Giovedì 6 novembre, alle 19, Stefano Gallerani presenterà il romanzo di Fabio Genovesi “Versilia rock city” al Tuma’s book bar di Roma (quartiere San Lorenzo, via dei Sabelli 17), presente l’autore.
Pubblichiamo l’intervista realizzata da Isabella Borghese, curatrice degli incontri, a Genovesi.

 

Dal Bricco dei Vermi a Versilia rock city. Raccontaci il tuo percorso e la genesi del titolo.
Non è stato un vero percorso, cioè, non nel senso che si parte da un punto e si arriva a un altro. Il Bricco è stata una cosa un po’ così, tenevo una rubrica su una rivista di argomento locale e ci scrivevo quello che mi passava per la testa. La rubrica era parecchio seguita –anche se non capisco perché- e ai direttori della rivista è venuta l’idea di raccoglierla in un volume. Non una mia idea, anzi non ci credevo molto. Invece è uscito a livello locale ma ha esaurito le mille copie di tiratura in un anno, col passaparola e cinque librerie che lo vendevano.
  
Ecco perché Versilia Rock City non è venuto dopo: c’era già prima, e durante, e beh certo anche dopo, cioè adesso. Questo è un romanzo, è la mia cosa insomma, e ci ho lavorato a lungo sopra.

Il titolo non è venuto fuori subito, ci sono molti personaggi ognuno con la sua storia, e i titoli in teoria potevano essere molti. Però Versilia Rock City secondo me rende l’idea di quel che ci sta dentro, la smisuratezza degli orizzonti e insieme la micragnosità dei contesti. Le illusioni turistiche e le delusioni adolescenti. E l’istinto suicida ma irresistibile di sognare e insistere ed entusiasmarsi, alla faccia di ogni dato di fatto.

A leggere entrambi i tuoi lavori narrativi risalta un’attenzione particolare alle tue radici, alla Versilia, ai suoi abitanti, ai personaggi bizzarri che la popolano, a quanto acquista e/o perde d’estate (condizione variabile dai punti di vista) e col turismo che la invade. Il tuo sguardo sembra piuttosto critico rispetto a questo. Quanto c’è di reale? E perché quest’esigenza di condividerlo?

È uno sguardo critico e innamorato insieme. Insomma, del tipo: mi incazzo perché sei così e siccome sei così ti amo. È il rapporto difficile con una terra di grande bellezza e ricchezza, che per arricchirsi sempre più si imbruttisce senza pietà. È la difficoltà del vivere in un paese dove l’accoglienza al villeggiante prevede l’immiserimento dell’abitante. Dove in gelateria i bambini del posto vengono serviti dopo quelli milanesi. Dove i ragazzi devono passare l’estate in baracche di fortuna perché i genitori hanno affittato la casa a una famiglia di Parma, una famiglia in cui il babbo e la mamma e i figli sono tutti più belli e istruiti e ricchi di te. Un paese dove si cresce vivendo come a Las Vegas in agosto, come a Bucarest da settembre in poi.

Versilia rock city. Qual è il tuo rapporto con questo libro? E rispetto a quello precedente?
Beh, per il tempo che gli ho dedicato, per la roba che c’è dentro, chiaro che questo è il mio figlio prediletto. Gli regalo le caramelle, lo porto a Gardaland, lo porterei pure a pescare ma credo che l’umidità non gli faccia bene. Certo, come ogni padre sono contento quanto chi lo frequenta mi dice che gli piace, e soprattutto mi fa ben sperare il fatto che quando lo accosto all’orecchio sento nettamente un pezzo andante di rock di quello serio che batte come si deve.
Marius dj, Renato, Roberta e Nello restano i protagonisti di Versilia Rock city. Tu come presenteresti ciascuno di loro al pubblico di lettori? E a chi ti senti più vicino?
Non saprei, anch’io li conosco poco. O troppo. No, forse poco. Mi fa contento che ascoltando i lettori ognuno ha il suo preferito, quasi come un tifo, perché alla fine le storie di ogni personaggio vanno addosso alle altre e ci si ritrova a tifare per le sorti dell’uno o dell’altro.
Marius è un ex DJ che è stato popolare negli anni novanta, donne feste pasticche, ora invece sono tre anni che non esce di casa e vive al computer e aspetta la visita di una pornostar che forse non è nemmeno vera. Il suo problema è che per lui forse niente è vero, o serio, o comunque niente merita di alzarsi e uscire di casa. Forse.
Renato, suo coetaneo, si è trasferito a Milano perché non sopporta le malelingue del suo paesino, ma si ritrova a vivere nel rimpianto e arricchendosi suo malgrado con attività assurde legate al turismo di fantasia. Soffre per amore, o per troppo orgoglio, poi la sua vita si rovescerà per un’altra botta di amore, o per altro orgoglio.
Roberta è l’avvocatessa che è ormai arrivata, ma troppo presto, e non sa nemmeno dove. Si è costruita una vita di stile e rigore e gusto, e se la giocherà tutta nell’incontro con un suo ex del liceo, che è esattamente l’opposto di lei. L’unica via possibile per non morire ibernata nel suo stesso gelo.
Questo ex è appunto Nello, il rocker quarantenne con un passato di eroina e metal, con una fedina penale ingombrante e una tendenza naturale alla demolizione, soprattutto personale. Scoprirà di avere molte persone che, nonostante tutto, gli vogliono bene. Anche troppo.
In generale, sono persone ognuna spersa per la sua strada, ma siccome tutte le strade portano al delirio, si incontreranno. Sullo sfondo mutevole e inaffidabile della riviera versiliese.
A definire Versilia rock city con due soli aggettivi non potrei che annoverare: ironico ma cinico. Tu quali useresti?
Non lo so, ironico sì, autoironico anche. Cinico forse, e anche autocinico, se ha un senso. Avvolgente, congestionato, ostinato, fiammeggiante, disperato, speranzoso, spiazzante, smodato. Ma forse sono solo aggettivi che mi piacciono in genere, per il romanzo o per una serata o un disco dei Motorhead periodo d’oro.
Fabio Genovesi: traduttore e scrittore. Qual è il tuo rapporto con la scrittura e come lo differenzi?
Per scrivere, la traduzione è una scuola fondamentale. Ti obbliga a risolvere problemi e questioni che nella scrittura pura non si presentano in modo cosciente, diretto, eppure ci sono. Solo che spesso non si notano, e non si risolvono. Questioni di voce, tempo, misura, suono, questioni di aderenza anche. Traducendo un autore, soprattutto uno che ti piace, conosci meglio lui e la sua lingua, ma anche la tua. Un po’ come avere un ospite straniero, lo porti a spasso per la tua città, gli fai da guida per le vie e intanto ti guardi intorno con occhi diversi, e impari un sacco di cose sui tuoi posti che prima non sospettavi nemmeno.
Ho letto che la prima tiratura di 800 copie di Versilia rock city è stata un gran successo ed è terminata nel giro di pochissimi giorni. Cosa ti aspetteresti dal mercato italiano in relazione al tuo Versilia rock city?
Sì, le copie pensate per l’anteprima regionale sono finite così veloci che per leggere un pezzo in una presentazione ho dovuto chiedere il libro a un amico. Ovvio che è stata una bella sensazione. E dà anche un bel po’ di carica per affrontare l’orizzonte nazionale. I segnali per adesso sono buoni. Mi fa troppo contento il parere più che positivo di critici importanti, la loro vicinanza non di circostanza ma proprio umana, voluta, e insieme l’apprezzamento dei lettori. Ce n’è di tutte le età e le classi sociali, dai maniscalchi ai notai, dai visconti ai ciabattini. In un mercato così affollato e tempestoso, ci si deve affidare soprattutto al passaparola tra lettori, e all’entusiasmo di critici e giornalisti che hanno voglia di rischiare un po’. Per ora pare che funzioni. Non pensavo. Speravo, chiaro, però non pensavo.
Esiste un autore vivente a cui vorresti fosse accostato il tuo nome?
Beh, molti. Con alcuni però non c’entro assolutamente nulla e quindi accostarci sarebbe una scemenza. Alcuni sono autori ancora assurdamente da tradurre in Italia. Uno che si trova invece, anche se non se ne sa quasi nulla dalle nostre parti, è Willy Vlautin. Anche per questioni musicali mi sento molto vicino a lui. Che racconta la provincia americana, molto diversa e molto simile per certi aspetti. Lui però è secco, aspro, puro. Io non ci riesco, intorno mi si crea sempre un alone di improbabilità.
Per la scrittura creativa senti ancora l’esigenza di attingere alle tue radici o hai in mente un lavoro differente? Stai già lavorando ad altro?
Sto già lavorando a un nuovo romanzo, certo siamo ancora in altissimo mare e butto giù idee miste su quaderni volanti, sul retro degli scontrini, sui fazzoletti di carta. Ancora mi ci vuole una spina dorsale che regga il tutto. Quindi si potrebbe anche dire che non ne so ancora nulla, a parte il fatto che non sarà ambientato in Versilia. Le radici sono importanti e devono esserci sempre sennò la pianta secca. Però poi i rami cercano di andare in giro. Credo.
Scrittura teatrale e scrittura narrativa. Quale senti più vicina al tuo stile?
La narrativa, certo. Ma quella teatrale mi dà soddisfazione e ha i suoi grandissimi lussi e vantaggi. E come la traduzione è una grande occasione di apprendimento. E lavorare con gli attori, con la messa in scena, con idee altrui…insomma, credo che nello scrivere ci siano vari ambiti e ognuno abbia le sue necessità, ma alla fine la voce è una, la tua, e non può che migliorare se la tieni allenata nelle diverse situazioni. È come mandarla in palestra ogni giorno a provare i vari attrezzi che ci sono. Poi per forza d’estate fa bella figura in costume.
Quali sono, a tuo avviso, le vie più giuste e dirette oggi per promuovere il romanzo di un autore?
Tutto cambia. Una volta c’erano gruppi forti, andavano in tour, la gente li scopriva dal nulla, girava voce che ci davano dentro, il nome cresceva. Adesso ci sono mille vie di promozione che sovrastano quella più elementare e spontanea. Così è anche per la narrativa. Ma i gruppi che spaccano vengono fuori lo stesso, a volte, perché quando senti un gruppo che spacca vuoi dirlo subito ai tuoi amici, e loro ad altri ancora. E così per la narrativa. Credo. Spero. Credo.
[Cenni biografici: Fabio Genovesi è nato a Forte dei Marmi nel 1974, una laurea in filosofia del linguaggio a Pisa, scrive per il teatro e i documentari, è coautore dei testi comici di Katia Beni e ha firmato “Vi abbraccio Tutti”, ultimo spettacolo di Elisabetta Salvatori, insieme all’attrice e a Francesco Guccini. Dall’inglese ha tradotto Lee Ranaldo, “Road Movies” (Quarup, 2007) e Hunter S. Thompson, “Hey Rube” (Fandango, in uscita ad aprile). Ha curato la versione inglese dei documentari “Per Sempre Uniti” di Rosita Bonanno e “A Quattro Mani (intervista incrociata ad Andrea Camilleri e Carlo Lucarelli)” di Matteo Raffaelli, entrambi per Minimum Fax Media.Insieme al regista Duccio Chiarini e ad Evita Ciri ha firmato la sceneggiatura del corto “Dopodomani”, trasmesso nel gennaio 2007 su La7 e vincitore del “Short Film Festival-Prize for the Cinematic Feeling” di Riga (Lituania) oltre che finalista a: “Vienna Short Film Festival”, “XXI Film Festival Européen du Film Court” di Brest, Capetown World Film Festival 2006, Premi David di Donatello-Cortometraggi 2006-2007, iv Film Festival di Bolzano 2006, Ischia Film Festival, Milano Film Festival 2006. ]
 

1 COMMENT

  1. Complimenti a Fabio Genovesi. Trovo che Versilia Rock City sia molto bello, molto curato e delicato, anche.

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Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.