1° È l’animale, questo, che non c’è.
[ particolari – random&infinite loop – dell’arazzo La Vista
dal ciclo La Dame à la licorne (1484 – 1500)
Musée National du Moyen Âge Parigi ]
Ausi conme unicorne sui
I.
Ausi conme unicorne sui
Qui s’esbahist en regardant,
Quant la pucelle va mirant.
Tant est liee de son ennui,
Pasmee chiet en son giron;
Lors l’ocit on en traïson.
Et moi ont mort d’autel senblant
Amors et ma dame, por voir:
Mon cuer ont, n’en puis point ravoir.
I.
Così come l’unicorno son io
Che si sbalordisce nel guardare
Quando la vergine va mirare.
Tanto è avvinto dalla malinconia,
Che svenuto le cade nel grembo;
Allor l’uccidono a tradimento.
E m’uccisero con simil fare
Amore e la mia Dama, per ver:
hanno il mio cuor, non più il posso riaver.
II.
Dame, quant je devant vous fui
Et je vous vi premierement,
Mes cuers aloit si tressaillant
Qu’il vous remest, quant je m’en mui.
Lors fu menez sans raençon
En la douce chartre en prison
Dont li piler sont de talent
Et li huis sont de biau veior
Et li anel de bon espoir.
II.
Mia dama, quando davanti a voi fui
E voi vidi dal primo istante,
Il mio cuore batté sì tremante
Ch’a voi rimase, quando me n’andai.
Allor fu messo senza cauzione
Nella dolce cella in prigione
Dove i pilastri son i rimpianti
E gl’usci sono il bel guardare
E gl’anelli sono il ben sperare.
III.
De la chartre a la clef Amors
Et si i a mis trois portiers:
Biau Senblant a non li premiers,
Et Biautez cele en fet seignors;
Dangier a mis en l’uis devant,
Un ort, felon, vilain, puant,
Qui mult est maus et pautoniers.
Ciol troi sont et viste et hardi:
Mult ont tost un honme saisi.
III.
Della cella ha la chiave Amore
E ivi ha messo tre portieri:
Bell’Aspetto ha nome il primiero,
Di Bellezza ne ha fatto il signore;
Pericolo ha messo all’uscio innante
Orrido, fellon, villano, ripugnante
Che molto è malvagio e malfattore.
Questi tre son e lesti e arditi:
gli uomini presi ne son rapiti.
[ * la IV strofa non è presente nel file musicale ]
IV.
Qui porroit sousfrir les tristors
Et les assauz de ces huissiers?
Onques Rollanz ne Oliviers
Ne vainquirent si granz estors;
Il vainquirent en combatant,
Més ceus vaint on humiliant.
Sousfrirs en est gonfanoniers;
En cest estor dont je vous di
N’a nul secors fors de merci.
IV.
Chi potrà soffrir l’avvilimento
E gli assalti di questi uscieri?
Giammai Rolando né Oliviero
Vincerebbero sì gran cimento.
Vincerebbero nel guerreggiare,
Ma per vincer ci si de’ umiliare
E sia gonfalone il patimento;
In questa guerra di cui ho discorso
tranne la resa non altro è soccorso.
V.
Dame, je ne dout més rien plus
Que tant que faille a vous amer.
Tant ai apris a endurer
Que je suis vostres tout par us;
Et se il vous en pesoit bien,
Ne m’en puis je partir pour rien
Que je n’aie le remenbrer
Et que mes cuers ne soit adés
En la prison et de moi prés.
Envoi:
Dame, quant je ne sai guiler,
Merciz seroit de seson més
De soustenir si greveus fés.
V.
Mia dama non temerò niente più
che dover smettere voi d’amare
Così tanto ho appreso a penare
Che sono vostro da sempre vieppiù.
Seppur lo pensaste sconveniente
Non posso separarmi per niente
Che non m’è dato di rimembrare
Che il mio cuore non fosse messo
In prigione con me lì dappresso.
Sigillo:
Mia dama, s’io non vi so lasciare,
Si abbia pietà del mio vivere
del sopportare si grave onere.
[ traduzione di O. P. ]
E da medievali unicorni è ancora intensamente popolato il Portolano del 1504 del cartografo genovese Vesconte Maggiolo, MAGISTER CARTARUM PRO NAVIGANDO, seppur si prefigga di raffigurare con novella scientifica obbiettività rinascimentale tutte le terre allora conosciute.
Di solo pochi anni successivo alla scoperta di Colombo, nella sua teca di cristallo, in fondo all’armoniosa Sala dei Globi della Biblioteca Federiciana di Fano, evoca caravelle e perigliose circumnavigazioni di continenti.
L’antica pergamena è attraversata dalle linee rette incrociate a scacchiera obliqua, i rombi di vento dalle triangolazioni dei riferimenti nautici, che dipartono dalle Rose dei Venti. Non ancora meridiani e paralleli e nemmeno tiene conto della curvatura terrestre: l’Europa risulta piccola e l’Africa troppo estesa, Gibilterra sta alla stessa latitudine della foce del Nilo. Acquerellati leggeri sulla pelle di pecora paglierina coabitano Re Mori e Santi, miniature di città e tende di accampamenti nomadi. Un Mar Rosso davvero tutto rosso.
Un Sant’Antonio Abate in volo. La barba bianca e il lungo bastone con appesa la campanella, una caravella fra le mani, forse a protezione dei naviganti. Tutti se ne stanno astratti e sospesi in aria sui continenti ancora incerti. Le città, torte di compleanno con le candeline torri, spuntano solitarie, alzandosi in prospettive da castelli di sabbia. I vessilli che schioccano al vento sui pennoni.
E così, forse, le vedeva un cavaliere, da lontano, materializzarsi nella foschia dell’orizzonte, dopo aver attraversato, lande, foreste, deserti e guadato fiumi dai percorsi tortuosi e foci come radici a fittone.
I confini delle terre conosciute ancora tremolanti e imprecisi. Nomi e nomi vicini di porti sulle coste battute dai vascelli. Un solo piccolo discontinuo lembo di Americhe di lato e molto ancora ancora da scoprire e tracciare. Eppure ci sono questi unicorni. Dappertutto. Ma unicorni un po’ campagnoli: pancia d’asino, corti al garretto, assai tozzi di stazza e con il mantello baio, non quelli candidi, araldici ed eleganti, carnali e sensuali di tormento della poesia cortese e neppure gli spirituali nivei, puri d’amor sacro della simbologia cristiana.
Così, a ogni latitudine del misterioso continente africano, fra gli stessi animali esotici, dromedari, cammelli, fieri cervi ed elefanti non più grandi di un cavallo, dovunque, nell’incertezza di quanto realmente ci potesse essere d’altro, scalpita il mitico unicorno.
Dovunque c’è l’animale che non c’è.
E non è forse anche lo scrivere un tentativo di creare e cercare l’unicorno in uno spazio vuoto? Di riempire l’ignoto di immaginazione?
La fantasia e anche l’emozione, con tutte le sue valenze infide, confinano con la realtà, si mescolano e si divincolano, la prendono e la lasciano, la ripudiano e la sposano come in un romanzo d’amore. I romanzi sono sempre d’amore e di rabbia. E d’invenzione. Né più né meno.
La lingua e la parola non possono mai riprodurre la realtà in modo neutrale.
Solo il fatto di raccontare già forza, deforma e modella.
C’è un’estrema insicurezza e infedeltà nella parola e un’intrinseca tentazione metaforica nei testimoni di qualsiasi avvenimento al momento di raccontarlo. La ricostruzione realistica è illusione: un sacco di paglia al posto del cadavere, pugnalato da una comparsa travestita da assassino, seguendo le tracce di gesso sul pavimento e, a ritroso, la mappa delle macchioline di sangue con il cartellino con il numero.
Il lettore si nutre per scelta di distillate e limate parzialità e soprattutto quando si immedesima nei buoni con la stessa partecipazione, con il commosso sdegno morale che accompagna la difficile ascesa di Jean Valjean nei Miserabili, soprattutto quando è portato a sentirsi dalla parte giusta, quella dei vinti, degli umiliati e offesi.
Il linguaggio è sempre metaforico e visionario.
Al primo come – Ausi conme unicorne sui – e al primo come se che sfugge dalle dita, dal pensiero, alla prima involontaria litote, la realtà comincia la sua evaporazione di contorni, la sua trasformazione elegiaca. Fosse anche un’elegia dolorosa e criminale. Una rivissuta via crucis.
Non è, allora, la scrittura nutrire e nutrirsi anche dell’essere impossibile e irreale di una cosa, del suo non essere, perchè reale e possibile diventi?
Rainer Maria Rilke
È l’animale, questo, che non c’è.
Oh! questo è l’animale che non c’è.
Non lo conobbero, eppure l’hanno amato
– L’andatura, il portamento, il collo,
fino alla quieta luce del suo sguardo.
Certo non era. Ma poiché l’amarono divenne
un animale puro. Sempre a lui fu dato spazio.
E nello spazio, chiaro e dispiegato,
levò leggero il capo, quasi neanche dovesse
essere. Non lo nutrirono con grano,
sempre solo della possibilità che fosse.
E questa diede tanta forza all’animale,
che quello da sé trasse un corno. Un corno.
Bianco davanti a una vergine passò,
e fu nell’argento dello specchio, fu in lei.
O dieses ist das Tier, das es nicht giebt
O dieses ist das Tier, das es nicht giebt.
Sie wußtens nicht und habens jeden Falls
— sein Wandeln, seine Haltung, seinen Hals,
bis in des stillen Blickes Licht — geliebt.
Zwar war es nicht. Doch weil sie’s liebten, ward
ein reines Tier. Sie ließen immer Raum.
Und in dem Raume, klar und ausgespart,
erhob es leicht sein Haupt und brauchte kaum
zu sein. Sie nährten es mit keinem Korn,
nur immer mit der Möglichkeit, es sei.
Und die gab solche Stärke an das Tier,
daß es aus sich ein Stirnhorn trieb. Ein Horn.
Zu einer Jungfrau kam es weiß herbei —
und war im Silber-Spiegel und in ihr.
R.M. Rilke, Die Sonette an Orpheus, parte II sonetto IV. – Sonetti a Orfeo Traduzione di Franco Rella, FELTRINELLI, 2008
da I QUADERNI DI MALTE LAURIDS BRIGGE
Qui ci sono arazzi, Abelone. Mi figuro che tu sia qui, sono sei arazzi, vieni, passiamoci davanti lentamente. Ma prima fa qualche passo indietro e guardali tutti insieme. Come sono quieti, vero? Dentro, c’è poco mutamento. Sempre questa ovale isola azzurra, librata sul fondo di un rosso discreto che è fiorito e popolato di piccoli animali, occupati ciascuno per proprio conto. Solo là, nell’ultimo arazzo, l’isola si solleva un poco, come se fosse divenuta più leggera. Reca sempre una figura, una donna in vesti diverse, ma sempre la stessa. A volte di fianco a lei c’è una figura più piccola, un’ancella, e ci sono sempre gli animali portatori di stemmi, grandi, sull’isola, partecipi dell’azione. A sinistra un leone, e a destra, chiaro, l’unicorno; reggono gli uguali vessilli che, in alto sopra di loro, mostrano: tre lune d’argento, ascendenti, in banda azzurra su campo rosso. Hai visto, vuoi cominciare dal primo?
Il Gusto
Ella dà l’imbeccata al falco. Che splendido abito! L’uccello è sulla mano guantata e si muove. Lei lo guarda, attingendo nella coppa che l’ancella le porge, per offrirgli qualcosa. In basso a destra sullo strascico sta un cagnolino dal pelo di seta, che guarda su e spera che ci si ricorderà di lui. E, hai visto? Un basso graticcio di rose chiude sul fondo l’isola. Gli animali si drizzano con araldico orgoglio. Il blasone li cinge anche come gualdrappa. Un bel fermaglio la chiude. Svolazza.
L’Odorato
Non ci si avvicina più leggeri, senza volere, all’arazzo seguente, appena si avverte quanto ella sia assorta? intreccia una ghirlanda, una piccola, rotonda corona di fiori. Pensierosa sceglie il colore di un altro garofano nel bacile piatto che regge l’ancella, mentre già ne infila uno. Dietro, su una panca, sta non usato un cesto pieno di rose, che una scimmia ha scoperto. Questa volta dovevano essere garofani. Il leone non partecipa più; ma a destra l’unicorno comprende.
L’Udito
Non doveva giungere la musica in questo silenzio? non vi era già contenuta? Pesantemente e tacitamente adorna, ella (con quanta lentezza, vero?) è andata all’organo portatile e suona, in piedi; le canne la separano dall’ancella, che dall’altra parte aziona i mantici. Così bella non era mai stata. Bizzarramente, i capelli sono raccolti davanti in due trecce e annodati al sommo del capo, così che con le estremità scappano fuori dal nodo come un corto pennacchio. Scordato, il leone sopporta malvolentieri le note, reprimendo il ruggito. Ma l’unicorno è bello, come mosso da onde.
A Mon Seul Désir
L’isola si amplia. Vi è eretta una tenda. Di damasco azzurro e fiammato d’oro. Gli animali la schiudono di colpo, e semplice quasi, nella sua veste principesca, ella si avanza. Perché cosa sono le sue perle al confronto di lei? L’ancella ha aperto un cofanetto, e ora trae fuori una catena, un pesante meraviglioso monile che fu sempre chiuso. Il cagnolino le siede accanto, un po’ in alto, nel posto preparato per lui, e la guarda. E hai scoperto il motto lungo l’orlo della tenda, in alto? La è scritto: «A mon seul désir.»
Il Tatto
Cos’è accaduto? Perché il coniglietto salta là sotto? perché subito si vede che salta? Tutto è così confuso. Il leone non ha nulla da fare. Ella stessa regge il vessillo. O vi si aggrappa? Con l’altra mano ha afferrato il corno dell’unicorno. È il lutto? può il lutto reggersi in piedi così e una veste di lutto essere discreta come questo velluto nero verdastro, appassito qua e là?
La Vista
Ma viene ancora una festa, nessuno vi è invitato. L’attesa vi manca. C’è tutto. Tutto per sempre. Il leone si guarda intorno quasi minaccioso: nessuno deve venire. Ancora non l’abbiamo mai vista stanca; è stanca? O si è seduta soltanto perché regge qualcosa di pesante? Un ostensorio, si potrebbe credere. Ma ella piega l’altro braccio verso l’unicorno, e l’animale si impenna lusingato e sale e s’appoggia sul suo grembo. È uno specchio che ella regge. Vedi: mostra all’unicorno la sua immagine.
Abelone, mi figuro che tu sia qui. Capisci, Abelone? Credo che tu capisca.
Rainer Maria Rilke
I QUADERNI DI MALTE LAURIDS BRIGGE
Traduzione di Furio Jesi
Garzanti, 1974
Riferimenti musicali:
Anne Azema
The Unicorn
( 6 settembre 1994)
Track: 8. Ausi conme unicorne sui
Label: Elektra / Wea
ASIN: B000005ECL
Anne Azéma voce
Cheryl Ann Fulton arpa
Shira Kammen viellea, rebeca, arpa
Jesse Lepkoff flauto
Riferimenti bibliografici:
Ritorno al mondo nuovo
Il planisfero di Vesconte Maggiolo (1504)
Saggi di Corradino Astengo e Giorgio Mangani
Biblioteca Comunale Federiciana 2005
“La lingua e la parola non possono mai riprodurre la realtà in modo neutrale.
Solo il fatto di raccontare già forza, deforma e modella.”
Ma il fatto di dire è reale e l’unicorno, ormai, c’è; del resto una sua prima raffigurazione (resti di un rinoceronte preistorico?) è stata rintracciata nelle Grotte di Lascaux…bellissimo post Orsola, di una ricchezza incredibile, V.
Grazie mille per la bellezza iniziata con la poesia di Thibault de Champagne, nella sua malinconia, la grazia dell’amor courtois
per la dame. Con una musica che mi fa girare nel mio cuore
farfalle di neve.
Poi la licorna attraversa il mio cielo d’autunno.
Grazie per, come lo dice Viola, lo splendore del post.
L’incanto de la belle dame à la licorne in ricerca della finezza delle percezioni.
E’ l’essenza del mondo.
Il dialogo del poeta crea intimità con la dame. Non distanza, ma figura
intima del sogno.
INCANTO
La mia mente stanchissima aveva la brama di gustare questo mondo di bellezza.
E, a proposito di unicorni (novecenteschi):
“Mi unicornio azul ayer se me perdio’
pastando lo dejé, y desaparecio’.
Cualquier informacio’n bien la voy a pagar
las flores que dejo’ no me han querido hablar”
Per non dimenticare una delle più belle canzoni sull’amicizia
di Pablo Milanés.
..e se non erro c’è una meravigliosa interpretazione di Mercedes Sosa della bellissima canzone di Pablo Milanés. A proposityo di bellezza (la Negra Sosa) che ci ha lasciato. Ma solo fisicamente…
A prposito, possibile che nessuno di NI le dedica un bel post, come meriterebbe?
altri unicorni:
– l’unicorno o liocorno meraviglioso dell’India nel VI secolo a.C.
– L’unicorno (e il leone) di Alice attraverso lo specchio, che hanno una parentela stretta con i due dello stemma britannico (dove l’unicorno è incatenato e simboleggia la Scozia)
– l’unicorno marino, ovvero il narvalo – il corno in realtà è un dente, una zanna
– l’unicorno alchemico simbolo di purezza e l’unicorno delle stelle, dramma di Yeats e Lady Gregory
– L’ultimo unicorno libro fantasy di Peter Beagle, per me assai superiore a molti altri compagni del ‘genere’
– gli unicorni di Murakami, nei cui teschi si leggono i sogni
– gli unicorni di Legend di Ridley Scott
– l’unicorno nel fumetto: The Books of Magic, numero 2, di John Ney Rieber e Peter Gross (tra l’altro il protagonista di questa serie è per molti il prototipo di Harry Potter, sebbene la storia sia assai più cupa e tormentata)
– I Was Born A Unicorn degli Unicorns
Che bel post!
che bello orsola!
Splendido.
Tutto da lustrarsi occhj ed orecchie.
Mi ha incuriosito “sigillo” come trad. di “envoi”; mi sono chiesto come avessi visto tradotto “envoi” in italiano, ma in effetti ricordo di averlo sempre visto detto francescamente “envoi” anche in testi italiani. Dove hai trovato “sigillo”? (Grz).
http://www.youtube.com/watch?v=53dgIUuvkro
L’envoi non dovrebbe coincidere con quello che in italiano si chiama “congedo”?
intanto grazie a tutti
è questa una cura, un antidoto ad una certa lata bufera di bruttezze
ma una riflessione sulla scrittura
principalmente
oh dunque envoi è per significato invio, spedizione. quindi dedica, la dame in questo caso, un principe, un mecenate, in altri, ma per posizione, la parte finale della ballade, è insieme chiusa e congedo, quindi dedica finale, dedica di congedo: teatralmente una sorta di epilogo, un trattatto di resa del combattimento amoroso.
ho pensato a sigillo —> suggello per riunire entrambe le cose: posta e posto
,\\’
«Ci sono uomini che in alcuni momenti non sono più se stessi e la loro circostanza, c’è un’ora in cui si desidera esser se stessi e l’inatteso, se stessi e il momento in cui la porta che normalmente dà sull’androne si socchiude lentamente per lasciarci intravedere il prato in cui nitrisce l’unicorno». (Ortega Y Gasset)
Una bellissima riflessione sulla scrittura! Di quelle che sembrano parlare una lingua perduta!
Grazie, Orsola.
Ps: metterò un link dal mio sito.
Grazie, Pasquandrea e Puecher, infatti, “congedo” era la parola.
Trovo anch’io azzeccato “sigillo” (o “suggello”), ho pensato in effetti sùbito al bollone di ceralacca che chiude il foglio, molto evocativo.
Grazie Evelina, è proprio quella porta e quel prato.
Ripensandoci, ora, quasi quasi metterei suggello, allora. Certo il rosso ceralacca del sigillo però… non vi si può rinunciare.
,\\’