Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato 5
[18 immagini + lettere invernali per l’estate; 1, 2,
3,4…]
di Andrea Inglese
Cara Reinserzione Culturale del Disoccupato
mi mancano le risorse
sembra poco un problema non decisivo
quello delle risorse una condizione momentanea
come un calo di energie e temporaneamente
non si riesce ancora a riposare basterebbe
trovare una stanza con un letto o anche
in luogo pubblico una poltrona o una sedia qualunque
abbastanza al riparo un angolo non troppo
frequentato le risorse non dico tante ma sento
che mancano
c’è di peggio c’è gente che sta male
che sta malissimo che brucia – dico – brucia viva
nelle guerre e non ne esce gente nata in guerra
o che si toglie la vita c’è gente gravissima che si butta con la testa
contro il muro o salta giù da un’automobile in corsa
anche in tempo di pace gente con grossi problemi
in democrazia può votare ma ha grandissimi problemi
tipo il padre o la madre o vuole fare a pezzi il cane
e non ha soldi c’è gente che non ha nessun soldo
ma è piena di debiti e anche di malattie e beve
beve fino a vomitare e non smette più di vomitare
pur essendo malata e non può stare da nessuna parte
ma soprattutto non può stare assieme agli altri
continuando così a bere e vomitare o prima l’uno poi l’altro
a me mancano solo le risorse
se avessi quelle risorse di cui ho bisogno
saprei come mettermi a posto
e lo farei rendendo me migliore e mettendo le idee che non mancano
in tutte le forme tangibili per mezzo delle risorse
guadagnando con le idee nelle forme visibili un sacco di soldi
fino a diventare generoso ma molto generoso
tipo offrendo pranzi o viaggi addirittura
a tutti gli amici anche a quelli che ho appena conosciuto
con quelle risorse io sarei a posto a me basterebbero
nient’altro tutto a posto e saprei addirittura rendere il mondo
migliore lo contagerei coll’entusiasmo i begli atti generosi
Magnifica poesia che murmura nella sua energia disperata ( anche se energia si sottrae) quanto il mondo odierno si accascia.
Una voce che viene fare compagnia a l’uomo, la donna in corso di solitudine.
ma il fatto è che a volte le risorse ci sono e quando ci sono a volte capita che uno (io) pensi “io devo dare un senso a quello che faccio eppure il senso non lo capisco: arrivo a sera che sono cotto, mi sembra di avere spaccato il mondo a forza di lavorare….e poi basta che un cliente non mi paghi una ricevuta bancaria di quattromila euri per mandarmi in paranoia”. Così perdo le risorse che ho cercato di immagazzinare. Risorse di entusiasmo, di proposizione etc..etc…
ma allora dai, ti dico che anche io penso che se potessi fare qualcosa di più per il “resto” ma poi va a finire che quando mi sembra di avere qualcosa, sto già pagando le cambiali agrarie e non mi rimane più niente.
Allora non so se è meglio essere disoccupati o se occupati in ‘sta maniera che si lavora, si lavora, si fanno sanguinare quelle due o tre cose e poi alla fine?
Stanno bene gli operai e non se ne rendono conto.
E la sera dico “ma a me chi me lo fa fare? stare qui a litigare ancora con mio padre per il sistema di lavoro, che lui orami ha passato i settanta e sembra uno di cinquanta che a volte a me mi manda sui bracieri ardenti senza appiccare nessuno fuoco…..”
chiedo scusa, ho parlato di lavoro…..non so se è pertinente.
è un punto di vista come un altro.
ciao
A uno cui mancano le risorse potrebbero almeno passare i tranquillanti che deve prendere perché gli mancano le risorse, altrimenti c’è il rischio che diventi un poeta, che è uno ancora più inutile di uno cui mancano le risorse.
[ i poeti, alcuni, altri no, rientrano nell’inutile necessario ad honorem, a priori, nella Palmarès degli inutili ai primi posti si contendono il podio a colpi di nulla altri ]
la foto è molto bella: facciona tonda velata, fiocchi occhi, severa, una sposa spaventa spose, una devota spaventa beghine
il problema delle risorse è tutto contenuto nella parola
cose di passato remoto
in terza persona per giunta
cose di altri
e quando cominci ad andare giù poi vai sempre più giù
“guadagnando con le idee nelle forme visibili un sacco di soldi” non è una cosa di tutti, ci vuole un certo pallino.
chi non ce l’ha si deve specializzare nel risparmio
che una volta nell’Italia del boom voleva dire che mettevi via il tuo gruzzolo
si festeggiava anche a scuola un giorno d’ottobre, il 31,
con la carta colorata gommata di certi albumini
detti per collage
si ritagliava nel foglio del marrone chiaro un salvadanaio di forma classica con la fessura
nel foglio del giallo monete tonde di varie dimensioni
una si incollava a metà nella fessura le altre sparse sul foglio
si incollava leccando il retro
fiduciosi nella composizione della colla
che in quanto al sapore assomigliava a quella dei francobolli
quel tipo di risparmio era un “fare economia”
nel senso che depositato nelle banche fruttava
serviva all’acquisto di cose
oggi l’espressione “fare economia”
non riguarda più il risparmio in quel senso
ma lo stare nel limite di limitate risorse appunto
per chi di risorse ne ha poche
nel sottrarre al meno
a sinistra dello zero
,\\’
Di cosa parlano le Lettere alla Reinserzione… ? Di disoccupazione, di lavoro, di “economia”? Per me parlano d’altro, spesso dell’ossessione amorosa, spesso dell’evidenza degli oggetti, ma ne parlano attraversando queste nostre prime e diffuse ossesioni, prime perchè più urgenti, e anche perchè sono la forma più banale e ideologizzata delle nostre ossessioni. Il mio obiettivo è di evocare attraverso un linguaggio e un vocabolario familiare (lavoro, disoccupazione, risorse…), accessibile fino alla banalità, delle ossessioni meno urgenti, di sfondo, ma anche ineliminabili, irriducibili.
Detto questo ogni divagazione sulle ossessioni primarie mi sembra pertinente, perchè forse implica già un passo di distanziamento.
Cara Orsola, il faccione è un vasone acquatico o fontanavaso di Galleria Borghese.
tabella delle banalità “più” caloriche (esagerando)
disoccupato di vita. non vitale. le idee giacciono in una confusione
tra essere come ti vogliono ed essere quello che si è. paura di rimanere soli. paura di rimaere inappagati. e si rimane soli e innappagati.
ritornare nell’ utero, imparare la lallazione ancora prima che l’ alfabeto.
non nascere. nascere dovunque ma non in questa vita. volere un altro parte un’ altra madre un altro lavoro se hai un lavoro un lavoro che non devi lavorare se non hai il lavoro. volere un altro nome. un altro portafoglio. un altro conto in banca. spostare sempre di più il centro verso
un MEGLIO utopico e sentirsi in colpa di pensarlo.
e sentirsi banali posseduti da questo disagio intimo pur se non soli essendo disagio ahimè collettivo. avere paura della banalità. terrore. paura e terrore che sono tipici della classe borghese di quelli che si sentono mezze calzette mezzi eroi si sentono sempre mezzi vuoti.
il testo a prima lettura non mi era piaciuto* per niente ma ha lasciato
una radichetta insidiosa nei pensieri. tornata a rileggerlo ho pensato che
avevo preso un po’ sottogamba il messaggio che tutti abbiamo poi sotto gli occhi ma evitiamo di ascoltarlo perchè quarda caso spesso porta la nostra firma (non ci piacciamo)
un saluto, scusandomi degli eventuali refusi e confusioni
paola
]]anche dire mi piace non mi piace è riduttivo.
volere un altro parte – sarebbe – volere un altro padre
chiedo scusa
leggo su segnalazione di un amico – eh già, c’è qualcosa sotto, c’è qualcosa che si vuol far dire, che forse sarebbe ora dire circa le individuali ossessioni, tra poco le uniche individuanti degli individui – interessante questa lingua deliberatamente “troppo facile” – bella, vado a leggermi le altre
un saluto,
r
bè, mi piacerebbe sapere poi che ne pensi della serie, renata…
appunti:
le liste di – guardaunpo’ – ferlinghetti (“e poi, proprio sul più bello, arriva il beccamorto”)
il fantasma amato, commentava bene vv (o\e il fantasma armato? penso io)
di cosa c’è nostalgia? (o è piuttosto consapevolezza d’essere disinnescati?)
marco giovenale (se non erro) diceva di come l’habitat ideale dello scrittore, la stanza tutta per sé e 300 sterline l’anno, si è, a distanza di un secolo, trasformato nell’incubo dello scrittore
il linguaggio ci ha esautorato? ci ha superato? o lo si sta semplicemente riassumendo ad una più composta umiltà?
si è tornati, per spossamento, alla ricerca della metafisica della presenza, del fondamento intelligibile e unico, oppure si va spostando il sentire verso una più cara attenzione per la traccia, la fuggevole testimonianza (vedi le foto)?
l’affetto
(scusa, non è proprio già pensiero, ma lampi di pensiero che, chissà, forse s’organizzeranno – un saluto caro, r)
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