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Fuori ( gioco )

Racconto per i miei compagni di squadra della Nazionale Scrittori Osvaldo Soriano Football Club
tenu10m

di
Francesco Forlani

Quella che valeva di più era la figurina di Dino Zoff. Per averla bisognava sborsare almeno quaranta giocatori, nessun doppione e soprattutto sperare che in banda non ci fosse qualcuno disposto a giocare al rilancio e a batterti sul tempo.
Un po’ come quando cerchi di affittare un appartamento a Valbeneunamessa, vero e proprio periplo e psicanalisi dello spazio. Il proprietario infatti ha convocato quarantacinque persone per quella stessa ora. Li passa uno ad uno in rivista senza tralasciare alcun dettaglio. La postura, il modo in cui sono vestiti, la nazionalità ma soprattutto le buste paga. Poco importa quanto ti sembrino di sinistra, loro i proprietari, un bancario o meglio ancora un commercialista vale più di te. E hai come l’impressione di trovarti davanti a tuo padre nell’atto di soffocare miserabilmente dietro un ”
ecco un altro che non ha saputo che farsene della vita

Eppure c’era un altro modo per procurasela la figurina ed era al gioco. Quattro le discipline: il cuppulone, la calamita, la pizzica e il pée.
Dietro una tale suddivisione si nascondeva una visione del mondo che mi sarebbe servita per sempre come punto di riferimento nel difficile mondo degli adulti. Come lo svolgimento di quattro modalità distinte di destino in cui il genere umano si sarebbe trovato incasellato, una volta raggiunta l’età della ragione.

Vero è che si dovrebbe parlare di sotto categorie. La prima divisione toccava ovviamente alla differenza di classe, in parole povere tra i ricchi e noi. Vale la pena aggiungere infatti che un album Panini perfettamente riempito da uno dei ragazzi di parco Gabriella non aveva lo stesso impatto dello stesso album di Tonino De Lucia. Il nome derivava probabilmente dal fatto che si dovessero mettere le mani a forma di cupola e consisteva nel colpire con tutte le forze accanto al mazzo di figurine i cui occhi restavano fissi e rivolti al cielo. Le si piazzavano per terra, sull’asfalto di strade che cambiavano il volto della città e le pietruzze nere ti si ficcavano nella mano arrossata o in qualche caso sanguinante.
Ho visto con i miei occhi Alfonso Valentino riuscire a sollevarne un mazzo di sessanta con la sola forza delle dita. Lo schianto sugli scalini del portone aveva sottratto la portiera Carmela dal sonno pomeridiano spingendola ad inseguirci fino all’angolo di strada; l’unico che potesse reggere il confronto con lui era Giampo Brancaccio.

La calamita invece era un gioco assai meno pericoloso. Come lo suggerisce il nome, bisognava rovesciare il pacchetto delle figurine grazie alla rapidità con cui la mano, a ventosa, avrebbe sollevato i giocatori. Se nel cuppulone non si poteva barare, nella calamita c’era, me lo ricordo bene, Raffaele Madonna, solo per fare un nome, che di nascosto si umettava le dita per riuscire nell’impresa.
Un volta capitò che le figurine gli rimasero incollate alla mano suscitando l’ilarità dei presenti e l’incazzatura del contendente.
La pizzica – in realtà aveva un altro nome ma proprio non me lo ricordo – si riduceva ad una tecnica puramente meccanica. Bisognava mettere il pacchetto sul bordo del tavolo, o di uno scalino, in modo che un buon quarto restasse sospesa in aria. Con il pollice, trattenuto dall’indice e poi lasciato scattare come una molla, si colpiva il bordo del pacchetto in modo da far girare i giocatori.

Perché lo scopo del gioco era quello di rovesciare le figurine . Se il colpo del giocatore andava a segno, e invece delle facce dei “calciatori”, e delle maglie della squadra appariva il dorso della figurina, giallastro col numero corrispondente al posto nell’album, quelle erano sue. Made in Panini, le edizioni.
Ecco che allora, se il cuppulone era la prova più dura – nessuna concessione era lasciata ai giocatori, e quale che fosse la superficie in marmo o di pietra, su cui si metteva il pacchetto – il pée era il più vigliacco, buono solo per i figli di papà, i chiattilli (i fichetti).

In effetti il pacchetto era messo alla stesso modo del cuppulone con la sola variante che invece di mandare al diavolo tutte le articolazioni che fanno di una mano, una mano e l’uomo un animale intelligente, ci si limitava , in questo caso, ad appoggiare le labbra sul pacchetto per poi soffiare con un’aria ebete, lasciandosi scappare “Pée” , da cui il nome.
Colui o coloro che appartenevano alla prima categoria, per quella del cuppulone, erano dei ragazzi che in svariate occasioni avevano dato prova del proprio coraggio. Erano saltati dai muretti più alti cadendo sempre in piedi , baciato per primi una ragazza , rubato cioccolata e palle da tennis nei grandi magazzini, senza mai rompersi un a gamba, farsi beccare dai controllori della Standa o dell’Upim e soprattutto farsi respingere dalle ragazze.

Antonio de Renzis mi ricordo era uno che poteva farsi un isolato intero su una suola ruota di bicicletta, e Marco Decimo, soprannominato Sandokan, era scappato a una volante che lo aveva sorpreso nel lancio di cachi (‘o kakìs) dall’albero più alto di via G.M.Bosco sulle macchine più belle . Poi c’era Muller, Giggino, e tanti che non riesco nemmeno a immaginare cosa siano diventati. L’unica cosa che so per certa è che gli anni che seguirono furono assai duri.
A un grado leggermente più basso c’erano i “calamitosi”. Mi fa allora sorridere il pensiero e a come l’appartenenza alla tribù della “calamita” si traducesse spesso con fallimenti sentimentali, l’interdizione d’ingresso in qualsiasi negozio e una collezione di fratture degna del più sfigato sciatore.
Eppure erano simpatici, faceva tenerezza la loro aria di eterni perdenti, loosers con sempre una nuova sfida piantata in una tasca scucita dei pantaloni
I praticanti della Pizzica, invece, erano del genere grandi calcolatori. Sempre prudenti, al momento giusto nel posto giusto. Mai beccati, ma se è per questo nemmeno esposti mai, al rischio di una grande impresa fuorilegge o a un qualsiasi gioco che andasse oltre le righe. Sempre apprezzati, raccomandati, portati, da capi e padroni su un palmo di mano e da ragazze di buona famiglia, pronte a offrire loro la verginità riconquistata di un futuro radioso.

Di quelli che facevano parte dei pée, e già, la grande famiglia, la più grande tra noi ragazzini, una famiglia silenziosa, maggioritaria, pronta a gridare allo scandalo, a farsi moralisti nella sfortuna degli altri, pèe, meglio tacere.
Talvolta, per sfortuna spesso, li senti gridare nel mezzo di grandi cortei, il nome del nuovo padrone, e lamentarsi, sempre, di questa assurda idea di democrazia, contro zingari e omosessuali.

E io? Chi ero io? E con chi? Con gli uni, i cuppuloni, eroi per un giorno solo, forse tutta un’infanzia, dalle mani sporche, o i sinistrati dagli affetti, i savi o…tutti quegli altri
Bah, Io non stavo né con gli uni né con gli altri. Io ero solo una ragazza.

27 COMMENTS

  1. Grazie effeffe per molte ragioni:
    La prima ho la versione in francese, che conosco ( non racconto bugia)
    quasi da memoria, perché quando mi sento un po’ giù di corda, entrare nell’universo di effeffe, mi fa sole. Ha una manera propia a lui di raccontare le beghe con sorriso, fantasia.

    La seconda è la parte fatta a questa calamita appicicosa.
    Dall’infanzia, sai di quale parte sei.
    ” L’appartenanza alla tribù della calamita si traducce spesso con fallimenti sentimentali, l’interdizione d’ingresso in qualsiasi negozio e una collezione di fratture degna del più sfigato sciatore.”
    E credo che mi fa propio piacere questo:
    “Eppure erano simpatici, faceva tenerezza la loro aria di eterni perdenti con una nuova sfida piantata in una tasca scucita dei pantaloni.”

    La terza: mi piace il finale: come omaggio alla ragazza.
    Io ero solo (ironico) una ragazza.

    E in fine… Il mio primo amore amava il football ( universo sconosciuto per me). Era una passione. M rammento, quando ero bambina, il territorio vietato per le ragazze, con il gioco del pallone. vedevo di lontano, e non so perché oggi nella memoria si stende un sole lontano sopra il terreno e l’eco dei gridi di gioia, il pallone che sorvola.

  2. Errata corrige:
    la figurina più rara era il secondo portiere della Juventus:
    Giancarlo Alessandrelli.

    Ciao FF

  3. …e Pizzaballe e Dell’Omodarme? Baveni e Seminario dove li mettete? Qanti Gallardo e Nené (figurine inflazionatissime) ci volevano per un “Martiradonna” (terzino dal cognome che era tutto un programma, pensa un po’ tu Veroni!)?…..
    Toh, vi faccio omaggio della formazione tipo del Bologna FC 1963-1964 Campione d’Italia, rigorosamente a memoria: Negri Furlanis Pavinato- Tumburus Janich Fogli-Perani Bulgarelli Nielsen Haller Pascutti, e della GRANDE INTER di HH1 (Helenio Herrera). Sarti Burgnich Facchetti- Bedin Guarneri Picchi- Jair Mazzola Pejrò Suarez Corso, e del Cagliari 1967-1968 : Albertosi MARTIRADONNA Tiddìa-Cera Niccolai Vescovi- Domengini Nenè Gallardo Greatti-Riva.
    Le nostre sfide erano all’ultimo….undici recitato a memoria, cantilene come i grani di un rosario snocciolate nelle ore interminabili della ricreazione in collegio, luoghi di scambi e di mercanteggiamenti, di agguati e regolamenti di conti a botta di figurine guadagnate o estorte con lo schiaffo o il “cuppulone” (far rovesciare mazzette di 30-40 e 100 figurine con l’aria smossa dal violento schiaffo della mano a coppa sul pavimento, schiaffo dato accanto alle mazzette di figurine).
    VI SFIDO ANCORA ORA…VI BRUCIO TUTTI!

  4. …e comunque il pezzo di effeffe è proprio bello…peccato che sia finito troppo presto! Ah, quanta “affabulazione” in quelle sfide…e che simboli (queste le cose più belle del pezzo di ff). M’è capitato la settimana scorsa, ad “Amico Libro” un progetto organizzato dalle maestre della scuola elementare , con noi della Casa delle Arti,: loro gli hanno letto I RAGAZZI DELLA VIA PAL e noi gli abbiamo fatto vedere un film tratto dal libro. E poi, nell’aula consiliare, le “riflessioni” teleguidate dalle maestre, con i “bambini” che cercavano di sfuggire al …cilicio pedagogico. Allora non gliel’ho fatta più e…”Ragazzi, quanti di voi vorrebbero formare una banda?” “Io…io…io!”. E’ scoppiato un finimondo di entusiasmo (le più spontanee e scalmanate erano le bambine)… basta con le ingessature dei ruoli… e giù con i ricordi…le bande delle “figurine” a banda ‘ e Alisandro ‘e ‘coppa ‘ o pont’ e poi le “petriate” dei “suciàri” (abitanti di Succivo) contro gli urtulàni” e i “santarpiari” (abitanti di orta e sant’arpino)…. l’aula s’è infiammata di colpo!…L’interesse a mille…tutti volevano parlare..tutti a dire la loro…” , con le maestre finalmente liberate dal “cilicio” e pure loro a cavalcare un’onda gioiosa di vita e intensità, pronte a mettersi in gioco e a “raccontare” della propria infanzia, ad essere maestre bamine coi loro allievi bambini. Il tempo è volato via e mi sono divertito come non facevo da anni!
    (eh, il mio amico Orlando me lo diceva che avrei dovuto fare il maestro d’asilo assieme a lui!).

  5. Già… ero solo una ragazza. Ammessa solo al gioco delle figurine contro il muro. Poca roba per gli allenamenti che facevo a casa, in preparazione del poter essere ammessa a quel mondo. Metà dei soldi, pochi in assoluto, andavano in libri il resto in figurine dei calciatori. E poi sapevo tutte le formazioni. Grandi preparazioni, grande attese, ma perennemente fuori (gioco). E io che non ne capivo il motivo. Solo una questione di genere… la prima che ho incontrato sulla mia strada. E’ durata un anno scolastico. Mi sono stancata e ho desistito. Mi sono rifatta anni dopo, ma con le biglie con sopra le foto dei ciclisti girando per le isole del mar Egeo, in cerca di spiagge dove poter costruire piste con parabole altissime e buche pericolosissime.

  6. Maria Luisa ho molto amato il tuo commento,
    perché si dice l’educazione delle ragazze,
    (per me) infanzia 70-8O.
    Invece di te, ero una bambina che non credeva potere giocare al football, guardavo dal mio giardino i ragazzi con il pallone come angeli del polvere e del cielo.
    E vedevo il mio corpo goffo, non di sportiva, troppo lento. Ho sempre provato ammirazione per le ragazze sportive affrontando la corsa, la velocità, il respiro.
    Dopo il sangue venuto la prima volta, delusa, ho sentito la distanza tra il mondo e il mio corpo, il peso della natura, la libertà morta.
    Oggi non sono sportiva, e mi sembra che il corpo non si è liberato del suo peso.
    Amo pensare che faccio parte dell’ultima genrazione di ragazze vietate del territorio di football.

  7. Véronique, è vero corpo-genere e relazione prima con sè che con gli altri. Il corpo che si sente in sè prima di diventare movimento. Allora probabilmente di fronte a questa sensazione, anche la mia reazione è stata di delusione per la perdita di infinite possibilità. Come dici bene tu, “la libertà morta”. Oggi quella sensazione si è tramutata in altro: il peso del mio corpo diventa un’ancora alla realtà, il sangue è vita, e il movimento, che sia goffo o armonioso, sostanzia quel che sono interiormente in quel momento. Di fatto anche io non giocavo a football. Tentavo solo di entrare nel mondo dei maschi che giocavano a figurine. Era per me uno spazio ambito. Non avrei mai avuto la forza di affrontare un serioso campetto da calcio pieno di bambini. Al massimo mi facevano stare in porta.

  8. Grazie per le tue parole che dicono meglio quello che provo.
    per consolarmi, mi dico che mai gli uomino non conosceranno il delizio della conversazione in un gruppo di ragazze, l’analisi dei sentimenti, la libertà del linguaggio senza loro, la straordinaria potenza della parola, che vale il gioco in un campetto di calcio.

  9. se pur da mille millanta luoghi e tempi distanti, parmi che la ‘pizzica’ la dicessimo ‘pizzico’, ma il sesso in esso testo non ossesso essendo, non vedo la differenza tra l’uno e l’altra, né tra l’altro e l’una, se non di luna lunatica quante altre mai

    ps ps (un bisbidiglio solo a effeffe): allez House perché?

  10. Veronì, MariaLuisa/effeffe t’ha fatt’! come diciamo qui, dalle nostre parti. Il che, ti dà la plastica evidenza che non è poi così vero che “mai gli uomini conosceranno la delizia della conversazione in un gruppo di ragazze, l’analisi dei sentimenti, la libertà del linguaggio senza di loro, la straordinaria potenza della parola, che vale il gioco in un campetto di calcio”.
    Quello che dici – condivisibile – comunque dimostra il perdurare del macigno ancestrale del pregiudizio di genere- per cui “certe cose” si dicono solo tra donne ( o tra uomini). Anch’io da piccolo, a pensarci bene, m’incantavo a vedere i giochi che facevano le “femmine” tra loro…che so…la “cucinella”, dove preparavano picccoli piatti di cibarie e dolcetti, e poi pantomimavano le “visite” domenicali dei parenti e si scambiavano i piatti; io mi buttavo e dicevo “a me! a me!” “No, tu no! Tu sei “maschio” non puoi giocare con noi!” Oppure un altro gioco, meraviglioso per me… quello di porre bellissime ciliegie dentro un enorme catino d’acqua e le bambine, a turno, v’immergevano la testa per pescarne con la bocca il massimo numero; anche lì, cercavo di buttarmi, e sempre quella risposta che mi faceva rimanere lì per lì interdetto per la palese ingiustizia, poi però , essendo indubitabilmente “maschio”, lo accettavo e mi riconfermavo nel pregiudizio di genere. E che dire delle straordinarie performances che facevano Maria e Ida (i maschietti a Ida la bollavano come “masculona”) con il gioico della “palla a muro”… delle maradonine acrobatiche, non la perdevano mai: A me , al massimo, era concesso di stare lì a guardare e di fare da…raccattapalla quando qualcuna di loro se la faceva cadere dalle mani.
    Maria e Ida sono sposate, con figli e felicemente maestre di scuola. Ma avevano rimosso quasi tutto..ce n’è voluto a farle tirare fuori tutto, davanti ai loro alunni in una seduta di “amico libro” che strava prendendo una “pallosissima” china…. a Ida le si sono accesi gli occhi di orgoglio e felicità e di intimo compiacimento.. è bastato uno sguardo d’intesa tra noi, e quel “masculona”, dopo 45 anni aveva il suo giusto valore e significato di “persona” intrepida, abile, coraggiosissima… (Cavolo, come picchiava, quando non ne poteva più di essere sfottuta da noi “maschietti”!)

  11. Salvatore, è un bellissimo ricordo d’infanzia.
    Il gioco delle ciliege ha una grazia limpida.
    Mi piace molto. Mi rammento il gioco della bellezza ( che ho revisitato nel film l’amore molesto, grande, magnifico film che tu mi hai fatto scoprire):
    Le ciliege sono orecchini vivi.

    Maria Louise, effeffe?
    Per la stessa esperienza di campetto da calcio?
    E penso lo sguardo tenero sul mondo femminile.

  12. A un momento nel film l’amore molesto la protagonista offre ciliege come orecchini alla vicina anziana con gesti di una bellezza incantata.

  13. io alle elementari a calcio ci giocavo e così le mie compagne (porta, attacco, centrocampo, difesa, a seconda della partita), ma il nostro insegnante (unico) più che insegnante era allenatore e allora tutto era formazione, partita, tattica roba così. Mai fui considerata masculona per questo. All’epoca ero fidanzata con uno scricciolo così prematuro da esser noto come “7 etti” e che da grande si fece pugile, di buon livello. Tantissimi di noi, tra l’altro, femmine e maschi, son divenuti “atleti”, nelle più svariate discipline:).
    L’anno scorso, per la giornata di chiusura, la scuola di mio figlio ha organizzato il torneo di calcio delle nazioni. Campo di calcio suddiviso in tre, 4 gironi, scuola divisa in squadre, politicamente:) a tavolino dagli insegnanti stessi, tutte rigorosamente miste (per sesso razza ed età, dalla prima alla quinta elementare hanno giocato TUTTI, senza riserve e/o rimpiazzi, anche il bambino senza 1 braccio, unico disabile della scuola), e così nigeria, marocco, croazia, egitto, svezia, germania, italia, camerun etc, con tanto di maglia bandiera autodipinta si sono sfidate per tutto il giorno. C’erano gli esaltatelli militanti con sospensori, parastinchi guantoni e tacch….etti:), ma anche precocissime vamp in fuseaux e piattissime superga coi lustrini. Alcune di loro giocavano di brutto. Altre se ne sbattevano altamente provocavano e sbeffeggiavano i “professionisti”, sgambettandoli in area per poi sbattere “ingenuamente” i ciglioni, tutte però erano rigorosamente in campo. Unico incidente: una nigeriana bianca di quarta, che complice il caldo tremendo, la disidratazione, e il fiotto …..della prima mestruazione, è irrimediabilmente svenuta nel bel mezzo di un’azione su calcio d’angolo.
    La giornata si è chiusa con la mega sfida tra insegnanti e genitori seguita da grigliata. Abbiamo vinto noi genitori ai rigori.
    Pareggio al “novantesimo” con tiro da fuori di una mamma di professione traduttrice pittrice folletto d’attacco (che ha steso con una molto poco fair gomitata a centrocampo l’ultimo difensore insegnante, tal dei tali walker montessoriana ) e ai provvidi interventi di una portiera di professione infermiera (la stessa che ha soccorso la nigeriana bianca primomestruata) sovrappeso y volante, quanto meno tra i paletti.
    Non ricordo il ruolo di maman bovary:)

  14. Helena in campo!!!!
    effeffe
    ps
    gina il tuo racconto lo posso girare insieme ad altri Foot Lost per il sito della nazionale?

  15. ..e io le assegnerei anche il premio “Osvaldo Soriano- reinvanta la mitica partita di calcio del 1942 Tedeschi contro nativi tra le lande desolate di Ushuaia”. Vado a memoria, Soriano l’ho letto negli anni ottanta/inizio novanta e lo’ho amato, così come lo amo ancora e mi piacerebbe avere più tempo per rileggerlo. Ma resterà poi quel “bellissimo incanto” dell’innamoramento?. Ad ogni modo il racconto di Gina è bellissimo, e divertente.
    Una sola precisazione: i ricordi d’infanzia citati da me risalgono agli anni 1958-1961. E v’assicuro che allora le “differenze” di genere si sentivano di più ed erano più marcate. Segnalavo solo il “furto d’innocenza e libertà” che il “pregiudizio di genere” di allora operava nei nostri cuori.
    Tutto qui.

  16. ff
    certo, ma edita almeno il finale che dopo il pareggio di rapina mi si è mangiato un “vittoria grazie” (ai provvidi interventi eccetera)
    salvatore d’angelo
    ben gentile:) (ma nulla inventai)

  17. Lei si sbaglia cara gina, lei ha “reinventato” una realtà vissuta (della quale non ho motivo di dubitare) e la sua “reinvenzione” mi ha fatto ricordare quel bellissimo racconto di Osvaldo Soriano, ed a quello mi riferivo. Se non lo ha già letto, glielo consiglio. Ma un qualsiasi Soriano va bene, che so Triste solitario y final, La resa del Leone, ad esempio o i racconti di Los anos (la “n” con la tilde sopra!) Locos eccetera. Ma se avesse la ventura di leggerlo tutto, credo che non se ne pentirebbe! Grande Osvaldo!
    Rinnovo i complimenti .

  18. @gina e ai lettori del post

    ho controllato i titoli di Soriano, e dunque faccio ammenda. Il racconto a cui alludevo si trova in “Cuentos de los Anos Felices ( e non locos, come avevo scritto) e si tratta di “El penàl màs largo del mundo” (Il rigore più lungo del mondo), in Italia apparso in “Artisti, pazzi e criminali”, Manfestolibri. Invecchio e la memoria mi tradisce. Comunque, viva Osvaldo Soriano!

  19. grazie!
    (ma non so se ce la fo’ ognuno infatti ha i suoi vieninmente, peresempio e nel frattempo in rete ho trovato “finale con i rossi ad ushuaia”, ushuaia mi ha fatto venire in mente el viaje di solanas che partiva da una scuola, el viaje di solanas mi ha fatto venire in mente la mia amica brasiliana che le ho regalato il film per un compleanno, la mia amica brasiliana mi ha fatto venire in mente le partite di
    peteca (indiaca), il volley con la piuma, il boa di struzzo, un gioco dove il gioco è gioco y faccio il quarto uomo y l’arbitro y l’addetto alla moviola fisica (detta anche movida di peteca, éla rotea infatti, la sua traiettoria di piume è oscura falsa, sexy deturnante creativa, parziale di per se, amica dei perdenti, dei bassi, dei bassisti, delle bambine magre coi piedi indentro, éla volando sposta i pali abbassa le reti e nega l’evidencia) nonché il bugiardo delle linee ma anche il promoter di rixe y rotolamenti y regolamenti di conti con morsi al polpaccio e poi la partita, la partita mi ha fatto venire in mente anche una sfida a monopoli ma sulle alpi, e quella notte in cui sconfissi l’economista di praga comprando solo stazioni (ah, la privatizzazione, sic transit) e infatti sto leggendo miracolo a colazione (è giusto osservare stranieri che recitano nel più strano dei teatri?) e caosmosi anche (tutto dovrebbe essere messo nella condizione di essere parlato), e in più ho reinventato soriano che manco sapevo chi fosse e tutto questo è bellissimo, è essere colti sul fatto in flagranza asinina, di mondi, di gatti, di cuori sbriciolati da un cartografo egizio col dono dei colori tenui è geografia III, forse , ma in ogni caso necessitando, in qualche modo di concludere dico, che di sicuro e tutto sommato tutto questo viavai di-vieni-nmente è colpa di ff:)

  20. @gina-effeffe
    neh, furlen..ché m’ha fatt’ pur’ a mmé?
    E se così non fosse, non s’adonti gina..
    ché esser scambiata per effeffe
    non v’ha disdoro né v’ha beffe!

  21. salvatore d’angelo!:
    mi sa che s’adonta lui, mi sa e non ci fa:)
    (però è divertente esser scambiata per il mondo e sua mamma)

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017