La casa giusta e le lotte partigiane
Una casa per Paralup
di
Carlo Grande
Esistono luoghi che sembrano insignificanti, lontani da tutto, dimenticati, ma che possono dire ancora molto dal punto di vista esistenziale e “politico”, nel senso più alto del termine. Paralup è uno di questi: la mitica borgata alpina del Cuneese, tra Valle Stura e Valle Grana, dove il 20 settembre 1943 salirono i primi partigiani del Piemonte e probabilmente d’Italia, le sedici baite dove si rifugiò la dozzina d’uomini guidata da Duccio Galimberti e Dante Livio Bianco (Nuto Revelli raggiungerà la banda pochi mesi più tardi), rinasce grazie alla Fondazione Nuto Revelli, all’abnegazione del figlio Marco e della moglie Antonella Tarpino, all’impegno di tanti, architetti, storici, maestranze, studiosi e amici come Andrea Cavallero, Daniele Regis, Livio Quaranta, Valeria Cottino, Dario Castellino e Giovanni Barberis.
Sabato a Rittana, a pochi minuti di marcia dal luogo-simbolo dove salì il gruppo di Italia Libera che avrebbe dato origine alla banda di Giustizia e Libertà, si terrà un convegno-laboratorio: la data non è casuale, il 12 settembre 1943 – poco prima della strage di Boves – Duccio Galimberti e i suoi uomini salirono a Madonna del Colletto, dall’altra parte della vallata, ribellandosi ai nazifascisti. Videro che la posizione era indifendibile e si spostarono a Paralup.
Le povere e bellissime baite, raccolte su una splendida balconata naturale che spazia sulla pianura cuneese (luogo ideale per chi vive alla macchia, da cui vedere e non essere visti), rappresenta ancora un formidabile catalizzatore di energie: già acquistate per due terzi dalla Fondazione Nuto Revelli, sono da mesi in ristrutturazione. La borgata non diventerà un ingessato museo all’aria aperta o un parco a tema, ma un simbolo della memoria e un modello di civiltà alpina, aperto in ogni stagione a giovani, turisti, studiosi e associazioni. Avrà reception, sala multimediale, possibilità di soggiorno (adeguatamente “spartano”) collegamenti internet.
Ci si dovrà arrivare a piedi (le auto resteranno in un piccolo spiazzo qualche centinaio di metri a valle), le abitazioni saranno a bassissimo impatto ecologico. L’ex accampamento militare – armeria, mensa, cucina, dormitorio, posto di guardia – prima di essere rifugio per cento e oltre partigiani (Paralup fu punto di arruolamento dei quadri delle formazioni GL di tutto il Cuneese) accolse per secoli duecento montanari. Il borgo, ormai quasi diroccato, e i suoi pascoli intorno, i faggi, i frassini, le pietre e il forno, parlano non solo dei venti mesi di vita partigiana ma anche di secoli di vita grama; il progetto Paralup è dunque una forma di riscatto anche per la civiltà contadina dei “Vinti”: parecchie interviste di Nuto Revelli vennero effettuate in quest’area.
“È come un cerchio che si chiude – dice Marco Revelli appoggiandosi alla porta di una baita – tanti alpini di Russia venivano di qui, da borghi come questi, ormai dissanguati dalla fame, dalla guerra e dall’industrializzazione. Paralup, a un quarto d’ora dalla strada nazionale per la Francia e il colle della Maddalena, è un’ipotesi di esistenza diversa, di una di montagna che non sia luna park per cittadini, come diceva mio padre, di piccola rinascita per la gente di Rittana, tanto per cominciare. Qui si sale e si varca una soglia, che non è teorica, non è utopia”.
Qui molti giovani seppero dire di no, qui la madre del sindaco di Rittana, Adriano Perona, portò in salvo a Cuneo Duccio Galimberti, nascosto su un carretto, ferito in uno dei primissimi scontri con i fascisti, rischiando la vita. “Rivedo Livio, seduto accanto a Duccio, col suo bel viso greco, con quei suoi occhi intelligenti e vivacissimi”, scrive Giovanni Monaco. “Conversai a lungo con Livio – scriverà Nuto Revelli – Mi parlò di Piero Gobetti, di Carlo Rosselli. E scoprii un mondo”. E’ commovente rivedere le vecchie foto esposte in piazza Galimberti a Cuneo. Scatti sfocati di gente che “seppe benissimo cosa fare”, per dirla alla De Gregori. O che, per usare le parole di Beppe Fenoglio: “…amò tutto quello, notte e vento, buio e ghiaccio, e la lontananza e la meschinità della destinazione, perché tutti erano i vitali e solenni attributi della libertà”.
Paralup, filmata da Olmi in “Nascita di una formazione partigiana” e da Teo De Luigi in “Duccio Galimberti”, parla di coerenza, di grande e quotidiano combattimento, di fame, freddo, fatica, ideali. Nuto Revelli, nell’introduzione a Il mondo dei vinti descrisse le sue case “più povere delle isbe della Russia”, con “quattro muri a secco, la porta così bassa che ti obbligava all´inchino, una crosta di ghiaccio per tetto… l´ambiente dal quale avevano strappato i miei alpini di Russia”. Paralup oggi è una Pompei prima della cenere, è una boccata d’ossigeno, un antidoto, un posto in controtendenza. Il “genius loci” sprigiona energia, averla fatta rivivere è un mezzo miracolo, come la planata del falco che salendo con Marco Revelli ha quasi colpito il parabrezza dell’auto, l’ha quasi accarezzata.
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GIORGIO BOCCA
Nel libro “Le mie montagne”, Giorgio Bocca dedica molti ricordi ai giorni di Paralup, dove giunse tra i primi: “Dante Livio Bianco arrivò da Madonna del Colletto, noi dai Damiani, una borgata vicina, con Detto Dalmastro. Ricordo bene la sera in cui salii, c’erano Livio e Nuto, avevano preparato una bella torta, che gradii moltissimo. Al momento di scendere iniziò una grande nevicata… Tornai giù sciando, su una neve farinosa, bellissima. Una volta la notte non ci faceva paura. Durante la guerra ci proteggeva”.
E’ mai tornato lassù?
“Sì, l’anno scorso, sono stato anche in Valle Varaita, al passo di Sampeyre, sono sceso a Elva, che è un luogo meraviglioso. Mi ha sorpreso come la memoria falsifichi le distanze: ricordavo la Valle Maira come una valle larghissima, invece è molto stretta. Ho ricordato e rivisto il punto dell’imboscata ai tedeschi, all’uscita del vallone. Nella mia memoria uno spazio enorme ci separava da loro, in realtà c’erano solo 50 metri. Mi emoziona anche ricordare la Valle Varaita: al Colle dell’Agnello salii per raccogliere il primo gruppo di americani sbarcati nella Francia del Sud per far saltare i treni. Arrivarono da Guillestre, venni avvisato per radio. Sono salito al colle e ho visto sbucare dalla nebbia venti persone con la divisa americana. Li abbiamo ospitati a Sampeyre, da bravi sabotatori volevano far saltare tutti i ponti della valle, gli abbiamo detto
Nel capitolo “Quelli di Livio”, lei ricorda anche ambizioni e rivalità.
“Sì, mi aveva impressionato… anche nella guerra partigiana, dove si rischiava la vita per un ideale, le lotte di potere rimanevano fortissime. Livio aveva nei miei confronti non dico un’antipatia, ma una certa avversione politica: quando fui nominato per comandare le bande nelle Langhe scrisse un rapporto a Torino nel quale si rammaricava”.
Differenza di classe?
“Mah, loro erano un’èlite, lui e Agosti e gli altri erano professori universitari, avvocati di fama, noi ragazzini. Livio Bianco chiamava noi partigiani semplici
E Nuto Revelli?
“Nuto lo ricordo in modo fraterno, era una persona molto umana. C’era amicizia vera tra noi. Eravamo vissuti insieme, da giovani”.
pubblicato sulla Stampa del 12 settembre
grazie effeffe, non si molla un pelo su questo tema. Di Duccio Galimberti parla anche Fausto Amodei:
http://www.youtube.com/watch?v=WmFYVEiXGyA
Bella l’iniziativa e bella l’idea di parlarne. A volte penso che conoscere questi italiani, aver fatto leggere Fenoglio ai ragazzi (me compreso) nati dopo, ci avrebbe preservato dalle infinite polemiche su fascismo e antifascismo e dal male che ne è seguito. Nella limpidezza di queste baite come nel Partigiano Johnny c’è il nostro principio come gente libera: o lo si abbraccia – e c’è sempre tempo per farlo (vedi Fini) – o ogni confronto ha un vizio all’origine.