L’impero della vergogna

intervista con Jean Ziegler

[Il prossimo 6 giugno si terrà a Roma un vertice speciale della Fao. per l’occasione Il Manifesto ha pubblicato il 23 maggio un’intervista a Jean Ziegler, esperto internazionale dell’ONU; a complemento di questa riporto quest’altra, rilasciata nel 2005 al giornalista Giuseppe Accardo durante la presentazione del suo ultimo libro “L’impero della vergogna” al canale televisivo francese TV5. Mi sembra scavi molto di più nei problemi e sia comunque assai attuale, l’unico aggiornamento che richiede è quello di sostituire al nome di Sharon quello di Olmert, a.s.]

(Traduzione dal testo francese di Manuel Antonini)

D. Il suo libro si intitola L’impero della vergogna. Qual è questo impero? Perché “della vergogna”? Qual è questa vergogna?

Nelle favelas del nord del Brasile, capita alle madri, la sera, di mettere dell’acqua nella pentola e di infilarci delle pietre. Ai loro figli che piangono per la fame, spiegano che “presto la cena sarà pronta…”, sperando che nel frattempo i ragazzi si addormentino.
Provi a misurare la vergogna provata da una madre davanti ai suoi figli vittime della fame e che lei è incapace di nutrire.
L’ordine omicida del mondo – che uccide attraverso la fame e l’epidemia 100.000 persone al giorno – non provoca solamente la vergogna tra le sue vittime, ma anche fra di noi, occidentali, bianchi, dominatori, che siamo i complici di questa ecatombe, coscienti, informati e, tuttavia, silenziosi, vigliacchi e paralizzati.
L’impero della vergogna? Ecco ciò che potrebbe essere questo impero generalizzato del sentimento di vergogna provocato dall’inumanità dell’ordine mondiale. Infatti, egli rappresenta l’impero delle multinazionali private, dirette dai cosmocrati [cosmocrates]. Le 500 più potenti tra queste l’anno scorso [2004 n.d.r.] hanno controllato il 52% del prodotto mondiale lordo, ossia di tutta la ricchezza prodotta sul pianeta.

D. Nel libro lei parla di “violenza strutturale”. Che cosa significa?

Nell’impero della vergogna, governato da pochi ben organizzati, la guerra non è più episodica, è permanente. Non costituisce più una crisi, una patologia, bensì la normalità. Non equivale più all’eclisse della ragione, come affermava Horkheimer, ma è la ragione d’essere dell’impero.
I signori della guerra economica hanno messo il pianeta in scacco. Attaccano i poteri normativi degli stati, contestano la sovranità popolare, sovvertono la democrazia, devastano la natura, distruggono gli uomini e le loro libertà. La liberalizzazione dell’economia, la mano invisibile del mercato sono la loro cosmogonia; la massimizzazione del profitto, la loro pratica.
Chiamo violenza strutturale questa pratica e questa cosmogonia.

D. Parla anche di una “agonia del diritto”. Che cosa intende dire con questa espressione?

Ormai la guerra preventiva senza fine, l’aggressività permanente dei signori, l’arbitrio, la violenza strutturale regnano senza ostacoli. La maggior parte delle barriere del diritto internazionale affondano. L’Onu stessa è esangue. I cosmocrati sono al di sopra della legge.
Il mio libro è il racconto del crollo del diritto internazionale, citando numerosi esempi tratti direttamente dalla mia esperienza di consulente speciale delle Nazioni Unite per il diritto all’alimentazione.

D. Lei considera la fame come un’arma di distruzione di massa. Quale soluzione suggerisce?

Con il debito internazionale, la fame è l’arma di distruzione di massa che serve ai cosmocrati per stritolare – e per sfruttare – i popoli, specialmente nell’emisfero Sud del mondo. Un insieme complesso di misure, immediatamente realizzabile e che descrivo nel libro, potrebbe rapidamente mettere un termine alla fame. E’ impossibile riassumerle in una frase.
Una cosa, però, è certa: l’agricoltura mondiale, nello stato attuale della sua produttività, potrebbe soddisfare il bisogno di cibo in un numero doppio rispetto all’umanità presente oggi nel mondo. Non esiste alcuna fatalità: la fame è una questione che riguarda l’uomo.

D. Certi paesi sono oppressi da un debito che lei definisce odioso. Che cosa intende dire con la formula “debito odioso” e quale può essere una soluzione?

Il Ruanda è una piccola repubblica di 26.000 km², posta sulla cresta dell’Africa centrale, che separa le acqua del Nilo e del Congo e coltiva tè e caffé. Da aprile a giugno del 1994, un genocidio terribile, organizzato dal governo hutu alleato alla Francia di François Mitterand, ha provocato la morte di oltre 800.000 uomini, donne e bambini tutsi [e hutu moderati n.d.r.]. I machete che servirono per i massacri sono stati importati dalla Cina e dall’Egitto, e finanziati, fondamentalmente, dal Crédit Lyonnais. Oggi, i sopravvissuti, dei contadini poveri come Job, devono rimborsare le banche e i governi creditori perfino dei crediti che sono serviti per l’acquisto dei machete degli autori del genocidio.
Ecco un esempio di debito odioso. La soluzione passa per l’annullamento immediato e senza compromessi o, per cominciare, da un esame del debito, come suggerito dall’Internazionale socialista o come ha fatto in brasile il presidente Lula, per rinegoziarlo in seguito voce per voce. In ogni voce ci sono infatti elementi delittuosi – corruzione, eccesso di fatturazione, etc. – che devono essere ridotti. Delle società internazionali di esame, come Price Waterhouse Cooper o Ernst & Young, possono farsene carico, come fanno ogni anno con le verifiche dei conti delle multinazionali.

D. Lei cita più volte il presidente Lula da Silva come un modello. Che cosa della sua azione le inspira questa considerazione?

Provo a volte dell’ammirazione e dell’inquietudine considerando gli obiettivi politici e l’azione del presidente Lula: dell’ammirazione perché è il primo presidente brasiliano ad aver riconosciuto che il suo paese conta 44 milioni di cittadini gravemente e permanentemente malnutriti e ad aver voluto mettere un termine a questa situazione inumana; dell’inquietudine, perché con un debito estero di 235 miliardi di dollari Lula non ha i mezzi per porre fine a questa situazione.

D. Nel suo libro parla anche di una “rifeudalizzazione del mondo”. Cosa vuol dire?

Il 4 agosto 1789, i deputati dell’Assemblea Nazionale francese hanno abolito il regime feudale. La loro azione ha avuto un’eco universale. Bene, oggi, noi assistiamo a un formidabile ritorno indietro. L’11 settembre 2001 non ha solamente fornito a George W. Bush l’occasione di estendere l’impero degli Usa sul mondo, ma l’evento ha anche giustificato la messa in scacco dei popoli dell’emisfero Sud per conto delle grandi società private transcontinentali.

D. Nel testo fa molto spesso riferimento alla Rivoluzione francese e a certi suoi protagonisti (Danton, Babeuf, Marat…): in cosa crede questa possa avere ancora qualcosa da apportare, due secoli dopo e in un mondo molto differente?

Basta leggere i testi! Il “Manifeste des Enragés” di Jacques Roux fissa l’orizzonte di qualsiasi lotta per la giustizia sociale planetaria. I valori fondatori della repubblica, o meglio, della civilizzazione tout court, risalgono all’epoca dei Lumi. Oggi l’impero della vergogna distrugge persino la speranza di concretizzare questi valori.

D. Accusa anche la guerra globale contro il terrorismo di togliere le risorse necessarie ad altri combattimenti più importanti, come quello contro la fame. Lei pensa che il terrorismo sia una falsa minaccia, coltivata da qualche stato? Se sì, che cosa glielo fa credere? Pensa inoltre che questa minaccia non sia reale o meriti un trattamento differente?

Il terrorismo di stato di Bush, Putin, Sharon è altrettanto detestabile del terrorismo dei gruppi jihadisti o di altri pazzi sanguinari di questo tipo. Sono due facce di una stessa barbarie. E sono reali sia l’una che l’altra, poiché sia Bush che Ben Laden uccidono. Il problema è sradicare il terrorismo: non può avvenire che con uno sconvolgimento totale dell’impero della vergogna. Solo la giustizia sociale planetaria potrà tagliare ai jihadisti le loro radici e privare i lacchè dei cosmocrati dei pretesti fondanti le loro risposte.

D. Nel 2002, lei è stato nominato consulente speciale dell’Onu per il diritto all’alimentazione. Quali riflessioni le ha ispirato questa missione?

Il mio mandato è appassionante: in totale indipendenza – responsabile davanti all’Assemblea generale dell’Onu e alla Commissione dei diritti dell’uomo – devo rendere valido giuridicamente, attraverso il diritto statutario o consuetudinario, un nuovo diritto dell’uomo all’alimentazione. E’ un lavoro di Sisifo! Avanza millimetro dopo millimetro. Il luogo centrale di questa lotta è la coscienza collettiva. Per molto tempo la morte degli esseri umani a causa della fame è stata tollerata in una sorta di normalità congelata. Oggi, è considerata intollerabile. L’opinione pubblica fa pressioni sui governi e sulle organizzazioni (WTO, FMI, Banca Mondiale etc.) affinché misure elementari siano prese per sconfiggere il nemico: riforme agrarie nel terzo mondo, prezzi adeguati pagati per i prodotti agricoli del Sud, razionalizzazione dell’aiuto umanitario in caso di improvvise catastrofi, chiusura della Borsa delle materie prime agricole di Chicago (che specula sui principali alimenti), lotta contro la privatizzazione dell’acqua etc.

D. Nel suo libro appare come un difensore della causa altermondialista, come un portavoce di questo movimento. Come mai interviene raramente nelle manifestazioni “alter” e che il movimento non vi considera generalmente come un intellettuale altermondialista?

In che senso? Ho parlato davanti a 20.000 persone al “Gigantino” di Porto Alegre nel gennaio del 2003. Mi sento come un intellettuale organico della nuova società civile planetaria, dei suoi molteplici fronti di resistenza, di questa formidabile fraternità della notte. Ma resto fedele ai principi dell’analisi rivoluzionaria di classe, a Jacques Roux, Babeuf, Marat e Saint-Just.

D. Sembra che lei attribuisca tutti i drammi del mondo alle multinazionali e ad una manciata di stati (Russia, Usa, Israele…): non è un po’ riduttivo?

L’ordine del mondo attuale non è solamente omicida, è anche assurdo. Uccide, distrugge, massacra, ma senza altra necessità che la ricerca del massimo profitto per qualche cosmocrate ossessionato dal potere e da un’avidità illimitata.
Bush, Sharon, Putin? Dei lacchè, degli ausiliari. Aggiungo un post-scriptum su Israele: Sharon non è Israele. E’ la sua perversione. Michael Warshavski, Lea Tselem, i “Rabbini per i diritti dell’uomo” e tante altre organizzazioni di resistenza incarnano il vero Israele, il suo avvenire. Meritano tutta la nostra solidarietà.

D. Crede che la morale abbia il suo posto nelle relazioni internazionali, che sono attualmente piuttosto dettate dagli interessi economici e geopolitici?

Non c’è scelta. O si sceglie per lo sviluppo e l’organizzazione normativa o si sceglie per la mano invisibile del mercato, la violenza del più forte e l’arbitrio. Potere feudale e giustizia sociale sono radicalmente antinomici.
“In avanti verso le nostre radici” esige il marxista tedesco Ernst Bloch. Se noi non restauriamo con tutta urgenza i valori dei Lumi, la repubblica, il diritto internazionale, la civilizzazione come noi li abbiamo costruiti negli ultimi 250 anni sono destinati a essere ricoperti, inghiottiti dalla giungla.

D. Da quando i talebani sono hanno lasciato il governo dell’Afghanistan, il Medio Oriente sembra essere attraversato da un’ondata di democratizzazione più o meno spontanea (elezioni in Afghanistan, in Iraq, in Palestina, apertura delle presidenziali ad altri candidati in Egitto…). Come giudica tutto questo? Crede che la democrazia possa essere esportata in questi paesi? O ritiene piuttosto che siano condannati ad avere regimi dispotici?

Non si tratta di esportare la democrazia. Il desiderio di autonomia, di democrazia, di sovranità popolare è consustanziale all’essere umano, quale che sia la regione del mondo dove egli è nato. Il mio amico e grande sociologo siriano Bassam Tibi vuole vivere in una democrazia e ne ha diritto. Ora, da oltre trent’anni, vive in Germania , esiliato dalla dittatura terribile che imperversa nel suo paese.
Elias Sambar, scrittore palestinese, un altro mio amico, ha diritto a una Palestina libera e democratica, non a una Palestina occupata, né ad una vita sotto la ferocia dei fondamentalisti islamici.
Tibi, Sambar ed io vogliamo la stessa cosa e ne abbiamo diritto: la democrazia. Il problema: la guerra fredda, la strumentalizzazione dei regimi al potere da parte delle grandi potenze ed infine la vigliaccheria dei democratici occidentali, la loro mancanza di solidarietà attiva e reale, fanno in modo che i tiranni del Medio Oriente, dell’Arabia Saudita, dell’Egitto, della Siria, dei paesi del Golfo, dell’Iran hanno potuto durare fino ad oggi.

Fine intervista. Ecco a voi una eloquente mappa della fame nel mondo: vengono indicate le proporzioni delle persone sottonutrite (1998-2000)

11 COMMENTS

  1. Sempre così chiaro.

    Allarmante come ci si possa permettere tanta chiarezza, e giusta ferocia, all’interno dell’ONU. Se una critica come questa è innocua, ho poche speranze.

  2. Io non so se mi può essere data una risposta: non mi ha mai convinto questa entità astratta delle Multinazionali. Questi fantasmi che non si sa come e perché agiscano.
    Domando: se è il capitale finanziario il sangue che scorre nelle vene di questi mostri, non saranno, per caso, tutti i nostri conti correnti bancari, di tutto il mondo, al 3% al 4% al 5%, i globuli rossi che fanno diventare sangue un’acqua che di per sé potrebbe scorrere altrimenti?
    Non si tratta dell’impero della vergogna, ma dell’impero dell’interesse.
    Siamo noi gli assassini.

  3. siamo ignoranti e menefreghisti, altro che assassini. ci contentiamo di palliativi ideologici informativi posti con perizia e sciocca diplomazia e quando un grand’uomo ci da un accenno della vera essenza del mondo in cui viviamo ci mettiamo a fare degli insensati mea culpa e domande cretine. a proposito dell’esportare democrazia, prendete ad esempio l’iraq, dopo la liberazione(conquistascusate), una delle prime leggi agricole applicate è stata quella di impedire ai contadini lo scambio di sementi, costringendoli ad acquistare semi prodotti da bayern dow chemicals, e le altre grandi chimiche che producono solo ogm. io sono con i 20.000 di porto alegre. appoggio totale che mi piacerebbe riuscire a rendere concreto. ma come?

  4. E chi prova vergogna? E’ un sentimento che presuppone senso di responsabilità, dignità personale, onestà. La nostra società italiota, pur variegata a dispetto delle telesemplificazioni (la gente, i cittadini, il nord, gli immigrati…), per più della metà ha abbracciato dichiaratamente le ragioni dell’impresa; l’altra parte, pur di non fare suo uno straccio di idea o di ideale, acconsente a qualsiasi dismissione: della ragione, dei propri interessi, della verità. Non sia mai che apparisse pericolosamente estremista!, nel dichiarare (che so?) che tre oligopoli mondiali (carburanti, farmaci, alimenti industriali) controllano la quasi totalità del potere economico e politico su scala planetaria… Dalla concorrenza, specie se scevra di regole, al monopolio il passaggio è più o meno lungo ma obbligato. Dalla falsa democrazia (quienquennale, disinformata, teleguidata) al populismo, idem. Dalla globalizzazione alla tirannia produttiva, poi, è già avvenuto. All’anacronistica lotta di classe (il capitale l’ha avuta vinta sul lavoro, che è pure consenziente) è subentrata la dialettica produzione/consumo, con tutte le armi da un lato e tutte le debolezze dall’altro. Neanche su N.I. ne siamo consapevoli tutti?

  5. sì, niky lismo, ne siamo credo consapevoli tutti, ma l’impero della vergogna è il titolo che un personaggio del livello di Jean Ziegler ha creduto di dare al suo libro nel quale queste cose si esemplificano, si spiegano e si documentano in maniera indubitabile e autorevole, così che non si possa più decentemente dire che è propaganda bolscevica. Se continuiamo a scrivere e a portare documenti su queste realtà è forse anche perché riteniamo che non sia del tutto inutile; i dati di fatto sono duri a imporsi, ma confido che la loro conoscenza possa interessare un numero crescente di persone, pur di insistere abbastanza. Se poi arriva un regime che brucia i libri e le persone, vedremo il da farsi.

  6. Questa intervista è, per me, un pugno nello stomaco, e ringrazio Sparz di averla pubblicata, anche se, leggendo queste cose, mi sale il tasso di indignazione fino a livelli non tollerabili –

  7. C’è un omonimo di Metello, che sembra avercela con me. E dire che a paranoia non sono secondo a nessuno.

    Quindi, dice la fotocopia di Metello: “c’è un grand’uomo che dà un accenno della vera essenza del mondo in cui viviamo”. E noi facciamo domande cretine e disturbiamo il guidatore.

    Bene.

    1. Da ciò che si legge, l’ideologia dell’omonimo, al contrario dell’originale è palesemente di destra, anche se non ci sono elementi sufficienti per definirlo fascista.

    2. L’inutilità potente di Jean Ziegler e di tipi come lui, sta nella tautologia:
    è inutile perchè quello che fa non serve a nessuno.

    3. L’inutilità potente dlla conoscenza di Jean Ziegler e della comunicazione di tale conoscenza, sta nella tautologia: è inutile perchè non è capace di cambiare niente.

    2. E’ almeno dal 1861 che si è chiarito quale “tipo di conoscenza” serva per cambiare il mondo: quando si desideri davvero cambiarlo.

    ° Tra tutti i pappagalli di questo mondo che pensano di cambiarlo con la “conoscenza”, chi è disposto a rinunciare al suo redditto superiore a mille (duemila, tremila…) euro e ad appoggiare una moratoria internazionale sugli interessi da capitale?

    °A proposito c’è un precedente storico: nella Repubblica Sovietica di Monaco del 1918. L’unica che affrontò il problema in modo radicale

    Naturalmente tutto questo è COMUNISMO, e tutti sanno come è andata a finire.

    Occorre un’altra strada.
    Ma siamo sicuri che sia una strada quella Porto Alegre Ziegler. Veltroni,?

    Dal momento che sono stati proprio i nostri soldi – in ultima istanza – a mantenere, in tutti questi anni, questi grandi fenomeni, e non sono serviti a un cazzo?
    E tanto meno ai DANNATI DELLA TERRA, che invece sono serviti a loro per accumulare pacchettini di diritti d’autore?

  8. Come vivere? – mi ha scritto qualcuno,
    a cui io intendevo fare
    la stessa domanda (scorcio di secolo 1997 W.Szymborska)

    credo solo al cuore che cresce nel buio
    alla scimmia che si dissocia dal branco
    alle voci che non vengono dall’interno
    alla strada che non è già tracciata
    alla verità che non si stabilisce intorno ai tavoli tondi quadrati in stanze chiuse alle commissioni dei poveri a chi vive la fame alle nostre continue assenze senza giustificazione a tutti i funerali a cui non andiamo ai libri che tante altre volte sono già stati bruciati
    eppure il cuore cresce come un erbaccia si diffonde per una speranza più delle ideologie che si alimentano loro si con la povertà misteriosamente senza un perchè nonostante case in cui nessuno voglia più abitare nonostante il fatto che vivere da soli è più che nascere nonostante i vertici gli apici sarebbe molto meglio piantare grano che grane vivere di luce che di economia discutere dell’uomo coltivare il bene la speranza la solidarietà far crescere il cuore

    con ossequi

  9. Io darei la parola a Bolton, magari qualche piano del palazzo di vetro riusciamo a chiuderlo.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato anche due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia, pubblicato presso Mimesis. Ha curato anche il carteggio tra W. Pauli e Carl Gustav Jung, pubblicato da Moretti & Vitali nel 2016. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.