La lezione degli studenti
Chi si trovasse in questi giorni nelle scuole e nelle università, occupate e variamente animate dalle proteste di studenti e docenti, incontrerebbe persone che incarnano, in spirito e lettera, la vocazione dello studio e del sapere. Studenti e docenti difendono la dignità e l’autonomia della conoscenza dalla semplificazione, leggi distruzione, di una politica finanziaria cieca al futuro. Lezioni all’aperto, apertura delle cittadelle accademiche alla città di tutti: chi protesta non ha nulla da nascondere, anzi. Sono privi di ideologia, ma molto consapevoli: “E’ la politica che si è allontanata da noi. Noi facciamo la vera politica”, mi hanno detto. Ma alla notizia che il primo ministro ha minacciato di sgomberare con la polizia, cioè introducendo violenza, le scuole e le università teatro di questa civile protesta e sperimentazione, una studentessa della Sapienza di Roma è allibita: “Vogliono trattarci coma la spazzatura di Napoli”. Pare di sì: cioè non solo non dialogare, non riconoscere i contenuti di una protesta che è difesa dell’istruzione e del diritto allo studio, ma rimuovere il problema, eventualmente nasconderlo, come la famosa spazzatura di Napoli. E non importa che fermenti chissà cosa e chissà quando. Il disprezzo verso la conoscenza e l’istruzione, verso scuole e università, è del tutto congruente a quello verso il clima, l’ambiente, il protocollo di Kyoto, l’ecologia e la salute pubblica. Il nostro primo ministro è un vero punk: a lui del futuro – dei giovani come del pianeta – non importa nulla. Ma scopo primario di questo mio intervento è richiamare una solidarietà attiva e ampia di quanti – soprattutto nel mondo della cultura – hanno a cuore la posta in gioco di questa protesta che riguarda tutti.
Molti studenti di oggi dichiarano che il loro modello di lotta è la protesta che dilagò in Francia del 2006 contro un disegno di legge che autorizzava per i primi due anni il licenziamento senza motivo dei giovani neo-assunti. Gli studenti vinsero (la legge fu ritirata) grazie all’appoggio del mondo del lavoro e della maggioranza dell’opinione pubblica. A parte che i contenuti della legge 133 (la finanziaria) e della “riforma Gelmini” (che non è altro che un taglio massiccio di fondi) sono molto più gravi (oltre ad aumentare a dismisura disoccupazione e precarizzazione, fanno tabula rasa degli orizzonti e del senso stesso dello studio), chiamo la protesta degli studenti una risposta alla “guerra contro l’intelligenza”, ricordando un appello nato anch’esso in Francia, ma nel 2004. All’epoca, un progetto legislativo del governo Raffarin, dal sapore vagamente berlusconiano, umiliava quelle professioni non valutabili secondo i criteri e gli utili (peraltro errati e miopi) di un’azienda – dalle scuole e università ai laboratori scientifici, dai centri di ricerca alle biblioteche, ma anche gli ospedali psichiatrici, i teatri ecc. Tutti i settori del sapere, della scienza, del legame sociale, produttivi di conoscenza, di coscienza e di dibattito pubblico, insorgevano contro l’anti-intellettualismo di Stato, una politica di impoverimento e precarizzazione di tutti gli spazi considerati come improduttivi a breve termine, inutili o dissidenti. L’appello “contro la guerra all’intelligenza” in pochi giorni fu firmato da migliaia e migliaia di cittadini, compresi i più alti rappresentanti in Francia della cultura e dell’arte.
Nelle parole del filosofo Jacques Derrida, che fu tra i primi ad aderire, per “guerra contro l’intelligenza” si intende “una politica ispirata dal misconoscimento, l’accecamento, perfino dal risentimento, verso tutto ciò che è giudicato, a torto e secondo un cattivo calcolo, improduttivo o addirittura nocivo per gli interessi immediati di un certo mercato liberale: la ricerca fondamentale, l’educazione, le arti, la poesia, la letteratura, la filosofia. Nella sua forma caricaturale, ciò che viene denunciato è un economicismo miope; quelli che ne soffrono sono invece tutti i cittadini, a società civile, lo Stato e anche l’economia”. C’è bisogno di dire che l’Italia di oggi è ben più minacciata della Francia di quattro anni fa?
Contro il presunto neutrale “buon senso” economico, la protesta degli studenti è una lotta per la salvaguardia di tutti quei luoghi in cui la società si pensa, si elabora, si sogna, si inventa, si cura, si giudica, si protegge, e tra i quali non c’è (solo) il Bagaglino, o le discoteche in cui il settantenne primo ministro italiano si mostra in camicia nera e parla di sesso e insonnia con giovani bramosi di successo e intossicati di ricchezza. Osservo di nuovo che l’imbarbarimento di una nazione (di questo si tratta) nasce e si presenta spesso come una politica di semplificazione – che non è proprio una bella parola, e designa una riduzione innaturale della complessità, ossia dell’intelligenza. Si crea e si consolida nella riduzione del linguaggio, del pensiero, della politica, nella neo-lingua pubblicitaria più volte in questi anni denunciata, nello scavalcare il Parlamento e l’etica della discussione. Ma è soprattutto negli spazi lasciati vuoti dalla cultura e dall’educazione che l’autoritarismo “semplice” si insedia e riproduce, svuotando di senso il concetto e la realtà di una Re-pubblica. Il costo umano, sociale e culturale è esorbitante. Le sue conseguenze rischiano di essere irreversibili.
pubblicato su “L’Unità”, il 24.10.2008
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Bell’articolo! In Francia, in questo momento si parla di una riforma del liceo: filosofia ( matiera molto impotante e che verro benissimo insegnata nelle scuole medie), arti sono minacciati. Mi sembra una politica dell’impevorimento della mente, del rendimento in una scuola azienda. Temo che la letteratura, il latino siano al riguardo di questa politica matiere poco interessante…
Sono molto scandalizata del discorso di Cossiga, e penso che in Francia ci avrebbe reazione più viva.
Nelle scuole medie si parla oggi di rendimento, risultati. La mia scuole media non riusce a raggiungere un livello aspettato per ” le brevet”, ( esame al termine della scolarità media). La Picardia si situa appena davanti alla Seine Saint- Denis. Che dire, E’ un problema che oltrepassa la scuola, è un problema anche di società, di fame, di dolore.
Che fare in un mondo dove la ricchezza si propone oscena a personne che non possono comprare. Non vorrei descrivere un mondo troppo cupo.
Ci sono iniziative belle: aiutare alunni in difficultà ( è cosa fatta in Francia), sviluppare l’ecologia, favorire il rispetto dell’altro ( instruction civique), usare con intelligenza del computer.
La scuola deve tener conto di un mondo che cambia, ma anche mantenere il suo valore: fare crescere l’intelligenza, aprire la sensibilità( cose che non si calcolano.
Quei “luoghi in cui la società si pensa, si elabora, si sogna, si inventa, si cura, si giudica, si protegge,” sarebbero la NOSTRA università?
Ho giusto cenato con una delle donne più stupide che mi sia capitato di conoscere, professore ordinario, messa in cattedra dal suo maestro solo perché era persona sua, priva di ogni merito, se non della diligenza con cui ha fatto tutto quello che le è stato chiesto di fare anno dopo anno.
E ho giusto sentito che un altro odinario ha chiesto una borsa di dottorato per un suo laureando giustificando la richiesta con il fatto che aveva bisogno di qualcuno che gli facesse un po’ di segreteria.
Se l’università non verrà rivoltata come un calzino – e non verrà fatto – ogni centesimo di euro delle mie tasse che verrà dato all’università mi sembrerà estorto.
Nè Tremonti né la Gelmini stanno facendo una riforma, tagliano e basta, ma che da parte nostra si protesti per i tagli, senza dire che si sta tagliando un cadavere, mi pare altrettanto cieco. Dovremmo essere indignati da decenni per quello che è la nostra università: un sistema di potere medievale, con vassalli valvassini e valvassori, e invece no, ce la ricordiamo solo quando Tremonti la taglia.
Perché mai dovremmo tenerla in piedi e finanziarla COSI’ COM’E’ mi resta oscuro.
@Alcor: l’università tra due anni, con questa riforma sarà un feudo ancor più asfissiante, devastato e speculatore. Certo non si sta lottando per il re di Prussia, in questa protesta studenti e una parte dei docenti si muovono contro un’altra parte, quella che tutto sommato si riconosce nelle politiche della CRUI e che chiede semplicemente di salvare i propri privilegi.
Ho poco tempo per articolare, ma suggerisco la lettura dei documenti CRUI dell’ultimo mese per capire meglio.
Sì sì, lo so, ma a forza di combattere per il male minore, non si cambia niente.
Se l’università fosse un corpo con una gamba in cancrena, tu come medico, cosa faresti, continueresti a mettere una pomata antibiotica sulla gamba?
Questi ragazzi che sono il futuro anche mio, se non altro come paesaggio, cosa possono aspettarsi da questa università?
Conosco troppi ricercatori migliori dei loro boss per limitarmi a dire no ai tagli.
E ho troppi amici all’estero.
E’ un’occasione per allargare almeno il discorso, credo. O no?
Perfettamente d’accordo con Alcor. La protesta è legittima e le ragioni sacrosante. Ma mi piacerebbe vedere cortei studenteschi o di lavoratori della scuola e dell’università che chiedono una riforma vera, radicale, duratura delle strutture e dei metodi. Passate le varie bufere delle varie riforme lo studente e il docente vanno in letargo aspettando il prossimo ministro da bersagliare. E’ profondamente sbagliato e dà ragione a quanti parlano di protesta a orologeria, con motivazioni politiche d’opportunità.
Vedo un movimento confuso, poco informato, motivato solo nell’azione fisica dell’occupazione degli spazi ma assai poco convinto di cosa fare dopo.
Se ci aspettiamo che da questo momento di protesta nasca un cambiamento duraturo e determinante nella storia di questo paese allora rimarremo presto delusi.
io l’ho capito a vent’anni che se avessi voluto fare della ricerca l’unico modo era lasciare l’Italia.
Fra dieci/quindici anni si vedrà con chiarezza (ma si vede in parte già adesso) che i migliori economisti, sociologi, storici, studiosi di letteratura, filosofi italiani, hanno una cattedra all’estero e per leggerli bisogna conoscere il tedesco, l’inglese o il francese.
ha scritto alcor: “Quei “luoghi in cui la società si pensa, si elabora, si sogna, si inventa, si cura, si giudica, si protegge,” sarebbero la NOSTRA università?”. Gli ha risposto Jan, e tuttavia rispondo anch’io: sono TUTTI i luoghi (compreso questo sito, ancorché virtuale) considerati INUTILI e improduttivi da un certo pensiero e potere economico che se ne fotte di tutto cò che cnsidea inutile, come la cltura e il pensiero. L’attacco forennato portato alla scupla e all’uiversità è un un mmenso iceberg, ma indica anche tutto il resto (se c’è ancora un resto). Non è una ristrutturazione dell’università, per migliorarla, è una sua abolizione. Gli studenti ne sono estremamene consapevoli.Il fatto che esistano dei cretini (nell’università, nelle case editrici, ne teatri, ecc.) non giustifica la loro abolizione. M sembra demenziale dove dire queste cose. E mi ripugna parlare del nostro primo ministro e dla sua banda, ma tutto qusto coeente con dichiarazioni come “il parlamento una perdita di tempo”, e l’umiliazione nei suoi primi anni di governo a un’intervistatore che balbettava: tutte perdite di tempo. E’ abbastanza ovvio che questo annllamento delle prospettive d studio e ricerca, il aglio dei finanziament ordinari, la trasformazione delle univeresità pubbliche in fondazioni private, il blocco del turn over ovvero niente più o quasi assunzioni, tlgono il futuro a chi studia e ricerca. Ma tolgono anche altro, che coinvolge tutti.
Questo è un paese strano, in cui le cose si sanno, si conoscono i nomi dei responsabili, a volte sono loro stessi a confessare, eppure non succede nulla. Lo sfascio dell’università italiana, il nepotismo, l’assegnazione delle cattedre ai parenti, sono stati denunciati e documentati in molte inchieste giornalistiche e libri, l’ultimo addirittura edito da Einaudi, quindi non da stamperia semiclandestina, ma tutto prosegue come se nulla fosse. Vedi l’intervista di Cossiga, di cui qualche stralcio è già stato riportato in altro thread, dove l’ex presidente consiglia a Berlusconi come gestire queste contestazioni, facendo infiltrare i manifestanti con agenti provocatori, che devastino e saccheggino impunemente per poi reprimere con durezza forti del consenso del popolo bue che si abbevera solo a quella macchina di menzogne che è l’informazione televisiva. Sono i metodi usati con successo anni fa con la povera Giorgiana Masi e nel luglio 2001 a Genova, tant’è che ancora oggi la maggioranza silenziosa crede a quelle fandonie ed è pronta ad approvarle. Questa riforma della scuola è una vergogna immonda, il colpo di grazia inferto a un malato cronico, ma questo malato pesa sulla coscienza anche della sinistra. Un quarto di secolo fa ero una matricola alla statale di Milano, e avevo un ottimo rapporto con un professore politicamente di estrema sinistra che dirigeva la sezione umanistica del CNR, vale a dire che era un barone potentissimo, e quando gli chiesi perché avesse scelto come proprio successore un allievo con scarsi titoli anziché un genio che gli era antipatico, mi rispose con una domanda. “Se hai un figlio stupido e conosci un suo coetaneo intelligente, a chi la lasci in testamento casa tua?” La concezione patrimoniale della cosa pubblica non ha colore politico, forse è una tara nazionale. Solo in rari momenti della nostra storia, e comunque in un passato molto remoto, le cose andarono diversamente; come nel periodo dei c.d. imperatori adottivi, tra il 96 d.C. al 180 d.C. (dopo la dinastia Flavia, da Nerva ad Adriano), quando al diritto di sangue si preferì quello del merito.
Rubo dal sito di Per Sandro Pallavicini un post interessante, che trovate qui:
http://www.feltrinellieditore.it/BlogAutore?id_autore=500004&blog_id=25
Che momentaccio. La legge 133 (la finanziaria di Tremonti) tira una specie di mazzata in fronte all’Università italiana. Tagli mostruosi al personale, tagli mostruosi al fondo di finanziamento ordinario, la trasformazione in Fondazioni delle Università che lascia intravvedere lo spettro di università privatizzate a alto costo d’accesso… Un colpo gravissimo alla didattica e alla ricerca di gran qualità internazionale che, qui in Italia, nonostante i pochi soldi, riusciamo ancora a fare, grazie a una solida scuola scientifica e a una tradizione importante.
Allora un piccolo momento di luce, un flash di ottimismo. L’ho raccontato dentro un articolo che ho pubblicato il giorno 8 ottobre sul quotidiano locale La Provincia Pavese dove, come ogni mercoledì, esce la mia rubrichetta University Confidential.
Lo riprendo qui….
I CERVELLI SONO QUI
Ieri sera mi telefona un caro amico che è caporedattore di un importante magazine di fashion culture italiano. Sta preparando il numero di dicembre che conterrà la tradizionale panoramica sull’anno 2008. Una parte importante, mi dice, è qualcosa che potrebbe intitolarsi proud to be italian o giù di lì. Ma lui, al telefono, è disperato. “Di cosa mai possiamo dichiararci orgogliosi, in questo 2008? È stato un anno di vergogna e disperazione” piange. “La mafia, Alitalia, il razzismo, i rifiuti…”
“I cervelli che restano” lo interrompo io.
C’è un progetto finanziato dalla Regione Lombardia che coinvolge la nostra università, dedicato alla scienza dei materiali e alla biomedicina molecolare. Non ci sono cifre faraoniche in ballo: qualche borsa di dottorato, qualche assegno di ricerca. Ma il respiro è lo stesso ampio e ambizioso. Solo qui a Pavia sono coinvolti trentacinque dottorandi e post-doc, per quello che potremmo chiamare un percorso d’eccellenza. Cioè un insieme di corsi e seminari tenuti da scienziati di livello internazionale. I trentacinque ricercatori pavesi sono giovanissimi, l’età media è venticinque anni. Le loro ricerche spaziano dai nuovi materiali per le celle a combustibile all’uso di nanoparticelle per la fabbricazione di attrezzi medicali auto-sterilizzanti, fino allo studio della funzione dei telomeri, cioè quella parte dei cromosomi che pare abbia un ruolo nel preservare dall’invecchiamento. Nel progetto, oltre ai seminari degli scienziati ospitati a Pavia, ci sono anche i seminari tenuti dai giovani pavesi, e cioè il raccontarsi tra loro e in pubblico le proprie ricerche. C’ero in una di queste occasioni, all’inizio dell’estate. Ricordo distintamente di aver pensato: ma quale fuga di cervelli? Ricordo di essermi arrabbiato vedendo questi ragazzi brillanti e pavesissimi, accostandogli il battage scandalistico sulla presunta fuga all’estero di giovani scienziati italiani: come se qui rimanessero solo scartine o raccomandati. Provo a spiegarlo al mio amico caporedattore. “Questi ragazzi pubblicano sulle migliori riviste internazionali” dico. “Questi ragazzi hanno studiato qui, lavorano nei nostri gruppi di ricerca, e sono outstanding a livello mondiale”.
“Bello” conviene il mio amico. “Ma mica possiamo parlarne sulla rivista: non ci sarebbe niente di fashion in una notizia così. Nessun grosso nome, nessun volto noto…”
Lascio perdere. Idea sciocca. Niente di fashion, ne convengo. Nessuno scandalo per cui strapparsi le vesti, aggiungerei anche. Ma solo qualcosa da tenerci ben stretti al cuore quando, intorno a Natale, l’Italia 2008 sarà tutta raccontata come medaglie della Vezzali a Pechino e fratelli Muccino che sbancano a Hollywood.
Caro Bruno,
sono una precaria della ricerca e sto partecipando attivamente alla mobilitazione. Il mio ateneo è stato uno dei primi a muoversi. Cosa ti fa credere che la massa di quelli che oggi stanno protestando non voglia una riforma vera e radicale dell’Università? Le tue valutazioni mi sembrano molto generiche. Forse non hai letto i documenti che in questi giorni le assemblee delle facoltà stanno producendo. Sono documenti seri, concreti, che producono proposte e che vogliono rifondare il sitema. Nessuno vuole la difesa dello status quo, di certo non la vuola la parte più ampia del movimento (studenti, precari e ricercatori). Qui non si vuole difendere l’istituzione in quanto tale. C’è molto marciume nelle università ma c’è anche chi vi ha sempre lavorato bene, onestamente e con rigore. Non dimenticatevi che i talenti in fuga che vengono accolti a braccia aperte all’estero hanno una marcia in più anche perché si sono formati nelle nostre ‘vetuste’ università, quelle che oggi vogliono spacciarci come luoghi improduttivi di qualità infima.
La protesta difende due diritti fondamentali:
1. il diritto allo studio, che la trasformazione delle università in fondazioni di diritto privato vedrà fortemente minacciato
2. il diritto al lavoro di una generazione intera di studiosi giovani che verranno liquidati non si sa come
Chi protesta vuole potere pensare al futuro, e vuole rifondare alle base il sistema. Pensateci (bruno, alcor) prima di ripetere i luoghi comuni che la stampa e la tv vanno ripetendo in questi giorni. Sapete quali sono precisamente gli articoli incriminati della finanziaria? Avete inteso che non si tratta di semplici tagli, ma di un disegno di smantellamento vero e proprio? Cosa proponete in alternativa? Di chiudere tutte le università e le scuole perché tanto è tutto marcio?
Grazie a Sebaste per il suo articolo
Cristina
trovo che cristina abbia ragione, bisognerebbe confrontarsi con i fatti. allora, perché la redazione non pubblica un pezzo di qualcuno interno al movimento, e ben informato, che ci spiega come stanno le cose dal suo punto di vista?
In questa vicenda, continuano a dirlo in tanti, in discussione non è la possibilità di una riforma “anti-mafiosa” contro il baronaggio e contro l’assistenzialismo a pioggia… in questa vicenda contano i contenuti (e cioè che si scambi per riforma una questione di tagli per far fronte alla crisi economica), e contano i metodi, e cioè la deriva autoritarista con cui la verità di aver fatto una dichiarazione viene messa in discussione non ritrattandola, ma negandola!… dicendoci con sistematica precisione che non siamo cittadini ma sudditi, che la realtà non esiste, che la partecipazione democratica è un ostacolo, che siamo dei cretini incapaci nel momento in cui non siamo d’accordo con il verbo proferito dal potere politico e mediatico… l’altro giorno leggevo su un giornale, in prima pagina, che moltissimi italiani attendevano l’intervento del Presidente del Consiglio sull’intervento delle Forze dell’ordine nelle scuole occupate, e nello stesso giorno il Presidente negava di aver detto quelle parole… questo è veramente troppo… 1984 di Orwell al confronto è niente (oltre ad essere più furbo e accorto). Ma gli stupidi veri siamo noi, che non facciamo di tutto, anche aldilà del nostro orto di sicurezze acquisite, per dire in faccia a questa classe politica che è giunta la fine, che non è possibile un oltre, che la soverchieria non è ammissibile, che la politica non sono i deputati (questo è ormai evidente) ma i cittadini che non si lasciano irretire dalle minacce e dalla forza (complice la polizia, ovviamente). Questo è troppo, veramente troppo. Dobbiamo pretendere da noi stesi un impegno concreto, prendere posizione chiara, ripetere a tutti che la finta democrazia non può starci bene, che i poveri non possono pagare per il collasso voluto dai baroni, dai ministri, dai funzionari di Stato, dagli imprenditori, dalla finanza, soprattutto, in vista di un nuovo affare, di un nuovo investimnto in borsa. Questo è troppo, ripeto, è troppo perfino per l’ignavia degli italiani.
La destra che vince nelle democrazie svuotate dal populismo mediatico è semplificazione e manicheismo. Ordine, confini, carcere, assalti agli immigrati: concetti facili da apprendere e da applicare. Il marketing demagogico ha buon gioco nel diffondere razzismo e logica del capro espiatorio, mitizzazioni e dirottamenti dell’attenzione, speranze e paure. La complessità è bandita; non solo fa perder tempo, ma mina il principio d’autorità e prende il pluralismo sul serio. Una società che non crede coerentemente nel diritto alla complessità, fondamentale quanto quello alla libertà ed alla pari dignità sociale, è una società non solo non democratica, ma anche pre-civile, una non-società.
Detto questo, e si potrebbe continuare, non cadiamo anche noi, criticando la destra semplificatrice, nella semplificazione. Non basta dire che ci vogliono sudditi e non pensanti perchè il pensiero critico fa paura e bla bla ! Si tratta di un ritornello che non può fare piazza pulita della discussione sui dati e sui fatti concreti. Ed anche l’idea dell’attaccare la parte sommersa dell’iceberg può essere ideologica. Prima di estendere il discorso bisogna demolirili su quello che dicono – maestro unico, tagli, 24 ore, tempo pieno etc – altrimenti è facile sentirsi dire che non vogliamo affrontare il confronto sui fatti. Non si può sbolognare tutto dicendo che i cretini esistono ovunque, quindi anche nell’università. La critica a questa pseudoriforma non può non tenere conto che l’università è già, prima di moratti-tremonti-gelmini, una società feudale retta da clientelismi. Non è demenziale, sebaste, dover ripetere certe cose,
è superfluo.
jacopo galimberti chiede: “perché la redazione non pubblica un pezzo di qualcuno interno al movimento, e ben informato, che ci spiega come stanno le cose dal suo punto di vista?”
Tu che dici, forse perché non ce lo mandano? Noi siamo qui, come sempre, ma tutto noi non si può fare. Sarebbe bello che i nostri lettori ci dessero una mano.
C’hai ragione, Gianni, ma io sto in francia e ti posso mettere al massimo in contatto con militanti francesi.
Forse la stessa Cristina, potrebbe segnalare qualcosa, qualcuno…
@gianni biondillo. Non faccio parte di nessun movimento, ma sono un insegnante e potrò comunicarti delle comuni determinazioni lunedì … nel frattempo posso anticipare che pensavamo, noi dipendenti di una scuola paritaria, di scioperare nella giornata del 30 e di chiedere al nostro gestore di devolvere la nostra paga ad una realtà scolastica statale che, sulla base della legge Gelmini, subirebbe dei tagli … se può servire…
@Sebaste e Cristina
Va bene, allora io sono l’unica a sapere che se ti presenti a un concorso e quel concorso non è destinato a te non lo vinci.
Sono l’unica alla quale è capitato di sentirsi dire è inutile che partecipi perché è un concorso fatto per Tizio. Mettiti in fila e impara a ubbidire.
E sono l’unica a credere che negli anni le cose non siano cambiate.
E quando parlo con quelli che fanno la stessa esperienza oggi io sogno, e non so di sognare.
Sono un parto della mia produzione onirica.
E quei ricercatori quarantenni e non più ragazzini che culturalmente producono ma che accademicamente sono sempre ai margini fanno parte del mio sogno, prodotti anche loro della mia inesausta e delirante energia creativa.
E quando mando una mail a quelli della mia generazione che se ne sono dovuti andare e insegnano in un altro paese, io so che non è una mail reale, fa parte del mio sogno.
E sono l’unica a credere che questo non sia un problema marginale.
Sono l’unica a pensare che a settant’anni i docenti se ne dovrebbero andare liberando risorse.
E’ bello essere unici.
E’ bello sognare.
@ alcor
Invece di rispondere con repliche piccate potresti entrare nel merito della questione? Io ho trent’anni, ho una laurea, un dottorato di ricerca, esperienza didattica alle spalle e altri due anni di borse postdoc. La mia produzione scientifica è buona, eppure devo pensare di fare le valigie. Credi che abbia voglia di perdere tempo a fare una lotta per la difesa della baronia? Credi seriamente che le migliaia di studenti mobilitati si affannino tanto per i privilegi dei loro prof?
Liquidare la questione come fai tu, dicendo che tanto l’università è malata, è cinico e irresponsabile. Torno a ripeterti: hai letto gli articoli della finanziaria? Sai di cosa si parla? Hai provato a immaginare le conseguenze? Può una persona della tua levatura culturale (lo presumo soltanto!) permettersi di pensare quello che pensa la massa ignorante e intronata di questo paese, e cioè “sono tutti dei privilegiati, vadano a lavorare”?
Invece delle tue piroette retoriche, puoi dirci, a noi sciagurati che non sappiamo per cosa protestiamo e non abbiamo chiaro come stiano le cose, quale alternativa proponi? Meglio chiudere bottega e lasciare che tutto vada allo sfascio?
Quanto alla questione del pezzo per NI sulla protesta: sono una lettrice solitamente silenziosa del blog, e in questi giorni sono venuta spesso a controllare se ci fosse qualche pezzo sulla questione. Questo è il primo che leggo. Se vi interessa quello che sta succedendo e vi sta a cuore che si diffondano notizie corrette e non luoghi comuni, iniziatelo voi il lavoro di informazione. I mobilitati hanno aperto moltissimi blog per informare sulle iniziative, sui documenti, sul coordinamento. Gli apporti sono tanti e ci sono posizioni differenti sui metodi e le prospettive. Non ha senso chiedere di scrivere un pezzo riassuntivo per Nazione Indiana. Se è una lista di link che volete io posso fornirvela. Ma pensateci voi a ragionare, dal vostro punto di vista, sulla questione, a riflettere e a sensibilizzare e a diffondere, ciascuno nel proprio ambito, notizie corrette.
Cristina
Questo pezzo, che è pubblicato in contemporanea anche su LPELS, evidentemente chiama commenti simili; evidentemente è una visione delle cose simile: possiamo chiamarlo “fuoco amico”? In questo momento di riforma-devastazione, e di un vastissimo movimento di opposizione, c’è sempre chi viene fuori con denunce documentate sullo sfascio e sullo schifo degli enti o delle realtà che sono sotto attacco. La morale è chiara, ed è il lato B della demagogia dei predatori: è tutto da buttare, non vedete? Lasciamoli fare, lasciamoli divorare in pace questo boccone andato a male. E addio scuola, addio sanità, addio enti pubblici. Tanto sono uno schifo. Spariamoci una bella rivoltellata in testa, e lasciamoli festeggiare sui nostri cadaveri.
@Cristina
Io ti rispondo, ma tu per favore non mettermi in bocca cosa che non ho detto.
-“ Credi che abbia voglia di perdere tempo a fare una lotta per la difesa della baronia?” Non lo so, non conosco il tuo spirito di autonomia, indipendenza, coraggio, libertà, non conosco il tuo professore e non so se sei sotto concorso o in attesa di conferma.
– “Credi seriamente che le migliaia di studenti mobilitati si affannino tanto per i privilegi dei loro prof?” Ovviamente no, ma so abbastanza bene cos’è una massa, e la velocità con la quale si scioglie una volta passata l’emergenza. E so anche quanta piccola parte di quella massa sia veramente consapevole della posta in gioco, adesso come in passato, perciò mi impressiona poco. E questo naturalmente è un guaio perché non sono la sola a saperlo, quella che è al potere nelle università e anche al governo è in buona parte la mia generazione, cresciuta a pane e politica.
_ “hai letto gli articoli della finanziaria? Sai di cosa si parla?” Sì & sì.
– “Hai provato a immaginare le conseguenze?” Sì e ne ho appena parlato con un giovane ricercatore che, se già non le avessi immaginate bene da sola, si è preso la briga di enumerarle lui.
-“ Può una persona … pensare quello che pensa la massa ignorante e intronata di questo paese, e cioè “sono tutti dei privilegiati, vadano a lavorare”?” Dove ho detto questo?
– “Invece delle tue piroette retoriche, puoi dirci, a noi sciagurati che non sappiamo per cosa protestiamo e non abbiamo chiaro come stiano le cose, quale alternativa proponi?”
A parte il fatto che io mi sono guadagnato a caro prezzo il diritto di piroettare liberamente, l’alternativa che propongo io è fare politica.
E la politica si fa SEMPRE, non solo quando scoppiano le emergenze. Si fa prima che scoppino, per essere pronti quando scoppiano.
E la seconda parte della tua risposta, quella non rivolta a me, è sintomatica del fatto che non siete stati capaci di farla, tu dici:
“I mobilitati hanno aperto moltissimi blog per informare sulle iniziative, sui documenti, sul coordinamento. Gli apporti sono tanti e ci sono posizioni differenti sui metodi e le prospettive. Non ha senso chiedere di scrivere un pezzo riassuntivo per Nazione Indiana.”
E’ ben questo il punto, vi muovete in ordine sparso perché non c’è mai stata una riflessione collettiva e comune, siete deboli di fronte agli ordinari, ai presidi e ai rettori perché ognuno di voi (e ognuno degli altri che vi ha preceduto negli anni) ha sempre cercato soluzioni singole alla propria vicenda personale, avete cercato di sopravvivere dentro il sistema cercando quei pertugi che vi permettessero di entrare, e in questa strada dura e solitaria (e non lo dico con ironia) siete rimasti deboli. La parte giovane, quella che dovrebbe avere le maggiori energie da offrire e mettere in campo, le intelligenze più fresche, ha taciuto per anni, occupata a cercare di parare il singolo colpo, offrendo solidarietà privata invece che pubblica, di massa, politica, e adesso non siete gli interlocutori forti che avreste potuto essere, ma interlocutori deboli perché alla trattativa con Tremonti, sempre che ci sia, andranno i rettori. Non voi.
Perché, mi chiedo, avete aperto moltissimi blog solo adesso, in occasione dei tagli? Perché gli apporti sono tanti solo adesso? Perché le vostre posizioni sono ancora “differenti”? E quanti di voi stanno ancora tacendo perché sono sotto concorso, o sotto conferma, e il loro direttore preside, rettore, non vede di buon occhio che parli?
Quanti ricercatori in Italia sono mai andati in massa a protestare quando un concorso è stato fatto per una persona di scarso valore, disperdendo risorse anche economiche che avrebbero potuto essere meglio impiegate? Quanta solidarietà pubblica hanno manifestato a un collega di vaglia trombato a favore di uno senza titoli?
Se lo aveste fatto, se foste stato capaci di farlo, ma anche, per fortuna, se sarete capaci di farlo tutti assieme in futuro, avrete quella forza di trattativa, quel potere contrattuale che non avete.
La mia proposta è questa: dimostrateci che siete davvero un movimento, una forza credibile NELLA DURATA, siate solidali tra voi, alleatevi, mostrateci un progetto di università, chi puo averlo, se non voi? fateci sperare che grazie a voi l’università italiana diventerà un posto più libero, -o per non allargarci tanto, un posto meno indecente di quanto non sia.
E visto che vengo tanto fraintesa, questo non vuol dire che io non stimi sin gole persone, e anche molto, che ci lavorano, ma lo considero un sistema perverso che produce mostri, alleva all’ubbidienza, alla testa china, premia il mediocre e distribuisce a pioggia senza valutare il merito le poche risorse che ha. Poco a tutti, mi spiace, non la vedo come una soluzione convincente. I tagli sono una iattura, ma la vostra proposta per una università sana, a parte il NO TAGLI, qual è?
una lista di almeno alcuni dei “numerosi blog aperti” sarebbe francamente utile.
l’articolo 133 sta dando un’ulteriore spinta verso il burrone all’Università italiana; certo non è così che si riforma, se non si aboliscono le baronie sarà difficile che qualcosa cambi, e se si considera che alla Sapienza da poco il rettore è Frati, il barone dei baroni, che volete che si dica?non è mica solo colpa della Gelmini! E ciò che è stato fatto prima?Io sono figlia della Riforma, sono entrata all’uni nel 2001-2002 primo anno della riforma Moratti, e non si capiva nulla. Mi sono laureata con la Riforma, e ricordo che a causa dei tagli fatti all’università pubblica già in quegli anni a Villa Mirafiori ci staccavano la luce la sera, e c’erano prof che per carenza di aule facevano lezione sotto gli alberi o lezione fino alle 22, intanto però si davano soldi a palate all’università private della Chiesa e della Confindustria…e non aggiungo altro. Poi specialistica. Altro travaglio. La signora Moratti non paga delle porcate fatte in precedenza riforma ancora. Io perdo crediti nel passaggio dalla triennale alla specialistica, perché la signora, evidentemente molto ignorante, cambia le lingue di base per le facoltà umanistiche; il tedesco non serve più a nessuno, e i miei due esami vanno a farsi benedire, risultato: recupera altri 20 crediti, fai cioè 5 esami in più alla specialistica, dopo aver fatto una tesi di triennale che sembrava una tesi vecchio ordinamento e esami di 5 crediti di 1000 pagine. Perché i problemi delle riforme sono due: 1si fanno riforme senza “riformare”i prof, vecchi che insegnano da 20 anni sempre allo stesso modo, e non si adattano con difficoltà ai mutamenti 2 chi le fa non capisce nulla di scuola e di università.
I giovani che intraprendono la carriera accademica o abbandonano o a 40 anni sono ancora assistenti portaborse spesso scarichi e sfiduciati. Mentre se vanno all’estero gli offrono una borsa da ordinario. E poi ci sono gli sprechi. Sempre per parlare della Sapienza due anni fa Guarini fece sostituire alla Minerva il Cherubino, e per questo scherzetto spese senza problemi 200 mila euro e più, però noi a lettere non avevamo le aule, ci mancavano i prof, e alcuni professori con spirito di abnegazione facevano e fanno due turni di lezione. E non mi s dica che è colpa nostra che Lettere non è una laurea “giusta”, come ho sentito dire in questi giorni in tv, perché non è una giustificazione, anche se questo è il paese della cattività, ognuno dovrebbe poter scegliere secondo le sue passioni o no? E’una colpa avere la passione per il teatro, la storia, il giornalismo, il cinema? Sembra di sì visto il trattamento indecente ricevuto, mentre Frati si è impiegato tutta la famiglia a medicina, e il Policlinico Umberto I, l’ospedale degli orrori, succhia i soldi dell’ateneo più grande d’Europa pagando i suoi dipendenti con i soldi dell’università. E questo grazie a chi? A Frati che da vent’anni tiene sotto scacco l’ateneo; tagliamo questa gente, eliminiamo questi sprechi non i soldi alla ricerca e alle università. Eliminiamo gli insegnanti di religione che costano una tombola, sono scelte da preti e vescovi, e non fanno una mazza. Vi pare giusto che una che mette videocassette su Gesù debba guadagnare tra un po’quanto mia madre che è maestra prevalente e ha 37 anni di carriera alle spalle nonché un diploma e un’abilitazione all’insegnamento, e ha vinto un concorso a cattedra. E queste che hanno fatto il catechismo, l’A.C.R, i campi scuola???????? Ma la Chiesa non si tocca. Berlusconi tempo fa disse a sua santità:”daremo i soldi alle vostre scuole”; e certo!
Alcor dice verità inconfutabili, buona parte delle università è così, concorsi e baronie sono così. E nessuno intende difendere lo status quo. Ma quello del governo è un attacco non a questo sistema dell’istruzione, bensì all’istruzione tout court. Non è tanto che istruzione e cultura siano considerate inutili, quanto che ignoranza e incultura siano invece utilissime alla manipolazione del consenso. Facciamo come predica la destra? Perché il pubblico è stato mal gestito per decenni, lo sfasciamo e ci affidiamo ai privati? O non dovremmo lottare perché scuola e università innanzitutto sopravvivano e al contempo perché funzionino come si deve?
Dice viky (prendo la sua frase solo come pretesto, non mi riferisco a lei, del cui post, peraltro, condivido pienamente alcune intelligenti riflessioni, ci mancherebbe altro):
E’una colpa avere la passione per il teatro, la storia, il giornalismo, il cinema?
No, non lo è, anzi; l’importante è che poi non ci si lamenti che non si trova lavoro, mentre la mammina prepara al suo bamboccione il sughetto preferito, coi pomodori raccolti in nero da quei zozzoni degli stranieri o mentre in quell’osteria-dove-c’è- taaaanta-bella-gente un extracomunitario ci serve la pizza preparata da un suo compatriota (della stessa tribù di quello che ha raccolto i pomodori che la condiscono).
Non è giusto che con le tasse pagate dai manovali che hanno ristrutturato la bella osteria, da quelli che al porto hanno scaricato i pomodori (che, statisticamente, non mandano i figli all’università, in un’Italia che ha poca mobilità sociale) si alimentino le velleità di certe persone.
Non è giusto che con quegli stessi soldi si faccia pagare una miseria di tasse universitarie al figlio del dentista che ha già il futuro assicurato, al figlio del farmacista, al figlio del barone, al figlio del notaio…
ovviamente quando accadono di queste leggi, perchè accadono, è molto facile schierarsi.
ma io ho un problema.
sono studente, non mi riconosco nella legge nè nella protesta. entrambe ipocrite o meglio la prima nasconde una progettualità molto seria – il vero scopo è la fondazione privata- la seconda non chiede niente.
più soldi alla ricerca significa poco. quale ricerca?
ho un problema perchè il problema non sono i fondi , quelli sono necessari, è come vengono gestite le università oggi che già hanno adottato modelli aziendali che già hanno risolto il problema studente.
a milano – non a catania- l’università statale di milano si è inventata una facoltà – l’ha fatto in piena autonomia!- si è inventata una sede improbabile in una via altrettanto improbabile senza verificarne collegamenti e altro – tanto che un soffitto è crollato due settimane fa- l’ha riempita di sedicenti registi, fotografi, artisti ha creato dei corsi di studio impropri già solo nella intitolazione. in piena autonomia. solo chi conclude un percorso simile, vive l’università e ha un minimo di coscienza si rende conto di quanto sia sterile in sè un luogo e un percorso simile.
sono i contenuti delle università che mi fanno orrore non la mancanza di fondi. quindi a chi dare cosa e perchè.
di questi tempi le domande sfuggono figurarsi le risposte.
Boh, capisco sempre meno l’istruzione italiana e se la mandano allo sfascio sono del tutto indifferente, come sono indifferente all’eventuale colpo di stato bianco di mr B, magari capace di farsi proclamare sultano. Il sultanato d’Italia, il laboratorio politico di cio’ che accadra’ domani e gia’ accade (in Francia, nelle neo democrazie dell’Est).
Tutti questi studenti, oggi come ieri come me l’altroieri- mi sembrano attaccati teneramente ad un sogno ormai scaduto -quello della ricerca- che e’ il nuovo collettismo bianco globale & cheap, fatto di migliaia di pulcini in batteria impegnati su tematiche molto molto di nicchia, quando non ininfluenti o addirittura inutili sia a livello industriale che, peggio, comunitario. Al contrario, ci sono sette problemi di matematica chiamati “del millennio” (ora sei, uno e’ stato dato per risolto), ognuno mette in palio un milione di dollari e ognuno garantirebbe un avanzamento tangibile della scienza settoriale e nelle ricadute di vita quotidiana. Obiettivi tangibili e precisi, dunque.
Ma le mille e mila altre declinazioni di “ricerca” in settori soft che roba sono? Caramelle assistenziali, quando non packaging per l’anima chic di un occidente in salute, che oramai in salute piu’ non e’. Ecco che dunque piu’ che salvare l’universita’, proverei a lottare per salvare l’istruzione primaria, quella si’ fondamentale: tutto il ciclo della scuola dell’obbligo va salvaguardato ai livelli piu’ alti possibili, alla massima disponibilita’ progettuale e di risorse. L’universita’ vada pure in mano ai privati e alle fondazioni: tenerla in vita oggi, tenere in vita un’universita’ come quella italiana soprattutto, e’ davvero uno spreco (come tanti altri in Italia, ma qui di istruzione stiamo parlando).
siete il regno del disincanto chic
siete il regno del disincanto chic (è un eufemismo)
per il resto, d’accordo con baldrus. e con quanto ho scritto. e con derrida. lui parlava di un anti-intellettualismo di Stato (o di confindustria, del ceto industriale più arretrato d’occidente), ma quello di certe obiezioni che ho letto è più malizioso, più perverso, più leghista, più rancoroso, più “intellettuale”, più da prete spretato, non so.
mi spiace ma baldrus e chiunque concordi con lui, almeno per quanto riguarda il mio commento, prende una cantonata. Non si tratta di sfascismo snob o di tanto peggio tanto meglio. Si tratta di rispettare un’etica dell’argomentazione. Non c’è bisogno di scomodare derrida per sottolineare l’antiintellettualismo di stato. Figuriamoci se non è evidente. Figuriamoci se non dobbiamo difendere con le unghie e con i denti non solo la scuola pubblica, ma gli stessi studia humanitatis e quindi, santi numi, l’uomo stesso. Altro che università in mano ai privati! Si può benissimo criticare la scuola di oggi in nome della sua essenziale missione pubblica, non per favorire l’assalto degli squali che vorrebbero ridurla ad una macchina che distribuisce disanimate competenze funzionali e produttive.
Ma è tanto difficile separare le due cose, almeno nell’organizzazione del discorso?
O bilanciandosi arditamente sui due corni, afferrando più stretto uno per poi passare all’altro, non si vuole altro che imporsi come “matador”?
Siamo già cosi tutti intossicati dal berlusconismo? [Noi, tutti. L’ammetto.]
A suo tempo, il documento più importante della lotta studentesca, venne elaborato a Torino. Era intitolato “Contro i baroni” e scritto da Guido Viale. [Che, tra parentesi, è oggi un esperto, a livello internazionale, sul problema dei rifiuti: per far calare un po’ la merda che viene gettata sul ’68 e sui sessantottini.]
Certo, non mi ricordo esattamente i contenuti, ma lo stesso titolo può fare intuire che le cose non siano poi così tanto cambiate, da allora.
Prima di entrare nel merito, consiglierei, a chi è impegnato direttamente in questa lotta, di andare a dargli uno sguardo.
Penso che sia compreso in una recente pubblicazione della Feltrinelli che riporta i documenti della contestazione di quarant’anni fa.
quello che mi ha commosso di tutta questa faccenda è stata la “lezione degli studenti”, e dei docenti che si sono prestati…bello vedere le piazze ospitare lezioni aperte a tutti.
questa è stata una buona lezione.
la resistenza pacifica, impegnata degli studenti che credono in ciò che fanno e lo difendono dando a tutti gli altri (quelli che criticano, quelli che disfano, quelli che restano scettici agli ultimi banchi a guardare…) un enorme schiaffo morale.
gli studenti hanno già vinto.
@ alcor
Grazie della risposta lunga e dura. Adesso possiamo discutere.
Avevo già scritto questo commento ma mi si è cancellato, quindi temo che questo doppione risulti un po’ più sconclusionato…
Intanto ti dico subito che sono una borsista postdoc, non sono sotto concorso, non sono in attesa di conferma, non sono in attesa di concorsi. La persona con cui mi sono formata non ha mai sistemato un allievo/a in tutta la sua carriera.
Non è vero che la categoria di noi ricattabili, che tu dipingi come gente a testa china, si stia muovendo solo adesso. La rete nazionale dei ricercatori precari esiste dal 2004 ed è dal 2004 che formula proposte, riflette sul proprio statuto contrattualmente nullo, monitora e studia le proposte di legge. Nel mio ateneo i precari della ricerca e della didattica sono molto uniti e coordinati e questa volta sono stati i primi a esporsi, rifiutandosi di svolgere i loro incarichi (lezioni, esami, ricevimenti etc) per i quali se va bene sono pagati una miseria. Ci sono interi corsi di laurea che si reggono sui contrattisti e se i contrattisti incrociano le braccia i corsi di laurea possono anche chiudere. Io allo stato attuale non ho un contratto di insegnamento, ma un contratto di ricerca; i precari che insegnano, qui da noi, si sono fermati.
La cosa fondamentale, in questo momento, è non fare diventare la protesta una rivendicazione di categoria. Io posso parlare per la ‘categoria’ cui appartengo: non stiamo protestando oggi per cercare di raccogliere le briciole e strappare un posto al sole domani. Stiamo protestando perché questa è un’occasione imperdibile per aprire un discorso critico serio, forte e condiviso sul degrado dell’università e sulla possibilità di cambiare le cose. Si potrà iniziare a cambiare quando dall’università usciranno coloro che hanno alimentato questo sistema feudale e anche coloro che lo hanno semplicemente accettato passivamente. Se passa la norma sul blocco del turn over, prevista da uno degli articoli della 133, non avverrà il naturale ricambio generazionale che è il primo passo da fare nella direzione del cambiamento.
La struttura abnorme a piramide, per cui una piccola punta di ricercatori è schiacciata da una massa di associati e ordinari che si sono ‘fatti carriera a vicenda’, va rovesciata. Va fatto saltare il tappo generazionale che ha intasato il sistema del ricambio già dall’nizio degli anni ottanta, con la famosa sanatoria ope legis che ha riempito le università di gente tutta della stessa età, e in molti casi mediocre, che in trent’anni non ha prodotto niente.
Le proposte che circolano sono molte e chiedono soprattutto che venga riformato il sistema di reclutamento, che gli atenei siano sottoposti a un regime di trasparenza nella gestione delle risorse finanziare e umane, che ci sia un organismo di controllo super partes che valuti la produzione scientifica di chi aspira alla carriera accademica secondo criteri condivisi, oggettivi e verificabili, che si introduca un codice etico negli atenei per impedire la proliferazione di carriere ‘familiari’.
Qui non ci stiamo muovendo ciascuno per conto proprio. Stiamo unendo le nostre forze a quelle degli studenti e dei ricercatori strutturati e in alcuni casi anche a quelle dei docenti che vogliono schierarsi. Il problema non sono i tagli: qui si rischia la scomparsa dell’università pubblica. Assemblee di 6000 persone, alcor, sono politica.
Io voglio crederci, voglio provarci, voglio cercare di non sprecare l’occasione, voglio respingere il cinismo di chi ghigna dello sfascio. Non posso permettermelo perché ci credo ancora che le cose possono migliorare. Il nichilismo di chi se ne frega della distruzione della cosa pubblica per me è semplicemente connivente.
Confrontiamoci, anche con durezza se necessario. Ma non liquidate lo sforzo senza prima averne saggiato gli intenti, le energie e le proiezioni.
Ultima precisazione: sui blog forse non mi sono spiegata. Non sono il frutto politico della mobilitazione, sono solo il mezzo di raccolta di informazioni sulle iniziative, i documenti e le proposte che si stanno elaborando. Vi invitavo a darci un’occhiata per toccare con mano quanto si sta facendo. E il fatto che ci siano posizioni differenti sui metodi mi sembra la cosa più normale e sana in una dialettica politica autentica e costruttiva.
Mi scuso per il commento fluviale. Vi incollo sotto alcuni link utili.
http://ricercatoriprecari.wordpress.com/
http://133.anche.no/
http://dica133.wordpress.com/
http://www.uniriot.org/
Cristina
Disincanto chic, ottimo contro-argomento.
Mi ritrovo anche molto nell’accusa di anti-intellettualismo leghista, manderò una mail a Cota, sul quale sto facendo uno studio fisiognomico e cercherò di fidanzarmi con lui.
Prima di lasciarvi, perché mi rendo conto che bisogna cantare col coro e io non sono capace, essendo stata allevata a non farlo, vorrei che notaste, chi ne ha voglia, che qua c’è chi si dispiace che qualcuno critichi.
Sarei più ottimista se qualcuno mi dicesse quello che dici è sbagliato per a b c… e te lo dimostro, oppure, quello che dici è giusto in parte per a, ma non per b e c… sono d’accordo per a b c ma non per d.
Cristina, che è quella che mi interessava di più, mi dice rispondi, io rispondo e scompare mah mah e ancora mah…
Io veramente ho risposto! Piano con l’aggressività gratuita
Cristina
Cristina, scusa, ti avevo accusato ingiustamente di svanimento.
“Si potrà iniziare a cambiare quando dall’università usciranno coloro che hanno alimentato questo sistema feudale e anche coloro che lo hanno semplicemente accettato passivamente. Se passa la norma sul blocco del turn over, prevista da uno degli articoli della 133, non avverrà il naturale ricambio generazionale che è il primo passo da fare nella direzione del cambiamento.”
Questo è il punto, su questo non posso che essere d’accordo. Con un’avvertenza, dettata dall’esperienza, aspettare non basta perchè una volta che si accetta la modalità è molto difficile mantenere la testa libera. Ci si aspetta, avendo tanto accettato, che accettino anche quelli che vengono dopo.
E sono d’accordo anche su questo:
“Il problema non sono i tagli: qui si rischia la scomparsa dell’università pubblica.”
Mettere l’accento sui tagli è sbagliato, è l’organizzazione delle risorse il punto. e la capacità di incidere sulle decisioni. Mi rendo conto che non è facile, ma è doveroso provarci. Io conto molto sulla tua generazione.
E insisto su quello che ho detto prima, la DURATA dell’impegno.
Io non ghigno sullo sfascio, non l’ho mai fatto, ma mi piacciono i discorsi articolati, e qua ancora non ne avevo visti. Ti ringrazio di questo commento.
Non ero aggressiva:–)
ma qui si aprirebbe una nuova pratica sulla comunicazione in rete, troppo OT
alcor,
io non ho sempre voglia di articolare un po’ perché non lo so fare, non sono più molto abituata, un po’ perché non ne ho gran voglia, un po’ perché non sempre credo serva a qualcosa, ma ascolto con attenzione e ci tenevo a dire che quando ho scritto che “i giovani hanno dato a tutti una bella lezione” io mi inserivo nell’elenco di quelli che l’hanno ricevuta, (io ero tra gli scettici e soprattutto i polemici denigratori dell’università…),
ma un gesto vale più delle parole.
non so se ti sei sentita offesa anche da me, mi spiace.
chiusa parentesi, vi ascolto, continuate…
Io non mi sento mai offesa, non ti preoccupare.
Faccio una certa fatica a personalizzare.
Al massimo entro in un circolo di riferimenti, per esempio il disincanto chic di Sebaste, a chiunque rivolto, ma penso a me, mi ha fatto tornare indietro nel tempo, e sposato al riferimento di soldato blu mi si è parato davanti l’ultimo convegno dell’Ugi, a Rimini, nel ’67, dove ho definitivamente smesso di essere un’anima bella.
Sono andata a vedere che fine aveva fatto Gianmario Cazzaniga, per esempio.
Ma il disincanto, più o meno chic, non esclude la passione. Questa è una cosa che la generazione subito successiva, che credo sia quella di Sebaste, grosso modo, non riesce a capire. Soldato blu, che è della mia, invece, anche nelle notevoli differenze tra noi, la capisce.
@ Cristina
Per ogni studente che, come te, lotta per cambiare le cose ce n’è uno a cui le cose stanno benissimo così. Da qui la confusione del movimento che, in effetti, movimento vero e proprio non è.
@ alcor
“chi ghigna sullo sfascio” non era riferito a te ma a chi si è firmato giusco.
Scambio proficuo per me. Sono contenta che si sia costruito un pezzetto di comunicazione reale.
@ bruno
Continuo a non capire a cosa ti riferisci con “la confusione del movimento”. Ti riferisci ai metodi? Ai contenuti? Alle prospettive? Mi pare che dappertutto ci siano persone a cui interessa cambiare le cose e persone a cui non interessa. E allora?
Cristina
Ho un pensiero dolce per gli studenti che sperano un cambiamento in un mondo che si offre nel tessuto strappato del liberalisme.
Ho un pensiero dolce per la giovinezza che vuole cambiare le cose all’università, spero per loro una bella vittoria sull’ignoranza, la rassegnazione, la mancanza di generosità.
Dare una lezione aperta, prova del mondo dell’intelligenza entrando nella piazza, nella realtà, fuori del mondo chiuso dell’università.
Condivido il commento di Maria;
Questa giovinezza mi ha commossa…
vorrei aggiungere, o ripetere, solo questo pensiero, dopo aver letto questo dibattito: certo, mi interessa molto la prospettiva di chi studia, la sua possibilità di avere degli orizzonti; chi studia, qualunque cosa scelga di studiare, si merita di poterlo fare nel migliore de modi e de contesti. e quelli che danno per scontato che per un italiano occorre andare all’estero a trovare lavoro, mi ricordano quelli che dice “mangino brioches” (o pancakes, o bagels) a chi è senza pane. io ci sono andato all’estero, sono una testimonianza vivente (insieme a tanti altri) dell’impossibilità di trovare un posto, nel senso proprio di un accesso, nell’università italiana, che è un imbuto rovesciato dagli anni ’80. ho insegnato a ginevra, losanna, parigi, ecc., in italia mai stabilmente, ma chi se ne frega, qìuesto è un altro discorso. la mia antipatia nei confronti della politica universitaria, dei baroni, del ceto accademico non mi mpedisce di volerne salvaguardare l’esistenza, la “possibilità”. sono per una università senza condizioni, per un’esistenza assoluta dell’università, e poi ci si può lottare dentro e fuori…
ricordo che nessuno degli studenti non lotta difende lo status quo dell’università (e della scuola) italiana, ma cerca di salvare che almeno una scuola, un’università, ci sia – da rinnovare, certo. che non si butti via il bambino con l’acqua sporca. ma anche dire questo è deprimente, talmente è ovvio: perché non si discute pro contro una riforma, non c’è nessuna riforma, c’è solo una distruzione, un annientamento dell’istruzione pubblica, nell’affossamento di tutto ciò che pubblico. gli studenti lo sanno bene. quello che mi interessa, infine, è che la scuola è il gigantesco iceberg di una distruzione dei saperi, delle culture, di ciò che è gratuito e inutile e quindi sovrano, di tutte le cose che ho sintetizzato nell’articolo-appello. in realtà lo dico, insieme a molti altri, da un bel po’ di anni. poi mi stufo, poi lo dico di nuovo: e se l’ho detto di nuovo ringrazio l’energia degli studenti, la ventata d’aria fresca che hanno portato e ci stanno portando. un salkuto, e scusate tutti refusi.
tra i vari orribili refusi, ne segnalo uno nella prima riga dell’ultimo paragrafo. la frase corretta è: ricordo che nessuno degli studenti in lotta difende lo status quo…. a proposito, qui potete eggere una mia breve cronaca della prima notte di occupazione della Sapienza a roma, facoltà di lettere e scienze politiche. io ho imparato molto dagli studenti. http://beppesebaste.blogspot.com/2008/10/io-non-ho-paura-una-notte-alla-sapienza.html
tra i vari refusi, uno è particolarmente ambiguo, la prima riga dell’ultimo paragrafo. la frase corretta è: Ricordo che nessuno degli studenti IN lotta difende lo status quo…
e a proposito, vi invito a leggere la cronaca della prima notte di occupazione che ho in parte condiviso con gli studenti di lettere e scienze politiche della Sapienza, a roma. qui: http://beppesebaste.blogspot.com/2008/10/io-non-ho-paura-una-notte-alla-sapienza.html
correggo almeno un refuso, nella prima riga dell’ultimo paragrafo. la frase corretta è: Ricordo che nessuno degli studenti IN lotta difende lo status quo…
e linko qui la cronaca parziale della prima notte di occupazione degli studenti di Lettere alla Sapienza di Roma (io da loro ho imparato molto): http://beppesebaste.blogspot.com/2008/10/io-non-ho-paura-una-notte-alla-sapienza.html
provo disagio nel vedere rettori e professori in piazza con studenti: possibile che abbiano interessi in comune?
possibile che gli studenti non capiscano che il fronte della battaglia è doppio e che se anche il governo coprisse d’oro l’università questa resterebbe strutturalmente una macchina di promozione di potere piuttosto che di merito e ricerca?
è vero che è necessario primum vivere, ma è anche vero che qualora questa partita la vincesse l’università (me lo auguro) resterebbe pur sempre da farsi l’altra, quella per un’università degna di questo nome.
forse queste cose andrebbero dette (come fa alcor) al posto di compitazioni di temini, scontati e di maniera, sui liberi luoghi del sapere e della cultura.
@ Alcor [ma penso che tutto questo sia O.T.]
mi hai sorpreso col tuo riferimento a Gianmario Cazzaniga. Era certamente una delle menti più lucide del movimento, organizzatore degli insegnanti, e – suo non ultimo merito – fondatore della CGIL-scuola.
Me lo ricordo, purtroppo, sempre, come annegato in una tristezza cosmica.
Dev’essere per questo che, lasciata l’attività politica, scrive su “Belfagor”.
Sono andato su Google, per non essere a meno di te in quanto a informazioni e guarda cosa sono sono venuto a sapere.
*
Troviamo un riferimento a Cazzaniga e al PCI nella canzone “Nuntereggae più” del cantautore italiano Rino Gaetano.
Wikipedia.
*
Ma – com’e strana la realtà – in un post che precede quasi immediatamente questo, in N.I.,
“Il fabbricatore di parole”, che parla di un romanzo – su cui mi sono molto sbilanciato, a ragion veduta, definendolo un capolavoro –
“Il tempo materiale” di Giorgio Vasta, in cui tre studenti di scuola media, a Palermo, nel 1978, impegnati nella costituzione di un nucleo di lotta che si ispira alle B.R., organizzando *l’alfamuto*, un codice che utilizza le posture del corpo , e che dovrebbe permettere loro di comunicare senza che gli altri possano capire, così si riferiscono proprio a quella canzone:
“Secondo Scarmiglia, invece, la copertina di *Nuntereggae più* va benissimo per la parola ‘cercare’. Separando solo la sua postura dal resto della foto, è come se Rino Gaetano stesse frugando con una mano in un contenitore. Cerca. Decidiamo che questa è la postura *Nunte*”
GIORGIO VASTA, Il tempo materiale.
Alcor: sono completamente d’accordo! Fino a quando non sarà smantellato, nome per nome, clientela per clientela, l’attuale sistema che gestisce, com fossee il salotto di casa, le Università: non cambierà nulla! E anche a me lascia molto perplesso vedere rettori e studenti assieme: una follia che gli studenti tirino la volata a chi li massacra. Spero solo che non si lascino fregare; il vero nemico non è la Gelmini, ma i signori che gestiscono le Università che loro frequentano.
Blackjack.
L’articolo di Beppe Sebaste è chiaro, chiarissimo. Travisarne il senso è dare libero sfogo, in qualche caso, a forme nemmeno tanto occulte di masochismo, unitamente a sfoghi che pescano nel vissuto personale, specifico, frustrazioni comprese, e si propongono in chiave di strategia politica comune.
La battaglia degli studenti, e di tanti insegnanti, è per la sopravvivenza della scuola pubblica, che rischia di essere rasa al suolo, dalle fondamenta.
Tutte le altre considerazioni (a iniziare dal problema di una rifondazione urgente della stessa, a partire dalla demolizione totale del potere baronale a livello universitario) fanno riferimento a obiettivi imprescindibili (chi non concorda?), ma praticabili solo in presenza, reale, dell’istituzione sotto assedio.
Mescolare i piani del discorso, e dell’azione, mi sembra la tipica strategia di chi rimane alla finestra a osservare gli eventi, pronto a spandersi in un utocompiaciuto “l’avevo detto io!”. Che non serve a niente e a nessuno.
Mai come adesso, invece, bisognerebbe stringere le fila e far sentire una solidarietà concreta agli studenti. Forse qualcuno “non” ci ha fatto caso, ma il movimento che sta faticosamente nascendo, pur tra contraddizioni, è l’unica forma di opposizione “politica” che fa capolino in questo paese da sei-sette mesi a questa parte.
Sebaste la sua parte la fa. Cristina e quelli come lei, anche. E gli altri che pontificano (da sinistra?) nei blog?
fm
gli studenti in lotta non difendono lo status quo (questa frase nel mio post di ieri era compromessa a un refuso). io ho imparato molto da loro ( http://beppesebaste.blogspot.com/2008/10/io-non-ho-paura-una-notte-alla-sapienza.html ). mi è arrivta la noizia che il voto a senato, su questo decreto-legge (non riforma) è stat anticipato a martedì pomeriggio. c’è un’ampa mobilitazione a roma per martedì. dopodiché, se ho capito bene, sarà legge. sarà tomba.
@cristina
mi fa piacere, anche per me
@soldato
only connect
@marotta
Attenzione con le parole, quando non si conoscono gli interlocutori.
Criticare le strategie, le posizioni, le opinioni è un conto, passare a dire il mio interlocutore è un frustrato, un masochista e uno che pontifica da sinistra fa pensare che non si abbiano argomenti migliori.
Offrire un’analisi o anche solo una posizione critica e diversa fa parte anche qui della pluralità, e perciò della democrazia, dire stringete le fila e non obiettate invita a quella mancanza di spirito critico che evidentemente ha invaso definitivamente il paese a favore della retorica e della genericità.
Vorrei precisare che questa dell’abbraccio ammiccante e ambiguo tra studenti, precari e classe docente per intero è solo un’immagine che piace tanto ai giornalisti. A Roma il rettore Frati è stato duramente contestato, a Pisa gli studenti hanno organizzato un presidio durante un senato accademico, con una fortissima contestazione del rettore Pasquali e delle sue ‘gelatinose’ prese di posizione. La componente più autocritica della classe docente sta seguendo la mobilitazione da vicino e in alcuni casi la sostiene e partecipa. Ma l’immagine di “rettori e studenti” assieme non è vera. I mobilitati stanno tentando di esercitare pressione sugli organi istituzionali degli atenei perché prendano una posizione ferma e netta. Ognuno ha chiari ruoli e responsabilità e l’ambiguità dei “potenti”, in questo momento, si spiega proprio con il fatto che chi sta protestando sul serio vuole stringerli nell’angolo.
Lo ribadisco semplicemente perché la massa di articoli che ho letto in questi giorni sui quotidiani (Repubblica, Corriere, Giornale, Manifesto, Stampa – tutti da destra a sinistra per capire quanto ciascuno, dalla propria posizione, deformasse le cose) sta dando un’immagine falsata della protesta. Il manifesto si è svegliato solo quando sono spuntati i manganelli, Repubblica gongola delle lezioni in piazza che fanno tanto gggiovane, il Giornale non ne parliamo neppure, Corriere e Stampa non sono stati in grado di partorire un articolo che illustrasse i motivi della protesta a partire da un’analisi degli articoli del decreto (sia quello sulla scuola sia quello della finanziaria sull’università).
Concludo: mi colpisce molto che coloro che immagino abbiano l’età di alcor abbiano del tutto ignorato il fatto che io e alcor abbiamo dialogato, abbiano cioè ignorato la mia voce e le mie posizioni, preferendo “dare ragione” – cosa significa dare ragione? – ad alcor, come se le cose che dicevo io e quelle che diceva lei fossero in netta opposizione. Perché?
Cristina
Sì, Alcor, hai perfettamente ragione: l’unica dotata di “argomenti” e di “spirito critico”, qui, sei tu. E chi ne dubita(va)?
Tutto sta a definirne la quantità e le dosi.
Si potrebbe iniziare, volendo, a vedere quanto ce n’è, di spirito critico, insieme alla mancanza di “retorica” e di “genericità”, nelle parole di chi, avendo magari conosciuto un imbecille, ne deduce che tutti i suoi familiari e assimilati lo siano…
Ti saluto.
fm
La cosa più bella da vedere, da dentro l’università, è la volontà vera di mobilitarsi e di discutere anche in realtà, come quelle del nord-est, poco propense al movimento e al dissenso verso il nostro mr. President.
@ marotta,
io non ti ho mai detto, né ho mai detto ad altri, che sei un frustrato, un masochista, o un imbecille.
Questa secondo me è una grande differenza tra noi.
Quanto a @Cristina, anche se non spetterebbe a me, provo a risponderle. I commenti non sono propriamente o almeno non sono sempre una palestra dialettica, ci si viene anche per schierarsi.
Io non mi sono schierata, e neppure tu, anche se entrambe abbiamo detto con forza la nostra, però, come vedi, siamo finite in due schieramenti. Tu sai, e anche io so, e proprio perchè abbiamo dialogato, che si è trattato di un dialogo, a me basta questo, non è poco di questi tempi.
@ Alcor
Non sono stato certo io a voler personalizzare a ogni costo quello che, per me, era nient’altro che un rilievo di ordine generale, finalizzato a richiamare l’attenzione su quello che ritengo l’obiettivo su cui concentrarsi in “questo” momento.
E, in ogni caso, non sarò certo io ad alimentare una polemica (?) che non ha nessuna ragione d’essere: ho troppa stima di una vecchia “virtù”, e, soprattutto, penso che coloro i quali stanno riducendo questo paese ad un ammasso scomposto di macerie fumanti non aspettino altro che “divisioni” del genere per diventare più forti, pericolosi e invasivi di quello che già sono.
In confronto a quello che abbiamo quotidianamente sotto gli occhi, la discussione su quattro potentati universitari di stampo mafioso-clientelelare, quegli stessi che una riforma seria e partecipata della scuola spazzerebbe definitivamente via, mi sembra (“mi”) un argomento da salotto o da dibattito televisivo. Non ho il “piacere” di frequentarli.
Di nuovo saluto.
fm
Complimenti, Beppe. Anche nella piccola Reggio Emilia, noi studenti superiori e universitari, ci mobilitiamo con un grande obiettivo comune.
Penso che farò leggere il tuo articolo anche ai miei compagni di classe :)
Approfitto per salutarti anche da parte di mia mamma (Paola Ghirri)…
A presto! Adele
adele! che piacere, ti adoro. baci a te e paola, e a presto, spero… beppe
giù le mani dei privati dalla scuola e dall’università!
questo slogan mi basta e avanza per stare dalla parte anche della peggiore scuola pubblica.
chiudiamo, semmai, tutte le scuole private, cattoliche e non. fanno danni soprattutto ai ragazzi e al loro sviluppo psichico e mentale: quando ne escono non sanno neppure in che mondo vivono e sono dolori.
i tagli? ma perchè attaccano la cultura, mentre le spese militari (qui siamo al settimo posto nel mondo come spesa procapite!) non scendono mai?
ma che diamine di società è mai questa?
Francesco… si’, si tratta del primo vero moto di opposizione a questo governo, che mi pare abbia spiazzato gli scagnozzi (ben impegnati adesso nel divide et impera). Che i giovani ne siano protagonisti, e’ un segnale dolce, di speranza, e che serpentelli manovrieri strumentalizzino questi giovani e’ un discorso al momento inferiore all’importanza del moto. Pero’… il ghigno allo sfascio, il disincanto chic, il pontificare da sinistra (boh, non sono di sinistra e non ne leggo molti qua dentro)… e’ che forse i problemi italiani vengono annacquati dalla dimensione allargata europea e da problemi / turbolenze piu’ preoccupanti per chi di sinistra non e’. Questo non impedisce di considerare ignobili tanti atti parlamentari e sociali di questa coalizione tutta italiana, da ormai quindici anni a questa parte.
Ma il sottofondo e’ una nenia di dissoluzione (per molti stonata), comune ai due schieramenti, comune al tessuto produttivo ed estesa al sociale, in un’Italia che ancora si difende benissimo nel mondo… guardate questo sito, prodotto sui dati pubblici 2008 della CIA (yes, them) http://www.indexmundi.com/ … guardate questa carta… http://www.indexmundi.com/g/r.aspx?t=100&v=65 : l’Italia e’ tuttora la decima potenza produttiva del pianeta, ad un tiro di schioppo dalla sesta che e’ l’UK… e questo senza considerare il giro economico in nero e quello delle mafie che, combinato, aggiungerebbe al nostro GDP un altro buon 30% effettivo.
Voglio dire: un occhio esterno alle contingenze italiane vede un paese con indubbi problemi ma tuttora privo di problemi sostanziali, a parte probabilmente il trend di invecchiamento senza un ricambio generazionale che assicuri stabilita’ all’economia e qualche novita’ politico-sociale. Un occhio interno al nostro paese vede invece un grosso problema sostanziale, ramificato e indissoluto a destra e sinistra, chiamato corruzione: meta’ del GDP prodotto e’ ingoiato da prebende, privilegi e favoritismi estesi grossomodo a tutte le fasce sociali, come ben testimonia l’esito elettorale e la generale “quiete” di movimenti eversivi. Non e’ apatia, non e’ il demonio che canta in TV a reti unificate… e’ che non si fa la fame, nessuno fa la fame e nessuno dunque protesta. In qualche modo tutti arriviamo ancora a mangiare.
“un paese con indubbi problemi, ma tuttora privo di problemi sostanziali”, disce GiusCo che lo disce la CIA ipse.
Quelli della Cia sono dati che valgono quanto un cappone a Pasqua. E’ anche stupefacente pontificare dall’esterno da comune cittadino che non ha nulla in mano.
Preferisco questa rozza e lucida analisi: “…e’ che non si fa la fame, nessuno fa la fame e nessuno dunque protesta. In qualche modo tutti arriviamo ancora a mangiare.”
Altre cifre qui per gli amanti delle classifiche:
http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=6192
Pare che il difetto principe stia nel frazionare la realtà trasformandola in tante piccole verità. Il risultato è che tutti hanno ragione e nessuno ha una visione d’insieme. Del resto pare che la volontà e la coscienza siano abilmente separate per provocare immobilsmo. Chi comprende non fa e chi fa non comprende. Certo è necessaria una riforma per ovviare agli inconvenienti delle università blindate, nepotistiche, approssimative, ma questo si può fare solo con la partecipazione dei diretti interessati e considerando la storia e la tradizione del sapere italiano, che è tutto tranne che precostituito. E’ un sapere che si costruisce con scelte individuali, l’eccellenza è qualcosa che fino ad ora è stata una libera iniziativa individuale, non un modus operandi della governance quindi uguale per tutti. Chi vuole può trovare occasione di formazione, attenzione e riflessione di grande livello. Gli altri si accodino pure dietro il barone di turno e pensino al loro futuro in termini di carriera politica e partitica.
pier capponi: “Quelli della Cia sono dati che valgono quanto un cappone a Pasqua”. Abbi pazienza, te porti quelli di un volenteroso think tank, che peraltro dice le stesse cose… ridicolo per ridicolo, mi tengo i miei. Qui il volume completo: https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/ .
@GiusCo
se la CIA afferma che il nostro è un paese “privo di problemi sostanziali” non fa che confermare quello che in molti pensano da tempo.
e cioè che la CIA non sa un cazzo, non capisce un cazzo.
si dice che un corpo celeste, tipo una stella, muoia sostanzialmente in due modi: esplode in una supernova o si spegne lentamente diventando una cosiddetta “nana rossa”.
indovinare in quale dei due modi sta finendo questa fase storica dell’Italia.
Avrei potuto indicare altri 10 link e la sostanza non sarebbe cambiata. Il comune cittadino che pontifica senza dati in mano da esterno fa la fine del cappone!
massì
O capponi, i dati li abbiamo, li possono leggere tutti. Poi ognuno interpreta come scienza e coscienza consigliano. Certo, la CIA se non si tratta di guerre, rivoluzioni o epidemie non alza il livello di problematicita’ di un paese, ma forse -pungolo del cittadino comune esterno in uno spazio letterario come questo- forse l’italico ingigantisce i propri problemi. Ecco… l’ho detto. Amen.
Passata ragazzi…….
stanno occupando il senato e facendo un po di caciara…..speriamo non finisca in nulla…..
gl studenti hanno vinto. io la vedo così.
http://beppesebaste.blogspot.com/2008/10/gli-studenti-hanno-vinto.html
Gli studenti hanno vinto, io la vedo così, Hanno portato aria nuova e buona da respirare dando linfa a un’opposizione sfiatata e rassegnata, se non cinica. Un’opposizione nuova, morale, esistenziale, e naturalmente culturale. Ci sarà un referendum? Perfetto. La legge Gelmini è passata, ora si può abrogare. Gli studenti hanno vinto.
Sì. Si potrebbe abrogare.
Se solo la gente andasse a votare ai referendum.
Faccio presente che l’ultimo referendum abrogativo in cui si raggiunse il quorum dei voti fu nel 1995. (a parte la botta di vita contro la modifica della Costituzione nel 2006.)
Io mi sono davvero sorpresa per la reazione degli studenti, pensavo si fossero sopiti e disinnescati insieme ai loro sogni. E’ un’iniezione di fiducia confortante sapere invece che hanno una coscienza non ancora contaminata, lucida, costruttiva, nutrita da menti logiche ed etiche rafforzate da passione sociale. L’atteggiamento che dovremmo avere tutti ogni qualvolta un caporale o quaraquaquà qualsiasi attenta alla nostra libertà e che invece ci trova ormai rassegnati.
Mi sento quindi di ringraziare davvero questi ragazzi, per la loro freschezza, determinazione e per ricordarci come dovremmo essere di fronte ai furti di democrazia.