Roma
di Franco Buffoni
Da dove la balaustrata prende il mare
Sfiorando con disperata vanità
D’Ostia gli scavi,
I resti oggi si scorgono di quello
Che potrebbe definirsi un edificio
Abitativo urbano di vaste dimensioni,
Una cafonata imperiale con disegni
Geometrici a mosaico e in marmo policromo,
Opus alexandrinum a confrontarsi
Con l’opus novum di un odierno
Evasore totale.
*
Com’era il mondo dove sbarcò Enea
Al di sotto del piano di campagna?
Rimosso lo strato di cenere compatta
Appaiono ambienti d’epoca ellenistica
Già nel 79 dopo Cristo abbandonati
Per precedenti terremoti e inondazioni…
Erano tante Rome disperse nei villaggi,
Varrone già lo scrive col tono del racconto:
Mons Capitolinus era chiamato un tempo
Il colle di Saturno, e cita Ennio
Come in una favola, sul colle
Saturnia era detta la città…
*
E presso Porta Mugonia al Palatino
Dalla casa dei Tarquini
Nel passaggio sotterraneo che conduce
Al santuario di Vesta
Scava ancora l’équipe per dimostrare
Come vuole il professore
Il legame tra i poteri:
Solo al re un diretto accesso era permesso
Al sacro fuoco.
Roma, Roma che ci scherzi ancora.
*
Negli Horti Caesaris il dittatore ospitò Cleopatra,
A Villa Torlonia Mussolini, Hitler.
Quattro intestini ancora impauriti
Per le dimensioni dell’Oceano Esterno
Da placare con sacrifici.
*
Da questo selciato composto
Di basoli in pietra calcarea
Si accedeva alla fortezza con funzioni di culto
E rifugio in caso di guerre: all’interno
Le tre nicchie con volte a botte per i sarcofagi.
Aveva diciott’anni Antonio Bosio
Nel 1593
Quando, entrato per un piccolo forame
Serpendo e col petto per terra,
Si ritrovò in santa Domitilla…
*
“Sodomito”, vergò un giovane collega
Sotto una volta della Domus Aurea
Accanto al nome Pinturicchio
Autografo, come la sua invidia.
Vi si calavano i giovani pittori
E poi strisciavano fino a quei colori
E rilievi con stucchi. Lavoravano
Per ore con poca luce e pane
Tra serpi civette barbagianni
E poi vergavano la firma.
Erano accesi i loro sguardi vigili
E sguaiati. Erano maschi.
“Pinturicchio”, definì Del Piero l’Avvocato
Nel momento del massimo fulgore.
*
Siamo tutti un po’ gibollati all’Ardeatina
Su cinque corsie dove al massimo
Dovrebbero starcene due
Senza caffè alle sette di mattina,
Alcuni furono finiti col calcio del fucile
Sono stati trovati col cranio sfondato
Erano ubriachi alla fine gli assassini
E sbagliavano la mira
Uno era qui accanto all’uscita ostruita
Si era trascinato in agonia.
*
Sembra persino educata
La gente in centro al mattino
Che si è appena alzata
Coi silenzi dei rumori
E i pudori del cielo che si muove.
Qui in via dei Portoghesi te ne accorgi dai passi,
Che alle sette sui sampietrini
Risuonano come silofoni
Scossi da lievi mazzuoli.
E una volta scendendola ho scoperto
Che era via Rasella
La mia scorciatoia mattutina al Quirinale,
Poi vi ho cercato lapidi segnali. Nulla,
Fuor che nero fumo vecchie insegne
Imposte del tempo dell’agguato,
Qualche ciottolo scheggiato.
Molti echi davvero partono qua e là. Un inizio ungarettiano. E soprattutto non si perde il ritmo. Bella.
Una gradita sorpresa, oltre la bellezza di questa composizione di Franco Buffoni, è il richiamo al maltese Antonio Bosio, la cui opera “Roma subterranea…” è piena di notizie utili [per esempio su una falsificazione di reliquie nella Sardegna secentesca] e splendide tavole.
Un’opera su cui C.E. Gadda dovette spendere parecchio del suo tempo, durante il suo secondo incarico di lavoro nella Città del Vaticano – ottenuto, a suo tempo, dall’amico di famiglia papa Ratti – quando dovette ricostruire lo stato di fatto del sottosuolo, in vista delle demolizioni per l’apertura di Via della Conciliazione.
Ancora su Bosio. Altrimenti nulla è chiaro.
1. In una sua divagazione sull’iconografia dei “sandali delli Apostoli” – una
diatriba accesa sin dai tempi dei primi Padri della Chiesa, spiega come
questa abbia avuto fine con lo stabilirsi che “li calceamenti”
rappresentassero la “predicazione del Vangelo”
Di qui, a mio parere, il gaddiano “l’alluce: la luce” dell’edicola di Pietro e Paolo nella campagna romana del “Pasticciaccio”.
2. Nel 732, il papa siriano Gregorio III, in contrapposizione agli iconoclasti
bizantini, fa erigere nel vecchio San Pietro una cappella con due altari, dedicandoli a ciò che gli iconococlasti vedevano come fumo negli occhi: la Madonna e le reliquie.
Le reliquie erano ossa di un santo, san Gavino, portate via dalla cattedrale di Torres, in Sardegna.
Seguendo una documentazione che comprende Bosio, ma che parte,
a mia conosceza, dal 1125, veniamo a sapere che a all’altare del santo,
annualmente, Corsica e Sardegna inviavano “doni”.
Malauguratamente, senza che sia riuscito a stabilirlo esattamente,
come e quando, a un certo punto quei doni diventano “tributi”
consentendo alla Chiesa di rivendicare la potestà sull’Isola.
Per donarla poi agli Aragonesi.
Le ossa, una volta demolita la cappella, verranno inumate nel nuovo
San Pietro, diventando Gavino un mai esistito Gavino prete romano,
mentre a Torres, rimasta senza, un vescovo con alacre scavo, ne ritrova un altro, nuovo [Gavino], che diventa tre [Proto e Gianuario].
Per sommo di beffa, la storia dice che queste ultime ossa siano ossa di bizantini.
Non si sa quanto iconoclasti.
Amo la poesia di Franco Buffoni, per l’eleganza del ritmo, la tradizione classica, tornata verso un passato letterario; qui si sposa con Roma.
Il brano sull’ Ardeatina fa un dolore come un colpo.
caro Franco,
una piccola eclisse
non mi impedisce di ringraziarti per Roma
per la sua misura e stile
che anche
in un certo qual modo
cura da certo sbrodolare e abusare parole
mi ha davvero commosso il finale
Ardeatine e Via Rasella
chi ha detto cha la poesia non debba essre “civile”
anche?
[ se posso dirti
la polemica sulla questione “noi e loro”
mi aveva un po’ respinto
così
perché
quando non si considera una cosa un problema
subentra un certo vago, colpevole, snobismo ]
ti ringrazio e a presto
Orsola
,\\’
Eleganza e misura, in queste poesie, davvero rara.
molto bella, un benvenuto da noi lettori a franco.
solo un’annotazione a margine: il finale, con il “protagonista” che cerca le lapidi in via Rasella, è significativo in due sensi: ma quanto mi sarebbe piaciuto – opinione tutta personale – che ci fosse stato almeno un accenno alla vigliaccheria immonda di quanti provocarono la terrificante reazione dei tedeschi. dobbiamo a loro, infatti, l’eccidio. furono usati degli innocenti, nel mucchio, per un regolamento di conti in nome del futuro “democratico” di questo paese.
quando una poesia dirà anche questo, a mio avviso, potrà dirsi compiutamente civile. perché avrà ristabilito, seppure in maniera letteraria e quindi, purtroppo, marginale, la verità.
Caro Franz, di immondo qui c’è solo la tua replicazione stantia di una vecchia parola d’ordine fascista. Del resto sei ormai in buona compagnia, con Bruno Vespa & Co. Ti consiglierei di leggere il carteggio tra Bentivegna e Vespa stesso, se non sapessi che ti piace, surrealisticamente, fare l’agent provocateur.
Con immutata amicizia
nessuna amicizia.
da uno che mi da del fascista replico con immensa durezza. pensa un po’ più con la tua testa. su questi temi sono pronto a scatenare una guerra. nessuna pietà.
mi sei simpatico ma occhio a come ti rivolgi al sottoscritto. io ho solo aperto una parentesi su qualcosa in cui credo, e pretendo rispetto.
ripeto: non sono disposto a scomodare “l’amicizia”, perché se continui su questo tono l’amicizia va direttamente a farsi fottere.
Amicus Plato sed magis amica veritas, per carità. E in nome della verità storica non sono disposto a tollerare mistificazioni storiche. Se dai a Bentivegna del vile immondo, certo che non c’è amicizia che tenga. “Regolamento di conti”? A regolare i conti sono i gangster – non so se ne sei cosciente, ma hai usato esattamente la retorica neofascista, che certo, oggi è stata fatta propria anche dai vespa e dai berlusconiani, ma quella è la radice. E per smantellare la ricostruzione fascista dei fatti (perché l’affare di via Rasella è un classico cavallo di battaglia della propaganda neofascista) ci sono opere storiche come quella di Portelli, oppure le stesse lettere di Bentivegna nel carteggio citato. Temo di dover rispedire al mittente l’invito a pensare con la propria testa, sai.
Ho scritto: “di immondo qui c’è solo la tua replicazione stantia di una vecchia parola d’ordine fascista.” Questo non significava darti del fascista, se la logica ha un senso. Ma tant’è. Lo stile, a volte, parla da sé.
Io comunque adesso vado in sala d’incisione, ti lascio alle tue certezze.
Sì, bravo, vai in sala d’incisione.
ma ricorda una sola cosa: la storia non è ferma. la storia, per propria essenza, è qualcosa che si evolve continuamente.
ecco perchè parlare di “revisionismo storico” a me fa ridere. sai perchè, professore? perchè la storia si revisiona continuamente.
vedi, sei tu che sei pieno di certezze. certezze vecchie, stravecchie.
sulla retorica neofascista, che dirti? io non sono di nessun partito, di nessuna corrente: detesto il fascismo e il neofascismo.
ho solo scritto quello che pensavo. se un pensiero espresso con vigore – lottare per ciò che si crede è appannaggio solo dei fascisti? – è degno di una retorica neofascista sei messo male. e sei in malafede.
e se sei in malafede, la mia amicizia te la puoi scordare da subito.
se solo si potesse dire alla vita come al computer: annulla inserimento dei commenti, e ricominciare da dove si era partiti. dal verso, dalla direzione…
effeffe
ps
grazie Franco
Proprio dal verso, ripartendo, la polemica nasce. Se a via Rasella non c’è lapidi (ma non ne sono così sicuro…), mentre a via Tasso c’è addirittura un museo della Resistenza, è perché questa polemica è annosa. E il riflesso lo abbiamo avuto anche qui, nel nostro piccolo. E questo mette in dubbio l’emergenza di una “poesia civile” come dice Orsola. Dove un’esigenza “politica” o “etica”, personale o collettiva, ordina quasi il verso: «poesia su ordinazione è ordigno», è stato detto.
chissà cos’è, in termini del tutto fattuali, una “cafonata”.
chissà come rientra il termine “cafonata” all’interno di alcunché di condivisibile che non sia anche piccolo-borghese.
e chiedo scusa per il mio, di termine desueto, misterioso.
Allego una ricostruzione un po’ lunga ma assai interessante
http://www.manifestolibri.it/vedi_brano.php?id=385
SENTENZA N. 17172 DEL 23/05/2007 della Corte Suprema di Cassazione
[ ad memoriam di mio zio Giancarlo Puecher Passavalli fucilato il 23 dicembre 1943 contro il muro del cimitero di Erba a vent’anni, Prima Medaglia D’Oro al Valor Militare della Resistenza Italiana e di suo padre. mio nonno Giorgio Puecher Passavalli, deportato per vile rappresaglia a Mauthausen, N. 76529, dove trovò la morte per fame e stenti, l’8 aprile 1945 ]
,\\’
Per carità, ha parlato Francesco Pecoraro, alias Tashtego. Uno che la democrazia la usa sempre a modo suo. Uno che “gioca a tennis con noi indiani e vince sempre”. E’ il Nadal dei lit-blog.
Tu Pecoraro le cafonate non le fai mai. Sei un vero signore. Sei uno che, per esempio, se io ti mando un mio scritto particolare per un parere, nemmeno fossi un famoso critico – e il parere te lo chiedevo da architetto, quale tu pare che sia – nemmeno risponde.
Chi è il cafone? Non rispondere a una gentile e non impegnativa richiesta di un “collega” che tii ha pure recensito favorevolmente (poichè il libro lo meritava?).
Chi è il cafone enorme, violento, repressivo?
Ce l’hai una risposta, Pecoraro?
Grazie Nadia, Véronique, effeffe, Sparz. Grazie Orsola per aver riassunto in un termine anche il mio pensiero sulla discussione relativa alla recensione di Simonelli su NOI E LORO. Grazie a Cristoforo, Marco e Franz: da non romano mi sorpresi proprio quando mi accorsi che era QUELLA la via che cercavo per scendere: la sorpresa mise in moto il testo e l’associazione. Grazie a Soldatoblu: proprio dalla lettura di Bosio nacque tutta la parte “archeologica” del libro che sto finendo di scrivere: 11 sezioni su Roma. Ma la connessione col presente per me è irrinunciabile: così l’evasore totale contemporaneo con villa e vista sugli scavi di Ostia mi ha costretto a un’altra associazione. Fancy o imagination?
Pecoraro, rispondi. O sei andato a meditare sulla tua pochezza umana? io sono qui, aspetto. Ho molto tempo, molta pazienza.
(Ti ho anche scritto in pvt, Pecoraro. Fà vedere di che pasta sei fatto, non farmi pensare che sei il solito tronfione buono solo a parlare dietro a uno schermo di computer, d’accordo? dai che ce la fai, Pecoraro).
Franco: perdona queste mie “fiammate”, ma la letteratura è fatta anche di carattere. Di solito cattivo. Certo, sui cafoni ho qualche perplessità.
Niki lismo e Orsola, vi siete inseriti con la storia e quel che più conta la storia personale, mentre stavo scrivendo. Tutto si tiene lì, in quel legame tra History e stories, è quello che muove in me sdegno e pietas. E bisogno di scrivere.
Intervengo ancora una volta: quella di Bentivegna è una verità. Che io, contrariamente ad altri, rispetto profondamente.
Ma Bruno Vespa, come voce contraria, è un pò poco. Secondo me.
Se trovo il tempo tornerò, con la pacatezza che si deve per questi argomenti, sulla questione.
Forse bisognerebbe abbassare un po’ i toni. Credo che nessuno di noi qui sia dalla parte dei nazisti.
Sdegno e pietas, come dice Buffoni, e la possibilità di esprimerli attraverso la poesia o la scrittura: questo può essere interessante. Gli attacchi personali un po’ meno.
“Da dove la balaustrata prende il mare
Sfiorando con disperata vanità
D’Ostia gli scavi,
I resti oggi si scorgono di quello
Che potrebbe definirsi un edificio
Abitativo urbano di vaste dimensioni,
Una cafonata imperiale con disegni
Geometrici a mosaico e in marmo policromo,
Opus alexandrinum a confrontarsi
Con l’opus novum di un odierno
Evasore totale.”
calma franz.
mi riferivo al senso della parola “cafonata” nel contesto poetico riportato qui sopra.
c’è usa sorta di eccesso di salto semantico con ciò che precede.
non so perché te la prendi così.
sono in vacanza all’estero, non mi collego sempre e la posta riceve solamente.
non so perché vuoi sapere se io abbia o meno “le palle”.
però se ti interessa così tanto posso dirti francamente che non ce l’ho, non nel senso che intendi tu.
anche se non posso negare di possedere due normali testicoli, peraltro in fase di serena dismissione.
non so perché te la prendi tanto, voglio dire che non lo capisco.
ti abbraccio (sinceramente).
ton pec
non avevo letto i commenti qui sopra e nemmeno la polemica sulla lapide di di via rasella, che non c’è.
il mio commento era solo nel merito del primo gruppo di versi, dove appunto si trova la parola “cafonata”.
come spesso accade è restato senza replica, franz a parte.
ma poi.
a via rasella perché dovrebbe esserci una lapide?
fu una strage operata da partigiani con uno specifico significato militare e, in quelle circostanze, del tutto condivisibile.
la lapide resistenziale non si appone dove hai colpito il nemico, ma dove il nemico ha colpito te.
Caro Pecoraro, se non capisci perchè me la prendo così tanto i casi sono due: o non capisci certe situazioni, o semplicemente prendi in giro il tuo prossimo.
Sulle tue “palle” mi hai dato la conferma che mi aspettavo.
Lascia perdere gli abbracci sinceri. Non essere ridicolo.
Buon proseguimento.
caro franz.
nel mio commento non toccavo nemmeno lontanamente i temi su cui stavi leticando con rovelli, ne altri da te introdotti.
di averci o non averci le palle parlano sempre i fascisti.
e i socialisti con nostalgie craxiane molti dei quali oggi sono approdati ad AN.
seguito a non comprendere l’origine dei tuoi insulti.
ti consiglio un buon farmaco.
ce ne sono di ottimi, in commercio, li passa la mutua, fatti fare una ricetta di quelle rosa.
buon viaggio: un blog “letterario” non giustifica ogni tipo di aggressione, l’essere scrittori non giustifica la formulazione di minacce via e-mail, come fai tu.
più sopra ti tocchi di nervi se ti si chiama fascista, ma è quello che sei, di fatto.
accettalo ed eventualmente fai un bell’outing.
ancora saluti e abbracci.
(sinceri: non ci si affeziona solo a chi si stima)
Prendo atto, Pecoraro. Nel senso che prendo atto di quel che mi scrivi.
Ovviamente non sono d’accordo, ma non posso dimostrartelo. Nè lo voglio.
Mi sono scusato con te privatamente per gli insulti, e ribadisco in questa sede le mie scuse. Ma la loro origine fai finta di non saperla. Te l’ho spiegata privatamente. Resta il mio errore, che per me è diciamo così formale: il contenuto lo meriti ampiamente.
Di farmaci ne ho presi parecchi. Forse non hanno funzionato. Magari un giorno sull’argomento ci faccio un racconto e lo piazzo nel mio blog http://www.markelo.net ; se vorrai venire “virtualmente” a farmi gradita visita.
Ogni tipo di aggressione: sei stato aggredito verbalmente, e basta. Mi pare.
Non posso fare l’outing per una cosa che pensi tu; uno che, a mio avviso, non può permettersi di dare lezioni di antifascismo nemmeno a me, se intendi cosa voglio davvero dire.
Anzi, tantomeno a me.
Non augurarmi buon viaggio. Anch’io sono un tipo che si affeziona: resterò nei paraggi, a leggere delle tue imprese tennistiche e dei tuoi volteggi ad alzo zero.
Per concludere: non ci si affeziona sono a chi si stima, è vero. Però i tuoi abbracci te li rimando al mittente. Puzzano.
caro franz,
se prima avessi letto le tue scuse non avrei scritto il commento qui sopra.
accetto sempre le scuse di chiunque.
le tue in particolare, mi fanno piacere.
sulla questione dell’essere o non essere fascisti e relativi sintomi c’è sempre tempo per tornarci.
ancora una tra le tante cose dicibili: abbiamo consentito che nel nostro, di noi tutti voglio dire, linguaggio quotidiano si insinuassero espressioni (un tempo impensabili) di matrice fascista, più o meno diretta.
una di questa è “avere le palle”.
sono convinto che le menti cambino a partire dal cambiamento del linguaggio (è quello che sta accadendo) e che le parole siano cavalli di troia per le idee che successivamente penetrano e invadono le menti.
questo posto è frequentato da gente interessata alla scrittura: qui le parole sono importanti.
quindi è importante accorgersi e segnalare quando sono fasciste.
mi riferisco solo alle parole, che spesso sanno essere molto più fasciste delle argomentazioni più accurate.
per me la polemica (incomprensibile) si chiude qui.
A me pare che tu abbia scritto diversamente.
Prendo atto nuovamente.
O si è fascisti (cioè dentro un particolare movimento politico) o non lo si è.
O si è fascisti dentro ( e qui si potrebbe parlare per giorni nel tentativo di fare i nomi di chi lo è e di chi no) o non lo si è.
Ma il termine è diventato di uso troppo comune. Troppo facile. Ma è colpa della storia, credo.
Sono cose che appartengono alla storia del nostro paese. Siamo ancora qui, nel 2008, a litigare sul termine.
Non so se “avere le palle” sia un’espressione di matrice fascista. A me, comunque, pare sottilmente delirante il tuo discorso; ma tant’è.
Scambiamoci (sinceramente) un segno di pace.
L’unico punto potrebbe essere quello relativo al termine “cafonata”. A me sembra chiarissimo: vuole dire che anche nella Roma imperiale non tutti i ricchi erano raffinati e le loro case ne risentivano, persino nei mosaici. È cosa nota tra gli studiosi.