Adagiato

di Friedhelm Rathjen

traduzione di Elisa Perotti

Quando mi guardai intorno, ero già seduto nello scompartimento. Ero già seduto nello scompartimento, quando scorsi il poeta. Non poetava quando posai gli occhi su di lui, ma subito scorsi in lui il poeta, poiché solo il poeta va di pari passo con il poeta. Poi rotolammo fuori dalla stazione, attraverso la vastità del pianeta e, come frecce ad una velocità folle, scoccammo attraverso il tutto.

Dimmi perché le stelle sognano. Il poeta non aveva pronunciato parola, sebbene non tenesse la bocca chiusa. Ma lo erano gli occhi. Chiusi. I capelli arruffati si arrovellavano nel suo nome. Le mani giunte in grembo. Il poeta era adagiato sul sedile.

Molti, accanto al passaggio a livello, stavano sotto la pioggia con il loro ombrello, scoccavano impassibili come frecce ad una velocità folle. Il poeta non scorgevano, non li scorgeva il poeta, non una palpebra si alzò. Finché il treno bruscamente non frenò. Mai più trovò quiete l’orrore dipinto sulla sua faccia, mai più stettero le persone davanti alla sbarra sotto la pioggia.

Il controllore contromanovrava a più non posso, benché i merli cadessero. Un sole era rimasto impigliato nei cavi, ma nessuno perse la vita sui binari. Il poeta era adagiato sul sedile.

Adagiata, adagiata, mia amata adagiata, perché la tua innocenza non trovasti, adagiata rimase la mia amata.

Desiderai così ardentemente, con tutto me stesso, che una schiera di indiani potesse accompagnare il nostro treno e lanciare le sue frecce qui, nello scompartimento. Lo desiderai così ardentemente, ma non a lungo. Non dirmi cosa sognano le stelle, potrebbero sentire.

Quando mi guardai intorno, non ero più seduto nello scompartimento. Mi mancava il mio scompartimento quando il poeta scorse se stesso. Solo il poeta va di pari passo con lo scompartimento, poiché non poetava quando lo scorse. Così tanto roteavano i suoi occhi, e il mondo dentro di loro, che mi venne la nausea, come prima.

Sebbene continuasse a non tener chiusa la bocca, si pentì il poeta di non aver pronunciato parola. Le mani massaggiavano i capelli caotici, contanti non aveva. Conchiudeva il grembo la grinza, adagiato sul sedile.

Il firmamento faceva da scudo alle sbarre, mentre il poeta si spostava fulmineo. Cantami il canto del treno intorno al mondo, prima che l’ultima mia ora si frantumi a faccia a faccia con gli oracoli di Delfi.

Il sole impigliato non serviva ai merli e ai tordi, tutto era sprecato. La morte, pronta a volare, diventa amica e delle campane il rintocco non si rimpiangerà.

Adagiata, adagiata, mia amata adagiata, perché la tua innocenza non trovasti, adagiata rimase la mia amata.

Veloci come frecce si lanciarono giù a fiumane, e noi scoccammo in alto fino alle stelle. In alto, in alto, in alto fino al cielo.

Quando mi guardai intorno, non ero più seduto nello scompartimento. Non mi si vedeva nello scompartimento quando scorsi il poeta. Si svagò e sbagliò, tanto lo sbeffeggiai, poiché solo il poeta cede il passo al poeta. Come risultò alla fine. Poi rotolammo all’infinito, e alcuni altri luoghi oltre a questo se li ingoiò la storia.

***

Friedhelm Rathjen nasce a Scheeßel nel 1958. Dopo gli studi di germanistica e anglistica inizia a lavorare come critico letterario, collaborando a Die Zeit e alla Süddeutsche Zeitung. Ha tradotto autori quali James Joyce, Herman Melville, Anthony Burgess e Gertrude Stein. In quest’ambito la sua versione di Moby Dick ha innescato forti prese di posizione: le precedenti traduzioni tendevano ad appianare la complessità linguistica del romanzo, mentre la scommessa formale di Rathjen prevede l’incollatura a Melville, il cui inglese, definito “mad, though not necessarily bad”, è vòlto in un tedesco folle che molto si avvicina allo stile del testo fonte. In qualità di studioso di letteratura, Rathjen si è occupato soprattutto di James Joyce, Samuel Beckett e Arno Schmidt. Grande fortuna hanno avuto le sue biografie di Joyce e Beckett, edite da Rowohlt Taschenbuch Verlag. Nell’autunno del 2007 è uscito Vom Glück (La felicità), volume che comprende brevi prose scritte dal 1983 al 1989, pubblicato da ReJoyce, casa editrice di sua proprietà senza scopo di lucro, presso la quale sono apparsi numerosi saggi, esempio forse unico, in Germania, di editoria da tavolo di alto livello. Il racconto presentato qui è tratto da questa raccolta.

6 COMMENTS

  1. molto buono e molto consonante anche con alcune, pochissime, scritture italiane; nella mia totale ignoranza sbaglio a vedere un antecedente in lingua in Handke? V.

  2. pezzo di gran livello ed eccellente la traduzione, che immagino essere stata anche ardua. Una domanda per Domenico o per la gentile traduttrice di ordine geografico: dove resta Schessel? Insomma si tratta di un occidentale o di un orientale?

  3. Giorgio!
    Scheeßel si trova ai margini della Landa di Luneburgo, a 90 km ca. da Bargfeld… brughiera che ogni lettore di Arno Schmidt ricorderà :-)

  4. Domenico non lo dico per non far dispiacere nessuno e/o produrre un post con 60 e più commenti ..);
    eppur (qualcosa) si muove anche in patria, per fortuna…
    Grazie del post, comunque, e complimenti alla traduttrice, Viola

  5. Pezzo interessante.Molto musicale.Il titolo,però,evidentemente non intende suggerire la tonalità ritmica del brano,che più che a un “adagio” mi fa pensare a un “presto”,a un “prestissimo”..

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.