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Lettera agli amici italiani

di Karl Betz

Cari amici: Giovanni cattivo (quello di Porto Torres), Giovanni buono (quello di Alghero), Nicola, Lia, Laura, Guido, Adda, Maria-Antonietta, Giancarlo (fiero pastore), Daniel,

posso raccontarvi qualcosa della mia famiglia?

50 anni fa una sorella di mio padre, zia Rosl, è emigrata in Australia. Là vive, sposata con un greco, John Anagnostou. Sono sempre stato orgoglioso di avere uno zio greco, anche se acquisito, perché il greco, al liceo, è sempre stata la mia materia preferita. Quei due zii però, non li ho mai conosciuti personalmente. Parlando al telefono con zia Rosl si sente ancora chiaramente lo spiccato dialetto francone (della zona di Würzburg), frammisto all’accento inglese.

Tra vecchie carte, pagelle scolastiche ecc, zia Rosl ha scoperto un documento che per me possiede un alto valore sentimentale. Ora me lo ha spedito per raccomandata dalla Tasmania:

Si tratta dell’Entlassungsschein (foglio di scarcerazione) di mio padre Alphons Betz, dal campo di concentramento di Dachau, reparto prigionieri politici.

In una trattoria di Monaco aveva inveito ad alta voce contro Hitler. Poi sentì una mano stretta sulla spalla: “Mi segua!”. Fu messo dentro per tre mesi. E pensare che si era agli inizi, nel 1934! Se avesse espresso le stesse critiche un paio d’anni dopo, al più tardi dopo il 1939, sarebbe stato senz’altro ammazzato. Anche il Centro di Commemorazione del campo di concentramento di Dachau mi ha fatto pervenire copia della lista dei detenuti. Mio padre aveva il numero 4871.

Mio padre era un beone ed un furfante fortunato. Ma adesso ho almeno qualcosa per cui posso essere fiero di lui. Morì giovane d’infarto, a soli 48 anni, domenica 13 agosto 1961, giorno in cui fu eretto il muro di Berlino.

Se permettete, vi allego copia dell’Entlassungsschein. È firmato dall’allora comandante del campo, Mutzbauer. Ecco!

Passo bruscamente ad altro: in Germania c’è da un paio d’anni un ben noto moderatore televisivo di nome Johannes B. Kerner: tipo leccato, beniamino di tutte le suocere, sempre grondante correttezza politica. Onnipresente. Impossibile sfuggirgli.

Nel 2007 nel suo talk-show mise in scena uno spettacolo decisamente di dubbio gusto.

Aveva invitato una scrittrice di grido, tale Eva Herman (Das Eva Prinzip) per cacciarla poi di scena a telecamere accese, con un grande effetto di pubblico, mettendosi così in mostra quale sincero antifascista e democratico. Eva Herman propugna un’immagine della donna rivolta al passato, a cui si orientava in parte il modello femminile dell’epoca nazista. Con ciò – chiaro! chiaro! – Eva Herman giustifica anche l’eccidio di milioni di ebrei e di zingari, l’aggressione alla Polonia e alla Russia e tutti gli altri efferati delitti.

Vergognosamente devo, miei cari amici, riconoscere di essere anch’io nazista: amo Mozart (lo suono anche molto volentieri). Anche Heinrich Himmler amava Mozart, anch’io dunque sono nazista.

In Germania abbiamo più che mai bisogno di Hitler; perché effettivamente, a sentire quel che dice Willi Winkler, giornalista della Süddeutsche Zeitung: “Hitler è particolarmente adatto per le confessioni prive di conseguenze e per far continua mostra di principi profondamente antifascisti”. Ecco il lato piacevole della cosa: oggi l’antifascismo lo si può avere gratis.

Un comico tedesco, Harald Schmidt, ha presentato nella sua trasmissione televisiva un apparecchio da lui chiamato nazimetro. Per mezzo di un nazimetro sarebbe stato possibile, secondo lui, provare la tendenziosità politica e morale delle parole.

L’apparecchio reagì prontamente alle parole “cucina a gas”, naturalmente anche alla parola “autostrada”. Con la costruzione di autostrade Hitler aveva infatti rimesso in moto l’economia nazionale ed eliminato nel corso di pochi anni la grave disoccupazione.

Ovviamente politici e dirigenti televisivi si mostrarono subito indignati nei confronti del nazimetro.

Per favore, mi si permetta ancora un breve sguardo retrospettivo sul mio mestiere, il concertista: i nazisti avevano condannato/proibito l’arte contemporanea, sia nella musica che nella pittura, indipendentemente dal talento dell’artista.

Trovarsi però nella stessa barca insieme ad illustri artisti, come per esempio Paul Cézanne, significava per molti, dopo il 1945, la possibilità di un riconoscimento tardivo e di una fama inaspettata, anzi insperata.

La discriminazione da parte dei nazionalsocialisti non è certo prova di qualità per l’artista discriminato. E invece proprio questa fu l’argomentazione: “I nazisti mi hanno rifiutato, tu mi rifiuti, quindi tu sei nazista” (cfr. Heinrich Himmler amava Mozart, io amo Mozart, quindi sono nazista).

In un modo veramente insopportabile sono state saldate fra loro, in un’equazione, cose che non avevano nulla a che fare l’una con l’altra. L’equazione dice:

atonale o rispettivamente astratto/informale = democratico e progressista

tonale o rispettivamente concreto/formale = fascista e reazionario.

Nessuno e tantomeno un artista che volesse aver successo, avrebbe potuto permettersi di trovare orribile un quadro astratto o un brano di musica atonale.

Una professione di fede per la musica seriale o rispettivamente per la pittura astratta era diventata il banco di prova dei principi democratici.

Grande influsso sulla generazione dei sessattottini ebbe Theodor Adorno, il più importante sociologo del dopoguerra. L’eccentrico gergo ieratico e arzigogolato di quest’uomo è stato fatale per un’intera generazione di studenti.

Nel 1934 aveva recensito nella rivista Melos un ciclo di poesie messe in musica (La bandiera dei perseguitati) di Baldur von Schirach, Reichsjugendführer (capo della gioventù del Reich), lodandone il suo “chiaro marchio nazionalsocialista”. Nello stesso articolo Adorno rievoca l’immagine di un nuovo Romanticismo nei sensi del “Romanticismo d’acciaio” del Ministro del Reich Joseph Goebbels.

La data di questa dichiarazione di sudditanza è importante: 1934. Un paio d’anni dopo, altri dovettero fare simili dichiarazioni per salvare sé stessi o la loro famiglia. Nel 1933/34 non era ancora necessario. Chi già nel 1934 volle accattivarsi i nazisti lo fece per opportunismo o per effettiva convinzione.

Dopo la guerra Adorno divenne il Grande Inquisitore dell’arte moderna. Di pittori non astratti fece tutt’un mazzo definendoli sarcasticamente Lega di pittori di quadri per alberghi

Certo, ci sono anche tali pittori, ma valeva la pena di parlarne?.

Si potrebbero citare innumerevoli altri nomi: signori, spesso i più influenti nella vita culturale della Repubblica Federale, che qualche anno prima erano stati strumenti in mano all’ideologia nazista sostenendola contro il “bolscevismo culturale” nella musica e contro l’entartete (degenerata) pittura, ora invece si prostravano riverenti, trasformatisi in ferventi e zelanti propugnatori dell’arte moderna, dinnanzi a qualsiasi rete metallica dadaista.

Torno ancora una volta a Johannes B. Kerner ed instauro un rapporto fittizio tra lui e la mia nonna materna (nata nel 1894) che, essendo morta nel 1986, Johannes B. Kerner purtroppo non poté conoscere.

Mia nonna, Margarete Buchner, sarebbe stata clamorosamente cacciata fuori da un talk show del signor Kerner. Le sue massime reazionarie avrebbero fatto rizzare i capelli a chiunque. Però questa stessa persona nella primavera del 1945 nascose un fuggiasco dal campo di concentramento di Dachau, gli salvò la vita, rischiando la sua, sinché – finalmente – arrivarono gli americani. “Li riconoscerete dai loro frutti!”.

Il nascondiglio era una capanna nel bosco esattamente nel luogo dove ora sta la mia casa (dal territorio del campo di concentramento di Dachau a casa mia ci sono 30 km).

Georg Buchner, mio nonno, nato nel 1890, mastro fornaio, proibì espressamente a sua figlia Lydia, mia madre, di iscriversi al BDM (Lega delle ragazze tedesche).

Era inusitato, inaudito: tutti i ragazzi (tranne i ragazzi ebrei) erano membri di una qualche organizzazione giovanile nazista, sia che fosse la HJ (Gioventù hitleriana) o appunto il BDM.

La ragione per cui mio nonno potesse permettersi una tale resistenza ha cause diverse: era un veterano invalido della Grande Guerra (occhio di vetro); le autorità naziste locali erano state suoi compagni di scuola; godeva di alta stima in paese.

Avvenne un fatto che fu sulla bocca di tutti in paese, creando scandalo: tutte le compagne di scuola di mia madre erano allineate in fila per l’appello dell’alzabandiera, quando mia madre passò in bicicletta con la racchetta da tennis nel portapacchi.

Certo, non si può chiamare mio nonno un resistente, ma il suo atteggiamento era almeno coraggioso, quasi altrettanto coraggioso quanto le fervide dichiarazioni di Johannes B. Kerner e di altre personalità contro il fascismo e a favore della democrazia.

Con suo figlio Karl, nato nel 1921, mio nonno ebbe minor fortuna. Mio zio si presentò volontario e cadde, diciannovenne, nel 1941 durante l’aggressione alla Polonia, a Lemberg.

Io nacqui sei anni dopo e mi fu imposto il nome Karl in sua memoria.

Al funerale di mio nonno, nel marzo del 1968, il parroco Lorenz Grimm di Pfaffenhofen/Ilm tenne l’orazione funebre. Davanti alla fossa aperta disse – davvero – … e suo figlio Karl sacrificò la sua giovane vita nell’eroica lotta contro il bolscevismo”.

Avevo pur sempre 21 anni e fino ad oggi non riesco a perdonarmi di non aver tappato la bocca a quel signore venerando.

Permettetemi, per favore, di allegare una foto di mio zio del 1940.

Nato sei anni dopo la sua morte, non l’ho mai conosciuto.

Purtuttavia, sempre, fin dall’infanzia, ne ho sentito, struggente, la mancanza.

Vi saluto molto cordialmente, il vostro KARL,

Lunedì, 7 – 7 – 2008 (5° compleanno del signorino Carl Emilio Betz).

KARL BETZ, pianista, è nato a Monaco di Baviera nel 1947. Dal 1979 numerose registrazioni presso tutte le emittenti radiofoniche tedesche e molte straniere. Nello stesso anno ha avvio un’attività concertistica di livello internazionale. Le sue interpretazioni di Liszt e di Schubert ottengono notevole risonanza. Dal 1980 al 1986 docente incaricato al Richard-Strauss Konservatorium di Monaco. Nel 1986 professore alla Hochschule für Musik di Freiburg. Dal 1994 è professore ordinario di pianoforte alla Hochschule für Musik di Würzburg. Karl Betz vive con la sua famiglia nelle vicinanze di Pfaffenhofen/Ilm.

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Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.