La morte “per sbaglio” di Petru Birladeanu

agguato-napoli

di Carmen Pellegrino

Come si racconta una morte? E una morte tragica? E una morte “per sbaglio”? Come si portano in superficie trafitture, lacerazioni, smottamenti di coscienza che lasciano un irrimediabile senso di umiliazione e vergogna? C’è come un senso di straniamento sottile nel descrivere una morte, c’è come una resistenza emotiva da vincere, cercando segmenti narrativi che riducano lo iato profondissimo tra reticenza e condivisione. C’è questo nella breve storia della morte di Petru Birladeanu, un ragazzo di nazionalità romena che suonava l’organetto nella stazione Cumana di Napoli, quartiere Montesanto, una morte avvenuta “per sbaglio” e poi confinata nel campo della marginalità, della irrilevanza più ostinata.
Siamo a Napoli, il 26 maggio 2009, è un martedì, quasi verso sera, e fa già caldo. L’ultimo taglio di luce rimbalza sulle strade, attraversa il tufo dei vicoli porosi, immobili in un perpetuo andirivieni. Nei pressi della stazione cumana c’è sempre gente di passaggio, Montesanto è nel cuore antico della città, salgono lungo i muri, sulle facce le ombre della sera che viene.
Improvvisamente un commando di 8 persone su quattro motociclette attraversa contromano la via Pignasecca fino alla stazione della Cumana. Sono sicari e sparano colpi a raffica, li sparano in aria. Va in scena un ordinario e sanguinario show tra clan rivali per il controllo del territorio; è una delirante azione dimostrativa originatasi nella faida tra i Mariano (i «Picuozzo» protagonisti alla fine degli anni Ottanta della sanguinosa guerra con i De Biase «Faiano») e i Sarno di Ponticelli.
Dalla Cumana sono appena usciti i viaggiatori, ma Petru con la sua fisarmonica in spalla sta risalendo la strada antistante la stazione, in compagnia della moglie Mirela.
In quel momento diversi colpi vengono esplosi, alcuni ad altezza d’uomo: un ragazzino di 14 anni viene ferito a una spalla, due colpi arrivano a Petru, uno alla gamba, l’altro al torace; seppure ferito, il ragazzo cerca riparo all’interno della stazione, ma prima cade e la moglie lo aiuta a rialzarsi. «Sentiamo gli spari – ricorda Mirela che ora è in Romania- Petru mi afferra e dice ‘corri’. Vedo il sangue, ma lui mi dice che è solo un graffio e che devo correre”.
I due ragazzi arrivano ai tornelli, c’è una ridda di persone impaurite, assiepate le une sulle altre quasi a scavalcarsi, ma Petru si accascia: uno dei proiettili gli è arrivato al cuore e al polmone attraverso il torace, bucandoli. Intorno si fa presto il vuoto, gli resta accanto la moglie e più nessuno. Qualcuno chiama i soccorsi, a poche centinaia di metri c’è l’ospedale Pellegrini, ma i soccorsi tardano, non arrivano.
Petru è a terra, si tiene la mano sul petto, agonizza lento, il suo dolore diventa muto, solo lamenti soffusi: «Per 5 minuti ha parlato. Per 10, mi ha guardato fisso negli occhi e, quando io gridavo, lui scuoteva la testa e mi stringeva più forte la mano. Per mezz’ ora il corpo di mio marito Petru è rimasto per terra e nessuno ha fatto niente. Ci guardavano tutti e c’era anche chi mi scattava fotografie. È arrivata un’ ambulanza, ma non era per noi era per il bambino ferito».
Il giovane era venuto in Italia da Iasi, con la moglie e uno dei suoi due figli; suonava la fisarmonica sui treni ma nel suo paese era un calciatore, un centravanti del Poli Iasi, la serie A romena; “era romeno- sottolinea Mirela- non rom (“Petru canta in piata Cumana, dar era fotbalist. A fost jucator la Poli Iasi, echipa romaneasca din Seria A…. Petru era roman, nu rrom”). Aveva 33 anni.

Nelle ore successive si diffonde la notizia, presto smentita, che fosse proprio Petru l’obiettivo dei sicari; si rintraccia subito nel “rom” l’esempio paradigmatico dello straniero malvivente, punito per qualche oscuro regolamento di conti. Ma l’evidenza maldestramente sottaciuta emerge rapidamente: Petru, che non c’entrava niente con i sicari, è morto ammazzato accidentalmente, o “per sbaglio” come poi è stato scritto. Della vicenda si è parlato poco sui giornali, male nei telegiornali. Anzi, in qualche caso la notizia della morte del giovane è stata fatta seguire proditoriamente dai servizi sulla scomparsa della piccola Angela Celentano, avvenuta nel 1996, mettendo così foscamente in connessione due vicende lontane nel tempo e nello spazio.
Come per una inquietante assonanza ritorna alla memoria il pogrom del maggio 2008 consumatosi contro i campi nomadi di Ponticelli, periferia est di Napoli, in seguito al presunto tentativo di rapimento di una neonata da parte di una giovanissima rom. I campi rom, sparsi sotto i cavalcavia e su terreni abbandonati, vennero brutalmente assaltati, incendiati e messi in fuga i rom che li abitavano. La ferocia iniziò con l’accoltellamento di un romeno “regolare”, un operaio che abitava nei paraggi. Non c’entrava niente, ma si sa, “quelli lì” son tutti uguali.
Difficile non leggere in queste tensioni xenofobe e razziste la conseguenza più immediata di politiche sociali e mutamenti nella legislazione che hanno sapientemente intercettato e cavalcato confuse insicurezze e vecchie paure, attuando politiche sull’immigrazione (un velo semantico, questo, che ne nasconde la natura profonda) totalmente inadeguate, che rivelano quasi un’ossessione che insegue e sovrasta i suoi artefici. Politiche destrutturanti che hanno favorito, se non determinato, il formarsi vorticoso di un nuovo senso comune che riproduce indolenze ed emarginazione, atti di discriminazione e violenza su base “etnica”, oltre che una odiosa cultura del sospetto, per lo più pretestuosa, che attinge largamente a un groviglio di retoriche patriottiche, vecchi sentimenti nazionalistici, miopie da paura del “diverso”, mai del tutto sradicate.
Emiliano Di Marco, militante napoletano pacifista, da sempre in lotta al fianco degli immigrati, portavoce dell’associazione Assopace, ha efficacemente descritto gli scenari dischiusisi con l’approvazione del “ddl sicurezza”, riassumendoli nella loro crudezza: “c’è poco da aggiungere a quanto già detto da Adriano Sofri, Dario Fo, Andrea Camilleri, il cardinale Tettamanzi, padre Zanotelli […] su questo provvedimento: è una legge razzista, una legge che porterà ancora più dolore e che per certi aspetti si spinge anche più in là delle leggi razziali del 1938, laddove verrà impedito alle donne straniere in condizione di irregolarità amministrativa di poter riconoscere i propri figli nati in Italia, costringendo questi bimbi che non hanno nessuna colpa ad essere figli di nessuno, al rischio di essere tolti dalle loro famiglie e dati in affido. Con la Legge 24 luglio 2008, n. 125 verranno impediti i matrimoni misti, se lo straniero o la straniera non hanno il permesso di soggiorno, saranno inoltre ammesse le “ronde” una norma che introduce alla privatizzazione della pubblica sicurezza, uno degli aspetti più controversi ed ignobili di questo intero dispositivo. Questo paese, che non ha imparato niente dalla propria storia meticcia ed emigrante, si vergognerà a lungo del ‘pacchetto sicurezza’”.

Si può cercare di resistere in molti modi a politiche reazionarie, discriminatori, razziste, predisponendosi ad esempio a una seria e responsabile disobbedienza civile, affermando strenuamente principi non negoziabili e mettendo in atto gesti forti e simbolici che si oppongano a rivendicazioni identitarie, in grado di produrre diversità fittizie e simulacri che sono alla base dei meccanismi di dominio
A Napoli, ad esempio, sulla vicenda di Petru Birladeanu, è dal basso che sono arrivate spinte propulsive di autentica solidarietà, attraversando il guado di indifferenza che ha ricoperto quella morte. Una parte della società civile, quella migliore che non è una pura aggregazione di individui, ha dimostrato di saper opporre una virtuosità incoercibile all’indifferenza generalizzata. Agli inizi di luglio è stato fondato un gruppo, su iniziativa di un giovane docente napoletano, Luigi Maria Sicca, che in poco tempo è riuscito a coinvolgere giovani e meno giovani, raccogliendo opinioni e sensazioni eterogenee e mettendo insieme pezzi sparsi di sensibilità diverse; in poco tempo sono state raccolte più di 3000 adesioni con una proposta: intestare la fermata di Montesanto della stazione Cumana o la piazza antistante a Petru. La proposta è stata presentata in consiglio comunale e alla municipalità competente ed è tuttora in via di discussione. Ovviamente non sono mancate levate di scudi, rivendicazioni di parte, una sequela di ansie di primogenitura e tensioni legate al “dover onorare anche tutti gli altri morti”, come se esistesse una gerarchia al loro interno, in una inquietante lotta tra morti e paludati calcoli propagandistici.
Ma i sostenitori della proposta non si sono fatti fiaccare, vigilano, insistono e continuano a tenere vivo il dibattito, animando discussioni che sollecitano gare di solidarietà e dimostrando che anche i gesti simbolici possono generare cambiamenti, contribuendo a spezzare la spirale di indifferenza che ormai sembra inesorabilmente sovrastarci, e a cui i politici locali non sembrano volersi sottrarre, largheggiando prima in promesse, poi in solenni dichiarazioni che fanno sempre bene in vista di competizioni elettorali, e ora chiudendosi in una muta battaglia di “carte bollate”.
Non si può prevedere se una proposta che nella sua radicalità presenta tratti di dirompenza verrà accettata o meno; è prevedibile invece che in una estenuante lotta per gli spazi verrà proposta l’apposizione di una “rassicurante” targa che non scontenti quanti, attraverso oscurità dialettiche, si sono fatti paladini di proposte in senso totalmente contrario, e l’installazione di una teca protetta che custodisca nella stazione la fisarmonica di Petru.
Non di gesti rassicuranti ci sarebbe bisogno, non senza forme particolari di ricomposizione che ne impediscano lo stemperarsi in generico rituale evocativo; occorrerebbe un sovvertimento, anche solo simbolico, in grado di dare un segnale forte, di favorire mutamenti strutturali e culturali, ma Napoli, si sa, è come un alchimista che riesce sempre a trasmutare le sue ferite in arte.

26 COMMENTS

  1. sono di napoli, ma confesso di aver appreso di questa vicenda solo ora, leggendo questo articolo. Davvero si prova vergogna nel rendersi conto che esistono morti minori: senza nulla togliere a Mike Bongiorno che ha avuto funerali di Stato, perché non si fa lo stesso con le vittime innocenti delle mafie, del razzismo, dell’omofobia?
    grazie a carmen per questo pezzo, scritto peraltro in un modo che riesce a far rivivere quella terribile scena, riproducendola qui, davanti ai nostri occhi attoniti.

  2. w la napoli che alza la testa!!! pellegrino è una delle migliori giornaliste d’inchiesta italiane…e di marco…………..una delle pietre miliari della cittadinanza militante…fiore all’occhiello di quella “gioventù” nostrana che non emigra…non abbandona le sue terre, ma che lotta quotidianamente contro ingiustizie grandi e piccole. contro le mafie e contro l’usurpazione del DEMANIO PUBBLICO.

  3. un articolo emozionante, suggestivo, scritto come un pezzo di letteratura. una vicenda straziante, ma un grande coraggio mostrato da una parte della società napoletana, che non è pizza, mandolino e malaffare.
    complimenti all’autrice, a NAzione indiana che ha pubblicato l’articolo e alle persone citate (emiliano di marco, luigi maria sicca, due napoletani coraggiosi)

  4. Giangianluca Varoncelli (al secolo Gianluca Varone!), in quanto carissimo amico mio e di Emiliano Di Marco, ovviamente esagera nell’esprimere il suo entusiamo! Però una verità la dice: c’è una parte di giovani meridionali che ha deciso consapevolmente di non emigrare, di rimanere e ingaggiare lotte quotidiane, che spesso diventano estenuanti, contro le incompiutezze, le ingiustizie quotidianamente sofferte in questa terra.
    Quei giovani, incapaci di nascondere la testa sotto la sabbia, affrancatisi dalla tara del familismo, del particolarismo che hanno nel “mi faccio i fatti miei” il loro slogan più efficace, hanno scelto di vivere a Napoli, e di viverci criticamente, denunciando, attivandosi e pagandone tutte, ma proprio tutte, le conseguenze…
    Lo diceva Guido Dorso: “se la gioventù meridionale, questa mirabile gioventù così assetata di giustizia e di verità, non sentirà il pungolo della resurrezione e riprenderà triste e scorata, la dolorosa via dei piccoli impieghi e della dedizione allo Stato violento e accentratore, allora anche i pochi semi che sono nati per caso sull’arido terreno del Mezzogiorno saranno sommersi, e nuovi sistemi di compressione e di sfruttamento risorgeranno dalle ceneri ove ora sembrano sepolti”.

  5. un articolo scritto in modo eccezionale ….
    racchiude forza coraggio ma soprattutto capacità nei fatti di portare avanti delle idee e lottare per il giusto…
    Ma dopo tutto credo che Carmen Pellegrino sia una delle militanti serie di questa nostra città (Napoli) una donna che non ha paura di esprimere e descrivere con chiarezza e assoluta realtà i mali di questa società ma soprattutto spesso il disinteresse e la svogliatezza di molti nei fatti più vicini come quelli lontani…
    Posso dire che esiste ancora qualcosa che ci fa sperare di poter cambiare e smuovere le coscienze perchè c’è ancora chi come Carmen ha la voglia e la convinzione che qualcosa può e deve cambiare
    Con massimo rispetto!

  6. …, già ! ! !

    ma …, a nulla serve nulla .., se non si “investe” su un sano senso di “medietà”: è quel che manca a napoli, quel che manca al sud. quel che manca …: l’impegno quotidiano, la fatica. manca la volontà politica- sopra tutto – a costruire attraverso l’istruzione media, la sanità media, l’igiene media, un medio ascolto della musica, una quotidiana lettura dei giornali (“preghiera dell’uomo moderno”), un confronto un po’ medio e frustrante con chi è “altro da sè”.

    gli elettori siamo (stati) noi !

    l’alternativa ? “chiacchiere e distintivo”: eventi, concerti in piazza, summit internazionali, e tanta “bella gente”.

    luigi maria sicca

  7. L’articolo, scritto benissimo, fa rivivere davanti ai propri occhi la terribile scena dell’agguato che ha portato alla morte – per errore – di Petru Birladeanu. E rileggendolo mi sono tornati alla mente alcuni dei (tanti) agguati di camorra in cui a rimetterci la vita è stato un innocente, uno che stava lì per caso, a passeggio, ritornando dal lavoro o dal disbrigo di banali commissioni, che stava – come nel caso di Petru – lì per guadagnare qualche soldo onestamente attraverso la propria arte. Fra i tanti, fece scalpore la vicenda tristissima di Silvia Ruotolo nel ’98, poi quella ancora più triste – nella primavera del 2004 – della 14enne Annalisa Durante a Forcella. Ma una differenza c’è: nel caso di Petru, solo perché rumeno, solo perché musicista vagabondo, si è letto – nei primi giorni dopo i fatti – che probabilmente l’agguato era diretto a lui, che magari era un piccolo delinquente che ledeva chissà quali interessi. Ancora, colpisce la spietata indifferenza mostrata – stavolta – dai napoletani di passaggio, che la paura non basta a giustificare. Questa vicenda deve farci riflettere, ed anche per questo ringrazio Carmen per questo articolo che è allo stesso tempo puntuale nella descrizione di ciò che accaduto, ed emozionante per il modo in cui riesce a restituirci la drammaticità di quello che è successo quel giorno a Montesanto.

  8. Ho letto con attenzione l’articolo di Carmen Pellegrino, che mi è piaciuto davvero molto. Conoscevo già la vicenda e credo che – insieme agli apprezzamenti per l’articolo – sia giusto ricordare e ringraziare anche chi da anni sul territorio agisce in prima persona contro l’emarginazione e le ingiustizie commesse ai danni dei più deboli. Mi riferisco in particolare ad Emiliano Di Marco, di cui è noto l’impegno costante a fianco dei più deboli. Mi riferisco, ancora, a docenti come Luigi Maria Sicca, che ha ingaggiato una coraggiosa battaglia che spero si traduca in un atto che sarebbe una prova di grande civiltà e di civismo, in una città che fa troppo spesso del mancato civismo il suo gonfalone.

  9. Una storia orrenda e purtroppo ordinaria nella città blu delle occasioni perdute. Uno dei sintomi del un lento declino, dello sprofondamento costante e progressivo. Complimenti a Carmen Pellegrino, mia cara amica e sodale. Una compagna dallo sguardo lucido e dalla scrittura evocativa e precisa…

  10. Apriamo una piccola riflessione su quali riferimenti (mi riferisco ai gruppi parlamentari…) adottare oggi? Bisogna ancora continuare con il “meno peggio”?
    …non è più possibile, sarebbe solo la prosecuzione del nulla, della vacuità del pensiero debole e del raziocinante nulla. La scusa della decadenza della nostra italica civiltà è servita ai tanti che alzano la testa dai loro bilanci solo in caso di morti ammazzati o di disperati in crisi totale, magari anche di nazionalità da WWF, per poi reclinarla per tornare a far da conto. Questi sciacalli da salotto servono a sottolineare ancor di più differenze classiste, ancor peggio dei berluscoidi governanti. Questa triste verità è evidente nelle nostre amministrazioni campane e meridionali tutte, dove (tranne rarissimi casi) il moderatismo pseudo-democratico è servito solo a cambiare i nomi dei consiglieri di amministrazione… bisogna essere stanchi e schifati delle elemosine elargite agli angoli delle strade e delle putrescenti pacche sulle spalle

  11. Preparate il vestito da sposo di Petru. Deve essere tutto pronto, per il funerale. Torniamo a casa presto, per sempre. Sono state le parole di Mirella quando ha chiamato in Romania per “annunciare” l’arrivo dello sposo! L’articolo della Pellegrino mi ha messo con le spalle al muro! Non mi ha dato tregua, è stato una scarica di una Beretta M92 Custom Cutlass che ti colpisce all’improvviso e tu sei li inerme! Come Pietro! “Come si racconta una morte? E una morte tragica? E una morte “per sbaglio”? Come si portano in superficie trafitture, lacerazioni, smottamenti di coscienza che lasciano un irrimediabile senso di umiliazione e vergogna?”. Per una volta però sono quasi felice di non saper rispondere a questa sventagliata di mitraglietta che colpisce con magistrale precisione cuore mente ed anima!
    Pietro non c’è più, ma lui è lo sposo, e lo sposo desidera che il suo vino non rimanga nelle botti, vuole che il suo vino scorra tra i suoi commensali, che rimanga impresso nella loro memoria, tra i loro ricordi! Ma se Pietro è lo sposo perchè, pur avendo donato il più pregiato dei vini, il suo sangue rosso di amore passione e speranza, questo non circola tra i commensali??? Perchè del sangue di Petru ci siamo dimenticati???
    E’ devastante il silenzio che ha avvolto questa storia, la reticenza della massa, l’indifferenza delle autorità! Che cosa ci sta succendo, quale buco nero ci sta risucchiando, dov’è finita la rabbia, l’indignazione, dov’è finito l’uomo! Perchè non siamo in piazza ad occupare a presidiare a far sentire quella stessa musica pulita che Petru tirava fuori dalla sua fisarmonica. Il disinteresse dei “piani alti” non ci basta per renderci conto che è giunto il tempo di un cambiamento radicale???
    La vera rivoluzione è quella che parte dal basso, Pietro è la punta di un iceberg di una situazione di degrado umano e spirituale in cui siamo caduti. Non è vero che siamo impotenti, non è vero che siamo pochi! Non lasciamo che le sabbie mobili della paura ci risucchino nel vortice della indifferenza! Ripartiamo da qui, dall’articolo di Carmen da questi commenti scritti di persone la cui sensibilità può renderli capaci di grandi imprese.
    Non è la morte di Petru che deve farci inorridire ma è lasciare essa non ci induca a fare qualcosa!

  12. E’ molto istruttivo leggere questo articolo (molto ben scritto) di Carmen Pellegrino, che ringrazio. Penso però sia utile anche e soprattutto porre l’accento sull’impegno profuso quotidianamente da persone come Luigi Maria Sicca, che a quanto leggo su internet sta conducendo una vera e propria battaglia per convincere i troppo spesso miopi enti locali a riparare, almeno in minima parte, a quanto ha dovuto subire il povero Petru. Utilissimo trovo anche il costante lavoro svolto dai tanti volontari che si raccolgono attorno ad Emiliano De Marco in una attività continua di aiuto ai migranti, che sono le nuove vittime del clima di odio che attraversa l’Italia.

  13. Cara Carmen, ho letto l’articolo e di fronte al tuo invito non posso esimermi dallo scriverti cosa ne penso, o meglio, quali sensazioni ha prodotto in me questai lettura. Al di là, infatti, della tematica trattata e delle opinioni espresse, da un punto di vista ideale assolutamente da me condivise, ciò che ho apprezzato di più, ed anzi invidiato, è la passione di chi scrive.
    Nella mia generica mediocrità credo che potrei essere scelto come rappresentante della società attuale. Certo, magari più di altri, cerco di interessarmi alle cose, al mondo che mi circonda, e tento di farlo riducendo al minimo il mio livello di pregiudizio, ma con tanti o tutti condivido la necessità di curare il mio piccolo (misero) interesse particolare. Sono uno di quelli che vuole arrivare con il massimo livello di serenità (e, personalmente, cercando di dare il minor fastidio possibile al mondo) a fine giornata e,dunque, non vuole avere problemi, cerca di fuggire qualsiasi seccatura. Seguendo, per necessità e/o per abitudine, questa regola aurea quotidiana, se il problema contingente fosse una sparatoria con susseguente romeno moribondo allora io per prima mi affretterei in preda al panico verso i tornelli della stazione e cercherei di scappare il più lontano possibile e nel più breve tempo possibile.
    Eppure, mi ritengo un democratico. Eppure, credo nell’uguaglianza tra gli uomini. Eppure, so che l’immigrazione (pur con le difficoltà ed i problemi che, indubbiamente, comporta) è l’ultima speranza che resta al nostro anziano paese per avere un futuro, e non soltanto da un punto di vista meramente economico ma anche in termini di arricchimento culturale, voglia di fare, di costruire un qualcosa di diverso.
    Il problema allora è che in molti, anzi in troppi, siamo rassegnati ormai a qualsiasi disgustosa azione (o non azione) si compia verso chi è più debole e che non ha uno squallido orticello da difendere. E meglio di me stanno quanti (e sono la maggioranza) credono ancora che le stronzate che questo governo racconta e, ancor peggio, mette in pratica (leggasi ronde, reato di clandestinità, respingimenti in mare aperto) servano a qualcosa (se non a coprirci di vergogna e a rendere alieno da noi qualsiasi cosa di umano). E’ un po’ quando si sogna di essere completamente stupidi così da soffrire meno.
    Si controlla il popolo iniettando paura, ma questa non è una novità.
    Io so, però, che la storia non si fermerà, che le nostre certezze attuali, piccole o grandi che siano, saranno sovvertite. Immigrazione, (ingiusto) mercato del lavoro, privilegi di casta etc etc sono nodi che verranno al pettine prima o poi. Forse non sarà domani nè dopodomani ma accadrà.

  14. Grazie Andrea per aver detto quello che pensi senza le bardature del politicamente corretto. Conosco le tue idee, che sono idee di rivolta, di uguaglianza tra gli uomini, di lotta all’oppressione e al dominio dell’uomo sull’uomo; conosco la forza con cui le sostieni e mi rendo conto che quanto dici è tremendamente vero: l’istinto di sopravvivenza può creare, anzi crea nebbie dense davanti ai nostri occhi, per fendere le quali occorrerebbe una sospensione di noi stessi che è quasi mai praticabile. Tuttavia resistiamo e aspettiamo fiduciosi il momento in cui le nostre “granitiche” certezze si sgretoleranno come pilastri di sabbia. Accadrà, ne sono certa anch’io…il sistema imploderà e tutto il marcio, di cui ora sentiamo solo il lezzo, sommergerà questo che non è mai stato il migliore dei mondi possibili, benché tenacemente tentino di farcelo credere…

  15. complimenti all’ideatore dell’iniziativa, lodevole, di intestare la stazione a Petru. Speriamo si concretizzi davvero.
    complimenti ai militanti che lavorano al fianco degli immigrati, i nuovi poveri del nuovo assetto mondiale.
    complimenti di cuore
    NAdia

  16. L’idea di intestare la stazione della Cumana a Petru – per la quale mi complimento davvero di cuore con coloro che la portano avanti, fra mille difficoltà – è davvero l’unica cosa che si può fare per rendere un pò di giustizia a chi – per puro caso – ha perso la vita lì davanti in un modo così orribile. Complimenti anche a Carmen Pellegrino, giovane ricercatrice di cui – per mia ignoranza – non conoscevo l’opera, prima di leggere questo splendido articolo. La lettura dell’articolo su Petru mi ha così entusiasmato – lo confesso – che ho effettuato una breve ricerca su internet, attraverso cui ho scoperto che Carmen ha da poco pubblicato il suo primo libro – un saggio di storia dal titolo “’68 napoletano”, che ora ho ordinato sul web. Sono ansioso di leggerlo!

  17. L’articolo di Carmen restituisce – in modo straordinario – l’immagine di una vicenda che ha ferito – ancora una volta – al cuore questa città, la città blu delle occasioni mancate, come molto felicemente viene definita da Wolverine. E, fra i molti commenti, mi ha colpito moltissimo quello di Andrea S: un democratico, come si definisce, che ha il coraggio anche di ammettere – senza patemi – di essere una ‘persona normale’. Cioè uno che – senza quelle che Carmen chiama nella sua risposta le ‘bardature del politicamente corretto’ – avrebbe fatto – trovandosi in un contesto come quello che ha portato alla morte il povero Petru – quello che hanno fatto molti napoletani davvero presenti in quel momento: preso dal panico, probabilmente anche lui sarebbe fuggito a gambe levate. Eppure – lo dice espressamente ma del resto da quello che scrive si vede con chiarezza – Andrea è un sincero democratico, uno che – se pure pensa al suo ‘particulare’ – è sensibile alla sofferenza degli altri, non crede alla becera propaganda neonazista del regime che ci governa. Come si conciliano le due cose, l’apparente contraddizione fra di esse? Secondo me si conciliano perfettamente, nonostante l’apparente stridore: non si può – a mio parere – non si deve pretendere dall’uomo moderno – anche da quello non egoista e non spregiudicato – l’essere eroe in senso epico, l’essere capace di gesti straordinari. Di conseguenza, credo che molti dei cittadini napoletani che si sono comportati così non siano esseri esecrabili, semmai piccoli uomini spauriti, terrorizzati da quello che stava accadendo, e che non comprendevano. Non credo – stavolta – che da parte loro ci sia stata malizia, omertà. Malizia e una buona dose di stupidità c’è – se mai – da parte di quei governanti pavidi, che prima promettono e poi – per mero calcolo – non mantengono le promesse di adoperarsi fattivamente per l’offesa subita da Petru. Aggiungendo alla sua triste morte una imperdonabile offesa alla sua memoria. Andate avanti ragazzi, con coraggio civile!

  18. Un incoraggiamento sentito e di cuore a Luigi M. Sicca perchè prosegua con abnegazione e coraggio in questa battaglia, che è una battaglia di civiltà prima ancora che di equità. Un incoraggiamento a Emiliano Di Marco che lottando al fianco dei dannati della terra contribuisce a costruire un mondo meno schifoso.
    Un incoraggiamento a Carmen Pellegrino e alla sua penna militante e suggestiva.
    Avanti ragazzi!

  19. riprendo alcuni passaggi del lucido intervento di aristofane, a commento di andrea s., che senza falsi eroismi ammette e “ri-conosce” da un lato la paura ed il panico nei gravi episodi di barbarie quotidiana, dall’altro il sentirsi persona…, uomo “democratico”…: “come si conciliano le due cose, l’apparente contraddizione fra di esse ? secondo me si conciliano perfettamente, nonostante l’apparente stridore:… non credo – stavolta – … ci sia stata malizia, omertà. malizia e una buona dose di stupidità c’è – se mai – da parte di quei governanti pavidi, che prima promettono e poi – per mero calcolo – non mantengono le promesse di adoperarsi fattivamente per l’offesa subita da petru”.

    proprio così, caro aristofane: ma noi vigiliamo: siamo oltre 3.000 e vigiliamo ! ! ! perchè non ci interessa la teca e l’organetto. no, non la vogliamo ! noi “intestiamo la stazione della cumana di montesanto (napoli) Petru Birladeanu”.

    luigi maria sicca

    http://www.facebook.com/group.php?gid=63823014976

  20. Bravo Luigi Maria! Fa bene, molto bene alla mia età leggere e scoprire che giovani come voi escono dai limiti tristi del proprio orticello e si impegnano in cause ideologicamente forti. Fa bene “scoprirlo” perchè la mia generazione, che ha perso tutto, non ha mai perso la voglia di combattere e questo ci ha uniti molto, e ci ha dato anche molto. Oggi invece intorno a noi solo indolenze e egoismi. Bravo tu, bravo Emiliano, brava Carmen, bravi tutti quelli che come voi hanno un obbiettivo altruistico e di lotta nella vita. Avanti e coraggio

  21. In questo racconto denso di prospettive, in questo racconto di quella giornata triste che anche io ho vissuto guardando e percependo l’agitazione nei vicoli di questi uomini vigliacchi vagamente affiliati, manca, forse, secondo me, un tassello che ha che fare con soluzioni quotidiane e pratiche affinchè questo non succeda e che magari rendono la vita più serena a tutti. Ma perchè, mi chiedo io, alla Pignasecca si può andare contromano, contro tutto, in due in tre in quattro sui motorini in mezzo a un mercato di gente e di cose che la sera o le domeniche pomeriggio prende la fisionomia di una discarica. Perchè si può tutto in questa città? Perchè c’è quello che si costruisce il recinto del basso abusivamente, quello che si crea il posto auto con il paletto, quello a cui il poliziotto non suscita nessun timore, figuriamoci il vigile?..che tra l’altro li dietro è uno sconosciuto. Ripristinare la legalità significa rieducare una comunità al rispetto delle regole cominciando da quelle minime..forse se fosse stato cosi non ci sarebbe stata nessuna scorribanda contromano e nessun povero innocente a cui intitolare una stazione.

  22. Aristofane ha colto perfettamente quello che volevo dire con il mio intervento. Io giustifico le tante persone che, prese dal panico ,si sono date alla fuga, anzi credo che questo sia lo stesso comportamento di tante persone oneste che vivono in quartieri disagiati e che, per paura, mantengono l’omertà di fronte agli episodi di piccola o grande criminalità che possono svolgersi sotto i loro occhi. Bisognerebbe piuttosto domandarsi se, al di là della stanca retorica della sicurezza diffusa a piene mani dal governo solo per infondere paura e ricevere consenso contro i “comunisti” (tolleranti verso ogni licenza ed illegalità), questo stato effettivamente eserciti il suo potere se non sulla città di Napoli su larga parte di essa. Secondo me assolutamente no perchè in caso contrario, cioè se effettivamente i cittadini potessero confidare sul fatto che dietro di loro esiste un’autorità (intesa in senso “positivo” e non “autoritario”, ovviamente) più grande di loro stessi, e non la ridicola caricatura di Stato che attualmente esiste, in grado di assisterli/proteggerli effettivamente, probabilmente il loro stesso atteggiamento anche nelle piccole cose cambierebbe. Certo, di fronte all’umanissima paura del pericolo non c’è ideologia che tenga.

  23. a seguire un breve comunicato che sta girando in queste ore, in cui sono ripresi alcuni temi dell’articolo di carmen. la speranza che anima questo testo – alla vigilia della giunta comunale che “dovrebbe” deliberare l’intestazione della fermata della cumana a petru – è che i nostri pubblici amministratori riescano a tradurre in pratica uno slancio orientato ad onorare la memoria di un uomo.

    buona lettura,

    luigi maria sicca
    ——–
    Petru Birladeanu era un artista di strada: suonava tutti i giorni, a Napoli, nella stazione della Cumana di Montesanto, in pieno centro storico.
    Il 26 maggio, ora di punta, un commando di motociclisti ha attraversato il quartiere ed ha sparato a caso. Per puro caso, Petru è rimasto ferito e, dopo quasi un’ora di agonia è morto là, a terra, sotto gli occhi della moglie. A 50 metri dal Commissariato di Polizia Dante ed a 500 m. dall’Ospedale Pellegrini.
    Su iniziativa dell’ Associazione Italo-Rumena Partenope-Dacia, il giorno 24 settembre alle 19.30 allo stadio Collana di Napoli si terrà una partita tra ex giocatori e artisti napoletani, il cui ricavato andrà alla famiglia di Petru. Il titolo della manifestazione è: “Dai un calcio…all’indifferenza”. Perchè il calcio è lo sport di tutti, lo sport di Petru, calciatore del Poli Iasi, la serie A romena.
    La tragica fine di Petru ha anche ispirato la nascita del gruppo “intestiamo la stazione della cumana di montesanto (napoli) a Petru Birladeanu”, costituito ora da oltre 3.000 persone, napoletani e non. Cittadini che condividono articoli, opinioni e ricerche intorno a Petru, simbolo delle ingiustizie di una comunità inerme. E’ la Napoli odierna.
    Le istituzioni hanno dichiarato di volersi impegnare affinché venga “intestata la stazione della cumana di Montesanto (Napoli) Petru Birladeanu”.
    Quattro date da ricordare:
    • 25 giugno 2009: la II Municipalità di Napoli approva all’unanimità un Ordine del Giorno relativo all’intestazione della stazione (o della piazza antistante) a Petru Birladeanu;
    • 13 luglio 2009: alcuni consiglieri comunali hanno scritto di avere presentato un Ordine del Giorno “al Consiglio Comunale di Napoli per intitolare la stazione della Cumana a Petru, sottoscritto da tutti i gruppi”;
    • 21 luglio 2009: l’argomento è stato discusso dalla II Municipalità di Napoli;
    • 24 settembre 2009: verrà discussa la proposta in Consiglio Comunale.
    Non sono mancate ansie di primogenitura da parte di alcuni, come la preoccupazione di non onorare “tutti gli altri morti”. Sono anche emerse proposte “palliative”, tesi a ridurre la memoria di Petru a una targa ed una teca che conservi il suo organetto: a questo il gruppo dei 3.000 non ci sta !
    I 3.000 continueranno a vigilare finché non vedranno scritto il nome di Petru su quella fermata.
    Continuerà la battaglia anche sul piano internazionale, coinvolgendo le competenti autorità romene: emergerà l’altro volto della società italiana, campana e napoletana. Una battaglia a contenuto puramente simbolico che ruota intorno a parole-chiave come “camorra-esclusione-immigrazione-musica-indifferenza” …, che interessano in questi mesi l’intero Paese.

  24. Ottima idea quella di cercare il coinvolgimento delle autorità internazionali. Evitare di farsi prendere in giro dalle autorità locali. Insistere e Persistere. Forza ragazzi

Comments are closed.

articoli correlati

Al merceto di Cermenate

di Pino Tripodi  il mercato è un merceto. a cermenate il merceto è un mercato scarsamente  italico. ci sono meno...

Street art e identità visive di Napoli. La parola alle immagini

  di Francesca Basile Le sperimentazioni dei primi writer americani esplosero per sovvertire le regole di accesso legittimo alla parola in...

Riccardo, ti ricordi…

(A Porto s'è svolta una importante mostra sull'opera di Riccardo Dalisi. Davide Vargas ci regala il suo affettuosissimo testo...

Il catalogo è questo. Sulla mostra “Napoli Napoli. Di lava, porcellana e musica”

di Giuseppe Merlino “J’aime le luxe et la mollesse, tous les plaisirs, les arts de toute espèce. La propreté, le goût, les...

Torturarli a casa loro? Io sto con Samed

di Andrea Inglese Certo che vorrei essere un rappresentante della classe media durante le sue due settimane ufficiali di vacanza...

Fuori dal raccordo c’è l’Italia

di Gianni Biondillo E così, anche in questo nuovo romanzo, non ho parlato del Duomo. Sono anni che scrivo di...
marco rovelli
marco rovelli
Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.