina eponima del tedesco è anch’essa una ninfetta della quale si innamora il narratore, un uomo più grande di lei simile a Humbert Humbert. Ciononostante, la collazione dei due testi fa pensare più a un’imitazione creativa che a un plagio, in cui l’opera successiva migliora la fonte d’ispirazione. La verità è che esistono diversi tipi di plagio, non tutti necessariamente fraudolenti, come evidenzia Richard A. Posner nel saggio Il piccolo libro del plagio (Elliot edizioni). L’autoplagio, per esempio, in cui uno scrittore copia brani di suoi scritti precedenti (articoli parzialmente riciclati per riviste differenti, lettere d’amore pressoché identiche inviate a donne diverse).
L’ultimo scandalo letterario francese riguarda un’accusa di “plagio psichico” rivolta da Camille Laurens a Marie Daurrieussecq. La prima aveva scritto anni fa un libro, Philippe, dolente resoconto della morte del figlio neonato; e in questi giorni la Daurrieussecq ha pubblicato un romanzo, Tom est mort, al cui centro c’è ancora la morte di un bambino narrata con parole simili a quelle usate da Laurens. Il “plagio psichico” consisterebbe nel ricalcare non frasi o idee, bensì emozioni. Fra i vari commenti apparsi in seguito sulla stampa francese, ho condiviso quello di Philippe Lançon su Libération, che ha affermato che “la letteratura è un plagio riuscito”, aggiungendo che l’accusa non regge per il semplice motivo che la copia è un racconto molto più scadente dell’originale. Eliot, la cui Terra desolata è chiaramente un arazzo di citazioni, seppur accreditate solo parzialmente nelle note, sosteneva che “i cattivi poeti svisano ciò che prendono e i buoni lo trasformano in qualcosa di migliore o almeno di diverso”. In questo senso, il termine inglese copycat, ossia scopiazzatore, comunemente inteso con un’accezione negativa, andrebbe rivalutato perché fa riferimento all’attenta imitazione del comportamento materno da parte dei gattini.
La questione metafisica della titolarità dell’opera e l’eterno tema dell’identità costituiscono il nucleo centrale di uno splendido racconto di Francesco Burdin, scrittore triestino ingiustamente negletto morto pochi anni fa (2003); che in vita godette della stima incondizionata di una ristretta ma autorevolissima cerchia di ammiratori, come Cesare Zavattini, che gli pubblicò nel ’38 il primo racconto, Giuliano Gramigna e Luigi Baldacci, che firmò la prefazione di Manes. In questa novella, che dà il titolo a una raccolta di sette racconti edita da Vallecchi nell’88 e che ricevette il Premio Pozzale Luigi Russo, non compare mai un nome, sia per i personaggi coinvolti nelle vicende che per le numerose citazioni riportate. Anzi, proprio la parola nome apre e chiude il racconto. L’anonimo protagonista è un commesso viaggiatore con la passione della scrittura, misconosciuto autore di numerosi testi costantemente respinti dagli editori, che si riduce infine a svendere quei lavori, un po’ per campare, un po’ per il conforto di vederli pubblicati sia pure a firma di un altro.
L’impossibilità di sposare il proprio nominativo al destino pubblico dell’opera è il segno della radicale inappartenenza di quest’ultima all’artefice, il quale, nell’istante del suo compiersi, ne ha già esaurito ogni diritto di paternità, anche puramente formale. All’inizio, cedendo i propri lavori a persone sempre diverse, a volte anche il medesimo pezzo opportunamente manipolato, in una sorta di proliferazione onomastica che cerca di lenire la sofferenza della privazione, questi s’illude di conservare una parvenza di controllo sui testi da cui, di fatto, si separa per sempre. Ma il momento della verità non tarda a presentarsi allorché, avvicinato da un agente letterario per conto di un fantomatico cliente, si vedrà richiedere non più un semplice racconto ma un romanzo, o meglio: un capolavoro, per la cui acquisizione non si baderà a spese. Quest’opera esiste, è il romanzo della vita e il frutto di annosi sacrifici, e si intitola appunto Manes. La trattativa è rapida, come il pentimento. Compromessa ogni residua speranza di essere uno scrittore consacrato, il protagonista è preso dalla smania di conoscere l’usurpatore che in sua vece si fregerà di tale titolo. Incontrare il proprio doppio – perché di questo si tratta – non ha mai portato bene.
“Era non alto e, sebbene avesse appena superato i trent’anni, di figura corpulenta e sgraziata, con un viso triste e tristemente a me noto.”
In questa descrizione c’è tutta l’incapacità dell’artista di convivere con la sua prosaica incarnazione terrena, e non perché mediocre in assoluto, ma perché, pur nello sfoggio di ogni virtù, irrimediabilmente estranea. Succede spesso così: le cose che più ci appartengono sono quelle in cui meno ci riconosciamo. Pensate alla nostra voce registrata, a come all’ascolto quella copia fedele ci risulti invece fastidiosa ed altra. Tuttavia è a quella voce “sgraziata”, a quel “corpulento” e “triste” alter ego dell’autore che il mondo attribuirà l’opera (attribuire anche nel senso di rendere tributo). Il protagonista, venendo meno ai patti, tenterà invano di protestare la sua paternità, di ricondurre al legittimo titolare il prodotto dell’ingegno che viene ora così largamente celebrato. Lo si caccerà invece come un molestatore, un povero mitomane.
Prelevata dal cassetto e consegnata al mondo, resa pubblica, l’opera – ogni opera – è anzitutto apocrifa. E in verità lo è costitutivamente e da sempre, perfino nel segreto di una sua mancata divulgazione; non già per il lettore, ma per l’autore, che tuttavia non sa rassegnarsi né all’una cosa né all’altra. La sua perdita originaria deve essere ratificata coram populo, il suo impossibile recupero intrapreso con ogni mezzo, fino al gesto estremo e disperato, che per Burdin coincide con l’assassinio del personaggio pubblico. Un assassinio esemplare, plateale e suicida, per molti versi simile a quello del William Wilson di Edgar Allan Poe. Burdin rinuncia a qualunque ulteriore ricomposizione. L’unica alternativa all’opera apocrifa rimane dunque, di fronte all’umanità, l’opera postuma.
(questo scritto è in parte un plagio di diverse fonti, me compreso)
Complimenti.
nadia
Un giorno ucciderò Sergio Garufi, e dirò in giro che le sue cose le ho scritte io!
Strano non aver timballato anche Pessoa…
A caldo. L’opera non è mai dell’autore. Né prima e né dopo “l’istante del suo compiersi”. Aristotelismo o platonismo. Nominalismo o realtà concettuale. Soggetto o oggetto. Impossibile optare per l’uno o per l’altro: perché l’uno è la condizione di possibilità dell’altro, e viceversa. Occorre criticare il platonismo, l’oggettività, la realtà del concetto, assumendo il punto di vista del soggetto e della ratio nominalistica, e occorre criticare questi ultimi assumendo il punto di vista dei primi. Infine la simmetria, i neuroni specchio e gli invarianti nell’arte. Ma l’arte moderna non è il trionfo dell’obliquo, del pertubante, dell’asimetrico, del dissonante?
Con grande stima, un caro saluto.
una scrittura accuratissima :-)
Molto molto interessante la storia dei neuroni ‘scimmiottanti’…
e il resto, naturalmente!
dov’è la fonte che voglio plagiare…?;-)
“Ma l’arte moderna non è il trionfo dell’obliquo, del pertubante, dell’asimetrico, del dissonante?”
bella domanda, Sandro
Sandro Dell’Orco Says:
“Ma l’arte moderna non è il trionfo dell’obliquo, del pertubante, dell’asimmetrico, del dissonante?”
Non per intromettermi, ma la sensazione è che sia così proprio per confermare l’esistenza del paradigma iniziale.
Potrebbe essere forse più rilevante accettare la “convivenza” dei presunti opposti in un “nuovo ordine caotico”, là dove non si riesca più a distinguere ciò che è “asimmetrico” proprio perchè non esiste un assunto iniziale di simmetria, solo così, azzardo, potrebbe aver senso l’emozione della normalità dell’insolito e della sua ripetibilità all’infinito (ricollegandomi al ragionamento sui numeri primi); concetto simmetricamente ribaltabile nel suo opposto: la non riproducibiltà dell’ordinario, in quanto insolito de facto.
la verità è che la simmetria è una delle verità dell’universo, l’asimmetria o scalenità è un’altra, coesistente, non è in opposizione e non conferma nessun paradigma
gigi capastìna Says:
“Non per intromettermi, ma la sensazione è che sia così proprio per confermare l’esistenza del paradigma iniziale.”
Sarei d’accordo con te se avessi detto “criticare” invece di “confermare”. E’ vero che la critica conferma l’esistenza del criticato, cioè qui del paradigma di simmetria, ma nello stesso tempo, in quanto lo critica, lo nega, e gli toglie quel carattere di assolutezza, di eternità, di cogenza necessaria, che la visione “platonica” delle cose gli appioppa. Simmetria, circolarità, eterna ripetizione della stessa cosa, tautologia, cane-che-si-morde-la-coda, uroboro, ecc., sono bensì esistenti nella natura esterna e interna all’uomo – ma esiste anche l’autonomia di quest’ultimo che si libera dal loro potere e genera quel nuovo la cui cifra artistica è appunto l’asimmetrico.
‘ma esiste anche l’autonomia di quest’ultimo che si libera dal loro potere e genera quel nuovo la cui cifra artistica è appunto l’asimmetrico.’
è un bel concetto questo!
ma per liberarsi dall”eterna ripetizione’, qual’è il segreto?
bisognerebbe fare degli esempi pratici, altrimenti il discorso resta astratto….
la simmetria è tale rispetto a un asse di riferimento; se lo cambi, cioè se cambi il punto di osservazione, la simmetria cessa
Chapuce Says:
bisognerebbe fare degli esempi pratici, altrimenti il discorso resta astratto
A rischio di venir frainteso te li faccio. Se uno si innamora di una persona indegna può umiliarsi seguendo la sua natura, oppure può reprimersi negando la sua natura. La legge naturale (entro limiti ristretti – i processi biologici, la morte, la malattia non si possono vincere) può essere infranta dall’uomo, ed in effetti in questa interruzione della sua irrevocabile circolarità, consiste la civiltà e l’individualità umana. L’autonomia, la spontaneità e la libertà dell’uomo – finché la società consentirà loro di esistere – fanno legge a sé rispetto a quella naturale. Fino ad una loro utopica conciliazione, che con questi chiari di luna appare praticamente impossibile, la realtà del mondo è retta da due, e non da una sola legge. La contraddizione è dunque la sua sostanza. La dialettica la sua ratio.
Garufi ama le geometrie come Pascal.
Si parla ormai da un po’ dei neuroni a specchio.
Che dire allora della teoria mimetica di Girard?
massey Says:
“la verità è che la simmetria è una delle verità”
capperi, non avevo la pretesa di giungere ad una verità, ma solo di prefigurare uno scenario (più o meno complesso, più o meno verosimile, che importa?).
Un punto di vista, in cui il mutato è il mutante, o per prendere in uso, forse impropriamente , la risposta di Sandro Dell’Orco
Says:
“l’autonomia di quest’ultimo che si libera dal loro potere e genera quel nuovo la cui cifra artistica è appunto l’asimmetrico”
che condivido, ma che avrei chiuso con un concetto che non richiamasse l’assenza di qualcosa (simmetria).
Tu la chiami scalenità.
Io non la chiamerei affatto.
Starei solo, potendo, con gli occhi ben aperti.
grazie dell’esempio, Sandro.
ora è più chiara la dualità tra questi forti ‘principi’.
io non credo che la società possa arrivare a sopprimere l’autonomia, la libertà e la spontaneità del’uomo, anche se il prezzo per mantenerla può essere molto alto.
Fanno parte dell’istinto umano, e l’istinto è forte.
A proposito di dualità dei principi, aggiungiamo disagio al disagio provocato dai numeri primi considerando che il 2 è l’unico, che si sappia, numero primo pari.
ricapitolando…più o meno….
io ho capito che l’asimmetrico va contro gli schemi, fuori dal consueto modo di vedere.
per non incappare nel già scritto, nel simmetrico quindi, bisogna per forza cercare in ciò che può andare fuori dalle norme, asimmetrico.
se non ho capito male è quì il rischio di scontrarsi con l’ambiente sociale in cui viviamo.
Da un punto di vista psicologico noi animali umani imitiamo un altro, la sua mimica, la sua prossemica, per ammirazione, affetto, e per metterlo a suo agio, per fargli sapere che ci piace, nell’esercizio e nella comunicazione di un’empatia inconscia e reattiva che ci fa interagire con lui nella maniera della specularità, che è paradossale come tipo di interazione, poiché si tratta di un agire sé che è un calco del sé altrui, e un calco che vuol comunicare – almeno inconsciamente – di esser tale, e in definitiva è un non agire sé, a ben pensare, poiché si agisce sé in quanto altro. Quando la cosa è patologica imitiamo per darci un’identità, un’immagine di noi, se non l’abbiamo, che ne rispecchi una che vorremmo possedere (penso a quel ragazzo romano che si è sottoposto non ricordo a quanti interventi di chirurgia plastica per avere i connotati di Michael Jackson). Lo Zelig di Woody Allen ci fornisce un personaggio forse più lirico della copia umana di Michael Jackson. Ci ho sempre pensato come ad un personaggio di un lirismo commovente. Ad una patologia in qualche maniera commovente, perché Zelig diventava tutto e tutti. Ora ci penserò anche, forzando forse un po’, come ad un animale umano veramente esuberante di neuroni specchio!
Questo tuo pezzo, Sergio, è bellissimo, e fornisce altre possibilità di riflessione – nel senso di esercizio del pensiero! – infinite. Ma come un numero primo, mi ritiro e le (con)divido con me stessa, e con un uno che è sempre me stessa.
:0)
Chapuche,
ciò che spinge all’asimettrico, al dissonante, è la pressione insopportabile della “simmetria”, cioè del cattivo sempre uguale che si ripete senza senso. Non c’è bisogno di andarlo a cercare, basta la propria ribellione, la propria ansia di libertà per trovarlo – in arte affidarsi alla propria idiosincrasia, al proprio disgusto per tutto ciò che sentiamo non andare più, agli elementi morti della tradizione.
refuso penultima riga: “per gli elementi”, invece di “agli elementi”
:-)
Più che Giulio Mozzi hai copiato Salinger…
Ma quando mai! noi imitiamo gli altri per invidia
Pezzo bellissimo, dal quale imparo molto, come in genere dai pezzi di Sergio. Mi lascio affascinare un momento dalla affascinante questione della simmetria, sulla quale sono già corsi i tradizionali fiumi di inchiostro, per propinare qui due citazioni. La prima è del grande storico dell’arte E. H. Gombrich, e viene dall’articolo Moment and Movement in Art pubblicato sulla rivista del Warburg and Courtauld Institute (del quale Gombrich fu direttore dal 1959 al 1976) del 1964:”Perché la simmetria viene percepita come statica, e l’asimmetria come instabile? Perché sentiamo che qualcosa di chiaro e ordinato esprime riposo, mentre ogni confusione esprime movimento? È improbabile che ci sia una sola causa sottostante a queste reazioni, o, piuttosto che esse non siano almeno parzialmente condizionate da convenzioni culturali. Ma si sarebbe portati a congetturare che, come assai spesso avviene, anche qui le metafore che
usiamo possano almeno in qualche misura guidarci. Gli oggetti ben
bilanciati posson restare statici, mentre quelli sbilanciati posson
cadere in qualsiasi momento, così che la tendenza è quella di
ricercare un rassicurante bilanciamento e di aspettarsi, quando
questo è assente, un rapido cambiamento.”
E sul versante più strettamente biologico, ecco l’opinione di due illustri ricercatori, M. Enquist e A. Arak, tratta dall’articolo Symmetry, beauty and evolution, pubblicato su Nature del 1994:”La specie umana ed alcune altre specie trovano più attraenti le forme simmetriche che quelle asimmetriche. Queste preferenze possono apparire come risposta a segnali biologici, o anche in situazioni, quali il comportamento d’esplorazione e la risposta estetica umana alle forme, in cui non vi è alcun ovvio contesto di segnalazione. Qualcuno ha proposto che le preferenze per la simmetria si siano evolute negli animali poiché il grado di simmetria nel segnale indica la qualità del segnalatore. Mostriamo qui, al contrario, che le preferenze per la simmetria possono sorgere come sottoprodotto della necessità di riconoscere degli oggetti indipendentemente dalle loro posizioni e orientamenti nel campo visuale. L’esistenza di predisposizioni sensoriali per la simmetria può essere stata indipendentemente sfruttata dalla selezione naturale agente sui segnali biologici e dall’innovazione artistica umana. Ciò può dar conto dell’osservata convergenza verso forme simmetriche sia in natura che nell’arte decorativa.”
Aggiungerei anche che la simmetria di un oggetto non dipende tanto dal punto di vista di un osservatore esterno, quanto dall’individuazione di assi o piani rispetto ai quali considerarla.
il commento precedente è tutto un pazzesco plagio di me stesso plagiante, 4 anni e mezzo fa, gli autori citati.
A proposito di DNA; ieri da una trasmissione a quiz della TV ora pre-cena, ho sentito che più del 50% del DNA umano è uguale a quello della banana. Bah!
non capisco perché in questo, come in altri post, si scrivano i nomi dei personaggi citati nel testo in grassetto.
qual è lo scopo del grassetto?
qual è lo scopo del grassetto?
Distogliere l’attenzione dal resto del testo.
sgt.Pepper Says:
“A proposito di DNA; ieri da una trasmissione a quiz della TV ora pre-cena, ho sentito che più del 50% del DNA umano è uguale a quello della banana. Bah!”
Come dire: a interpretare tutto col DNA si finisce per essere una banana.
No. Non traggo conclusioni, nè ironiche nè sarcastiche. Però essere assimilati per 50% ai vegetables fa riflettere. Non è quesrto lo scopo di questo post? Forse.
Le battute, come le barzellette, non si spiegano, ma poiché mi sembra di essere stato frainteso preciso che sono d’accordo con l’affermazione di sgt. Pepper, e in particolare con il “bah” finale, che mi è sembrato un appunto di critica perplessità verso la spiegazione ingenuamente biologica delle azioni umane. In sostanza il mio era un commento di appoggio alla sua tesi e non una critica. Detto questo la mia battuta dovrebbe esser chiara, ma per fugare ogni possibile malinteso, intendevo dire che chi si affida alla spiegazione biologica diventa una banana nel doppio senso che si considera tale e che, così ragionando, lo è effettivamente. Pace, sgt. Pepper?
@ tashtego
Tipo il grassetto delle vignette Disney?
x SD’C
Pax, anche se guerra mai c’è stata, e il fraintendimento è reciproco. E’ un difetto dei blog, specie con i botta/risposta. Esageriamo con le spiegazioni/riferimenti, tanto nn costa nulla.
-Esageriamo con le spiegazioni/riferimenti, tanto non costa nulla.-
ben detto sgt.Pepper!
:-)
@tashtego
i miei primi pezzi usciti su NI qualche anno fa li postava scarpa, io non facevo parte della redazione. lui faceva abbondante uso dei grassetti, credo in funzione evidenziatrice, per sottolineare alcuni passaggi. il suo metodo mi imbarazzava un po’ perché le sottolineature riguardavano delle mie frasi. quando entrai a far parte del blog e fu compito mio stabilire dove mettere il grassetto, scelsi un’opzione che mi sembrava più neutra e di basso profilo, cioè quella dei soli nomi degli autori citati. per questo stesso motivo non ho mai inserito un mio post nella categoria “incisioni”, che gli attribuisce una rilevanza particolare, così come non ho mai chiesto ad altri indiani di non mettere per un giorno altri loro scritti in contemporanea a uno mio al fine di dargli un risalto maggiore. non biasimo naturalmente chi lo fa ma io preferisco evitare. certo esistono forme di low profile ancora più accentuato, tipo i post di raimo, che rifiutano qualsiasi abbellimento grafico (foto, grassetto, corsivo ecc.), ma per i miei gusti quell’ascetismo estetico è eccessivo.
ringrazio gli altri per l’attenzione che mi hanno dedicato.
Il DNA può anche essere eguale, ma l’espressione genica differente
sgt. Pepper chissà perché mi hai fatto venire in mente il Pirata dell’arcobaleno della gravità di Pynchon e le sue colazioni alla banana…
sono OT perché non ho ancora letto il post di Garufi perché mi interessa molto e ci devo dedicare tempo (come i post di Sparzani) e non ho tempo (causa duello mattutino di routine)
a presto
fem
è stato molto piacevole e interessante per me partecipare a questa discussione, forse la prima a cui partecipo veramente, dalla quale posso trarre insegnamenti non indifferenti!
Grazie a te
non appena azioneranno “l’acceleratore di particelle del Cern di Ginevra” vi renderete conto del perchè il quadrato delle supersimmettrie non troverà mai una corrispondenza duale con una scimmia che ammazza il padrone tagliandogli la gola con un rasoio mentre provava a rasarlo nel sonno,forse per fargli guadagnare tempo(fatto peraltro realmente accaduto nei primi anni del secolo scorso a cagliari).Ma poi,alla fine di tutto questo Fogassi che tipo è?
Here you are Francesca!
Non conosco Pynchon, ma dalle recensioni del libro che le banane t’han fatto ricordare, direi a pelle che l’autore deve essere un simpatico serio allegrone. Approfondirò. Tnx.
Per essere IN trovati un bel 40 min xkè tanto ci vuole x assorbire il post di S.G.
Il filo comune del discorso di Sergio è il platonismo. L’idea non sarebbe solo un prodotto del mio cervello (che la trae dalla realtà empirica attraverso percezione sensibile e l’intelletto) e quindi un semplice flatus vocis, un concetto, un qualcosa di spirituale che mi serve per pensare, ma anche e soprattutto una cosa reale, anzi la cosa più reale di tutte, un universale, che dà esistenza in replica infinita alle cose di cui è il modello. Che tale idea platonica esista, e si faccia beffe di ogni nominalismo, si può dedurre in generale dall’eterna e irrevocabile ripetizione di ogni legge naturale e, con icastica pregnanza, dalla scoperta del DNA. La natura è piena di invarianti, anzi, è tutta un’invarianza. Non per nulla i popoli primitivi la indicavano con una croce, una ruota, una greca ecc., che evocavano l’eterno ritorno dei mesi, delle stagioni, delle età della vita. Ora, l’invariante è il sempre uguale. Il cerchio comincia e finisce nello stesso punto. Il nuovo è escluso. La natura dice sempre se stessa: è un’enorme tautologia. Guai se il protone si staccasse arbitrariamente dal suo nucleo e se ne andasse in altri atomi! Oppure se potesse arbitrariamente annichilirsi. L’universo crollerebbe. Dunque l’Idea comanda il mondo, un universale che sussume ogni particolare che gli deve la vita… eppure non è così, perché c’è qualcosa che sfugge alla sua presa, qualcosa che ognuno, con minimo di autoriflessione, scopre in se stesso: la propria coscienza, la propria volontà, la propria libertà. Quest’ultima non può essere a sua volta dedotta dall’Idea, né dalla natura, perché da esse si può dedurre solo ciò che obbedisce loro e mai e poi mai ciò che liberamente le trasgredisce. Per questo, credo, il pensiero scientifico non riuscirà mai a scoprire l’Io e la coscienza, per limiti per così dire gnoseologici, relativi alle possibilità stesse del pensiero.
Non che intenda la soggettività come innata nell’uomo: essa nasce nella storia e nella società, e in queste può crescere, deperire o morire. Innati sono solo i suoi presupposti biologici.
Tutto questo per ribadire, in modo più articolato e spero compresibile, l’impossibilità di chiudere la realtà in uno solo dei due poli in cui si è effettivamente spezzata: il soggetto e l’oggetto, l’uomo e la natura, l’universale e il particolare, spirito e materia, aristotelismo e platonismo, e via dualizzando. Occorre prendere atto che esistono ambedue i poli e che si contraddicono. Ciò esclude una illusoria e mortifera teoria unitaria da cui tutto, uomo e natura, discende secondo logica, ma lascia agli uomini la responsabilità di una reale riconciliazione con la natura.
Segnalo “contaminazioni sulla simmetria” dal sito del Conservatorio di Musica di Milano: http://digilander.libero.it/initlabor/musica-simmetria/*index-vitali.html
Vi elenco alcune asimmetrie a me care:
1) le molecole della vita sono chirali (non sono simmetriche allo specchio) e levogire
2) nell’universo parrebbe esserci molta più materia che antimateria
3) l’evoluzione dei fenomeni naturali è irreversibile (non vi è simmetria rispetto al tempo), secondo principio della termodinamica
4) la rottura di simmetria in un sistema complesso crea una situazione di instabilità feconda e piena di nuove possibilità creative
fem
“ognuno di noi è un coro”: grazie Garufi, ottimo post
A proposito di plagio, a me succede spessissimo di scrivere come l’ultimo libro che mi è piaciuto. Insomma, per simpatia, scrivo come leggo…
Sandro Dell’Orco Says:
September 20th, 2007 at 16:39
Il filo comune del discorso… ecc ..
>>>>>>>
io aggiungo che: nell’istante del big-bang tutto fu scritto, per omnia saecula saeculorum. Forse.
—–
FEM,
riguardo il 2° principio termod., che mi affascina è che l’universo finirà nel caos, condizione di max entropia in cui non è più possibile alcuna trasformazione. Che il caos sia il perfetto equilibrio?
consiglio vivamente di rileggere: Cent’anni di solitudine.
Bonsoir
Chapuce
“Che tale idea platonica esista, e si faccia beffe di ogni nominalismo, si può dedurre in generale dall’eterna e irrevocabile ripetizione di ogni legge naturale e, con icastica pregnanza, dalla scoperta del DNA. La natura è piena di invarianti, anzi, è tutta un’invarianza”.
E dagli con questa storia del DNA. Ma le leggete le ricerche di biologia o vedete Piero Angela? Qualcuno ha mai sentito parlare dell’eredità proteica per contiguità? (Stanley Prusiner, premio nobel 1997) Le ricerche sulla continuità proteica hanno messo in evidenza una eredità parallela che fiancheggia quella del DNA e non è meno ricca di quella. L’eredità per contatto ha altre qualità notevoli. La prima è quella di essere passibile di transazioni con l’ambiente e addirittura con la dieta. Essa può subire modifiche al di fuori dei giochi del caso, che sono la malattia del DNA.
E’ in questo senso che introduce un principio di libertà o libero arbitrio!
L’eredità per contiguità rivoluzione le idee dogmatiche sulla eredità perchè non riguarda la sequenza letteraria delle proteine, ma concerne il loro atteggiamento nello spazio.
@diamonds
fogassi è simpatico e disponibile. curioso che chi ha fatto una scoperta di tale importanza (nel ’91 aveva solo 33 anni), da meritarsi il premio grawemeyer per la psicologia (assegnato dall’università di louisville e consistente in un assegno di un milione di dollari), considerato il nobel per la psicologia, da noi non sia neppure un professore ordinario, ma soltanto un associato.
un “nobel della psicologia”(io gli darei pure un Pulitzer della neurolinguistica,se esistesse).E da noi è un associato.Decisamente,”continuiamo a farci del male”
Sergio, non è affatto curioso. E’ tipicamente italiano, purtroppo.
Luminamenti non coglie il punto. DNA o eredità proteica per continuità – che non conosco – fanno lo stesso, perché sono entrambe leggi naturali. Il punto è l’essenza stessa di legge naturale. Questa è un comando generale su un certo insieme di particolari che viene esaudito tendenzialmente per sempre. Ciò ci permette di fare previsioni e di fruttarle tecnologicamente. La sua caratteristica è di essere sempre se stessa, di fare sempre la stessa cosa, oggi, domani, per un sempre umanamente concepibile. Qualunque sia il suo contenuto. La sua essenza è l’identità. E incarna alla perfezione le caratteristiche dell’Idea platonica. La libertà, nelle leggi naturali, non esiste, in esse solo il legislatore è libero, mentre i sudditi obbediscono. Dovrebbero avere coscienza e volontà per liberarsi, ma questo lo possono solo gli uomini.
@sandro
molto belle le tue riflessioni, talmente belle che mi hanno fatto ricredere.
e grazie a nadia, chapuce, antonio, gemma e francesca, troppo buoni.
@sergio
grazie a te per la stima, ma mi chiedo, Ricrederti su cosa? Sul platonismo? Sulla libertà? O su cos’altro. Sono curioso. Rispondimi se puoi.
Sandro Dell’Orco Says:
September 21st, 2007 at 14:55
Dovrebbero avere coscienza e volontà per liberarsi, ma questo lo possono solo gli uomini.
>>>>
Ammesso che la la coscienza e volontà non siano una ns illusione. Il ns agire è cmq conseguenza di motivazioni che ci precedono e che scendono fino all’inizio del tempo, dove incontrano il ‘comando generale‘.
Forse.
di fretta: penso che tu abbia ragione quando definisci platonismo ed aristotelismo come categorie relazionali, che non si escludono a vicenda, e che la sostanza della realtà consista nella dialettica fra questi due poli opposti. la vita nasce dall’unione del femminile e del maschile, come le pile insomma :-)
@sergio
grazie ancora, sono felice per le tue parole, che sintetizzano bene il mio pensiero
@sgt.Pepper
vero. Solo che non ci è dato di dedurre la nostra libertà dalle leggi naturali. Per usare un termine della fisica, l’Io umano, o come si diceva una volta lo spirito, l’autocoscienza, è una vera e propria “singolarità” nella natura. Esiste, ogni uomo normale può accertarsi della sua realtà senza il minimo sforzo, con un semplice atto di auto riflessione, eppure non si può spiegare, cioè dedurre scientificamente dalla natura. Siamo esseri autonomi, liberi, coscienti, solo questo sappiamo, accettiamolo e cerchiamo di vivere secondo questa nostra natura.
@sergio
Illusioni la nostra volontà, la nostra coscienza, la libertà? Certo non è illusoria la gioia che proviamo quando le esercitiamo. E il dolore quando ci vengono tolte.
errore, il precedente commento era per sgt. Pepper
@ Sandro Dell’Orco dice: “DNA o eredità proteica per continuità – che non conosco – fanno lo stesso, perché sono entrambe leggi naturali”.
Eh no, non è lo stesso!
L’eredità per contiguità non può essere definita “solamente” legge naturale, perché implica una scienza del mutevole e del divenire.
L’immutabile e l’invarianza sfuggono alla sua giurisdizione e alla sua algebra e sono modificabili per influenzamento “culturale”.
La Materia pensa in quanto è pensata!
L’essenza di questo processo è la metamorfosi, la mancanza di una identità fissa.
La sua caratteristica è di non essere sempre se stessa, di non fare sempre la stessa cosa, oggi, domani, per un sempre umanamente concepibile. Qualunque sia il suo contenuto, si automodifica.
In quanto all’assioma: “La libertà, nelle leggi naturali, non esiste”, molti fisici incominciano a dubitarne e ci sono diversi modelli teoretici a riguardo.
Quindi chiedo: allora forse la sinergetica, i processi autopoietici, quelli enattivi che mostrano ciò che ho detto sopra non esisterebbero? E i modelli sul vuoto quantistico?
Faccio notare che il modello del vuoto quantistico di Laszlo ha implicazioni profonde sul concetto energetico di libertà.
Che dire allora dell’interazione tra fenomeni entropici e sintropici? (Fantappiè, Arcidiacono).
Poi dice: “La libertà, nelle leggi naturali, non esiste, in esse solo il legislatore è libero, mentre i sudditi obbediscono. Dovrebbero avere coscienza e volontà per liberarsi, ma questo lo possono solo gli uomini”.
Enazione e Sinergetica indicano che non è così. Che non ci sono sudditi, che tutti possono essere legislatori, che il mondo delle leggi naturali è più interconnesso di quello che sembra con i suoi legislatori; che il determinismo esiste ed è forte ma può essere spezzato.
Come si è accorto Fritjof Capra, o ancor meglio Costa Beauregard
nei suoi studi sulle trasmissioni di informazione ad atomi disintegrati, soltanto le metafisiche orientali (SanKara e Nagarjuna) non duali sono perfettamente corrispettive di queste nozioni.
Qui si son tutti defilati. Alleggeriamo l’argomento. Il suggerimento, molto concreto, di Sandro dell’Orco ‘cerchiamo di vivere secondo questa nostra natura’, mi richiama le parole di una canzone di Mogol-Battisti:
‘..ma il mio mestiere è vivere la vita, che sia di tutti i giorni o sconosciuta…’ (Una donna per amico)
conoscevo una signora che faceva la vita per mestiere. mah.
ruggero solmi Says:
September 22nd, 2007 at 10:40
conoscevo una signora che faceva la vita per mestiere. mah.
>>>
Nein. Non è quella della song.
sgt. Pepper alleggerisce – giustamente – ed io non posso far altro che appesantire. tra un po’ rimarremo io e lui, anzi, io solo, credo.
…cercare di vivere secondo questa nostra natura. Questo significa innanzitutto cercare di mantenersi individui. Cioè rimanere consapevoli di sé, del mondo, e delle conseguenze pratiche di tutte le nostre azioni, su di noi, sugli altri uomini e sulle cose. Non abdicare mai alla ragione. Che non s’inchini mai dinanzi a nessuna autorità. Nemmeno dinanzi alla sua stessa. L’impraticabilità quasi assoluta di questo dover essere dà la misura di quanto la società attuale non sia una società degna dei suoi membri, da cui richiede, per farli sopravvivere (e devono pure ringraziare per questo) qualità che sono tutto il contrario della loro natura: subordinazione, cieco adattamento e ignoranza. E spiega anche la tanto lamentata omologazione e decadenza dell’individuo contemporaneo.
x sandro dell’orco
Ti dirò che il tuo ‘..vivere secondo questa nostra natura..’ è un ottimo acquietatore nel mio pentolone dei confusi pensieri vaganti e oziosi.
Noto che sono un po’ permalosetti su questo blog, eh?
Bon appetit, è l’ora
pesantezza e leggerezza, entrambe necessarie per trovare una misura…
@Sandro scrive,
Cioè rimanere consapevoli di sé, del mondo, e delle conseguenze pratiche di tutte le nostre azioni, su di noi, sugli altri uomini e sulle cose.
per arrivare ad essere così occorre
un alto livello di autocriticità…
solo il tempo e l’esperienza lo permettono.
è cosa rara
e giusta!
Chapuce Says:
September 22nd, 2007 at 12:29
….solo il tempo e l’esperienza lo permettono…
>>>>>>>>>
Che m’accompagna nel leggere questo incontestabile commento, è la tristezza nell’osservare che lì ci si giunge ad un’età in cui non ci si può più permettere di essere inconsapevoli e irresponsabili. Sigh.
E richiamando in causa il DNA, perché questi non trasmette anche la conoscenza e l’esperienza?
Forse per nn toglierci il piacere di imparare, sbagliando.
è solo sbagliando che si impara
in fondo siamo uomini,
anche se c’è chi aspira a essere Dio.
Ci stiamo avvicinando, come per inerzia, quasi senza volerlo, al problema delle norme morali. Sono fondabili con la sola ragione? Oppure possono fondarsi solo sull’autorità: teologica, sociale, istituzionale, familiare? Esiste ancora la coscienza morale, come esisteva cinquant’anni fa, oppure è cambiata, depotenziata, con la crisi della famiglia, della religione, con l’industrializzazione e la modernità. E poi: è auspicabile che la nostra condotta sia guidata ancora dalla coscienza morale, dal Super-Io inconscio, attraverso proibizioni coattive, sensi di colpa, e altre mutilazioni pschiche, oppure è possibile una condotta morale guidata soprattutto dall’Io cosciente, sulla scorta della sua ragione? E’ proprio vero quel che si afferma in giro che la ragione porti dritto al relativismo morale, allo scetticismo, al cinismo, al nichilismo? Non è un problemino da poco, ci si arrovella da sempre su questo, Kierkegaard, Nietzsche, Shopenhauer, per citare solo quelli del XIX, l’hanno messo al centro delle loro filosofia, senza risolverlo. Siamo quindi autorizzati a provarci a noi, al massimo sbaglieremo come loro.
a proposito di leggerezza, riconosco che il mio commento precedente ha il peso specifico dell’uranio: se qualcuno vuole alleggerire è ben venuto.
una pesante leggerezza
È questa vita un lampo
Ch’all’apparir dispare
In questo mortal campo.
Che se miro il passato,
E già morto il futuro ancor non nato,
Il presente sparito
Non ben anco apparito.
Monteverdi_Selva morale e spirituale
http://www.freeweb.hu/cantus/mp3/Selva_Morale/selva_5_1.mp3
[prossimamente]
Ahi, lampo fuggitivo!
sandro dell’orco Says:
September 22nd, 2007 at 18:22
Ci stiamo avvicinando….
>>>>>>
L’uranio lo bombardiamo subito. Due righe:
Vivere in una collettività senza seguirne la morale, è un lusso che richiede una buona rendita finanziaria.
In alternativa, ci si può chiudere in casa, vivere modestamente, e non aprire neanche al postino. Da moderno eremita, insomma. Ho letto che sono in aumento, specie nelle grandi città.
Schivo l’io cosciente e la ragione, e le relative molte implicazioni, perché ci sto ancora pensando attorno.
io credo che il confronto con gli altri sia necessario,
pena una chiusura mentale senza direzioni.
vivere da eremita con il supporto della rete non ha senso.
l’eremita vive lontano da tutto!
Chapuce Says:
September 22nd, 2007 at 20:36
l’eremita vive lontano da tutto!
>>>>>>>
Effettivamente ho tralasciato di tagliare i fili del telefono.
Confrontarsi con gli altri mica è facile. Primo, occorre un interlocutore che ascolta, e ce ne sono pochi. Quindi che sia interessato all’argomento, e restringiamo ancora il numero. Infine che non ci sia la partita alla TV.
Ho paura Chapuce che restiamo io e te, sai. E io ancora devo guardare sull’agenda se ho qualche impegno…..
Scontrasi invece è un lampo.
incontrasi invece
è un fulmine!;-)))
sempre più leggeri è…?
Chapuce Says:
September 22nd, 2007 at 22:13
sempre più leggeri è…?
>>>>
Il maggior impegno di un buon scrittore (io nn c’entro) è togliere, alleggerire x arrivare al nocciolo.
Anche la scienza compie la stessa operazione: ridurre all’elementare, al quasi imponderabile, per capire l’universo.
Questo nn vuol dire che lo scrittore deve scrivere un libro di 4 pag., copertine incluse, né che la scienza deve ridursi a un testo di quiz x scuola guida. Of course.
———–
Ref: sandro dell’orco
A naso io penso che l’uomo per natura sia amorale. La morale se la costruisce x necessità del viver in comune, così come si costruisce le leggi dello stato. E la morale è parente prossima del pregiudizio. Entrambi utili per affrontare il non conosciuto. In seguito è bene che usi la ragione, se può.
@così&come
grazie per il meraviglioso pezzo. Esprime più quello sulla morale che mille libri di mille filosofi. Mi ricorda una novella di Kleist che potrebbe esserne il contrappunto letterario, una novella sul terremoto di Lisbona, mi pare. Il pezzo di Monteverdi dice che la considerazione della finitezza, della sofferenza e della mortalità dell’uomo, e del bisogno di alleviarle, porta al bisogno dell’amore reciproco, della cura reciproca e della giustizia. L’egoismo e l’antagonismo, in apparenza più vantaggiosi, alla lunga sono dannosi per il tutto sociale e quindi anche per chi li pratica. Se questa riflessione ha un qualche senso, la ragione può stabilire da sé, senza l’intervento di nessuna autorità esterna, il bene e il male. Risulterebbe falso l’assunto dei dogmatici presenti e passati che la ragione porta al relativismo dei valori.
Queste riflessioni possono essere utili per capire meglio l’attuale catastrofe morale di casa nostra, piccola cosa in confronto alla grandi catastrofi di sempre e di oggi nel mondo, ma catastrofe anch’essa. Tangentopoli, seconda repubblica, Grillo, la casta ecc. Cosa è successo nell’anima delle persone negli ultimi cinquant’anni, nella loro coscienza morale voglio dire? Tra le infinite ricerche inutili che si fanno in Italia, questa non sarebbe certo la più inutile. Pasolini prima di morire aveva puntato il dito contro la mutazione antropologica in corso: chi tra i filosofi, gli psicologi, i sociologi, gli antropologi, ha avuto l’intelligenza di raccogliere la sua indicazione, l’onestà scientifica di indagare questo tema invece di badare alla propria carriera accademica o istituzionale? Vaff…o!! Verrebbe da dire con Grillo. Ma non siamo comici e non ne siamo autorizzati. A cosa cavolo servono la cultura umanistica e le scienze umane se di fronte ad un fatto macroscopico come l’industrializzazione e il modernismo che hanno sconvolto i valori, la sensibilità, lo spirito millenari degli italiani nel volgere di qualche decennio, non hanno detto una parola, e soprattutto non hanno messo sull’avviso i diretti interessati, per non parlar dei politici, su quel che stava accadendo? Su ciò che si stava perdendo e a che prezzo? Per rimediare a quel che vediamo oggi, e che purtroppo è dentro ognuno di noi, non occorrono medicine dogmatiche che hanno fatto il loro tempo e che sono peggiori del male, ma ritornare a pensare con la propria testa, avendo come modello una nostalgia, la nostalgia dell’infanzia, in cui ciò che davamo e ci veniva dato non era per scambio, ma per amore.
si, perchè è importante trovare questo “nocciolo” nella scrittura,
troppe farciture ci allontanano dal senso pulito che una storia deve avere,
più è la scrittura è essenziale e più il messaggio arriva,
così è per la poesia, dove la libertà è il vero senso…
Buona domenica!
Chapuce
è chiaro che questo ‘togliere’ non deve privarci della voce, nostra unica e insostituibile, che sempre deve essere di pancia di cuore e di testa.
mai di sola ragione.
ciao
assolutamente da leggere l’articolo odierno di Claudio Magris sul Corriere della Sera in merito a Benjamin, in cui è riaffermata l’attualità di quest’ultimo e di Adorno, anche in relazione ai problemi di questa nostra discussione
Su “L’Unità” di oggi un pezzo di Richard Powers sui neuroni specchio!
@luminamenti
il tuo commento del September 21st, 2007 at 22:45, per ragioni tecniche deve esser stato inserito solo ora, – o comunque lo leggo solo ora. Appena trovo il tempo ti risponderò.
@luminamenti
il tuo commento del September 21st, 2007 at 22:45, per ragioni tecniche deve esser stato inserito solo ora, – o comunque lo leggo solo ora. Appena troverò il tempo ti risponderò.
sandro dell’orco Says:
September 23rd, 2007 at 11:10
@così&come
grazie per il meraviglioso pezzo. Esprime più quello sulla morale che mille libri di mille filosofi…
>>>>>
– Adesso mi spiego xkè amo + la poesia della prosa. Pigrizia?
– riguardo a ‘ …queste riflessioni possono essere utili…’, possiamo consolarci sapendo che tutto il mondo occidentale è +/- nelle ns stesse condizioni? o tempora o mores è sempre attuale.
————-
Chapuce Says:
September 23rd, 2007 at 13:03
è chiaro che questo ‘togliere’…
>>>
Scovato il nocciolo, potete anche scriverci attorno un tomo da 10 kg :-)
PS, in tal caso deve essere un bel nocciolo!
e bisogna averlo in testa!;-)
Chapuce
@luminamenti
Non nego affatto quanto dice luminamenti. In natura si danno processi invarianti e processi che mostrano variabilità, processi non legati a un decorso fisso e prevedibile. Su questi ultimi, ovviamente, non è possibile dire in via definitiva se siano effettivamente così o se sia la loro non padroneggiata complessità, o i nostri limiti gnoseologici, a farceli apparire tali. Comunque ammettiamo che lo siano, che esistano processi naturali non indentici, variabili nel tempo. Ciò che si può dire di essi è che non se ne può dare una legge “classica”, deterministica (F=ma; E=mc2), ma una legge statistica, probabilistica, oppure addirittura nessuna legge. In quest’ultimo caso – ammesso che l’assenza di legge corrisponda alla realtà e non, come dicevo sopra, ai nostri limiti conoscitivi -, saremmo di fronte al caos, ad una situazione in cui i particolari non sottostanno a nessun universale, ma si comportano istante per istante in modo arbitrario. Ora, che non possa esser così, nemmeno su scala subatomica, ce lo dice l’invarianza della natura su scale superiori, la quale non può che essere il risultato di un’invarianza a livelli di base.
La seconda considerazione riguarda il concetto di libertà, di pensiero, di conoscenza, di volontà. luminamenti attribuisce alla materia, regredendo così all’animismo, le caratteristiche dell’individualità umana ( “La Materia pensa in quanto è pensata!… – in natura – non ci sono sudditi,… tutti possono essere legislatori…”). Ma quale esperienza lo autorizza a dire questo? Ha forse ascoltato mai la materia esprimere un pensiero con un linguaggio qualsiasi? Noi siamo sicuri immediatamente solo del nostro pensiero. Siamo autorizzati a dire che un altro essere pensa solo se esprime con un linguaggio qualsiasi il suo pensiero, mostrandoci così che ne ha uno come il nostro. Ci accorgiamo poi che un altro essere ha libera volontà se agisce per uno scopo consapevole, cioè stabilito col pensiero ( libera volontà e pensiero, sono concetti dialetticamente irrelati, non si dà l’uno senza l’altra e viceversa). In altri termini, se non c’è una qualche manifestazione linguistica di pensiero, non possiamo parlare né di pensiero né di libertà, e poiché queste manifestazioni le vediamo solo fra gli uomini, è solo a questi che le attribuiamo. Che una particella subatomica, o un certo atomo, o un certo composto chimico pensino e vogliano come persone non si può escluderlo dal novero delle cose possibili – come non è possibile escludere che pensi e voglia questo tavolino, questa seggiola, questa penna, o che da qualche parte esistano unicorni, angeli, diavoli, o qualsiasi altra fantasia -, ma non è neanche possibile asserirlo scientificamente.
sandro dell’orco Says:
September 23rd, 2007 at 13:20
….assolutamente da leggere l’articolo odierno di Claudio Magris…
>>>
link all’articolo
———
…. Ci accorgiamo poi che un altro essere ha libera volontà se agisce per uno scopo consapevole, cioè stabilito col pensiero ( libera volontà e pensiero…
>>>
Shopenhauer ha detto, +/-, che: l’uomo può fare ciò che vuole, ma non può volere ciò che vuole. Libero pensiero, ok; ma la libera volontà come si inquadra?
grazie per il link sgt. Pepper, la risposta appena sarò libero dal lavoro.
un caro saluto.
bella questa piega filosofica….
Dell’Orco: “…Ha forse ascoltato mai la materia esprimere un pensiero con un linguaggio qualsiasi?…”
Veramente, io stavo giusto ascoltando lei (e gli altri, e me).
Ma è che lei non si sente materia, non si sente molecola, pensa che: “…l’Io umano, o come si diceva una volta lo spirito, l’autocoscienza, è una vera e propria “singolarità” nella natura. Esiste, ogni uomo normale può accertarsi della sua realtà senza il minimo sforzo, con un semplice atto di auto riflessione, eppure non si può spiegare, cioè dedurre scientificamente dalla natura…”
E’ che lei si sente non deducibile, e singolare, più singolare dell’ornitorinco, o della giraffa, e a me viene subito in mente la fattoria degli animali, dove tutti gli animali sono uguali, ma i maiali sono più uguali. per lei viceversa gli animali sono tutti singolari, ma l’uomo è il più singolare.
Garufi ha scritto un buon pezzo, che ha il raro pregio di descrivere una scoperta biologica in modo preciso e corretto.
Poi ci aggiunge le sue riflessioni, e al contrario di lei si sente simmetrico e universale.
A me, personalmente, questo meccanismo fisico che sincronizza le emozioni degli esseri umani (casomai, anche con quelle delle scimmie) va venire in mente, di primo acchito, la sincronia con cui oscillano quelle grandi nubi di uccellini che si muovono sulle città all’ora del tramonto. Nulla di particolarmente gratificante.
E’ un istinto legittimo e insopprimibile dell’uomo creare leggi generali a partire da ciò che vede e che scopre, fin dai tempi che i primitivi adoravano il dio sole che muore e rinasce.
E’ che magari le grandi leggi dell’universo ci saranno pure, ma non è detto che scoprendole ci debbano far piacere.
Certo, visto che quel che sappiamo è (ancora) così poco rispetto a quello che non sappiamo, edificare leggi generali è consentito a ciascuno.
Purché poi non ci si creda fino in fondo, neh.
@sgt.Pepper
La volontà di cui stiamo parlando non è la volontà di Shopenhauer. Quest’ultima è piuttosto il desiderio, l’impulso irrefrenabile dell’Es, per dirla con Freud, che non ha bisogno del pensiero. Qui invece si tratta della volontà razionale, cioè della facoltà umana di imporsi (contro ogni diversione interna ed esterna, quindi anche e soprattutto contro il proprio desiderio) il raggiungimento di un obbiettivo determinato dal pensiero. Quest’ultimo fa parte del suo concetto. Come d’altra parte la volontà fa parte del concetto di pensiero. Si pensa, in generale, per raggiungere un obbiettivo, modificare la realtà per renderla a noi adeguata, prima spiritualmente, nella testa, e poi nella realtà.
x sandro dell’orco
Chiaro, tnx. Effettivamente Schop parla della volontà come di una sorta di software, anzi di firmware, non modificabile. Continuando nell’analogia con i cpu, assomiglia al BIOS che avvia il computer. Sistema operativo (educazione) e programmi (pensiero) sono un’altra cosa, e anche se devono rispettare le regole del BIOS, son modificabili oltre che costruibili.
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x alanina
Interessante elenco di riflessioni; dall’intervento concludo che in attesa di conferma scientifica ogni opinione è buona, e son d’accordo. Ma non mi è chiara la tua.
sergent:
mah, io suppergiù sarei una materialista assoluta.
suppergiù.
in attesa di (s)conferma.
@ alanina (September 25th, 2007 at 15:44)
Alanina disse:”Mah, io suppergiù sarei una materialista assoluta.
Suppergiù. In attesa di (s)conferma.” E così dicendo (s)confermò di esserlo.
dell’orco:
eheheh.
ovvio.
che crede, che mi spavento?
io mi sento molto più sicura di quello che non credo, che di quello che credo.
@ alanina
non volevo spaventarla, solo farle capire che ogni parola che dice, dentro o fuori la sua testa, contraddice il suo materialismo assoluto
x alanina
Materialista assoluta? E perché no. Meglio non credere che credere di aver capito. E’ + sicuro, nn si rischiano nasate.
@ sgt. Pepper
Lo scetticismo – e suoi parenti stretti, cinismo e nichilismo – sono la versione bene informata del conformismo, come ho già detto da qualche parte su NI. Che non si possa affermare l’assolutezza né della materia né dello spirito, non significa che non esistono (e che quindi non bisogna credervi), ma che esistono come relativi, cioè insieme, separati, opposti, e rimandanti l’uno all’altra e viceversa. Insomma, non c’è materia senza spirito, e non c’è spirito senza materia.
X sandro dell’orco
Materia e spirito/pensiero, a ruota libera.
Una interpretazione che potrebbe mettere tutti d’accordo. Il pensiero altro non è che uno stato della materia, così come lo è l’energia. Quindi, la materia s’è fatta pensiero con l’uomo e dopo che l’uomo scomparirà dall’universo, il pensiero ritornerà materia.
Forse.
P.S.: Nn ho ‘copiato’, ma nn son sicuro di nn averlo già letto da qualche parte.
@sgt.Pepper
bella e suggestiva ipotesi. Che non si può certo escludere, anche per l’analogia con i binomi onde/particelle, materia/energia, ampiamente confermati in fisica. Al di fuori delle ipotesi resta che lo spirito (Io, pensiero) ha come presupposto la materia, sia perché ha come base la costituzione biologica dell’uomo empirico – che è materia -, e sia perché il pensiero, senza il pensato, senza il qualcosa da pensare, non esiste (il pensiero è sempre pensiero di qualcosa). Viceversa, la materia ha come presupposto lo spirito, perché è solo in lui che viene percepita attraverso i sensi, e concettualizzata come tale per via di astrazione.
Con ciò, dear sergeant, credo che abbiamo definitivamente allontanato tutti dal thread. Alla tua leggerezza, se credi, il compito di rilanciarlo.
Cari saluti.
Caro sdc,
ci provo subito. Ero, perchè adesso nn li trovo più, un vorace divoratore di Urania Mondadori. In uno si racconta che l’universo stava scomparendo perchè Dio s’è distratto e s’era dimenticato di pensarlo. Alla fine c’è un angelo che glielo ricorda.
saluti cari ricambiati
+ che allontanati, li abbiamo addormentati.
ma nò, dai,
io sono sveglissima!
+ o -….
però se leggi quella roba sei tu che ti allontani dalla faccia terrestre…
;-)
Cha
dear sergeant,
non facciamoci venire sensi di colpa, si vede che gli piace dormire.
@Chapuce
Quella roba, se compresa, sveglierebbe pure i morti.
Con stima e sincera simpatia
Sandro
@Chapuce
mi riferivo ai commenti di sgt. e miei, naturalmente, e non al libro di Urania, che pure non scherza quanto a sollecitazione delle più belle facoltà umane.
Cara Chapuce,
per allontanarsi bisogna esserci mai stato :-), e chi + chi – tutti si creano il loro mondo, raramente corrispondente a quello reale, che è max presunzione credere di conoscere.
(Adesso pensano che invece di leggerli i libri li fumo)
:-)
cosa mi consigli di leggere su quel genere per ampliare i miei orizzonti?
ciao cari, buona giornata, anche se piovosissima!
Chapuce
Se ti piace la fantascienza, comincia con Asimov, che tra l’altro era uno scienziato, neanche modesto.
qui stan crescendo i funghi.
dammi un titolo, dai!
di fantascienza ho solo visto films…
quì si stanno allagando le scrivanie!;-)
Parti con qualcosa di leggero, come x es. La
trilogia della Fondazione, di Asimov.
sgt.Pepper:
parto con niente popodimeno che:
ASIMOV
Fondazione
La quadrilogia completa
(1953-1983)
sono pronta a salpare….
a presto!
Chapuce
…. mica ti scoraggi te, eh?
te lo dico quando passo le 100 pagine….
:-)
piove!
…poi ti interrogo
no, ti prego….
però nn fare come me che quando vedo un libro grosso lo leggo una riga si e una no
mi spaventa di più l’enciclopedia galattica in esso contenuta…
Raro incontrare signore che si interessano di science fiction. Si dice xkè mancano di fantasia.
….ormai l’ho scritto.
ps,
non l’ho ancora iniziato!
Credi che potremo andare avanti a dialogare così….?
Bonsoir
Cha
io ho esaurito il repertorio e aspetto che suoni la campana della mensa
io non l’ho esaurito!
Però è ora di pensare al cibo…
;-)
bon appetit
ho mangiato molto bene stasera,
e ho bevuto dell’ottimo teroldego rotaliano del Trentino…
cosa si può desiderare di meglio?
:-)
Cha
Bonnuit…
Stasera lo inizio…
739 pagine galattiche!
:-)
quando l’hai finito te lo compro a metà prezzo. il mio l’ho prestato e nn l’ho + rivisto.
l’ho trovato nella biblioteca del mio paese, non potrò dartelo e mi spiace!
ma lo sai che mi piace?
ho letto solo poche pagine ma già mi entusiasma…
grazie a te
Prego, e enjoy it! Mi son sempre chiesto però xkè la science fiction sia sempre stata considerata letteratura di serie B, e i gialli/noir no. Mancanza nei critici letterari di un pur min sapere di Scienza, o per un pregiudizio?
da sempre, credo, sul pubblico fa presa il noir,
la gente ha bisogno di forti emozioni, di brividi, di suspence…
io personalmente preferisco evitare quelle troppo forti, essendo già di natura estremamente emotiva.
Volare nello spazio acquisendo così nozioni che mi portano verso un’apertura anche scientifica, questo può solo contribuire al mio benessere.
ora vado a: immergermi…
ciao caro sgt. P.
Chapuce
ps,
però se proprio non riesci a trovarlo
posso vedere di procurarmelo per te!
i libri non andrebbero prestati….devono conservare il loro e il nostro odore.
:-)
Dove sei?
c’è nessuno?
io sì…
:-)
La psicostoriografia, da applicare ad ogni problema, è Molto interessante…
il tuo entusiasmo è contagioso. andrò a ricomprami il libro che ho letto 20anni fa. il racconto indubbiamente, se stai al gioco, acchiappa.
beh, se l’hai letto 20 anni fa sarà un vero piacere riscoprirlo anche per te!
io “Cent’anni di solitudine” l’ho riletto 5 volte, e ogni volta mi stupisce…
a presto
Chapuce
Cent’anni di solitudine nn l’ho mai letto xkè me l’aveva consigliato un amico che di solito legge mattoni rivestiti d’uranio impoverito. Provvederò.
Provvedi, sì, poi ci scambiamo le opinioni!
e poi è un libro che insegna molto, credimi,
come la trilogia che mi hai consigliato…
ciao
Chapuce
Ohé eccomi come capra fra i cavoli (senza offesa!) o come Enrico la talpa che sbuca qui dopo più di dieci giorni e prima di tutto saluta Chapuce e dopo di tutto risponde al sergente Pepper del September 20th, 2007 at 19:27 : il termine “caos” è strettamente legato alla teoria dei sistemi complessi, mentre per quanto riguarda l’entropia, è meglio parlare di “disordine”, la condizione di massima entropia corrisponde al massimo disordine [che vergogna, speriamo che Sparzani stia dormendo altrove…]. I fisici parlano di “morte entropica”, che brutta roba.
Il caos invece vive nelle situazioni di non equilibrio, lontane dall’equilibrio, dalle quali possono nascere anche strutture altamente ordinate. Dal caos insomma può nascere l’ordine.
Il disordine è degradazione dell’energia, il caos è riorganizzazione dell’energia sotto altre forme, quindi appartiene al mondo delle trasformazioni.
Sulle particelle – onde e altro forse risponderò fra altri dieci giorni.
Per i lettori: chi di Asimos ferisce di Marquez perisce… quando avete finito, al piano di sopra consigliavano “Il disordine perfetto” forse è il caso che lo legga anch’io (lo metto in lista)
saluti
fem
P.S. mi scuso se non rispondo a luminamenti, che un tic percettivo mi fa saltare a piè pari ogni volta che lo incontro. sig. cosa posso fare con me stessa?
Ciao!
sta diventando difficoltoso venire qui…
Leggeremo anche “il disordine perfetto”
aurevoir
Chapuce
X FEM & Chapuce,
grazie del distinguo. Per le particelle che ondeggiano, prendiamo fiato.
Immergiamoci nella lettura allora, e, ringraziando il postatore, l’ultimo chiuda la porta. ( Patsy, Nick Carter)
XXX