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Il regno del re invisibile
di
Livio Borriello

io sto in un io che passa, in un organismo più grande che io chiamo il zoo, le cui cellule sparpagliate sono gli altri io umani, che ugualmente passa, e che sta in un mondo che passa. questo passare produce schiume, effervescenze, creste ossigenate di bellezza o purezza, che forse qualcuno guarda. ma questo qualcuno è ugualmente un dio che passa.
tutto passa, ma passa molto piano la materia.

questo che scompare è il mondo. questo vento che abbassa le piante, questo supermercato che apre e chiude le porte, e le cose nella busta che cozzano, queste cose che non hanno il tempo di essere che precipitano già nella successiva, che sfumano già nell’adiacente, sono il mondo.
non è qualcosa, è un moto fermo, un rimescolamento, una permutazione.
nessuno però se ne accorge. tutti sono convinti di questa roba fumosa, ventosa, friabile. tutti a testa bassa, e con l’entusiasmo senza dio che li sospinge, si lanciano giù nella convinzione. io perlustro disperatamente in cerca di crepe, di faglie, di voragini casuali da cui si intraveda qualcosa di meno convincente

il problema è capire se ogni nostra decisione è apparente, e non sia in realtà effetto, se l’io non sia il punto d’applicazione di qualche altra cosa, o se la nostra vera decisione non consista nell’esistere del mondo.

la morte è sempre spaventosa perché strappa all’apparenza qualcosa che non siamo noi, eppure è tutto ciò che eravamo.

la mia idea di mineralità è inversa a quella antropocentrica, dell’uomo ridotto a cosa e materia, è in qualche modo quella del cosmo ridotto a uomo, a respirare in un polmone e nello spazio ristretto di un’anima.

noi ci portiamo dentro un morto, in ciascuno di noi c’è una parte inerte, minerale, che dobbiamo trascinarci dietro a ogni istante. ma questa parte è quella più profonda e più vera,
perchè è parte integrante del cosmo, è quella che ci rende un segmento, un lembo del tutto, che respira le pulsazioni dell’universo, che ci permette di accedere a uno spazio che precede e comprende l’umano

il bisogno di sentire l’altro, di entrare nel tempo dell’altro. il bisogno di fare il suo piacere, di riprodurre piacere in quel corpo, e di perforarlo in quel punto surriscaldato e indebolito, in quell’attimo di incandescenza, per sorprenderlo fuori di sé nella zona di frontiera della sua esistenza, per catturarlo in quell’attimo di paralisi temporale, come un topo fulminato. ma il tentativo è sempre impossibile, l’altro continua a defluire nel suo regime ermetico, nei dotti impenetrabili del suo tempo, di questa sostanza fosforescente e estranea, inattingibile, che lo costituisce, che lo plasma.

ora che ho riso, mi è sembrato che questa risata è andata oltre le nuvole, facendo un arco fino al palazzo. era fatta di quella stessa sostanza un po’ spumante e frastagliata della nuvola, che ora era evidentemente dentro di me.
così, tutte le cose non mi sembrano fatte di materie così distanti, e di distanze così grandi come sembrano. noi siamo tutta una pappa, una mistura, un continuo. nel mio senso musicale, ora c’è un ferro da stiro, e l’ocra rossa di una bandiera della rivoluzione

19 COMMENTS

  1. Forse per quel che ci riguarda, bisognerà rivedere con maggiore attenzione le opere cinematografiche di Carmelo Bene Poeta.
    Non trovi?

  2. forse perchè non è lo zoo, meditate gente, meditate…
    effeffe
    ps
    avevo proposto a livio di metterlo in corsivo poi vista la sua sorpresa alla mia osservazione,” sai si rischia di trovare il lettore che ti fa ma, eh, ccome LO ZOOO si dice, ho creduto non fosse necessario…

  3. Ho un gatto nel cuore che mi stringe con le zampate. Belle le paole di Livio Borriello: “il bisogno di sentire l’altro, di entrare nel tempo dell’altro, il bisogno di fare il suo piacere, di riprodurre piacere in quel corpo.”
    Qualcosa fugge sempre. Perlustrare come un povero in canna, si puo essere anche un povero in canna dell’amore, con il volto dimesso.
    Ci sono che camminano con la testa reale e altri che camminano enl nuvole, nel polvere, in una statua, entrano nelle particelle del mondo, e credo che sono nel veliero spinto dalla mano di un bambino verso altro luog sotto luce, sperando non avere freddo nel cuore.

  4. e poiché prevenire è meglio che curare…
    avviso che se un commentatore mi segnala che dopo il punto ci va la maiuscola (in questo specifico post) il suo nick sarà segnalato alla polizia postale :-)
    effeffe

    • effeffe,

      Posso dirmi dove è scultura a Parigi che possia ammirare?

      E credo ( ho fatto una scomessa con me) che la stazione intravista è
      Oulx, mi sono sbagliata? Bardonecchia?
      Quando vedo i cartelli blu appesi al muro delle stazioni, so che ho ritrovato l’Italia.

  5. funzionano, queste combinazioni di video testi e suoni, o sono solo giochini? lasciando stare che nel medium in cui ci troviamo sono prove doverose, mi pare che a volte ci riescano, a funzionare, a riprodurre quel continuum percettivo – parole e suoni come fatti fisici, come estrusioni vibratorie del corpo, quindi costituite della stessa natura degli oggetti – che sono lo spazio reale che abitiamo. alcuni photoshoperò del furlen sono piccoli capolavori in questo senso, qui l’operazione era più azzardata perchè si trattava di far incontrare e scontrare, di sintonizzare materia linguistica geneticamente diversa – si suppone – ma mi sembrerebbe che in qualche passaggio si raggiungano effetti perlomeno più inediti (e inauditi, e impercepiti…)

    • Credo che il testo mi ha fatto provare malinconia e anche grazia di essere viva. La mineralità, la capisco come armonia del corpo con gli elementi che viaggiano attorno al volto, allo sguardo.
      Si parla di sensazione in viaggio, come il mio corpo puo viaggiare anche nell’immobilità.
      E’ strano come le cose si fanno cammino. Quando sono venuta alla libreria la Tour di Babel e che effeffe era venuto il giorno prima e già tornato, avevo l’impressione che il suo sorriso era un po’ nel sole che mi aspettava fuori nella rue des rosiers.
      Come seduta alla scuola media, mi viene in mente l’immagine del mio corpo seduto sotto una palma a Napoli, o in un gesto della mano a Roma in un taxi. Il corpo si sparge come grani di sabbia.
      Il tuo testo mi ha fatto bene e male nello stesso tempo, non so perché.

    • eppure non è stata operazione azzardata quella che avete fatto tu ed effeffe.c’è una affinità paradossale nelle vostre “scritture”.entrambi cercate di catturare il senso del reale a frammenti. magari con procedimento inverso e diverso medium. effeffe con la camera riprende il “reale” a frammnti e poi lo monta attraverso il medium del suo occhio interiore. tu fai l’inverso. il tuo occhio interiore registra il reale, a frammenti, e poi tu lo rielabori attraverso il medium della scrittura, che cerca di riprodurre “quella frammentarietà” effeffe è onnivoro, multimediale, include, inserisce quanti più elementi possibili e poi (paradosso) nel montaggio ti dà una visione frammentata, frutto di una “selezione” che costruisceun possibile “discorso”. tu ti concentri sul “particolare”, già selezioni a priori. ma da quel particolare- attraverso il reticolo di una scrittura essenziale- risali a un “tutto” che si presenta come “frammento di discorso”. ed entrambi comunque ci restituite quella che i greci chiamavano “poièsis” del reale. effeffe con effervescente leggerezza, tu con asciutta malinconia. Ti confesso che leggere MICA ME (che consiglio vivamente a tutti quelli che amano una scrittura di frontiera) è stata – ed è ancora, perchè ci ritorno volentieri- un’esperienza molto bella, una sfida e uno stimolo all’intelligenza delle cose, della realà, che non è mai scontata. e poi cos’è la tua scritura? poesia, riflessione filosofica, romanzo, racconto cinematico? c’è dentro nietzsche e majakowski, beckett e la lezione del gruppo 63, eppure tutto questo non basta a definirla. vai oltre, sei tra metaromanzo e poesia, scrittura cinematica per parole. quello che fa effeffe con la camera. ed è qui il punto d’incontro. paradossale, no?

  6. Ciò che è davvero importante non è mai definibile, non rientra in categorie. Io faccio poesia, tu fai narrativa, quello fa metafisica. C’è sempre qualcosa di poetico, in senso lato, nel senso migliore e più raro del termine, in ogni scritto che conti ma guai se è SOLO poesia. Se non c’è mistica, se non c’è cosmogonia, è solo ornamento.
    Resta la mia diffidenza verso la contaminazione multimediatica.
    Per Fabiandirosa: e rileggere il Bene, sommo scrittore.

  7. @veroniquevergè
    sul far stare “bene e male”, curioso, esiste quasi una statistica sui disturbi di tipo neurovegetativo/vagale provocati da miei scritti, varie donne in particolare mi hanno confessato effetti di vertigine, nausea ecc. … credo sia in parte un difetto dovuto a eccessivo stridore (non tanto in questi), in parte un effetto perseguito
    @salvatore d’angelo
    analisi come tuo solito ampia e circostanziata…strano come in genere ti abbia contestato l’andare troppo “lungo”…mo’ che parli di me e ff invece pensavo:certo, poteva dilungarsi un altro po’… (non tanto strano, ahimé)
    @elio paoloni
    d’accordo. anche su una certa perplessità per il multimediatico. qui però l’operazione è leggermente diversa, i suoni ad es. sono sempre molto intrinseci al resto – né colonna sonora, né pista parallela – e in ogni caso qui stiamo “nel mezzo”, almeno il mezzo che attualmente la tecnologia ci offre… ci sono quindi maggiori ragioni anche per diffidare dei testi puri (scomodi a leggere ecc.)

  8. Livio non sa di essere uno gnostico (basti pensare al titolo) ma non ha importanza, questa è una definizione come un’altra e per fortuna Livio non definisce mai, non conclude, non incasella. Siamo trasduttori, quindi non abbiamo limiti. “un cosmo ridotto a uomo”. E il tragicomico della morte: non eravamo noi ma era tutto quello che eravamo. Cio’ che possiede Livio in questa fase della sua esistenza (non voglio involgarire il tutto parlando di “riflessioni”) è l’unica cosa che conta.

  9. lletto-visto, indi resettata e riscritta, immortalata. A corpo morto dentro un resto alieno, via borrielloforlani. Uscendo di casa, subito dopo, ho spaventato il portiere coccolato una siepe reso euforico lo spleen di due vetrine.

  10. elio, mi fa piacere che porti il discorso su questioni essenziali, di cui, non si sa perchè, non si parla mai su Ni e direi nella vita sociale. senza capire quello che merleau ponty, meglio degli altri, aveva già capito 50 anni fa, e cioè che ogni conoscenza e ogni atto – e dunque ogni discorso culturale e politico – presuppone un’assunzione, una fede percettiva, che è proprio ciò che si deve mettere in discussione se si vuole stare in un modo nuovo nel mondo. e a questa “riforma percettiva” non portano nulla né le apologie del michael jackson di turno, né le scritture formalistiche, cui non corrisponde nessun reale moto del corpo, nessuna avventura dei neurotrasmettitori, nessun possibile biologico, nessun impatto nel pre-linguistico, nessun riposizionamento, nessuna redifinizione del rapporto fra un io che assume di conoscere e un mondo asssunto quale conosciuto.. il bel risultato è la politica di merda attuale, di qua e di là, e la letteratura che conta meno di un feromone… la gnosi che conta meno della gnocca

  11. Livio,

    In realtà sono del secolo di Freud, e faccio parte delle donne in analisi per disturbo nevrotico, trauma sessuale, e ho fatto un giro nel suo secolo, ho trovato il suo testo, e subito ho riconosciuto il male: vertigine, febbre, battito pazzo del cuore, vista sfocata.
    Torno nel mio secolo per una lunga cura.

  12. per chi voglia interessarsi a borriello
    consiglio la lettura del suo libro.
    MICAME (EDITO DA ORIENTEXPRESS)

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017