La Shoah della cultura italiana: un bue sulla lingua
a cura di Tina Nastasi e Antonio Sparzani
[“Avrei molte altre cose da dirle, ma ci vorrebbero forse dei volumi e d’altra parte non saprei come esprimerle sentendo di avere un peso sulla testa o, come nella tragedia antica, un bue sulla lingua …” da una lettera di Hélène Metzger a George Sarton del 12 agosto 1942]
Oggi è la giornata della memoria di uno dei fatti più gravi cui gli europei hanno assistito nel Novecento, alcuni da atroci protagonisti attivi, altri da vittime, altri da spettatori più o meno impotenti: la persecuzione e lo sterminio di massa degli appartenenti al popolo ebraico (senza dimenticare che sorte simile ebbero altre non meno sfortunate categorie, comunisti, omosessuali, disabili, zingari, e via elencando). Data la mia (as) pluridecennale appartenenza al mondo universitario scientifico e la mia (tn) esperienza nel mondo della scuola, il modo, molto parziale ma non privo d’interesse, che vi proponiamo per mantenere la consapevolezza di quello che accadde e per ri-capirne le conseguenze nell’oggi, è ripercorrere brevemente le vicende italiane che riguardarono scuola e università e in particolare il mondo della matematica italiana – analogo discorso varrebbe del resto per la fisica (basti pensare a Enrico Fermi), la chimica, ecc. Vicende le cui conseguenze furono e anzi sono di lungo periodo, sia sotto il profilo della pesante perdita di formazione di alto livello (vedi gli interessanti e deprimenti documenti scaricabili qui) sia sotto quello della perdita di autonomia intellettuale da parte di chi è sottoposto all’Autorità.
Visto che non dobbiamo inventare nulla di nuovo, vi proponiamo qui alcune pagine [pp. 230-43] di un puntuale e documentato libro sull’argomento: Angelo Guerraggio e Pietro Nastasi, Matematica in camicia nera – Il regime e gli scienziati, Bruno Mondatori 2005. Ci siamo limitati a qualche minimo intervento, e abbiamo lasciato la numerazione delle note come nell’originale. Segnaliamo poi specialmente il volume menzionato nella nota [13]. Ringraziamo molto gli autori che hanno dato il loro consenso a questa messa in rete. tn e as
Le leggi antisemite del 1938
Gli ebrei italiani del Regno di Piemonte e Sardegna avevano conquistato i diritti civili e politici nel 1848.
Le vicende risorgimentali avevano poi esteso questi provvedimenti alle regioni via via annesse al nuovo Stato. Da allora, gli ebrei italiani avevano partecipato alla vita nazionale come cittadini uguali agli altri, non più soggetti alle limitazioni, alle angherie e alle interdizioni che avevano segnato la loro plurisecolare presenza sul terreno italiano.
Novant’anni dopo, tra il luglio e il settembre del 1938, i circa cinquantamila ebrei italiani scoprono – e il Paese assieme a loro – che era stato tutto un sogno: il fascismo e la monarchia rompono d’un sol colpo il patto di unità nazionale.
Non si tratta solo di raccontare le tristi vicende di poche centinaia di intellettuali, quanto di illustrare l’entità delle conseguenze per le loro comunità. Anche per la matematica il danno è etico (tornano alla mente le parole di Colonnetti quando parla del «reato di prostituzione della scienza» [11] e quelle di Finzi quando parla delle «roboanti approvazioni» e dei «silenzi assordanti» [12] dei nostri intellettuali di fronte all’antisemitismo di Stato) e avrà profonde e negative ripercussioni sugli atteggiamenti delle generazioni più giovani. Ma il danno è anche immediato e coinvolge la produttività della ricerca. Quello che si configura come il culmine della repressione fascista, e l’inizio del suo esplicito divorzio dai sentimenti della maggioranza della popolazione, allontana dalla ricerca e dall’insegnamento – anche nel campo matematico – studiosi di assoluto valore, con l’inevitabile depressione dei giovani più brillanti.
Anno 1938: escalation verso le leggi razziali:
-14 febbraio: Bottai [allora ministro dell’educazione nazionale, era stato ministro delle corporazioni nella prima fase del fascismo] chiede al Rettore del Politecnico di Milano (e presumibilmente anche agli altri Rettori) dati sulla presenza ebraica tra gli studenti e i professori [32].
-13 marzo: il Gran Consiglio del fascismo avvalla l’Anschluß [annessione dell’Austria alla Germania] (il giorno stesso dell’annessione)
-3 – 9 maggio: visita di Hitler in Italia
-31 maggio: Mussolini, nella qualità di ministro dell’interno, chiede a un prefetto di accertare la “religione professata” da un candidato a un concorso del ministero.
-4 giugno: visita in Italia di una delegazione dell’ufficio della razza nazista.
-6 giugno: a un prefetto viene chiesto di indagare la “religione professata” da un segretario provinciale di un sindacato fascista (appena nominato).
-18 giugno: il Gabinetto della Presidenza del Consiglio dei ministri riceve una “disposizione di massima” di Mussolini perché venga impedito agli ebrei di partecipare ai congressi internazionali. La direttiva viene poi formalizzata e trasmessa alle Autorità, mediante una circolare (21 luglio) del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio.
-3 luglio: Mussolini impartisce ai Capi di Gabinetto dei “suoi” ministeri (Guerra, Marina e Aeronautica) la direttiva di non ammettere ebrei nelle Accademie militari.
-14 luglio: viene pubblicato sul quotidiano “Giornale d’Italia” il documento il fascismo e i problemi della razza, meglio noto come Manifesto degli scienziati razzisti. Una breve premessa informa che è stato redatto da un «gruppo di studiosi fascisti, docenti nelle Università italiane» che hanno lavorato «sotto l’egida del ministero della cultura popolare». Lo scritto fissa «quella che è la posizione del Fascismo nei confronti del problema della razza». È da questo documento che gli italiani apprendono improvvisamente di appartenere alla razza ariana.
-19 luglio: viene resa pubblica !’intenzione di trasformare l’Ufficio demografico centrale del ministero dell’interno in direzione generale per la Demografia e Razza, nota poi come “Demorazza”.
-29 luglio: la Direzione generale della polizia chiede ai prefetti l’elenco degli iscritti alle comunità israelitiche e l’elenco dei “dissociati”.
-17 agosto: una circolare del ministero dell’Interno ordina ai prefetti di impedire agli ebrei di essere nominati in “cariche pubbliche”.
-22 agosto: la “Demorazza”, in collaborazione con l’Istat, fa effettuare un censimento speciale degli ebrei.
-25 agosto: il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio diffonde una circolare che vieta di concedere onorificenze cavalleresche a ebrei.
-5 – 7 settembre: decreto legge sulla scuola contro i docenti e gli studenti italiani ebrei e contro gli ebrei stranieri.
-24 settembre: la “Demorazza” chiede alle prefetture di riferire entro due giorni sul «problema ebraico» e sulla «situazione ebrei nelle cariche pubbliche politiche amministrative sindacali o nelle attività commerciali o industriali».
-29 – 30 settembre: Hitler e Mussolini si incontrano a Monaco.
-6 ottobre: il Gran Consiglio del fascismo decide la persecuzione.
-17 novembre viene emanata la legge organica che regolamenta la cosiddetta questione razziale e assorbe i decreti del 5 e 7 settembre.
L’analisi delle leggi razziali del 1938 e delle sue conseguenze sul mondo matematico italiano ha bisogno di qualche considerazione di carattere generale. La prima riguarda la forza – quantitativa e qualitativa – della presenza che gli italiani-ebrei raggiunsero, già all’indomani della ottenuta parificazione di diritti, in tutti i settori della vita intellettuale e, in particolare, nel campo delle discipline scientifiche. Per la matematica ci siamo ripetutamente occupati, per esempio, di Pincherle, Volterra, C. Segre, Castelnuovo, Enriques, Levi-Civita, E.E. Levi. L’elenco, caratterizzato da nomi di indiscusso e riconosciuto spessore scientifico, basterebbe da solo a giustificare la questione se il successo matematico debba in qualche modo potersi spiegare con speciali attitudini razziali. La risposta viene però dalla considerazione [13] del livello culturale della comunità ebraica: a fronte di un analfabetismo dell’intera popolazione italiana del 1861 non inferiore al 70%, quello ebraico superava di poco il 5%. Nei decenni successivi, gli analfabeti italiani scendono al 50% nel 1901 e al 27% nel 1927; parallela¬mente, nel 1901 l’ analfabetismo degli italiani-ebrei è sceso sotto il 5 % ed è addirittura scomparso nel 1927.
Il dato spiega la forte presenza ebraica tra le file ancora fragili dell’intellighenzia italiana, nei decenni fra Otto e Novecento. Si tratta di intellettuali largamente “assimilati”, che si sentono cittadini italiani a tutti gli effetti e neppure concepiscono la possibilità del doppio status di italiano e di ebreo. Nel periodo che va dall’unificazione del Paese all’ascesa del fascismo, il loro atteggiamento si ispira alla partecipazione incondizionata e anzi entusiasta alla vita nazionale. Gli ebrei erano stati quasi tutti “patrioti”, spesso più degli altri italiani, quasi a manifestare la gratitudine per il nuovo assetto istituzionale e politico che li aveva definitivamente liberati dalla segregazione dei ghetti e dalla discriminazione. Partecipano alla grande guerra, hanno i loro caduti, le loro medaglie. E il loro atteggiamento non viene modificato in modo sostanziale dal fascismo. Non pochi ebrei indossano la camicia nera e continuano a partecipare con immutato zelo alla vita nazionale. Non pochi professori ebrei sono docenti di Diritto corporativo e non pochi partecipano attivamente all’elaborazione delle prime fasi della politica demografica, eugenica e razziale del regime. Insomma, gli ebrei – non diversamente da tanti altri italiani – non intuiscono affatto gli esiti della politica del regime. Pensano e agiscono come degli italiani qualsiasi e il loro legame con l’ebraismo si riduce più o meno alla conservazione di un cognome che ne indica l’antica origine. Il processo di assimilazione coinvolge anche i sentimenti religiosi. Se questi sono ancora relativamente forti nei ceti medi e bassi, sono invece davvero tenui in quelli intellettuali o inseriti nella classe dirigente. È davvero difficile, per non dire impossibile, rintracciare qualcosa di ebraico nel modo di pensare, scrivere e agire di studiosi come Volterra, Castelnuovo, Enriques o Levi-Civita. Nella loro corrispondenza, non vi è la minima traccia di questioni o di temi legati all’ebraismo.
Eppure, nonostante sia difficile rinvenire segni di una forte identità e coscienza ebraica, manifestazioni di astio e di livore antisemita sono presenti in Italia – ben prima dell’avvento del fascismo – in una parte consistente del mondo cattolico e anche in quel mondo scientifico e universitario che più ci interessa. È il caso di uno scambio di lettere fra alcuni matematici, svoltosi tra il 1909 e il 1924 (quindi in tempi antecedenti a quelli che stiamo considerando). L’oggetto del carteggio è una normale contesa di cattedre universitarie. Emerge però l’esistenza di un sentimento antisemita che porta a identificare la scuola matematica dell’Università di Roma con un covo di “giudei”, infiltrati nelle istituzioni dello Stato. [. . . seguono alcune questioni di dettaglio sulla distribuzione delle cattedre di matematica in quel periodo . . .]
La tematica non è originale, si tratta del luogo comune che diventerà uno dei leitmotiv della campagna razziale antisemita, soprattutto in Germania: la relatività è “scienza ebraica” e gli ebrei si sarebbero particolarmente impegnati nel diffonderla, per affermare il loro dominio. La traduzione italiana di simili insinuazioni dipinge il gruppo romano come una scuola matematica dominata da un gruppo di ebrei, talmente attaccati alla loro identità razziale-religiosa da praticare una politica di reclutamento che esclude tutti i non ebrei. Non è – francamente – una analisi attendibile. Parlare di spirito di corpo ebraico per Volterra, che della propria appartenenza ebraica non diede mai alcun segno, è una semplice invenzione. E altrettanto si può dire per personaggi come Enriques, Castelnuovo, Levi-Civita, Pincherle, Levi ecc.
Le leggi razziali italiane, per quanto riguarda la matematica, si abbattono in primo luogo proprio su questo gruppo stimato, un po’ “chiacchierato” – ma soprattutto temuto e invidiato – per la sua presunta azione di lobbying, in cui i motivi religiosi erano sicuramente trascurabili rispetto ad altre motivazioni. Siamo nel 1938, l’anno «cruciale e terribile per l’ebraismo europeo». [31] Solo la Germania nazista aveva una legislazione antiebraica; alla fine dell’anno, questa sarà invece un dato continentale: dall’Austria del dopo Anschluß alla Polonia, dalla Romania all’Ungheria. La decisione definitiva di Mussolini di varare una legislazione antiebraica e di rendere ufficialmente antisemita il regime (e il Paese) fa dunque parte di un processo continentale a cui il fascismo, data la sua rilevanza politica e diplomatica, partecipa da protagonista.
Per certi versi, il fascismo non inventa niente di nuovo. Nei secoli precedenti, molte regioni d’Italia avevano conosciuto delle leggi antiebraiche, spazzate poi via dal Risorgimento. È proprio l’eredità risorgimentale che spiega il carattere tardivo dell’antisemitismo italiano, maturato nel contesto europeo. Nel 1938 si consuma l’ultima drammatica fase della guerra civile spagnola, prova generale della guerra mondiale e primo vero grande scontro internazionale fra i due schieramenti ideologici contrapposti. La Spagna franchista è uno dei terreni su cui comincia a maturare un diverso atteggiamento internazionale da parte di Mussolini (fino a quel momento legato alle dinamiche della diplomazia europea). Nell’autunno dello stesso anno, la Conferenza di Monaco segna il destino della Cecoslovacchia con il tacito consenso delle grandi potenze europee che spingono la Germania a est, contro l’Unione Sovietica, per ritardare il più possibile la guerra europea.
L’inevitabile riferimento al contesto europeo non può però ridurre le leggi razziali italiane a un fenomeno di diretta derivazione tedesca. Né si può sostenere che l’Italia non conosca un vero e proprio antisemitismo e che le leggi vengano applicate in modo “blando”, quasi imposte da Hitler a Mussolini.[33] È indubbiamente vero che l’antisemitismo non ha mai avuto in Italia radici profonde (o comunque assimilabili a quelle di Germania, Polonia o Russia). La realtà delle comunità ebraiche italiane è profondamente diversa: non esiste una forte identità etnica radicata nella storia e rappresentata da una diversità di lingua e di costumi, ma comunità che, nell’ultimo secolo, si erano profondamente integrate nel movimento risorgimentale. Quello italiano rimane un antisemitismo essenzialmente politico – non biologico – che si sviluppa soprattutto negli anni “imperiali” che vanno dal 1937 al 1939, quando l’Italia vive una fase di rinnovata aggressività dai toni apertamente xenofobi. L’elemento antiebraico si sviluppa in parallelo a un elemento di forte revanscismo nazionalista, rivolto all’area mediterranea. Il Manifesto della razza è il tentativo di dare giustificazione scientifica a un’operazione eminentemente politica. Il fascismo, a questo proposito, utilizza astutamente le isole di antisemitismo presenti anche nella cultura del nostro Paese, soprattutto nel mondo cattolico. L’immagine degli ebrei deicidi, degli ebrei condannati da Dio o, nel migliore dei casi, degli ebrei come persone da convertire e da ricondurre sulla retta via, è presente in larga parte della tradizione ecclesiastica. Non a caso, fra i primi scritti pubblicati per dare una giustificazione ideologica alle leggi razziali, troviamo testi come La Chiesa e gli ebrei, [34] che richiamano la Chiesa cattolica alle sue tradizioni e ricordano i trascorsi antiebraici dei padri della Chiesa e della Compagnia di Gesù. Simili richiami non rimangono senza risposta da parte di esponenti significativi del mondo cattolico come quel padre Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica di Milano e presidente della Pontificia Accademia delle Scienze che pure accoglie al suo interno (nel 1936) anche scienziati “ebrei”, quali Volterra e Levi-Civita.
Sull’applicazione “blanda” delle leggi razziali non è il caso di soffermarsi, perché purtroppo non mancano testimonianze atte a smentirle. In modo blando o no, le leggi razziali vengono applicate con una corresponsabilità dei massimi vertici dello Stato che non ammette distinguo. I dati sono significativi soprattutto a livello scolastico: centinaia di professori universitari e liceali, centinaia di studenti universitari, migliaia di studenti liceali e di studenti elementari sono espulsi nel corso dell’anno scolastico 1938-1939. In modo blando o meno, viene reso praticamente impossibile l’esercizio delle libere professioni a chiunque sia di religione, anzi di “razza” ebraica. Certo, si possono raccogliere numerose testimonianze di solidarietà e di aiuto agli ebrei da parte di singoli funzionari pubblici, che cercano di aggirare le leggi o di non applicarle alla lettera, salvando (dopo il 1943) parecchie vite umane. Ma si tratta di singole testimonianze e di atti individuali, nobilissimi e lodevoli quanto isolati. Manca una solidarietà collettiva e organizzata, soprattutto fra gli intellettuali. Il loro mondo è uno dei primi a essere colpiti. La fascistizzazione della società deve iniziare dalla scuola, magari con la grottesca “bonifica del libro” promossa per “purificare” dalla contaminazione ebraica i manuali delle scuole di ogni ordine e grado.
Allo stesso modo i matematici ebrei scompaiono nelle ricostruzioni sto¬riche operate negli anni immediatamente successivi al 1938. È il caso del materiale documentario di preparazione della Mostra della Scienza, che doveva essere aperta nel 1942 in occasione della Esposizione Universale di Roma e che non avrà mai luogo per lo scoppio della guerra; i suoi edifi¬ci, in parte realizzati, costituiranno il nucleo del quartiere romano dell’EUR (Esposizione Universale di Roma). Con la seduta [35] del 17 novembre 1939 si insedia la sotto-commissione per la matematica che comprende numero¬si matematici di primo piano (tra cui Bompiani, Bortolotti, Cantelli, Giorgi, Krall, Picone, Sansone, Sibirani, Severi, Signorini, Tonelli, Conforto e Marcolongo). Bompiani dichiara che occorrerà, «oltre che illustrare i principi, rivendicar priorità di studio agli italiani, quando questo sia possibile senza falsare la storia della scienza» e Sansone si autopropone subito per dimostrare che l’algebra è nata in Italia. Con una passione generale irrefrenabile, i presenti si dividono i vari temi nel quadro di un’impostazione storiografica “rivendicazionista” lontanissima da quella che abbiamo visto caratterizzare il magistero di Federigo Enriques. Il primo loro prodotto – Indice e norme per la presentazione della Matematica nella Mostra della Civiltà Italica – precisa che l’indice ha lo scopo di elencare le persone che «debbono non essere dimenticate» ed è stato redatto con il principio «che l’apporto italiano alla Matematica costituisce, in più momenti essenziali, una delle manifestazioni più alte del valore intellettuale della razza italica e che quindi va messo in primo piano; tanto più che esso è sistematicamente ignorato nelle opere straniere di storia della Matematica». Non un solo nome di matematico ebreo compare nell’elenco (limitato ai matematici defunti). È grottesco vedere espunto dalla geometria algebrica un nome come quello di C. Segre. Ma dove, dal ridicolo, si passa all’indecenza è nel lungo articolo storico di Bompiani dal titolo Contributi italiani alla Matematica. Anche qui non si trovano esplicite affermazioni antisemite. C’è però lo sforzo sistematico di produrre un’immagine della Matematica italiana depurata da ogni contributo ebraico. Non un solo nome di matematico ebreo è menzionato e questo anche a costo di rendere farsesca la presentazione di alcuni settori di ricerca. Nel campo dell’ analisi funzionale per esempio, il nome di Volterra è omesso. Se possibile, ancor più clamorosa è l’omissione del contributo di Levi-Civita alla fondazione del calcolo tensoriale (che, secondo Bompiani, è riconducibile al solo Ricci-Curbastro). Il colmo è infine raggiunto nella presentazione del contributo della scuola geometrica italiana che – come osserva Bompiani – detiene «una posizione di assoluto primato nell’indirizzo algebrico». Questa posizione era stato conquistata anche, e soprattutto, in virtù delle ricerche di matematici ebrei come C. Segre, Castelnuovo ed Enriques. I loro nomi sono semplicemente omessi. Nel volume Un secolo di progresso scientifico italiano,[36] Comessatti teorizza: «La forza operante della tradizione agisce con fatalità storica, quando, come nel caso della scuola geometrica italiana, quella tradizione s’innesta sulle qualità eminenti della razza, creando addirittura una forma di pensiero, prezioso retaggio di autarchia intellettuale». Qui l’operazione di “pulizia” dal contributo ebraico si rivela comunque tanto difficile che, in un avvertenza riportata a tutta pagina all’inizio del volume, si dichiara:[37]
«Per la migliore intelligibilità degli Articoli che seguono, sono citati anche gli apporti più rilevanti di matematici ebrei, che furono professori nelle Università italiane, in quanto l’opera loro, a causa della posizione ufficiale che occupavano, non poteva non determinare reciproci scambi fra i contributi da essi apportati e quelli dei matematici ariani. Lo stesso criterio è stato adottato per gli Articoli di tutte le altre Sezioni».
Gli esiti della legislazione antisemita sulla comunità matematica sono devastanti. Vengono allontanati dall’insegnamento:[38]
– Guido Ascoli, ordinario di Analisi matematica, Università di Milano;
– Ettore Del Vecchio, straordinario di Matematica generale e finanziaria, Università di Trieste;
– Federigo Enriques, ordinario di Geometria Superiore, Università di Roma;
– Gino Fano, ordinario di Geometria analitica, Università di Torino;
– Guido Fubini Ghiron, ordinario di Analisi, Politecnico di Torino;
– Guido Horn d’Arturo, ordinario di Astronomia, Università di Bologna;
– Beppo Levi, ordinario di Analisi matematica, Università di Bologna;
– Tullio Levi-Civita, ordinario di Meccanica razionale, Università di Roma;
– Arturo Maroni, ordinario di Geometria analitica, Università di Pavia;
– Giorgio Mortara, ordinario di Statistica, Università di Milano;
– Beniamino Segre, ordinario di Geometria analitica, Università di Bologna;
– Alessandro Terracini, ordinario di Geometria analitica, Università di Torino.
In base all’articolo 4 del R. Decreto Legge n. 1390 del 5 settembre 1938 sui cosiddetti Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista, tutti vengono esclusi dal sistema scolastico italiano e dalle Accademie e Istituti di cultura, con effetto dal 16 ottobre 1938. Naturalmente, per individuare e colpire gli ebrei, occorre che gli stessi Istituti da cui li si vuole espellere abbiano fatto un censimento interno. Di tutto questo immenso materiale inquisitorio rende conto un recente volume,[39] dal quale apprendiamo che Severi nella propria scheda (ne compila almeno 11!) scrive che «il sottoscritto e tutti gli ascendenti, parenti e affini sono di razza ariana e cattolici». Bompiani, da parte sua, sottolinea che tutti i suoi ascendenti hanno «sempre appartenuto alla religione cattolica. Il nome di famiglia e il titolo nobiliare derivano dal feudo di Castel “Bon Piano” attribuito al capostipite della famiglia in ricompensa della sua partecipazione alle Crociate». La stessa UMI [Unione Matematica Italiana] viene sottoposta a una energica cura dimagrante. Vengono espulsi 27 soci, circa il 10 per cento del totale. Il comportamento dell’associazione professionale dei matematici italiani è semplicemente vergognoso.
[11] Cfr. G. Colonnetti, Pensieri e fatti dell’esilio (18 settembre 1943-7 dicembre 1944), Accademia Nazionale dei Lincei, Roma 1973, pp. 53-54: «Chi di noi non ha conosciuto biologi che si sono prestati a difendere le teorie razziali; o economisti che hanno trattato come un progresso sociale quella macchina burocratica che fu il corporativismo fascista, o tecnici che hanno considerata l’autarchia come una conquista. […] È di costoro un nuovo genere di reato: il reato di prostituzione della scienza. Essi vanno inesorabilmente cacciati dall’Università, a colpi di frusta, come i mercanti dal Tempio».
[12] Cfr. R. Finzi, Università italiana e le leggi antiebraiche, Editori Riuniti, Roma
1997, p. 20.
[13] Per una disamina più approfondita si veda G. Israel, P. Nastasi, Scienza e razza nell’Italia fascista, il Mulino, Bologna 1998; R. Maiocchi, Scienza italiana e razzismo fascista, La Nuova Italia, Firenze 1999.
[31] E. Mendelsohn, Gli ebrei dell’Europa orientale tra le due guerre mondiali, in La legislazione antiebraica in Italia e in Europa (Atti del Convegno nel cinquantenario delle leggi razziali, Roma 17-18 ottobre 1988), Camera dei Deputati, Roma 1989, pp. 343-353.
[32] Cfr. A. Galbani, Provvedimenti razziali: un documento inedito del febbraio 1938, in “La rassegna mensile di Israel”, V, LVII, 3 (1991), pp. 533-536.
[33] In molte università, i giornali locali degli studenti fascisti pubblicano i nomi di tutti i docenti ebrei presenti nell’ateneo additandoli al disprezzo generale.
[34] Cfr. R. Farinacci, La Chiesa e gli ebrei, Conferenza di inaugurazione dell’Istituto di Cultura Fascista di Milano il7 novembre 1938-XVI, Stab. Tip. Società editoriale “Cremona Nuova”, Cremona, 15 pp. Dello stesso autore, esponente di punta dello squadrismo fascista, segnaliamo il discorso del 23 gennaio 1940 radiodiffuso alle scuole medie: Motivi essenziali della dtfesa della razza, in G. Isola, L’ha scritto la radio. Storia e testi della radio durante il fascismo (1924-1944), Bruno Mondadori, Milano 1998, pp. 40-43.
[35] Mostra della Scienza Universale, Sotto commissione per la Matematica, seduta del 17 novembre 1939, ACS, EUR, SOM, fase. OA D/2-Q-Q.
[36] li volume è stato pubblicato (nel 1939) da quella SIPS che era stata fondata da Volterra nel 1907.
[37] Un secolo di progresso scientifico italiano (1839-1939), SIPS, Roma 1939, vol. I, p.47.
[38] A questi nomi, che riguardano i docenti di ruolo, vanno aggiunti quelli dei liberi docenti: Alberto Mario Bedarida (di Analisi algebrica a Genova), Giulio Bemporad (di Astronomia a Torino), Bonaparte Colombo (di Analisi infinitesimale a Torino) e Bruno Tedeschi (di Matematica finanziaria e attuariale a Trieste).
[39] A. Capristo, L’espulsione degli ebrei dalle accademie italiane, Zamorani, Torino 2002.
(la fotografia della simbolica Pietà, presente nel cortile del campo di sterminio nazista Risiera di San Sabba (Trieste) , è di tn)
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Un grazie infinito agli autori.
Trasmetto l’articolo.
Grazie, chissà come sono stati trattati i chimici?!
Mi associo a Nadia.
Grazie a Tina e Antonello, di cuore.
Un articolo molto interessante, perché non conosco bene il periodo dal lato italiano. Nel romanzo il giardino dei Finzi Contini, si spiega bene l’allontanamento degli ebrei dell’università (nel romanzo riguardo la letteratura). Il personnaggio principale deve studiare di nascondo da un amico, è cacciato della biblioteca, la sorella non puo andare alla scuola. E’ un film che mi ha commossa per la nostalgia, il destino orribile che suggerisce le ultime immagini.
Dunque un articolo essenziale, soprattutto per la giovinezza.
Grazie agli autori. E riscopro così anche Angelo Guerraggio nella veste del matematico storico. Ne sono contenta. Delle responsabilità dell’Università Cattolica e del suo fondatore circa le leggi antirazziali è bene fare memoria e tramandarla. Penso che sia una pagina nera della ricerca e del mondo universitario, prima che di quello cattolico.
Caro Bruno
ecco un elenco di chimici (professori ordinari e liberi docenti; degli assistenti non posso darti l’elenco perché fino al 1939 l’assistentato era un ruolo esclusivamente locale):
• Cesare Finzi (n. 22.2.1877), ordinario di Chimica farmaceutica Università di Perugia;
• Giorgio Renato Levi (n. 27.5.1895), ordinario di Chimica generale ed inorganica Università di Pavia;
• Mario Giacomo Levi (16.4.1878), ordinario di Chimica industriale al Politecnico di Milano;
• Leone Maurizio Padoa (n. 8.4.1881), ordinario di Chimica generale ed inorganica Università di Modena;
• Ciro Ravenna (n. 13.10.1878), ordinario di Chimica agraria Università di Pisa;
• Bolaffi Ada, libero docente di chimica biologica Università di Milano
• Di Capua Bergamini Clara, libero docente di chimica generale Università di Firenze (aiuto di Chimica analitica)
• Jolles Enrico, libero docente di chimica organica (sede non indicata)
• Levi Malvano Mario, libero docente di chimica generale Università di Roma
• Levi Tullio Guido, libero docente di chimica organica Politecnico di Milano
Vita Nerina, libero docente di chimica generale Università di Bologna
• Viterbi Emilio, libero docente di chimica generale Università di Padova
Potresti, secondo me, sulla base di questa lista, cercare di saperne di più sulle riviste della disciplina. Io sono eventualmente diponibile a collaborare.
Pietro
grazie Pietro di essere intervenuto direttamente a rispondere a Fontani, ti prego rimani vigile, non si sa mai! A.
Bell’articolo! Sarebbe bello, anche se forse troppo laborioso, cercare di capire cosa si è perso “in potenza”: a cosa stavano lavorando questi studiosi ed i loro gruppi di ricerca al momento dell’allontanamento? A quali risultati stavano cercando di arrivare?
L’epurazione trinariciuta degli studiosi, a mio avviso, ha ferito in profondità l’ambiente della ricerca.
{Piccola nota: perché se non ha senso parlare di matematica ariana o fascista, ha senso di parlare di matematica maschilista (vd. irigaray)? cosa contraddistingue le due riletture di questa materia, a livello metodologico?}
Caro Giulio,
avevo provato a fare qualche commento alle questioni da te poste. Non essendo pratico e al contempo molto pasticcione non ho messo la firma alla mia risposta e non so dove sia finita. In sostanza ti dicevo che che quello che so riguardo alla prima domanda (sulla matematica maschilista non so proprio che dire, solo che sto leggendo una bella biografia della Kovalewski da cui non ricavo una sensibile differenza di approccio rispetto per esempio a Weierstrass) è che la scuola italiana di fisica è letteramente distrutta dalle leggi razziali per l’emigrazione massiccia della componente più giovane della giovane fisica nucleare e che la chimica perde forse la componente più applicativa della disciplina, malgrado l’autarchia e la retorica che l’accompagnava. Posso solo dire qualcosa per la matematica, che dagli anni ’20 presentava evidenti segnali di un incipiente declino, o almeno di incapacità a ripetere l’esploit conseguito nel cinquantennio successivo all’Unità del Paese. Certamente sono scarse le presenze dei livelli di astrazione e dei nuovi linguaggi che si notano in Polonia, in Germania, negli Stati Uniti, né i tentativi organici che caratterizzano la nuova generazione dei matematici francesi che si connotano col nome di “Bourbaki”.
Quello che però le leggi razziali fanno è la rescissione della rete di contatti che lentamente e con molta lungimiranza stavano tessendo per esempio Volterra e Levi-Civita (gli allievi di quest’ultimo, i migliori, sono quasi tutti borsisti stranieri che vengono a Roma per studiare con lui e a sua volta Levi-Civita quasi ogni anni è all’estero, soprattutto in America e in Russia). Concludevo, e spero di mantenere presto la promessa, di porre un altro commento con la lettera che un matematico italiano ebreo, Guido Fubini, invia nel 1940 da Princeton (grazie a Levi-Civita) dove si trova esule (un riconoscimento che dice molto mi pare).
Pietro Nastasi
Due aggiunte. La prima, per Bruno, riguarda l’elenco dei fisici italiani ebrei espulsi dalle Università nel 1938:
Giulio Racah (n. 9.2.1909), straordinario (dal 1.12.1937) di Fisica teorica Università di Pisa;
Bruno Rossi (n. 13.4.1905), ordinario di Fisica sperimentale Università di Padova;
Emilio Segré (n. 1.2.1905), ordinario di Fisica sperimentale Università di Palermo;
Giorgio Todesco (n. 9.6.1897), straordinario (dal 1.12.1935) di Fisica sperimentale Università di Perugia;
Emanuele Foà (n. 16.7.1892), ordinario di Fisica tecnica Università di Bologna;
Cassuto Leonardo, libero docente di fisica sperimentale Università di Pisa;
Levi Augusto, libero docente di fisica sperimentale Università di Padova;
Magrini Silvio, libero docente di fisica sperimentale Università di Bologna;
• Mortara Nella, libero docente di fisica sperimentale Università di Roma (assistente).
La seconda aggiunta è per Giulio ed è la trascrizione della lettera di Guido Fubini, matematico torinese (analista e geometra differenziale), a Mauro Picone, esponente con Francesco Severi, dei matematici più vicini al fascismo. La lettera è datata Princeton, 31 gennaio 1940 e testimonia la cordialità di un rapporto ritrovato, ma, anche, l’isolamento scientifico, e anche umano, dei matematici italiani in conseguenza del loro comportamento in occasione delle leggi razziali. La lettera testimonia anche il ritardo dei matematici italiani sui nuovi trends internazionali e l’entusiasmo quasi infantile di Fubini nella scoperta di questo “nuovo mondo”:
Caro Picone,
Grazie dei tanti lavori inviatimi.
Io sto qui molto bene; ho un bel villino tra parchi e viali a prezzo modicissimo. L’Università è un parco cosparso di ville: la biblioteca …. qualcosa di straordinario. Si trova tutto, tutto, roba vecchia e nuova. Il congresso di N.Y. è tramontato (io credo). Altrimenti avrei scritto a te di astenerti dal venir qua, perché avreste probabilmente trovato un’accoglienza che vi avrebbe messo negli impicci. I miei figli lavorano e stanno bene. Eugenio (come primo stipendio) ha circa $ 3500 annui, circa 70 m. Lire al cambio legale. È vero che paga £ 7 mila annue per una camera, Ma, come vedi, gliene rimangono abbastanza: il vitto costa qui all’incirca come in Italia (in carne un 10% di più). I fitti invece sono il triplo. Io ho lavorato: ho lavori in corso di stampa negli Annals ed altrove. I colleghi qui sono così buoni, così cari, così affettuosi. Sarebbe impossibile trovar di meglio (Alexander, Lefschetz, Veblen, Weil, Einstein, Wedderburn, v. Neumann). Qui è un mondo nuovo: topologia (Alexander, Lefschetz con risultati di primissimo ordine), v. Neumann con le sue fondamentali scoperte sugli operatori lineari, Wedderburn in algebra ecc. Mi sono accorto (troppo tardi alla mia età) di essere un ignorante. Ma meglio tardi che mai. (…)
Pietro Nastasi
Grazie mille Pietro!
La lettera sembra veramente indicativa. Sarebbe azzardato chiederti dove l’hai trovata?
Sono stato nebbioso circa “la matematica maschilista”. Il mio dubbio riguardava quello che, secondo me, è un eccesso di lettura d’una certa sociologia. Sebbene l’impegno della comunità scientifica, l’indirizzo delle ricerche possa essere influenzato dal contesto sociale – il fascismo nel ventennio, il maschilismo perenne, l’Inghelterra di Newton o la Francia di Leibniz – non ho mai trovato traccia di questa influenza nei risultati, come afferma di trovare Luce Irigaray.
Non sono stato meno nebuloso, ma non vi vorrei annoiare qui con una divagazione inopportuna…
grazie ancora
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