Ah les vaches!
di
Carlo Grande
Si chiamano “Primula”, “Camomilla” e “Margherita”, sono scappate alla fine dell’estate scorsa, mentre le altre centosessanta sorelle salivano disciplinatamente sui camion per scendere a valle, al termine della stagione degli alpeggi. Sono rimaste tutto l’inverno oltre i duemila metri di quota, sulle montagne piemontesi di Pragelato, in Val Chisone, vivendo allo stato brado, sfuggendo a una decina di tentativi di cattura da parte di margari, addetti del Comune, veterinari e privati cittadini “che avevano offerto collaborazione”, come nel Far West. Chi è andato a cercarle ha potuto solo osservarle da lontano, perché appena cercava di avvicinarsi a meno di trecento metri le vedeva fiutare l’aria e scappare lontano, sempre più in alto. Le “fuggitive” sono tre giovani mucche di razza piemontese (fra l’anno e mezzo e i due anni), protagoniste di una “fuga per la libertà” che ha dell’eccezionale: hanno passato l’inverno ad alta quota, a temperature proibitive (è cresciuto loro il pelo, come agli yak tibetani), sono sopravvissute ai lupi che bazzicano i valloni, sono sfuggite alle laboriose catture con “teleanestesia”, con proiettili-siringa, cioè muniti di narcotici. Hanno resistito sei mesi, superando d’un balzo – per qualche straordinario “richiamo della foresta” – millenni di adattamento all’uomo.
La grande fuga dei bovini è terminata pochi giorni fa: “Erano ormai inselvatichite, verso di noi non mostravano più alcun timore” dice Vincenzo Fedele, responsabile dei veterinari dell’Asl 3 di Pinerolo. Come partigiani si erano acquartierate vicino alla borgata Allevè, che gode di un’ottima esposizione. “Chi le ha viste – ha scritto qualche settimana fa l’Eco del Chisone – le ricorda più veloci dei cervi, quando scappavano, anche immerse nella neve, sempre in formazione compatta. Dietro, una scia che pareva quella di uno spartineve. Senza mai voltarsi, verso la primavera”.
Con la primavera, però – agli inizi di maggio – sono state riacciuffate: spinte dalla fame erano scese a quote più basse, sono state attirate in un recinto, dove era stato messo del foraggio. Dopo una ventina di giorni, a metà aprile, una è stata catturata, mentre le altre hanno ripreso testardamente il largo. Le hanno bloccate sette giorni dopo, erano in ottime condizioni di salute: niente tracce di malattie come la Tubercolosi e la Brucellosi bovina, (trasmissibili all’uomo), nessun pericolo per le altre specie di animali selvatici.
Fine della corsa, rientro nei ranghi. Rimane la loro stagione di pura avventura, come banditi, come contrabbandieri d’antàn, leggendari in tante montagne. Le tre giovani mucche – impossibile non provare un moto di simpatia per loro – sono state protagoniste di una storia d’altri tempi, inimmaginabile per gran parte degli uomini, figuriamoci per animali della loro specie. Ora le tre ribelli sono rinchiuse in qualche stalla della pianura Saluzzese, chissà se i margari le riporteranno lassù, quest’estate, sugli amati pascoli di Traverse e Mendie, dove hanno corso una stagione “sul filo del rasoio”, come “Blade runner”. Anche i replicanti erano “lavori in pelle” destinati a essere “ritirati”. Nel film uno di loro era un esemplare femmina “da piacere”, un’altra (come il maschio, Rutger Hauer, peraltro), decisamente da combattimento.
Anche le manze hanno bravamente combattuto, per non tornare a valle, per restare fuori dal gruppo. Anche i bovini – ora lo sappiamo – qualche volta, nel loro piccolo si arrabbiano.
Nota del postatore
Carlo dedica al “sacro animale” un capitolo della sua ultima fatica letteraria Terre alte. Il libro della montagna”. Un libro che consiglio soprattutto a chi non soffre di vertigini!
effeffe
Ho fatto il tifo per le mucche, peccato che alla fine sono state riacciuffate.
Ho avuto modo di apprezzare la scrittura di Carlo Grande leggendo ‘la via dei lupi’ e di conoscerlo anche, approfitto per fargli ‘in bocca al lupo’ per questo nuovo libro e per salutarlo. Ciao Lucia
grazie Lucia, mi raccomando: non “crepi il lupo” ma viva il lupo (e anche gli agnelli)
Carlo