L’ordine, i nomi. Il delirio.
di Marco Rovelli
Dimenticare, l’ardore più bello (André Breton-Philippe Soupault)
Costruivo un universo parallelo attraverso un’ingenua cabala (ma a quel tempo non avevo alcuna idea di un cosa chiamata cabala). Ingenua davvero, perché generata all’interno. Da una necessità di tenere a bada il caos, la sragione che mi agitava, con una delirante costruzione cosmologica.
Mi agitava da sempre, il caos. Fin da che ho memoria. Mi accadevano strani malesseri, da bambino. Ero seduto alla scrivania, e scrivevo, annerendo fogli di piccole formiche in fitta schiera, quando all’improvviso quelle formiche risalivano dalla penna e mi entravano in corpo, e il corpo si squagliava. Restavo paralizzato, immobile a sentire il corpo elettrico che friggeva.
A volte sprofondavo in un’immagine, e mi perdevo, mi annichilivo nella visione dell’infinità degli spazi siderali, i pianeti immersi in un buio gelido e orribile, e la mente si perdeva in quel labirinto cercando l’impossibile uscita. Mi agguantava un tremendo cerchio alla testa, come incastrato in una macchina di tortura. La sentivo risucchiata in una spirale senza fine – nella disperata matrjoska degli infiniti. Finché trovavo, non so come, ma in ogni caso per un atto di decisione di fronte alla troppa sofferenza, la forza di scuoterla.
I nomi mi facevano da scudo a quest’angoscia smisurata. Li accumulavo per riempire ogni spazio, per orrore del vuoto. Saturazione contro vuoto, cosmo contro caos.
E ancora ho un rispetto sacro per i nomi di persona. Per questo fatico a scriverli – ad accostare queste finestre senza fuori alla cataratta delle altre parole, che invece non hanno un senso perfetto e dunque si affannano a cercarlo.
Provo una strana nostalgia per quei tempi, che io nn ho vissuto, di quando l’immaginazione si scioglieva in inchiostro sulla carta, dando dimensione alla fantasia ai sentimenti, alla vita…Ora ci sono gli spaces, i blog, non piu’ i diari…e si perde la magia di rileggere quello che si aveva scritto anni prima e di scorrere con le dita le pagine ruvide solcate dalla penna…
Bellissimo pezzo, il Rovelli che preferisco. Sui nomi ci sarebbero tante cose da dire, è un’ossessione che appartiene anche a me, tant’è che ho scritto un pezzo di recente che s’intitolava proprio così (“salva con nome”). Al volo, mi limito a trascrivere il finale di uno splendido racconto di DFW (“è tutto verde”), che suona quasi come un’invocazione al lettore per Mayfly, appunto “che può volar via”, perché solo nominandola si può cercare di afferrarla e darle senso :”Dite il suo nome”.
nominare le cose e dare una misura al caos. la magia legata ai nomi che danno vita il verbo che si fa carne. il pensiero magico è molto simile alle ossessioni-compulsioni che non sono solo patologie ma bacini di creatività. razionalizzare e schematizzare. e poi t’accorgi della fragilità delle parole. non a caso la verbalizzazione dei propri fantasmi è il primo passo per liberarsene non solo nella psiconalisi non solo nell’analogico ma anche qui, nell’interassenza dei nostri corpi magnetici, i nostri s-oggetti. bimodale è un s-oggetto ma il mio corpo temporale si chiama gianluca.
mamma mia marco, hai riaperto nel mio corpo temporale, anzi nel corpo temporale di gianluca, la vita di noi personaggi elettrici. voi la chiamate noosfera, noi inconscio elettrico. e anche il corpo di parole che hai scritto non sono più del tuo corpo temporale e nemmeno del caos.
caosmos. dilatanti restrizioni di occhi.
ah come sto godendo ora.
che pace. tranquillità stupefatta e misera. paura del vuoto. silenzio pieno. bello marco piacemi questo post.
sergio, io mi sono fissato con la barra d’avanzamento… dai dai dai finisci, mi sono posto una sfida: scrivere in quel breve tempo aleatorio. perché potrebbe smettere di avanzare oppure fulmineamente diin completarsi e chiudi. il nome allora è legato al cronotopo, al tempospazio?
ma internet che forma ha? è tipo a guscio di noce o piatto. è l’elettricità chimica o quella delle macchine? e come si può nominare una cosa la cui sostanza è il digitale ma che un crash potrebbe rendere assolutamente accidentale.
vai… si fa la neoscolatica postdigitale.
l’adolescenza grafomane che nel gioco dei nomi faceva scorrere l’inquietudine come un fiume in piena…
grazie Marco, ho un vortice di considerazioni dopo aver letto il tuo pezzo. Sono troppe, me le tengo per me.
fem
bellissimo post! La memoria che rispolvera le emozioni dell’adolescenza, le incontaminate attrazioni per l’arcano, la mera efficacia simbolica, il significante che incanta.
Poi passano gli anni e ci dimentichiamo di questa magia, e la ricerchiamo nell’opera sapiente… quando era già tutto lì, in un nome.
i nomi propri sono una grande cosa, i soli componenti davvero non deìttici del linguaggio, così alcuni affermano: essi non dipendono dal contesto, sono designatori assoluti. In varie popolazioni cosiddette primitive il nome di una persona è sacro e segreto, pochissimi lo conoscono. E via dicendo.
Bellissimo pezzo, Marco, cosmo contro caos.
Marchino sei sempre stato un po’ fuori e un po’ avanti…
a Marco e a tutti
sul delirio tassonomico (applicato allo sport), raccomando un piccolo capolavoro della narrativa statunitense, “The Universal Baseball Association, Inc., J. Henry Waugh, Prop.” di Robert Coover, tradotto in Italia come “Il gioco di Henry”.
è impressionante, ho scritto una cosa simile anch’io, pochi giorni fa, sul ricordare, il trattenere. Me ne stavo quasi dimenticando.
http://edt.tumblr.com/post/65767776/tra-i-miei-molti-vizi-o-tra-le-mie-poche-virt
di passaggio…. se non sbaglio c’è un libro sutpendo di michele mari, tu sanguinosa infanzia, che raccoglie un catalogo di oggetti, emozioni e sensazioni con una scrittura ricca e rara per i nostri tempi
“tu sanguinosa infanzia”, michele mari. grandioso
ops, scusate la ridondanza
Grazie a tutti, per queste condivisioni.
grazie a te marco per aver condiviso con noi, questa qui la parte che ho preferito, da vero bambino prodigio, troppo sfizioso ;-)))
“Mi agitava da sempre, il caos. Fin da che ho memoria. Mi accadevano strani malesseri, da bambino. Ero seduto alla scrivania, e scrivevo, annerendo fogli di piccole formiche in fitta schiera, quando all’improvviso quelle formiche risalivano dalla penna e mi entravano in corpo, e il corpo si squagliava. Restavo paralizzato, immobile a sentire il corpo elettrico che friggeva.”
un abbraccio
Macché bambino prodigio, ero un piccolo fuori di testa…;-)
come mi ci ritrovo in queste righe..
tutto il caos dell’adolescenza che, per quanto ora la maledica, la rimpiangerò a breve..
solo per questo motivo, almeno un po’, me la godo..
Grande Marco, come sempre..
Caro Marco, a proposito di nomi mi viene in mente un disco di uno dei miei eroi, Ewan McColl, che si chiama Naming of Names, Nominando, oppure Facendo i nomi, un bel disco di “topical songs” che chiama le cose e le persone col loro nome. E poi un verso che ho scritto io quando ero giovane e ingenuo, “demmo un nome all’ignoto”. O almeno ci abbiamo provato…Ciao