A gamba tesa: nessuno tocchi la Biblioteca di Sarajevo
Neve nera
di
Azra Nuhefendic
La buona notizia: stanno per restaurarla. La cattiva: la stiamo perdendo di nuovo.
Il Consiglio municipale di Sarajevo ha deciso di iniziare il restauro della Biblioteca Nazionale e Universitaria, meglio conosciuta come la Vijećnica. Le autorità hanno stabilito che in futuro, il palazzo non ospiterà come un tempo la biblioteca, ma l’ufficio del sindaco e di altri burocrati municipali.
Vijećnica è il simbolo della distruzione di Sarajevo e della Bosnia Erzegovina. Custodiva, prima della guerra, un milione e mezzo di libri, tra i quali 155 000 esemplari rari e preziosi, 478 manoscritti. Era l’unico archivio nazionale di tutti i periodici pubblicati in, o sulla Bosnia Erzegovina.
Dopo tre giorni di rogo, della biblioteca bruciata rimanevano lo scheletro di mattoni e dieci tonnellate di cenere.
“Una grande catastrofe culturale”, cosi il Consiglio di Europa ha definito la distruzione della Biblioteca Nazionale di Sarajevo. “La pazzia visibile”, intitolava l’ articolo sulla devastazione della Vijećnica, il quotidiano inglese “The Times”.
Il 25 agosto 1992, poco dopo la mezzanotte dalle colline che circondano la città i serbi spararono, le prime bombe incendiarie su Vijećnica. La biblioteca nazionale fu bersagliata dai cannoni per tre intere giornate. L’accuratezza dei lanci non lasciava dubbi sul fatto che il bersaglio fosse proprio la Vijećnica.
Sui vigili del fuoco, coraggiosi bibliotecari e i volontari che, hanno formato una catena umana nel tentativo di salvare i libri, sparavano i cecchini o le antiaeree. La giovane bibliotecaria, Aida Buturović, perse la vita in quella occasione.
“Salvavano solo i libri degli autori musulmani”, affermò un tale Miroslav Toholj, scrittore di Sarajevo, scappato a Belgrado.
Tre mesi prima della Vijećnica, in modo identico i nazionalisti serbi avevano distrutto l’Istituto Orientale a Sarajevo. Era la più grande collezione in Europa Sud-Orientale di manoscritti e testi rari, spesso singolari documenti in arabo, persiano o ebraico, che testimoniavano 500 anni di storia della BiH. Consapevoli di quella perdita erano stati, soprattutto, gli studiosi.
Ma quando bruciò la Biblioteca Nazionale, il dolore lo sentivano tutti i cittadini, compresi quelli che non avevano mai preso un libro in prestito dalla Vijećnica.
“Quel palazzo bellissimo, il simbolo della città, bruciava. E ho pensato, che quella era proprio la fine. Presto, pensavo, sarà il nostro turno”, si ricorda Zlata Huseinćehajić, la commessa.
Lo scrittore bosniaco Goran Simić guardava dalla finestra la biblioteca in fiamme e disperato, scriveva: ”Liberati dalla canna fumaria, i personaggi girovagavano per la città, mescolandosi con i passanti e le anime dei soldati morti.
Ho visto Werther seduto sul recinto di un cimitero distrutto; ho visto Quasimondo, dondolante sul minareto di una moschea; Raskolnikov e Mersault sussurravano, per giorni, nella mia cantina; Yossarian già commerciava con il nemico; il giovane Soyer era pronto a vendere, per pochi soldi, il ponte Principov.“
L’immagine-simbolo della distruzione di Vijećnica e quella con il violoncellista Vedran Samjlović.* Ha sfidato i barbari suonando nella biblioteca distrutta. I giornalisti lo fotografavano. Smajlović ha smesso di suonare, per un attimo, per asciugare le lacrime. Finito il lavoro, i fotografi gli hanno detto: “stop, basta, abbiamo finito”.
“Credevano che facessi finta di piangere per il servizio fotografico. E io piangevo davvero, dalla disperazione”, ha spiegato Smajlović.
La Vijećnica fu costruita nel 1894. Un palazzo maestoso, stile pseudo moresco, realizzato dagli austro-ungarici che all’epoca erano i padroni della BiH.
L’edificio fu eretto ai piedi delle colline dove, nel medioevo, nacque la Sarajevo. La Vijećnica è in contrasto stridente con le case piccole, viuzze strette e curve della parte ottomana della città. Come se gli austriaci avessero voluto dire che, con quel palazzo, da quel punto in poi si sarebbe costruita una città moderna e una nuova epoca sarebbe cominciata.
Il progetto per la Vijećnica fu concepito da un certo Karl Paražik, ma al governatore austriaco a Sarajevo, Kalaj, non piacque il progetto. Incaricò allora un altro progettista, Alexsander Witek, che dicono, fu talmente preso e tormentato dall’impresa, da suicidarsi prima di che i lavori terminassero.
Fu ćiril M. Iveković, l’architetto serbo-bosniaco a finire i lavori. La Vijećnica. fu ufficialmente aperta nel 1896.
Una delle ultime foto dell’Arciduca Franz Ferdinand di Austria e di sua moglie Sophie, fu scattata proprio sulla scalinata esterna della Vijećnica, il 28 giugno del 1914. Poco dopo, furono uccisi.
La foto fa parte della storia della mia famiglia. La zia materna, Emla, fu la ragazza che, vestita in costume nazionale, in quella occasione consegnò agli ospiti i fiori. Il fatto non fu molto pubblicizzato e nessuno in famiglia se ne vantava, vista com’era andata a finire la visita reale a Sarajevo e le conseguenze che l’assassinio dell’ Arciduca Ferdinand, aveva avuto per il tutto il mondo.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale la Vijećnica fu la sede della Biblioteca Nazionale e Universitaria. Intere generazioni ci studiavano. Non solo da Sarajevo, ma ancora di più gli studenti provenienti da altre parti della Bosnia e Herzegovina e della Yugoslavia. Tanti scolari che arrivavano a Sarajevo dai paesi lontani e poveri, sostenuti dal governo Yugoslavo che ci teneva tanto alla solidarietà con i paesi non alleati, ci hanno lasciato le loro impronte.
L’aula principale dela Vijećnica era enorme, sembrava un salotto reale, o una chiesa grande, trasformata in sala di lettura. Le finestre alte, di vetro intarsiato, davano su fiume Miljacka e sul monte Trebević.
Dentro c’erano le file di panchine, le sedie e le scrivanie tutte in legno massiccio. Emanavano un odore misto di polvere, anni trascorsi e di grasso che si usava per conservare il legno.
Ci si entrava con cautela, in silenzio, con il fiato sospeso, cercando di abbassare il rumore dei propri passi. L’importanza del posto proveniva dalla bellezza e grandiosità del palazzo, e dal fatto che, per noi, un libro fosse un oggetto sacro.
Siamo stati cresciuti e educati, in famiglia, a scuola e nelle varie associazioni, con un “libro come migliore amico”. Le biblioteche erano ovunque, si faceva a gara chi avesse letto di più.
Ancora oggi ricordo il mio primo libro nuovo. In seconda elementare mi avevano comperato l’unico libro nuovo. Tutti gli altri erano di seconda mano, o ereditati dalle sorelle più grandi.Tuttora posso rievocare l’odore di stampa fresca, le pagine lisce e satinate che sfogliavo delicatamente, per non rovinarle. A lungo quel libro è rimasto l’oggetto più prezioso che avevo.
A Vijećnica c’era un’ atmosfera affascinante. Ci piaceva l’ambiente, ci dava la sensazione di far parte di un mondo importante, saggio, e bello. Eravamo convinti che lì si aprivano le porte dell’ignoto, diverso, lontano, insomma, tutto quello che poteva essere il futuro migliore. Era il luogo dove nascevano e si sviluppavano le simpatie, gli amori e le passioni non solo per la conoscenza o per il sapere, ma anche per un’altra persona.
Là, iniziavano le nostre paure del prossimo esame, si progettavano le battaglie, pianificavano le sfide, pronunciavano le promesse, a se stessi e agli altri. E’ là in un piccolo bar, gestito dalla signora Alema, festeggiavamo i successi, o ci consolavamo, quando le cose non andavano proprio come avevamo sperato.
A Vijećnica si andava addirittura solo per riscaldarsi perché tanti non avevano il riscaldamento in casa propria.
Anche per le rare persone che non avevano mai messo piede nella Vijećnica il posto era importante. Ci si andava per fare le foto espressive, o per vantarsi davanti agli amici che venivano a visitare la città. Le cartoline di Sarajevo portavano la sua immagine con l’obbligatorio “Saluti da Sarajevo”. Per tutte queste ragioni, e anche quelle intime mai pronunciate, la distruzione di Vijećnica fu vissuta come “la fine del mondo”.
“Tuta la città era ricoperta di pezzi di carta bruciata. Volavano in aria le pagine fragili di carta bruciata, cadendo giù come neve nera. Afferrandola, per un attimo fu possibile leggere un frammento di testo, che un istante dopo si trasformava davanti ai tuoi occhi in cenere”, cosi si ricorda di quei giorni dr. Kemal Bakaršić, il bibliotecario.
Non eravamo preparati per la guerra, e neanche per i vari furbacchioni che approfittavano della nostra tragedia.
La distruzione della Vijećnica, per accordi internazionali fu un crimine contro l’umanità. Già nel 1993 tanti nel mondo si sono messi a raccogliere i soldi per ristrutturarla. Pure in Italia furono ottenuti i finanziamenti.
Da Sarajevo il direttore della Vijećnia, il professor Boro Pištalo era stato evacuato in Slovenia,. Ma, ahimè, né il direttore , né nessun altro a Sarajevo vide un centesimo.
Sconfitto e deluso Pištalo si trasferì a Belgrado. Non fu benvenuto. Lo trattavano come uno che si era schierato troppo tardi dalla parte dei “patrioti”. A Sarajevo, invece, lo accusavano di aver rubato i soldi raccolti per la Vijećnica e di essere diventato uno “ćetnik” (il nazionalista serbo).
Tra gli amici a Belgrado, avevamo raccolto un po’ di vestiti per il prof. Boro Pištalo. Uno era riuscito a sistemarlo in una casa di riposo. Era venuto a trovarmi per prendere la roba. Aveva addosso un maglione consumato e troppo grande per la sua statura. Lo guardavo e mi vergognavo per quello che avevano fatto altri. ”Ma chi sei tu, una nessuna, che raccoglie le briciole per un professore universitario, il direttore di Vijećnica, fedele amico di famiglia”, pensavo sentendomi miserabile.
Ho girato la testa per non fargli vedere che stavo piangendo. “Dai, su, mala (piccola)”, mi aveva detto con finta autorità.
Lo osservavo. Piangeva pure lui, e con una manica del maglione si asciugava le lacrime. “Beviamoci qualcosa”, aveva proposto.
Quella volta non era né la prima e né l’ ultima, che con un bicchiere di vodka spalancavo il dolore, e l’impotenza davanti all’ingiustizia, alla rabbia , alla vergogna.
Oggi le autorità di Sarajevo hanno annunciato che la Commissione Europea ha fatto dono di un milione di Euro per restauro della Vijećnica. Pure la Spagna, l’Ungheria, Monte Negro, Slovenia, Austria, Albania, Cipro, Croazia e altri paesi e tante società internazionali hanno messo i soldi per restituire Vijećnica all’antico splendore.
Eppure, non mi entusiasma la notizia.
A Sarajevo e in Bosnia Erzegovina, dopo la guerra, si sono affrettati a ricostruire molte chiese e moschee in rovina; hanno edificato centinaia di nuovi posti di culto per tutte le religioni; hanno costruito grattacieli di vetro e cemento, dove una volta c’erano piccole case famigliari, e come erbaccia spuntano enormi centri commerciali.
In tutti questi, anni dopo la guerra, i politici non consideravano la Vijećnica come una priorità. E adesso, la vorrebbero solo per sé.
Nota di effeffe
In quell’occasione Vedran Samjlović stava eseguendo l’Adagio di Albinoni. Cercando il file musicale mi sono imbattuto nel sito curato, splendidamente, da Angela Molteni, dedicato a Pasolini. Oltre alla musica, che è possibile ascoltare, vi consiglio di leggere questo.
Nel film La rabbia, Pasolini utilizza come leitmotiv proprio l’Adagio di Albinoni. Solenne e maestoso, ma anche percorso da un sottile velo di malinconica riflessività, il brano indica quale fosse l’attenzione di Pier Paolo Pasolini per la scelta degli elementi musicali e, più in generale, sonori, mai considerati secondari nei suoi film (si pensi, per esempio, all’uso di motivi popolari o all’utilizzo dei dialetti in Uccellacci e uccellini o in Decameron). A sottolineare queste scelte, nella Rabbia la “voce narrante in prosa” è di Renato Guttuso, e gli avvenimenti cui fa cenno nel film sono in parte “descritti” anche da suoi testi poetici letti da Giorgio Bassani.
Gente che brucia libri e brucia le persone. Che dire? Nulla. E’ già stato detto tutto.
Grazie di questi articoli molto belli.
“Siamo stati cresciuti e educati, in famiglia, a scuola e nelle varie associazioni, con un “libro come migliore amico”. Le biblioteche erano ovunque, si faceva a gara chi avesse letto di più. ”
L’intolleranza (che spesso nemmeno li legge i libri) ne fa un bersaglio, come già sapessero che non brucia solo carta.
Della guerra in Jugoslavia ricordo i tentativi dall’Italia di dare piccoli aiuti con un gruppo di amiche.
Mai mi ero sentita tanto impotente, devo dire.
Ma poi cosa ne sappiamo se quel che si fa non ricade lontano da noi e serve col tempo. Non lo so.
Postato di notte. Immagino questo viaggio nella notte per ricordare a tutti come vivere in pace è un lusso. Quando si distrugge una biblioteca, si perde la memoria di un popolo, si perde la lingua della poesia, si perde la lingua del sogno, si perde la lingua della speranza.
Neve nera nell’incontro dell’ orrizzonte bianco e della traccia bruciata del fuoco. Il fuoco non brucia tutto, resta il lembo che danza nell’aria e si perde nella musica di un meraviglioso violoncellista ( credo che su NI c’è stato un articolo su lui).
E’ la danza della parola contro l’oblio.
Azra compie l’arte contro l’oblio: racconta la sua storia nella storia del suo popolo.
Grazie a Azra e a effeffe per mi avere commossa questa mattina.
davvero strappa le lacrime questa sofferta e viva testimonianza; del resto altri motivi di estrema rabbia ci arrivano da altre parti, si pensi ai roghi nazisti di libri e quadri, entartete Kunst (arte degenerata), a loro dire. Non c’è limite alla pazzia degli uomini. Grazie in ogni modo di questo.
A me viene in mente il Savonarola che a Firenze fece bruciare in Piazza della Signoria tanti dipinti di donnine nude. Volendo consegnare alla storia solo madonne.
Ricordo bene la foto di Vedran Samjlović che con il suo violoncello piangeva sulle rovine di Vijećnica. E’ vero: i libri, e la loro distruzione, sono stati spesso simbolo dei peggiori genocidi (non solo di esseri umani) perpetrati in tutte le epoche. Grazie per lo splendido articolo, che mi commuove ma mi fa anche rabbia, una rabbia immensa poiché non c’è modo di intervenire su eventi di una tale tragicità. E grazie anche a effeffe per la citazione, e il positivo apprezzamento, del mio sito dedicato a Pier Paolo Pasolini.