Le vocazioni alla tortura
di Andrea Inglese
Immagino che ci siano diverse forme di vocazione alla tortura, e quindi diverse tipologie di torturatori. Ci devono essere, in taluni, vocazioni possenti, irresistibili, che richiedono di organizzare l’intera propria vita per rendere il più possibile usuale, corrente, l’esercizio della tortura. È probabile che certi individui criminali scelgano il loro destino grazie anche alle opportunità, che gli offre una carriera fuorilegge, di torturare quando l’occasione si presenti. Il sentimento di superiorità che molti incalliti criminali sentono nei confronti della massa di persone normali nasce dalla consapevolezza di essere un’eccezione, di far parte di una ristretta cerchia che ha neutralizzato tutte le sociali inibizioni finalizzate a ostacolare l’esercizio della crudeltà nei confronti di altri esseri umani.
Esistono, però, anche torturatori dalla vocazione più debole, dei torturatori meno eccezionali. Questi torturatori mancano del coraggio di disporsi al di fuori del patto sociale, non si riconoscono nella figura del fuorilegge. Non sopporterebbero i rischi dell’emarginazione sociale, della condanna morale, della repressione poliziesca. Questi torturatori amano torturare, ma lo vogliono fare in tutta tranquillità. Possibilmente vogliono torturare in divisa, ossia dalla parte della legge, sostenuti da un apparato burocratico e amministrativo protettivo, da una corporazione solidale, da garanti politici estremamente autorevoli e influenti. Per tali ragioni queste vocazioni alla tortura, benché molto diffuse e ordinarie per il loro carattere “a bassa intensità”, rimangono potenziali e irrealizzate per lungo tempo. A volte, i più coraggiosi arrivano ad esprimerle all’interno del nucleo familiare, tra le quattro mura domestiche. Ma nonostante le vittime siano quasi sempre in posizione di debolezza (figli più giovani o donne), la tortura in ambito famigliare non possiede mai quelle garanzie tipiche della tortura in divisa, come servizio dello stato. Solo quest’ultima, infatti, garantisce al torturatore la piena tranquillità.
È quindi ben comprensibile che i torturatori ordinari e poco coraggiosi si decidano finalmente a realizzare il loro sogno sadico, quando circostanze favorevoli rendano del tutto priva di rischi la loro attività. Essi aspettano con pazienza, magari senza neanche esserne consapevoli, che si venga a creare un certo clima politico, che circoli una certa cultura all’interno delle istituzioni, che cedimenti si realizzino qua e là nell’equilibrio dei poteri di un sistema democratico. Questi torturatori ordinari aspettano, all’interno di ordinarie democrazie, che si creino quelle situazioni d’eccezione, affinché la tortura in divisa, esercitata a nome dello stato, sia tollerata e difesa. Ma essendo molti di questi aspiranti torturatori davvero poco coraggiosi, essi non si sentono davvero tranquilli nel pestare, umiliare, insultare senza motivo una persona indifesa, se non percepiscono che anche al di fuori della corporazione, anche al di là delle garanzie burocratiche e politiche, esiste uno sguardo bonario, indifferente, non giudicante. Questi torturatori non solo vogliono essere protetti dallo stato di cui indossano le divise, ma vogliono anche la complicità silenziosa della società civile, dei comuni cittadini. Magari non un plauso, ma di certo non un biasimo. Questi torturatori sono esseri fragili psicologicamente. Anche solo sentirsi fischiati e giudicati vigliacchi da una folla inerme potrebbe scuotere il loro equilibrio.
[Foto: Emmanuel Bonsu]
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Pensiamo alle migliaia di lavoratori messi in mobbing da anni da manager torturatori totalmente incapaci di gestire anche se stessi dediti allo spreco e ai falsi in bilancio, oggi ne stiamo pagando le conseguenze. ;-)
Marco
su vocazioni alla tortura, tra linguaggio e occhi pesti, penso sia davvero ficcante la vignetta di ellekappa su La Repubblica di oggi.
:-|
Mentre ho trovato davvero vergognoso come la notizia del pestaggio di Emmanuel Bonsu sia stata data al TG1, ieri sera. Se non avessi letto la cosa su internet oggi sarei certo che, anche se non detto espicitamente, il ragazzo è uno spacciatore impenitente.
A Gianni,
io non l’ho avuta dal TG, ma la questione non cambia di un millimetro:
E’ meno grave, meno vergognoso esercitare la tortura su uno spacciatore di hashish inerme?
Abbiamo pubblicamente consentito a torturare i piccoli e grandi spacciatori?
Io sogno che per una settimana tutte le persone che non sono indifferenti all’azione dei torturatori ordinari e in divisa facciano questo numero: 052140521. E’ il numero del centralino del Comune di Parma.
Sogno che queste persone chiedano semplicemente ai funzionari del Comune che risponderanno se non si vergognano per l’agire dei loro colleghi.
Come cittadino ho il diritto di manifestare il mio dissenso quando i soldi che pago in tasse vanno a stipendiare vocazioni di torturatori ordinari.
Andrea: “E’ meno grave, meno vergognoso esercitare la tortura su uno spacciatore di hashish inerme?”
Chiaro che no. Ma io facevo un altro discorso, parlavo dell’informazione pilotata delle reti di stato che camuffano una notizia per “giustificare” l’ingiustificabile, infangando, tra l’altro, il buon nome di quella famiglia che ora vivrà con un procurato “senso di colpevolezza”.
Ho ben capito, Gianni. Ma è tra l’altro questo che è allucinante: leggendo le dichiarazioni del comandante della polizia municipale riportate su Repubblica emerge appunto questo: non potendo negare che ci sia stato un fermo, fanno di tutto per avvalorare l’ipotesi dello spacciatore COME SE QUESTO POTESSE GIUSTIFICARLI IN ALCUN MODO. E il fatto che non se ne rendano neppure conto, segnala sino a che punto minimi principi di democrazia e civiltà non siano più condivisi.
da gente sul ponte 1986
w.szymborska
nulla è cambiato.
il corpo è suscettibile al dolore
deve mangiare respirare e dormire
ha pelle sottile e subito sotto sangue
ha una buona scorta di denti e di unghie
le ossa fragili e giunture estensibili
nelle torture di tutto ciò si tiene conto.
nulla è cambiato.
i! corpo trema come tremava
prima della fondazione di roma e dopo
nel ventesimo secolo prima e dopo cristo
le torture sono così da sempre
solo la terra è cresciuta di meno
e qualunque cosa accada è come dietro la porta.
nulla è cambiato c’è soltanto più gente
oltre le vecchie offese ne compaiono di nuove
reali immaginarie temporanee e inesistenti
ma il grido con cui il corpo risponde loro
era è e sarà un grido di innocenza
secondo eterni registri e scale e misure
nulla è cambiato
se non forse i modi le cerimonie le danze
anche se !l gesto delle mani
che proteggono il capo
è rimasto lo stesso.
il corpo si torce dimena e divincola
fiaccato cade raggomitola le ginocchia
illividisce si gonfia sbava e sanguina.
nulla è cambiato tranne i confini e il corso dei fiumi
la linea dei boschi del litorale di deserti e ghiacciai.
tra questi scenari l’animula vaga
sparisce ritorna si fa più vicina si allontana
estranea a sè stessa elusiva inafferrabile
ora certa ora incerta del proprio esistere
mentre il corpo c’è e c’è e c’è
e non trova riparo
Andrea, non ho potuto leggere tutto; perché l’argomento mi dà nausea. Non ho mai riuscito a pensare che una persona umane faccia tortura a un’ altra. E’ lo penso, è un articolo coraggioso. L’immagine è terribile: non si puo guardare troppo; è il simbolo di una vittima di violenza. Niente violenza da giustificare…
C’è una vocazione all’abuso e alla prevaricazione sull’altro che in questi anni sta emergendo, libera di dispiegarsi. Dalla tortura, al lavoro nero (ah, che meraviglia sarebbe per la Confindustria!), allo sfruttamento della prostituzione schiavizzata, all’abuso su chi è più povero e marginale di noi, per sentirsi meno poveri e sfigati.
“È probabile che certi individui criminali scelgano il loro destino grazie anche alle opportunità, che gli offre una carriera fuorilegge, di torturare quando l’occasione si presenti.”
Questo è ciò che più mi ha lasciato interdetta.
Già la notizia mi aveva sconvolto..
Ho letto con attenzione questo articolo, dopo aver letto quello di Francesco Marotta che mi ha indirizzato qui, e vi riconosco il coraggio di una presa di posizione ..il coraggio, il coraggio, è quello che manca spesso e che porta a episodi inqualificabili come questo.
Rina
Grazie Andrea! Questa è proprio la definizione che ha dato Lorenz di pseudospeciazione. Disumanando l’altro riesci a infierire, perché non lo consideri più un essere umano. Un meccanismo che nei campi di sterminio era costantemente riconoscibile.
Disumanandoti se piangi
Ti libero io
Dalla necessità d’essere vivo.
E riderò insieme al mio amico dopocena
Vergognandomi di lui se cederà.
Lo lanciò in aria due o tre volte
Come un pallone
Finché ricadde sventrato sui fili.
Aveva un volto normale. Rideva.
andate a vedervi sul blog di Grillo “gli orsi della luna”, è agghiacciante.
Franco:
I giapponesi durante la guerra in Cina chiamavano i cinesi “tronchi”, “legname”.
L’argomento è terrificante, ma sono dell’idea che la nausea vada combattuta; che proprio l’esistenza, e persino la frequenza, di questi orrori, ci imponga di guardarli con attenzione. E anche di pensarci su con estrema severità, persino nella forma dell’autoaccusa. Se un uomo come Steiner – posto che sia vera quella sciocchezza a lui attribuita qualche tempo fa sui giamaicani rumorosi – ha potuto scivolare in tale senile intolleranza, lui che per una vita ha parlato dell’orrore compiuto dall’uomo sull’uomo, nessuno ne è immune. La divisa, poi, è un formidabile alibi, così come ogni forma di incasellamento gerarchico, deresponsabilizzante.
Per parlare di tortura, restando in area ebraica, io trovo che vi siano poche pagine più intense e più veritiere di quelle che Roth scrive, in “Operazione Shylock”, quando si immedesima in John Demjanjuk, l’Ivan il Terribile di Treblinka (nell’edizione Einaudi sono a pp.60-70). Molto più forti, anche solo quelle iniziali, le prime tre, delle mille sciorinate da Littell nelle “Benevole” (per quanto a me quel libro sia parso, soprattutto nella prima metà, impressionante e degno di essere affrontato). Perchè dico intense e veritiere? Perché lì Roth dà voce, con la sua abissale capacità di introspezione, a uno dei più spaventosi mostri dei tempi moderni, e riesce a trovare un accento così coinvolgente che ti trasmette l’entusiasmo per il sadismo assoluto. Esci da quelle tre pagine capendo – ed è spaventoso – che cosa si può provare a essere Ivan il Terribile, e perché quella droga sia la più forte che l’uomo abbia inventato. L’esecrazione non sarà mai così forte, sospetto, fino a che non vedremo le nostre stesse mani potenzialmente lorde di sangue.
L’ordinanza del sindaco di Parma parla di sanzionare i “comportamenti degenerativi in pubblico”. Molto pertinenti quindi, quanto allucinanti, risultano le dichiarazioni dell’assessore alla sicurezza (!) della medesima giunta (militare?) riportate dalla Repubblica di oggi: “La scuola iniziava alle 19, cosa ci faceva nel parco alle 17?… Si aggirava, telefonava, faceva gesti…”.
già, è l’epoca dei sindaci sceriffi, a Novara hanno rispolverato il reato di “adunata sediziosa”, con tanto di coprifuoco …
ma io mi domando Bolzaneto? Scuola Diaz? non fanno più testo? tutto già archiviato ?
dall’altro, però, qui non c’è solo abuso dei poteri di polizia, qui c’è di peggio, c’è che la realtà supera l’immaginazione: “Emmanuel. Negro”, correggo un mio precedente intervento: il colore della pelle non è già più solo aggravante di reato, è divenuto reato ipso facto. L’assessore alla sicurezza(!) intendeva:”cosa ci faceva un “negro” nel parco alle 17?”
la realtà che prende piede ogni giorno, davanti ai nostri occhi, è di gran lunga peggiore delle previsioni più pessimiste.
sembra di essere tornati al governo Tambroni. forse peggio ed è passato circa mezzo secolo, camminiamo a ritroso come i gamberi e ci ritroveremo a cantare faccetta nera. ma che fanno gli studenti, dormono sui banchi?
mi perdonerete, io spero, scrittori, ma vi devo dire che vorrei sentire la voce arrabbiata dei redattori negri di nazione indiana, che vorrei leggere le idee degli intellettuali negri italiani, a nazione indiana – mai che questa nazione indiana fosse un plotone di visi pallidi che giocano ai cowboy! voi mi perdonerete, scrittori, bloggaroli, se parlo come viene, ma io non vedo proprio differenza tra il sensazionalismo vostro e quello altrui, le povere foto di ragazzi maltrattati, qui, e là, sui giornali, l’immaginazione al potere, l’immaginazione selvaggia, le immagini, giammai, giammai, la ragione! sfiducia alle parole! e io piuttosto che vorrei vedere le facce di quei quattro disgraziati che al negro hanno cavato il sangue. se i volti sono ignoti, almeno i nomi. se i nomi sono ignoti, un diamine di indentikit. così se ne incontro uno al supermarket, so cosa fare. voi mi perdonerete, scrittori, inglesi, bloggaroli, ma vi devo dire che non vedo più alcuna differenza tra un giornalista ed un intellettuale, tra chi su E-polis scrive che i cinesi, all’Esquilino, vivono negli appartamenti “come i topi”, i cinesi-topo “con gli occhi a mandorla”, e il populismo qui del sangue che sotto pelle abbiamo tutti rosso, gianni biondillo. lo spero, sì, che mi perdonerete, che non vi dia fastidio, se scrivo senza pensare, se non mi documento, magari sbaglio io ma a me non pare che abbiate gran curricula da militanti anti-razzisti (non serve, già, non serve), o un poco molto di coerenza, che so, come Saviano, per fare luce su ciò che gli altri vogliono tacere. piuttosto cavalcate la notizia, ché, se non sbaglio, qui su nazione indiana non leggo post sui negri e sul razzismo saranno mesi e mesi, ma di recente sì. e allora non capisco, perché scrivete e poi per chi, scrittori, inglesi, biondi, bloggaroli. perdonatemi ma non capisco. causiamo un DOS alla città di Parma? pisciamo rosso a Fontana di Trevi? avessi un solo amico negro a lui lo chiederei: “cosa facciamo? leggi nazione indiana?”
lorenzo carlucci
Di fatti, caro Lorenzo Carlucci, le parole e le sensazioni (ma nemmeno la ragione) non bastano; eppure sono parole, sensazioni e immagini che giornalisti (magari non tutti), tiggì e politicanti trasmettono da qualche anno a questa parte, che stanno dando frutti qua e là per i borghi d’Italia – frutti tossici più di quelli della finanza.
Io di NI sono solo un lettore, non sono scrittore ma bloggarolo un poco, però non è che per questo passo tutto il giorno a scribacchiare e basta. Con gli altri (“negri” compresi) ci vivo, ci parlo, ci litigo, ci faccio delle cose; magari faccio persino un lavoro (da “fannullone” naturalmente) che mi permette persino di avere a che fare con i ragazzi e con qualche scheggia residua di “paideia”. Poco? Certo, ma da qualche parte bisognerà pur ri-cominciare.
A Lorenzo Carlucci (che non sa una cippa della mia vita): io non ti chiedo il curriculum da militante anti-razzista, tu “indignato”, col tuo bel ditino puntato, lo chiedi a me.
“magari sbaglio io”, scrivi. Togli pure il “magari”, Lorenzo.
Lorenzo Carlucci tu fai parte di quella triste schiera di personaggi a bagno nella loro porzione di ambiente letterario, porzione piccola e ben stagnante, da cui sono impossibilitati ad uscire per essere persone soltanto, poste di fronte ai crudi fatti del mondo. Tu non vedi il mondo se non attraverso il filtro di quel tuo bagno senza ricambio, fatto di polemicuzze di cui tu solo capisci il senso. Sollevi onde nel bidé e pensi di aver detto gran cose.
Mi sembra che lo squadrismo di quest’ultima risposta vada ben oltre l’eccesso di polemica che si può riconoscere a Carlucci (naturalmente chi voglia riconoscerlo, perché magari ci sarà anche chi è d’accordo con lui).
Sicuramente non degna né dell’articolo di partenza né del commento polemico.
Gli ambienti, di qualsiasi natura siano, signor Inglese, sono tutte porzioni e i comportamenti stagnanti, se lo lasci dire, sono piuttosto comuni anche in ambienti a lei vicini. Un autore che risponde con questi toni all’unico intervento polemico su un suo scritto – mi creda, e se non mi crede chieda opinione a chi ritiene di poter credere, ma magari non a suo cugino – è quanto di più stagnante si possa vedere, soprattutto in questo paese, in cui i figure intelligenti e consapevoli come lei non sono mai mancate e che, pure, hanno inciso zero virgola, anzi meno zero virgola. Insomma, hanno ristagnato.
@ Baldi-Carlucci: mi perdonerete,io spero,cari Baldi-Carlucci. Chi scrive non fa parte di NI, né può dirsi cugino di Andrea Inlglese,o suo amico (non ci siamo mai incontrati,frequentati né conosciuti).Caro Carlucci, non so quale NI tu solitamente leggi, ma è certo che ti sono passati inosservati i vari articoli apparsi anche in questi ultimi mesi e che affrontano la/le questione/i del razzismo nelle sue varie manifestazioni e declinazioni(dalle questioni razziali,al mobbing,passando per gli episodi di violenza omofobica e altro),come ben sai, non c’è bisogno di armarsi per essere contro,o per lanciare l’allarme…e non è detto che a trattare certe questioni uno scrittore vada ‘confuso’ con un giornalista. Ma,anche su questo,caro Carlucci,lei ha una concezione evidentemente deviata e svenduta…ci sono giornalisti serissimi in giro, non sono tutti brune vespe…cosa c’entra poi l’Immaginazione? ironizza su qualcosa che lei non sa proprio dove sta di casa : via Umberto I,San Cesario di Lecce.Caro Baldi,cosa c’entra lo squadrismo? quella da lei adottata mi sembra proprio l’arma (la strategia) che ha il potere dominante per annientare l’opposizione o il nemico, parlano di squadrismo proprio quelli che vengono da quella ‘formazione’; e poi,dire che “figure intelligenti hanno influito zero virgola”, è proprio della incultura dominante,che ha come religio la prassi, il fare,soldi,case,economia…è il pregiudizio qualunquista e squadrista che neutralizza le voci -contro.Ci vorrebbe più rispetto, non solo per i magnati dell’economia… Inoltre,Andrea Inglese,oltre ad aver scritto un pezzo intelligente,vivo,partecipato,è anche uno che ci ha fornito un’arma,il numero di telefono del comune di Parma presso cui far sentire il nostro disappunto e la nostra incazzatura…Cari Baldi-Carlucci, vi saluto parafrasando un precetto del Talmùd: fate scorrere acqua nel corso delle abluzioni serali
guardi cohen, che io non ho detto una virgola sul pezzo di inglese né ho preso parte per l’opinione di carlucci, anzi, ho scritto che la risposta di inglese non mi sembrava all’altezza dell’articolo che ha scritto. dico piuttosto che l’atteggiamento è tipico della mancata disposizione al contraddittorio, all’autocritica e alla ricezione della critica altrui che hanno fatto sì che anche le posizioni più intelligenti alla fine non abbiano influito (per essere espliciti, non hanno influito e hanno stagnato al punto che oggi ci troviamo anche per colpa di certi atteggiamenti in un paese come quello che qui si dipinge con giustezza di osservazione) perché continuano a scorrere dentro l’alveo di chi le condivide e stop, come una salutare (per chi le compie) lavaggio della coscienza. l’acqua non va fatta scorrere nelle abluzione serali o perlomeno non è sufficiente augurarsi che lo facciano gli altri.
nessuno ha opposto prassi, economia ecc. agli argomenti di inglese. bensì sarebbe l’ora di pensare anche ai propri errori e alle prospettive altrui e non soltanto essere sempre pronti a demonizzare chi la pensa diversamente. e questo è detto da uno che non la pensa troppo diversamente.
p.s. appunto, come dice lei, cohen, “le voci contro”.
Non lo ricordo certo per persone come Carlucci o Martino Baldi, che non considero in buona fede. Ma per qualche recente lettore di NI. In homepage c’è la segnalazione di un dossier intitolato “Razzismi quotidiani” di cui questo è l’indice: https://www.nazioneindiana.com/dossier/razzismi-quotidiani/. (Indice per altro non aggiornato…)
Il primo articolo che appartiene a questa serie scritto da Magali Amougou per “Diario” è stato postato da me il 29 aprile 2004 e riguarda eventi francesi. Purtroppo quel dossier negli anni si è ispessito sempre più.
caro inglese, non considerare in buona fede chi ci manifesta una qualsiasi forma di opposizione (tra l’altro senza alcuna ragione razionale su cui basare il giudizio di malafede) è il sintomo principale di una coscienza totalitaria. faccia lei.
io considero lei in assoluta buona fede, ma questo non mi esime dal manifestarle la mia opinione sul modo a mio modo di vedere assolutamente deleterio con cui ha risposto al Carlucci.
probabilmente (e ne fornisce una prima evidenza) aveva molte ragioni da opporre alla critica che le ha fatto Carlucci ma ha preferito passare direttamente alle offese. mi sembra che su questo non ci siano dubbi.
Ti ringrazio, Andrea, per la segnalazione. Effettivamente leggo NI solo da un paio d’anni. Un saluto caro, e buon lavoro. Non è un caso se scrivi poesie di quello ‘spessore’ e di quella tenuta. Un autore chiuso in una turris eburnea, o intento a sfogliare margherite in un giardino di Armida,non saprebbe scrivere le Lettere della reinserzione…complimenti e ariciao
Sottoscrivo in toto gli interventi di Martino Baldi.
Martino Baldi l’insinuazione di Carlucci di speculare su vicende che fanno solo stare male dalla rabbia e dall’impotenza non è degna per me di altra risposta e di altro tono. Il tono era non insinuante e denigratorio come quello di Carlucci ma franco e denigratorio. E con ciò si chiude per me ogni dialogo con Carlucci. Anche perché la polemica per la polemica con persona in mala fede è la cosa più inutile del mondo.
Quanto a lei, il fatto di definire la mia risposta “squadrista”, lo trovo del tutto fazioso, a meno che vi sia poca dimestichezza col lessico, cosa che non mi parrebbe leggendo come scrive.
Quanto agli esempi di risposte “squadriste”, essi si riducono a due modelli di frase: “Tizio sei un pezzo di merda” (e simili); “Tizio se ti prendo ti meno” (e simili). Veda poi lei se sono applicabili alla mia risposta.
Ma il discorso non riguarda solo lei: c’è un allegra brigata di specialisti della PAGLIUZZA, che godono enormemente di fare le pulci a normali cittadini come Biondillo e me, e altri come noi, solo perché osiamo ogni tanto fare e dire qualcosa contro la TRAVE di un governo semimalavitoso, che ha monopolio quasi integrale dell’informazione, che attacca le istituzioni democratiche, che ha nel governo un partito apertamente razzista.
Io non trovo questo atteggiamento innocente. Lei Baldi può anche proclamarsi fedele alle mie stesse idee e ai miei stessi valori, ma non mi convince minimamente.
Grazie Manuel.
E’ la tara della sinistra italiana (soprattutto, ma non solo). E’, come disse il tale, l’estremismo malattia infantile del comunismo.
Qualunque cosa tu dica io sarò sempre più a sinistra di te. Sempre e comunque. Mi devo distinguere da te, fare fronda, cavillare, speciare. E se tu dici qualcosa in un ciclostile autoprodotto, o su un blog, non muovi alcuna opinione, meno di zero, il nulla cosmico, ma se lo fai da una rivista di largo consumo sei un demagogo che si è venduto al demonio… Non mi interessa sapere che condivido i fondamenti etici che mi (ci) distinguono dalla destra, devo distinguere la distinzione del distinto distinguibile. Devo essere più puro dei puri, la purezza assoluta, un guru, un asceta, una divinità.
Nel frattempo, di là, queste pippe non se le fanno. E sprangano.
E chi beccano beccano.
Io da “lettore militante” per prima cosa chiedo e pretendo dall’”intellettuale militante”, scrittore, poeta o critico, COERENZA, cosa che mi sembra possedere Andrea Inglese nel suo agire e nel suo fare. Tutto il resto è polemica pretestuosa. Quindi buon lavoro ad Andrea Inglese.
come hai ragione Gianni!
Condivido pienamente quanto scrivono inglese e biondillo. Esiste una differenza fondamentale tra la necessaria facoltà di cogliere le sfumature e la complessità dei fenomeni e il cavillare volto a mettere in difficoltà l’altro per mostrarsi più fini e puri. Esiste infatti anche una tortura del linguaggio e della retorica, quella torura di chi è così sottile e acuto da sositituire le parole alle cose. Si tratta di una tortura nei confronti di una realtà che non si è in grado di tollerare, un sadismo vendicativo contro le sue obiezioni irriducibili.
gentile inglese, io non mi professo fedele alle sue stesse idee; faccio già abbastanza fatica nel tentare, spesso inutilmente, di essere fedele alle mie. ma forse la questione è proprio questa, ovvero se si chiede un atto di fedeltà o un atto di confronto, con le idee proprie e con quelle altrui, affini o dissimil che siano. per quanto mi riguarda la qualità di un’opinione sta proprio nella sua capacità di ricordarsi di essere tale e di avere una coscienza prima autocritica e poi critica. purtroppo (non ironico) non esiste una crtina tornasole che distingua l’essere dalla parte della ragione dal sentirsi dalla parte della ragione in fatto di opinioni. e chiarisco che l’oggetto dell’opinione che intendo non è il razzismo ma l’atteggiamento da tenere nei confronti di ciò che accade fuori da noi, razzismo compreso, opinioni discordanti comprese. questo modo di ragionare: se non sei d’accordo come me allora sei dalla parte di quelli che sono i miei nemici è un procedimento, come sicuramente sa, tipico di ogni propaganda; lo si potrebe definire un “sillogismo totalitario”.
io a dire il vero sono molto stupito dal fatto che tutti trovino naturale rispondere con semplici offese personali a qualcuno che non la pensa come te, sia che si tratti di pagliuzzia sia che si tratti di trave. tant’è che tutti hanno risposto producendo pensieri e opinioni. e, in merito alla sua puntualizzazione filologica sul significato di squadrismo, a me pare invero che il primo dei suoi modelli non si discosti molto da quello che risposto a calucci. non vedo una grande differenza tra il dire a uno che è un pezzo di merda e quello che lei ha risposto.
mi fermo qui, non per sfuggire al contraddittorio ma soltanto perché non mi va di passare come quello delle polemiche gratuite o – peggio ancora – come sostenitore della “purezza più pura” quando invece, caro biondillo, almeno io – non so carlucci – sto sostenendo esattamente il contrario: che proprio a partire dalla strage di ogni presunzione di purezza dovremmo partire, anche quando ci sentiamo dalla parte di una ragione inequivocabile. e dovremmo e partire anche da una presunzione di nostra coresponsabilità per quello che ci succede intorno, anche quando facciamo di tutto perché non succeda.
disponibilssimo ad affrontare il problema in una occasione più congrua, visto che forse non contribuisce – ovviamente – alla chiarezza il fatto che l’oggerro del post fosse altro e più stringente (ma non più importante o più concreto).
p.s. mi scuso per i refusi (scrivo da tastiera non italiana e malfunzionante)
già…:
“proprio dalla strage di ogni presunzione di purezza dovremmo partire, anche quando ci sentiamo dalla parte di una ragione inequivocabile. e dovremmo e partire anche da una presunzione di nostra coresponsabilità per quello che ci succede intorno, anche quando facciamo di tutto perché non succeda.”
come per altro aveva detto più sopra luigi weber, in una certa indifferenza.
“L’esecrazione non sarà mai così forte, sospetto, fino a che non vedremo le nostre stesse mani potenzialmente lorde di sangue.”
saluti,
lorenzo
Martino Baldi lei non si è espresso sul contenuto dell’articolo. E questo è un peccato, perché sarebbe interessare scambiare opinioni e critiche partendo da questo. E’ il senso di scrivere in questa colonna dei commenti.
Nonostante lei non si sia espresso direttamente a me sembra che voglia sollevare un’obiezione, che sembrarebbe di carattere politico: lei scrive:
“l’atteggiamento è tipico della mancata disposizione al contraddittorio, all’autocritica e alla ricezione della critica altrui che hanno fatto sì che anche le posizioni più intelligenti alla fine non abbiano influito (…) perché continuano a scorrere dentro l’alveo di chi le condivide e stop, come una salutare (per chi le compie) lavaggio della coscienza.”
Qui lei dice due cose:
1) basandosi su uno scambio polemico tra me e Carlucci, mi dà dello squadrista – insomma del fascista – non disposto al cottradditorio.
2) dice che questo atteggiamento è quello che condanna queste “posizioni più intelligenti” a rimanere minoritarie, ininfluenti e addirittura a vanificarsi come semplici lavaggi di coscienza per chi le compie.
Sul punto primo, la considero fazioso. Io ho argomentato contro la sua definizione di squadrista, ma lei NON ha argomentato nulla. Ha ripetuto che la mia risposta era squadrista. Questo atteggiamento per me inficia ogni proseguimento della discussione. Una risposta squadrista è una risposta intimidatoria, che si può basare su minacce di aggressione fisica o su ingiurie, che sono una forma di aggressione verbale. L’ingiuria che io sappia non veicola argomenti. La mia riposta polemica a Carlucci veicola invece un argomento: le tue critiche Carlucci sono ininfluenti perché invece di porti su un piano politico ed extraletterario risentono della tua visuale ristretta e ottusa, basata sulla competizione interna al mondo letterario (quello più ristretto tra tutti, il mondo letterario poetico). Il tono denigratorio di questo argomento era pari all’indegna accusa di speculare sull’attualità del momento, quando è dal 2004 che su NI io e altre persone ci occupiamo di questo cose. Quanto alle mia attività di tipo sociale e politico non sto certo qui a declinarle per Carlucci.
Quanto al secondo punto, Baldi mi sfugge qualcosa. Mi spiega cin che modo un’analisi politico-antropologica e una proposta concreta (da me realizzata) di manifestare il proprio biasimo nei confronti del comune di Parma sia un autolavaggio di coscienza.
Vede, pur essendo secondo lei incapace di accettare il contradditorio, io continuo a darle argomenti, prima con l’articolo, poi rispendendo al mittente le sue accuse di fascismo. E’ disposto ad argomentare in modo altrettanto approfondito? E non solo a formulare giudizi generici come quello che ho sopra riportato?
In ultima analisi io ho il sospetto che il suo sia un discorso da preti, ma nel senso letterale del termine. Quando operai o contadini in tempi passati si lamentavano delle condizioni di lavoro e del trattamento disumano che subivano, i preti rispondevano: prima di accusare i vostri padroni, occupatevi dei vostri peccati: siete ubriaconi, fornicatori, ignoranti. Quindi, anche noi, mentre dei uomini dello stato vanno in giro a pestare persone indifese (a genova erano bianchi e giovani manifestanti quasi sempre inermi, a parma un giovane africano inerme), noi dobbiamo pensare ai nostri peccati. Alle nostre inclinazioni razziste – che senza dubbio ci sono anche in noi -. D’accordo, e poi? Dopo l’esame di coscienza?
“D’accordo, e poi? Dopo l’esame di coscienza?” andrea inglese, ciò che succede dopo l’esame di coscienza non è dato saperlo prima dell’esame di coscienza. comunque stai tranquillo, Inglese, non sono in competizione con te. nemmeno nel ristretto “mondo letterario poetico”. almeno non credo. ma se mi dici cosa c’è in palio magari ci ripenso. non ti ho accusato, inglese, di “speculare” sui fatti cronaca. forse di un po’ di superficialità, di un po’ di “giornalismo”? i contadini, gli operai, e poi gli intellettuali che a loro si affiancarono, scrivevano su “Grazia”? vi ho chiesto: per cosa scrivete, per chi scrivete?
non mi avete risposto. non mi avete perdonato.
lorenzo
Quelli di Carlucci sono gli stessi argomenti dei “più a sinistra della sinistra” degli anni ’70, che accusavano Pasolini di non scrivere per l’Unità ma per il giornale dei borghesi di Milano, “il corriere della sera”.
Tore mi ha fatto venire in mente una cosa che scrissi qualche anno fa, che potrebbe essere una risposta a Carlucci.
https://www.nazioneindiana.com/2006/02/10/gentilissimo-alfonso-berardinelli/
gentile biondillo, e tore, la mia notazione qui sopra sullo scrivere su “Grazia” non era formulata come una accusa in sé ma semplicemente come una indicazione dell’infondatezza che l’analogia di proporzione stabilita da inglese, secondo la quale baldi e io staremmo ai redattori di nazioneindiana come i preti stavano ai contadini e agli operai mal contenti. dovrei forse essere lusingato che lei – se pure tentennando – ricicli per me una risposta scritta per berardinelli. la ringrazio comunque per lo sforzo. devo dire che ho però difficoltà ad andare in fondo alla sua lettera, che davvero sembra, come per altro dichiara d’essere, “colma di dubbi e vuota di certezze assolute” (e non solo di certezze assolute: anche di convinzioni relative). vedo che davvero scrivere per Grazia costituisce per lei un grosso problema e un motivo di dubbi e ripensamenti, di dolci-amare considerazioni sulla maturità, et similia. ma non aveva detto che “le pippe” erano vietate? questi problemi di coscienza da intellettuale “di peso” non interessano, credo, a nessuno. la mia reazione ai testi suo e di inglese sui pestaggi razzisti sono quello che sono, una reazione di un lettore che li ha trovati pieni di vacua retorica, saccenti, scritti per un pubblico di lettori “consenziente”, e populisti. non è niente di più. la ringrazio per non avermi insultato, per avermi un po’ risposto, e le auguro buon lavoro.
lorenzo
Gentile dottor Inglese,
sintetizzando, lei ha perentoriamente risposto in tono offensivo all’opposizione di un commentatore e io le ho fatto notare che questa sua reazione ha molto dell’atteggiamento totalitario e in un certo senso squadrista (il senso lo ha definito lei: una risposta con giudizi offensivi sulla persona e sulle sue soltanto presunte motivazioni, e non con un ritorno di argomenti reciproci). Comunque, non è un su un cavillo fiologico che mi appunto e posso tranquillamente ridiscutere il termine, ammettendo di essere stato grossolano nella definizione (al pari di altre sue) per brevità di espressione. Se vuole possiamo pure sostituire il termine “sillogismo totalitario” con quello di “retorica del nemico”, e forse così possiamo capirci di più.
Io ho stigmatizzato questo atteggiamento (particolarmente inelegante anche perché lei si erge a giudice di un articolo che lei stesso ha scritto, invece di provare ad assumere le critiche che le vengono rivolte) senza parlare del suo scritto, perché non era questo in discussione nel mio intervento. Inoltre ha continuato dando patenti di malafede e riservandosi di giudicare quali siano i soggetti che meritano o meno la patente di interlocutori, dicendo che per quanto la riguarda questo e quello non sono persone degne di risposta e contraddittorio, che quel che uno dice inficia la sua possibilità di essere considerato un interlocutore, ecc. ecc. Insomma, decide lei cosa è giusto e cosa no, chi può discuterne e chi no, in che modo sì e in quale no, si sceglie perfino gli “oppositori” in base al suo personale gradimento. Notevole esercizio di dialettica!
Mi sforzerò di risponderle nonostante dal suo tono disperi che lei mi rivolga le sue domande per cercare di comprendere la mia posizione, quanto invece per mettermi in difficoltà al fine di dimostrare il suo essere dalla parte della ragione.
Invero avrei trovato molto più semplice da parte sua ammettere d’aver esagerato nei toni della sua risposta a Carlucci per uno scatto di comprensibile amor proprio. Anche perché col suo argomentare mi vuol portare su un piano diverso rispetto a quello che le ho opposto. Va bene: le rispondo per rispetto del fatto d’essere “a casa sua” e per non dar l’idea di voler sottrarmi a una controversia accesa da me stesso, ma con l’opinione che lei stia svicolando per non ammettere un suo errore.
Mi chiede di espormi sul suo articolo. Bene, le dirò che il suo articolo veicola una sua legittima opinione che a me, pur condividendo la stessa sensazione di urgenza, pericolo, malessere e tristezza per l’evento (nonché per il clima, il contesto, ecc.) a cui si riferisce, pare nutrito di una buona dose di retorica e tendenza alla generalizzazione e semplificazione. Lei adatta a un evento specifico una sua teoria sulla vocazione alla tortura, parlando di individui che non ha mai visto, con cui non ha mai parlato e di cui non sa praticamente niente, a partire da un evento di cui ha letto e sentito parlare attraverso i filtri dell’informazione all’italiana e del suo simmetrico semplificazionismo (che si tratti di Santoro o di Paragone, di Grillo o di Bonaiuti, la modalità è la stessa); a fini esemplificativi la grida santoriana “Parma è una città razzista?” basta e avanza. A meno che senza dircelo non sia volato quattro giorni a Parma ad incontrare i cittadini della città, i sindacati dei vigili urbani e magari quegli stessi agenti protagonisti del terribile gesto e abbia almeno cercato di approfondire e comprendere la complessità che sta dietro le loro azioni (per quanto sicuramente condannabili senza appello, ma un intellettuale è cosa diversa da un giudice).
Io personalmente ritengo che questo modo di fare commento e opinione (tutt’altro che pasoliniano) sia quanto di più integrato assolutamente nel clima di questo belpaesucolo e che, suo malgrado, abbia tutte le stigmate del declino a cui rischiamo di essere definitivamente destinati. Il suo articolo rimuove le complessità e le insidie insite nel tentativo di pensare l’altro come portatore di ragioni altrettanto umanamente fondate rispetto alle proprie (per quanto una “superiore” intelligenza possa considerarle inaccettabili). Proprio questo modo di considerare inaccettabile la diversità, anche e soprattutto quella più inguardabile e a prima vista inaccettabile, spinge a un atteggiamento di repulsione (esattamente quello che lei rivolge anche a me e Carlucci quando dice di ritenerci in malafede o non in “diritto di discussione”) che, per carità, potrebbe anche essere fondato su una qualsiasi ragione, ma che ha una controindicazione: trasforma lentamente tutta l’argomentazione virtuosa (anche oggettivamente virtuosa) in una retorica che non fa i conti con l’esistente ma solo con il proprio sistema di valori; un sistema di valori che viene rappresentato come privo di ombre.
Questo è quello che è accaduto negli ultimi trent’anni a valori ben più solidi e fondati delle sue semplici opinioni in materia di società. Si è così passati dallo spirito della democrazia alla retorica della democrazia, dallo spirito della giustizia alla retorica della giustizia, dallo spirito dell’uguaglianza alla retorica dell’uguaglianza e via e via. Ecco, accusare Pasolini di scrivere sul giornale dei padroni (per intendersi con un esempio che forse condividiamo) è retorica della sinistra allo stato puro. Non trovo particolarmente utile approfondire più di tanto il discorso sulle responsabilità di coloro con cui a prima vista mi sembra di non condividere un sistema etico (latu sensu), giacché la mia preoccupazione è piuttosto capire quali siano le loro ragioni profondi e quali sono gli errori che io e quelli con i miei stessi fini e simile sensibilità (di nuovo latu sensu) possano compiere o aver compiuto. Mi interessa maggiormente affrontare una autocritica profonda dei miei atti e dei miei strumenti piuttosto che proiettare all’infinito la stessa immagine puerile: io e i giusti da una parte, i carnefici dall’altra. Mi aspetto che un giudizio sul mondo, perché abbia un’utilità e un valore reale, provenga da un soggetto che abbia compiuto questo fondamentale passo di maturazione.
Anche perché il problema è che – ammesso che possano essere almeno il male minore per un certo tempo – le retoriche a un certo punto non funzionano più e il piano di verificazione dei linguaggi e delle idee è e non può che essere il reale. Questo avviene – per restare nel nostro piccolo ambiente ristretto, come dice lei – anche per quanto riguarda la poesia e le altri arti divenute minori. Da una parte schiere di artisti “puri” preoccupati a chiedersi perché hanno perso capacità di riconoscimento nella società, dall’altra gli “impegnati” che altro non fanno che spostare il piano da una retorica (quella dell’arte) all’altra (quella della loro ideologia) . Tutti a trovare il male fuori di sé, nella poesia o nella società, pochi, a compiere una autocritica della propria retorica.
La torre eburnea, come piace dire a lei, più inattaccabile non è quella della poesia, quella dello studio o quella del proprio lavoro, qualunque esso sia, bensì proprio quella della propria retorica (qualunque ne sia l’oggetto).
Per concludere, all’ultima domanda mi pregio di non rispondere perché non ho, come lei, una ricetta per risolvere alcunché, salvo ritenere che superare questo stato di retorica imperante (nell’informazione, nella poesia, nell’arte, nella politica…) sarebbe già un bel passo avanti. Potrei però rivolgere a lei la stessa domanda con cui conclude: denunciare il male che sta negli altri, d’accordo. E poi? Dopo averlo denunciato e dopo che questo non è servito a niente se non a ribadire ulteriormente la distanza tra il lato nobile della nostra personalità e il lato ignobile dell’esistente e degli altri, senza aver compreso degli altri – dei mostri – una virgola di più…? Poi cosa facciamo?
A Carlucci:
“vedo che davvero scrivere per Grazia costituisce per lei un grosso problema”
No, non lo è affato, fidati. Anzi, mi fa molto piacere. La lettera era rivolta a Berardinelli che scrive sul Foglio. Se a Grazia mi affidassero pure la posta del cuore e l’oroscopo li farei più che volentieri. A modo mio, ovviamente.
A Baldi:
“la stessa immagine puerile: io e i giusti da una parte, i carnefici dall’altra.”
In tutto quello che ho sempre scritto è completamente assente questo presupposto.
“Poi cosa facciamo?”
Ci sono consigli da parte tua? Sono da me ben accetti, altrimenti ti devi accontentare di quel poco, pochissimo, quasi nulla, che noi, almeno, facciamo.
“Lei adatta a un evento specifico una sua teoria sulla vocazione alla tortura, parlando di individui che non ha mai visto, con cui non ha mai parlato e di cui non sa praticamente niente, a partire da un evento di cui ha letto e sentito parlare attraverso i filtri dell’informazione…”
Ah sì?
E tu pensa un po’ a quello stronzo di mio nonno, che in un campo di concentramento non ha mai trovato il tempo e il modo per “interrogarsi” sulle ragioni profonde dei suoi carnefici, tutta gente di cui, in fondo, “non sapeva niente”……
Intanto, mentre io mi “interrogo”…
http://www.linkontro.info/index.php?option=com_content&view=article&id=629:italiana-nera-umiliata-e-minacciata-dalla-polizia-all-aeroporto-questa-negra-e-pazza&catid=36:lanima-e-il-corpo&Itemid=76
Bene Baldi, dal momento che ha finalmente riconosciuto di esser stato grossolano nella sua definizione di “squadrismo” e “totalitarismo”, sono ben disposto a risponderle, non tanto per dimostrarle che ho ragione io e torto lei – questo mi interessava farlo nel caso Carlucci -. Su problemi cosi complessi come quelli toccati dal mio pezzo e ripresi dalle sue riflessioni è assai difficile approdare a qualsivoglia verità definitive. Quindi, ecco i chiarimenti:
1) “Lei adatta a un evento specifico una sua teoria sulla vocazione alla tortura, parlando di individui che non ha mai visto, con cui non ha mai parlato e di cui non sa praticamente niente, a partire da un evento di cui ha letto e sentito parlare attraverso i filtri dell’informazione all’italiana e del suo simmetrico semplificazionismo”
Le leggo, le prime righe del mio scritto, che come ben saprà sono in genere decisive per orientare il lettore: “Immagino che ci siano diverse forme di vocazione alla tortura, e quindi diverse tipologie di torturatori. Ci devono essere,” ecc. Il fatto di Parma non viene citato nel pezzo, ma grazie alla foto viene suggerita un’associazione. Il pezzo si presenta come un’ipotesi antropologica. (Che in questa ipotesi antropologica confluiscano conoscenze per esperienza diretta e conoscenze per studio, ecc., lo possono constatare coloro che troveranno questa ipotesi utile e efficace per leggere la realtà.)
2) “A meno che senza dircelo non sia volato quattro giorni a Parma ad incontrare i cittadini della città, i sindacati dei vigili urbani e magari quegli stessi agenti protagonisti del terribile gesto e abbia almeno cercato di approfondire e comprendere la complessità che sta dietro le loro azioni”. Idem come sopra: lei mi sembra interpretare questo scritto come un’analisi sociologica di tipo giornalistico sull’evento di Parma, ed invece si tratta di un’ipotesi antropologica – che se vale, vale in contesti diversi tra lori nello spazio e nel tempo.
3) Sugli approfondimenti, le consiglio di leggersi qualcuno dei mie articoli inseriti nel dossier razzismo. Se è davvero interessato a trovare analisi che vadano al di là della pure denuncia, in qualche mio pezzo troverà senz’altro – mi auguro – del materiale atto a soddisfarla. Le consiglio in particolar modo questi articoli: https://www.nazioneindiana.com/2007/11/20/quelli-che-vengono-dall’altro-mondo-uguaglianza-o-tolleranza/; https://www.nazioneindiana.com/2007/12/04/quelli-che-vengono-dallaltro-mondo-antagonisti-o-donatori-2/
4) “Inoltre ha continuato dando patenti di malafede e riservandosi di giudicare quali siano i soggetti che meritano o meno la patente di interlocutori…” Il dialogo è un esercizio generoso e difficile. Ma ognuno ha la libertà di decidere quando un presunto “dialogo” non è più tale, ma un’altra cosa – una sterile polemica, un finto confronto, ecc. Lei quindi non mi può accusare di questa scelta che è legittima e sta alla base stessa della possibilità che esistano dialoghi autentici. Lei, al massimo, può confutare le ragioni, per cui io sono convinto che lei è in mala fede.
Quanto alle sue opinioni e critiche sono contento che le abbia finalmente espresse. Io ritengo sulla sostanza di averle risposto nei mie due commenti precedenti. Ma altri avranno la possibilità di valutare i suoi argomenti e eventualmente di intervenire.
Ah, di grazia, signor Inglese, se mi fosse concesso conoscere le ragioni per cui lei è convinto che io sia in malafede, magari mi potrei avvalere del diritto che mi riconosce di poterle confutare.
Visto che trae le sue conclusioni in merito alla nostra discussioni, lo faccio anch’io, ritenendo le sue precisazioni molto poco convincenti a partire dal fatto che l’associazione tra l’articolo e la foto è d’autore o comunque redazionale e quindi l’associazione è assolutamente indotta o suggerita; si sposta soltanto il luogo del difetto, che tale rimane.
Da questo discenderebbero altre considerazioni ma non rilancio per non farle sprecare ulteriormente tempo e perché credo – come lei – che comunque ci siano abbastanza argomenti da poter permettere ad altri di giudicare.
*
Gentile signor Funiculì Funiculà,
sinceramente non ho capito se desidera una risposta da parte mia o se il suo è soltanto uno sfogo. Non vorrei mancarle di rispetto col silenzio né d’altro canto risponderle con argomenti a cui non è interessato.
Gentile signor Martino Baldi, se ha la bontà di leggere tutto il thread, scoprirà che gli *sfoghi* sono ben altri che la mia noticina. Semplicemente, prendevo a prestito una sua ben decisa affermazione, nella quale lei, in definitiva, condensa la sostanza della *sua* critica al testo di Inglese – e, mi consenta, mi pare veramente poca cosa, almeno rispetto alle premesse – e la portavo alle estreme, nemmeno poi tanto, conseguenze. Con i risultati che ha letto. Nient’altro.
Come vede, non mi sono pronunciato né sulle sue argomentazioni, né sulla sua difesa d’ufficio dell’*infelice* uscita del gentile signor Carlucci.
p.s.
Mi sono permesso, a proposito del primo testo del gentile signor Carlucci, di usare il termine *infelice* proprio in relazione a quanto lei stesso dice sul “diritto di critica” (sacrosanto). Si dà il caso, me ne dia atto, che la critica a un testo ne affronta, o cerca di farlo, le ragioni, ne ridimensiona dialetticamente la portata e le tesi, contrappone prospettiva a prospettiva, argomentazione ad argomentazione. Bene, mi dica lei, allora, quanto c’entri con tutto questo la sequela di “inglesi, biondi, voi scrittori, bloggaroli”: io vi leggo, e voglia perdonarmi se sbaglio, solo un attacco pretestuoso all’autore, a partire da un testo che, probabilmente, nel migliore dei casi, si è solo leggiucchiato.
E fa un po’ senso, mi consenta, visto che, da quello che facilmente si ricava dalla rete, anche lei e il gentile signor Carlucci siete “scrittori” e “bloggaroli”. Magari, volendo, potreste anche dire di cosa – e in quali termini – vi occupate nelle vostre produzioni.
Passerò a rileggere tra qualche giorno, nel caso; sto partendo per una tournè che mi vedrà impegnato tra Secondigliano, Casal di Principe, Aversa e Villa Literno.
Gentilmente, saluto.
Attento, funicolì, questi diranno che giri per luoghi molto TRENDY…..
gentile signor funiculì funiculà, non mi piace molto rispondere ai commentatori anonimi ma vorrei consigliarle di mettersi l’anima in pace: esiste la critica, che – come dice lei – “affronta, ridimensiona, contrappone” etc. e poi esistono la polemica, l’invettiva, l’insulto (cfr. i commenti di Inglese a me rivolti) e tante altre forme di comunicazione. tutte possono essere giustificate, talora anche necessarie, e solo alcune prevedono una argomentazione esplicita e puntuale. il suo commento sulla “pretestuosità” del mio intervento e la sua ipotesi sulla qualità della mia lettura del testo di Inglese, cosa sono? critica? impressione? congettura? per il resto, l’essere “scrittori” e “bloggaroli” non impedisce di apostrofare qualcun altro con gli appellativi di “scrittore”, o “bloggarolo”. non vedo in questo alcuna contraddizione, gentile commentatore. quanto alla sua domanda su cosa andiamo scrivendo Baldi ed io per conto nostro, mi perdoni ma non rispondo, in ossequio alla sua mancanza di curiosità. tra l’altro, non è molto attinente. faccia buon viaggio in quelle terre sventurate.
lorenzo
p.s. trovo la sua battuta più sopra, sul “quel povero stronzo” di suo nonno un po’ infelice. scusi se non argomento, è solo un’impressione.
“ma non rilancio per non farle sprecare ulteriormente tempo”
Grazie Baldi, di aver pietà di me.
Inglese, conoscere le ragioni per cui si dice convinto che io sia in malafede però mi sembrerebbe il minimo dovuto. Non per mancanza di pietà.
Caro Andrea,lancio un petardo, sperando comunque di non alimentare ulteriori inutili superfetazioni di io minimi o minuti:rileggo gli ultimi 30 post,e mi rendo conto che non c’è stata più alcuna pietà per le vittime, le questioni dell’argumentum restano lì,come inevase, ricoperte da una valanga di detriti di lemmi,cavilli,distinguo, tanto farraginosi quanto concentrati su se stessi, intenti a ribadire di essere,di esserci, meramente se stessi, monadi minime, incapaci di accogliere(perdona il verbo ecumenico) l’altro. Intanto, lo stato violento delle cose avanza. E’ probabile che se tu avessi affrontato un’altra questione qualsiasi, di attualità,cronaca,politica,letteratura, avresti comunque dato la stura a certe manifestazioni egotiche felicissime di avere una qualche tribuna. Resta lo stato violento delle cose, l’imbarbarimento dei rapporti tra gli uomini, e, fortunatamente, la validità della tua denuncia.
Sono veramente allibito dalla violenza del vostro modo di rispondere a chi non è d’accordo con le vostre opinioni e ha speso del tempo per spiegare le proprie. A tal fine questa ultima risposta del signor Cohen si commenta veramente da sola con le definizioni che offre dei commenti non allineati con le sue convinzioni: “superfetazioni di io minimi o minuti…. detriti… concentrati su se stessi… monadi minime…. dare la stura a certe manifestazioni egotiche….”. E il bello è che parlate di accogliere l’altro e di imbarbarimento dei rapporti tra gli uomini! Questa non è violenza, invece, eh?
P.S. Sono ancora in attesa di avere una risposta sui motivi (o i miei interessi nascosti) per i quali dovrei essere considerato in cattiva fede.
Allibisco all’alba…
Sono abbastanza d’accordo con Martino Baldi. Troppa violenza, troppo indignarsi. Nessuno ha dato ad Andrea Inglese del fascista, come era stato fatto a suo tempo da Francesco Pecoraro (Tashtego) senza che nessuno, dico nessuno avesse da ridire.
Qual’è il problema? Questo pezzo dell’amico Andrea non dice nulla. Lo apprezzo non da oggi, come poeta innanzitutto, ma il difetto vero di questo pezzo è la sua inutilità, la sua vuotezza. O forse solo la sua vaghezza. Un pò Carlucci ha ragione quando lamenta questo “saltare a cavallo della notizia”, come se Nazione Indiana fosse una succursale – questo lo dico io – di Liberazione.
Ma se questo si puo’ giustamente fare, che lo si faccia almeno con un po’ di originalità, portando qualcosa di nuovo alla discussione. Altrimenti questo spazio diciamo così “politico” diventa la versione argomentata di uno dei simpaticissimi “canti anarchici” di cui ci delizia ogni tanto il compagno Marco Rovelli.
Nella prima frase manca ovviamente che ero io il “fascista” nominato dal “compagno” Pecoraro.
io voglio dire una cosa, mi rivolgo in particolare a lorenzo e martino: certe volte, mi dispiace, proprio non vi capisco, ma è davvero così importante difendere sempre il proprio punto di vista, sottolineare i distinguo, alimentare inutili polemiche?
Biondillo, Inglese, Helena Janeczek e altri…hanno affrontato ciscuno la questione a suo modo, secondo la propria sensibilità, la propria indole, le differenze… non esistono 2 versioni che combacino tra loro, ognuna è a sé, singolare. e non vi è stato chiesto di aderire in toto ad una visione estranea o in cui non vi riconoscete…ma tutti, ciascuno nella propria singolarità, concordano in una generica condanna della violenza fisica e verbale e del clima discriminatorio diffuso.
ed è solo su questo che è importante dimostrarsi concordi tutti, in questo momento più che mai.
certe polemiche risultano a mio parere, non solo oziose, ma addirittura dannose, generano confusione, spostano l’attenzione, forniscono pretesti per capziose argomentazioni…
sentirsi più vicini all’uno o all’altro o a se stesso, che conta? l’importante è rimanere unanimi nella condanna, nella presa di distanza senza se e senza ma, senza alibi, attenuanti, giustificazioni, da tutto ciò. sottolineare anche quello che si ritiene dato comunemente per scontato, perché oggi, evidentemente, non è così.
detto questo, cosa chiedete loro, cosa volete sentirvi dire, cosa volete che vi dicano?
Come diceva Biondillo, affiancatevi, approfondite, fatelo da voi, se vi sentite in grado, qualcun altro avrebbe risposto così
“Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
[…]
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
cio che non siamo, ciò che non vogliamo”
Ah certo: difendere il proprio punto di vista. Lasciamo stare che Carlucci, che in prima battuta ha voluto fare il “barbiere” di Nazione Indiana (con quali credenziali? quelle del provocatore noto ai più dei lit-blog), ma Martino Baldi? No, perchè – cara Maria (V) che mi ha dato anche lei pubblicamente del “fascista” – e io ho una memoria d’elefante che, se non arrivano delle scuse altrettanto pubbliche, continuerà a funzionare anche nella fossa – c’è una belle differenza tra l’argomentare di Carlucci e quello di Baldi. Mettere il tutto nello stesso calkderone, fare il beau geste dell’indignata speciale, finire a furor di trombe con la poesia di turno, mi sembra altro fieno inutile a una discussione inutile partita da un pezzo inutile.
cara maria, che dici “ma tutti, ciascuno nella propria singolarità, concordano in una generica condanna della violenza fisica e verbale e del clima discriminatorio diffuso.” mi dispiace ma a me non interessa concordare con “tutti” in “una generica condanna” di alcunché. anche perché “tutti” non sono mai “tutti” e le condanne “generiche” sono tutt’al più “vaghe”. e le condanne vaghe o per motivi sbagliati sono inutili o pericolose, come suggerisce qui sopra il signor krauspenhaar, che ringrazio per avermi riconosciuto un po’ di ragione. vorrei rispondere anche a manuel cohen, uno dei pochi commentatori che, a giudicare da ciò che scrive, è ancora più impulsivo di me: la mancanza di pietà per le vittime nel pezzo di Inglese (pieno solo di giudizio – divino? – e di sensazionalismo, e colpevole d’un abuso fin troppo abituale nei mezzi di comunicazione delle foto dei corpi martoriati delle vittime) è stato uno dei motivi – tra gli altri – che mi hanno spinto a commentare in prima istanza.
saluti,
lorenzo
Baldi quando ha ammesso di essere stato grossolano, ho accettato di risponderle in modo approfondito. Ma è stato poi grossolano nella lettura del mio punto quattro, che era un esempio. Credo comunque di averle dedicato il mio tempo abbastanza. Spero che ciò le sia stato utile a qualcosa.
a Franz: sono contento che quello che scrivo non sia per tutti palati.
Sì, Andrea, se al palato si sente un non sapore, o un sapore, come dire? sciatto, anche questo fa parte del gioco. Non sempre si scrivono cose di peso (io lo so per primo).
Caro comandante inglese, ci mancava proprio questa sua elegantissima chiusa… A questo punto credo che sia abbastanza chiaro a tutti coloro che leggono senza pregiudizi chi dei due sia in malafede, almeno nei confronti dell’altro. Arrivederci (nel frattempo, vada a scuola di democrazia).
Ed io tra di voi, se non parlo mai
Ho visto già tutto quanto…
;-)
….”nel frattempo, vada a scuola di democrazia”
ben volentieri, ma dove? questo non mi sembra il paese adatto.
Forse è l’unica sua affermazione su cui concordamo. E il suo comportamento non fa eccezione