“Versodove” numero quattordici

di Stefano Semeraro

Bentornati.
Se negli ultimi otto anni non vi è più capitato di leggere Versodove, e vi state chiedendo perché, tranquillizzatevi, non è stata colpa vostra: ce n’eravamo andati noi. Un po’ per stanchezza, un po’ perché pensavamo che le cose belle e divertenti (e Versodove era, e sarà, bello e divertente) a un certo punto finiscono. Un po’, forse soprattutto, perché eravamo convinti che il web, la rete immanente e pervadente avrebbe preso in fretta il posto di quegli strumenti ormai antichi che sono le riviste fatte di carta. Quasi un decennio dopo abbiamo scoperto che ci eravamo sbagliati. Il web non è il Messia, e noi in fondo non siamo tanto vecchi. Abbiamo ancora voglia di curiosare in giro, di incontrare voci e destini. E un certo tipo di parole, di riflessioni, di idee, probabilmente ha ancora bisogno di una dimora meno virtuale, più stropicciabile, più adatta a raccogliere su di se la ricchezza, il succo del tempo che passa.

Nell’ultimo editoriale, quello del numero 13, datato dicembre 2001, scrivevo di come ci sentivamo, noi di Versodove, più vagabondi che promoter, più cercatori d’oro che difensori del recinto. Uomini da bazaar, sempre pronti ad aprire la nostra tenda e mostrare i tappeti – le poesie, le prose, le domande e le risposte – che eravamo stati capaci di raccogliere in giro.
Orgogliosi di essere bradi, liberi, attenti più all’intrecciarsi delle linee – plurale – che alla salvaguardia della linea – singolare.
Annusando in giro, negli ultimi due quadrienni, non ci è sembrato però di trovarne tanta, di voglia di sperimentare di sporcarsi, di esplorare nuovi territori, di fare avanti e indietro dall’attualità alla storia, di mescolare le carte. Così abbiamo deciso di rimeterci in viaggio, con lo zaino in spalla, in cerca di nuovi territori, di nuovi incontri.

Gli ultimi numeri di Versodove erano stati – modestia a parte – molto densi, ricchi, pieni di cose interessanti, di sonde lanciate in territori diversi. Ecco, il progetto, l’obiettivo, è quello di riprendere il discorso da quei presupposti, da quell’eredità che noi stessi ci siamo lasciati.
In questo numero 14, che abbiamo voluto numerare così proprio per ribadire la continuità con la prima serie di VD, troverete di nuovo cose – speriamo – interessanti, sicuramente diverse fra di loro. Testi poetici e prose di amici vecchi e nuovi, interviste e traduzioni, un’inchiesta sulla realtà editoriale tedesca – vedi il bel saggio di Nadiani – un’indagine sulle tradizioni e i canti popolari rom accanto ad una riflessione sul destino delle pagine culturali dei quotidiani italiani.

Un tempo ci definivamo ecumenici, e andavamo orgogliosi del nostro gusto per la “contaminazione”. Le parole si consumano in fretta, passano velocemente di moda, e mentre preparavamo questo primo numero ci siamo chiesti se i due termini ci rappresentassero ancora, fossero ancora adatti a diventare un marchio di fabbrica, oggi come quindi anni anni fa. Per il momento non abbiamo trovato una risposta. Contiamo però di raccogliere presto nuovi appunti, nuovi lessici, nuovi vocabolari. Ci siamo rimessi in cammino proprio per questo, per il gusto di seguire l’incrocio di nuovi pensieri, senza sentire troppo l’obbligo di percorrere strade già note.
Benvenuti, bentornati, se vorrete fare un po’ di cammino insieme a noi. La nostra tenda è sempre aperta.

*

Vito M. Bonito

Idioma sottile

Primogeniti e animali
soffiare nel vento

credere possibile ancora
addio

Sentito dire
sentito morire

*

Nella casa un filo di carne
ascolta tutto il sangue
raccolto in una tazza

lo agita lo purifica

lo esplora a la luce
lo perde ne la luce

Cos’è un filo di carne
che non può dormire?

Cos’è la luce dentro
una tazza di sangue

*

Una luce per la notte

come se fosse viva

luce cometa

come se fosse in vita

Non ci sono figure

noi come cosa udita

soffochiamo

*

Chiedono un respiro
ne la stanza più buia

come bestie al disio d’i corpi morti

– quando carne avremo per noi?

quando sapere
l’annùso di vuoti tremori?

quando gravida madre
sudarci nei fiori? –

* * *

ITALO TESTA

Il cuore pesato

come la favola del provinciale /perso nella grande città:
sul piazzale dove le vie convergono/ si orienta guardando i tigli
lo stradario ramato delle macchie/ che qui tempestano le foglie.
tutto è foresta, le torri d’acciaio/ le pareti specchianti, i vetri
sono stagni fatati, rami e tronchi/percorsi da corvi parlanti;
sarà come la fiaba del ragazzo/ che sposa la selva e tramuta
le vene in cavi d’acciaio, gli occhi/ in biglie di vetro incolori:
se un passante per sbaglio lo sfiora/ scioglie il sortilegio, lo lascia
cadere in pezzi, nei mille frantumi/degli aghi di pino del bosco.
così cammini, in trance, lungo i viali/macinando un solo pensiero
dopo giorni che nessuno ti parla/ ti ammali di luce, di passi
votati alla strage, scagliati a caso/sulla mappa degli abitati,
la raggiera delle strade a scomparsa/ dove il nulla ti ha invaso;
e passare l’incrocio che nessun dio/contadino guarda e protegge
è esporsi al vento gelato che spira/dall’ombra lunata del male:
o sarà come il bambino velato/dell’apologo che a tastoni
risale sulla cresta del cuscino/ e incosciente si lascia andare
fino al giorno in cui avrà il cuore pesato/e gli occhi offerti su un [altare
di nuvole, sino al nido del merlo/dove una corona di piume
sul fondo azzurro cupo dell’infanzia/lo inchioderà al suo dolore.

*

Intorno alla stanza

Chi entra nella stanza sa che il piede non è mai fermo,
e i compagni si dileguano a ogni svolta del giorno:

apre le mani al mondo, oscilla dietro la porta
siede, si scosta, si piega, insegue un’ombra sul fondo;

chi si affaccia sulla stanza vede gli altri aggirarsi,
se batte il capo sull’uscio, sente il rumore degli arti:

come vuole toccarli per sapere cosa è vero
fende il vuoto con la mano, la ritrae, misura il foro;

chi esce dalla stanza sa che ogni volta è per sempre,
qualunque passo intrapreso a liberarsi dal peso,

slacciare il corpo gravato dalla presa del suolo,
è come aprire sul retro una finestra nel buio.

*

Strofe a perdere

I

Prigioniero di una stanza anch’io
ho contato i giorni e atteso un varco,
uscendo di casa ho scoperto in un parco
una semina di zeri e d’oblio.

II

Anch’io ho limato l’attesa
al prezzo di una fasciatura stretta
ho spogliato una donna sull’erba
la ho lasciata nuda e indifesa.

III

Anch’io ho inseguito nella neve alta
una lepre che bianca sfuggiva,
nel bianco affondava della foschia,
si allontanava ad ogni svolta.

IV

Anche noi abbiamo ballato un inverno
in equilibrio su un pontile marcio,
tra i rami di un delta abbiamo scorto
la luce di un faro emerso dal folto.

V
Anch’io smarrito, se a dirlo m’ostino:
è stato un inganno, ma è stato il nostro
e questo dolore, che si è scritto sul viso
anche questo è un frutto del nostro giardino.

* * *

Giulio Marzaioli

Badge

da fuori nessun indizio – c’è – qualcuno c’è – c’è qualcuno che ruba dall’interno – le chiavi le abbiamo date noi – infatti – trascorre assieme il tempo – così – si aggiunge e sottrae – martedì – potevi andare al mare – in parte – potevi starne fuori – a parte – non può sapere dove – sempre – può sempre sapere – comunque – c’è una banda più larga – può sempre sapere se

si può dimenticare a casa – se resta sono due le identità – identico – avrai un sostituivo – si aziona un enzima a distanza – si registrano carenze nel respiro – ci somiglia ma non siamo così – è questa la sua forza – non fa finta – non recita una parte – è parte – riporta ad altri – tutto – anche i minimi ritardi senza causa – dentro si sentono sicuri – in effetti – le 10 sono fuori – non crea ferite – non sutura – è saturo di ossigeno – sei tu – forse non puoi sapere tutto

tra un’ora e un’ora si entra – in mezzo non si esce – martedì – ad esempio cosa accade – alle 10 – quale luce prevale – hai perso – non ti sei dimenticato – il fiato – lo dovrai restituire – per un giorno – quel giorno è martedì – stessa ora – la stessa meno un giorno – comunque – c’è una banda più larga – sei spento – sei connesso – comunque – è tutto – la banda è più larga – salti un giorno e continui ad invecchiare – se resta non ti sei dimenticato – concentrarsi tutto in un foro – martedì – uno spillo nella tasca

verso le 10 – una fitta – il busto – ti torci di poco – qualcosa ti punge il torace – non guardarti – se guardi c’è un foro – non si passa – qualcosa può passare – praticare un foro sulla banda – il respiro è chimica – composto – cambia – può cambiare – il codice rimane lo stesso – hai forato il badge sostitutivo – non si ammettono buchi nel sistema – soffia piano e inizia a ricordare

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andrea inglese
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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ha pubblicato uno studio di teoria del romanzo L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo (2003) e la raccolta di saggi La confusione è ancella della menzogna per l’editore digitale Quintadicopertina (2012). Ha scritto saggi di teoria e critica letteraria, due libri di prose per La Camera Verde (Prati / Pelouses, 2007 e Quando Kubrick inventò la fantascienza, 2011) e sette libri di poesia, l’ultimo dei quali, Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, è apparso in edizione italiana (Italic Pequod, 2013), francese (NOUS, 2013) e inglese (Patrician Press, 2017). Nel 2016, ha pubblicato per Ponte alle Grazie il suo primo romanzo, Parigi è un desiderio (Premio Bridge 2017). Nella collana “Autoriale”, curata da Biagio Cepollaro, è uscita Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016 (Dot.Com Press, 2017). Ha curato l’antologia del poeta francese Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008 (Metauro, 2009). È uno dei membri fondatori del blog letterario Nazione Indiana. È nel comitato di redazione di alfabeta2. È il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.