marco rovelliMarco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta.
Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli.
Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti.
In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.
magnifico, marco. questo è un bel ricordare, pieno di VITA.
Mah…
Io la ricordo orgogliosa, tra l’altro, di una bambola gonfiabile comprata durante il viaggio che la portava ad una conferenza nella mia città!
Un brindisi a te, Alda.
bravo marco, com’è tenero questo ricordo e semplice e anche commovente.
manca l’umanità, a volte, nelle cose letterarie e questo post invece è proprio come le foglie gialle che ho visto nevicare l’altro pomeriggio alle piagge, come l’autunno quando sei triste e non sai perché e le foglie sono felici e anche tu diventi meno triste.
alda è felice adesso.
ciao.
bellissimo ricordo, semplice e sentito, lontano dalla retorica
grazie
Divertente, fisico e denso come il fumo delle sigarette. Passionale e per sempre vivo nella mente di chi l’ha conosciuta.
Ti consiglio di ascoltare “Canzone per Alda Merini” di Vecchioni è un bellissimo ritratto della poetessa scomparsa.
Ciao.
“Sono felice di essere un angelo malato. Un angelo che può accogliere serenamente la morte in qualsiasi momento. Sono felice di poter dichiarare a tutti che il peccato è scivolato su di me come l’acqua sulla pietra di fiume. La pietra è sempre nel letto, apparentemente muta ma levigata e liscia, ed è intoccabile sia dalla pioggia che dal vento. E soprattutto la pietra del fiume, come la poesia, non potrà mai morire. Malgrado il peccato e malgrado la santità medesima.” (da Sono felice di essere un angelo malato. Un angelo che può accogliere serenamente la morte in qualsiasi momento. Sono felice di poter dichiarare a tutti che il peccato è scivolato su di me come l’acqua sulla pietra di fiume. La pietra è sempre nel letto, apparentemente muta ma levigata e liscia, ed è intoccabile sia dalla pioggia che dal vento. E soprattutto la pietra del fiume, come la poesia, non potrà mai morire. Malgrado il peccato e malgrado la santità medesima.” (da La pazza della porta accanto)
Anch’io brindo ad Alda, perchè anch’io non fumo ma ho altri vizi…
con Alda forse avevo in comune i vizi, tutti, certamente non la poesia.
magari sarà per una prossima vita….a crederci
sono
molto
inquieta
quando
mi legano
allo spazio
queste parole le faccio mie
ma le ha scritte lei
io
non ci avrei neanche provato
che vuoto
ricordo che uno dei miei primi commenti in questi spazio è stato perlando di lei
e non mi ricordo chi…disse che era roba vecchia
la mia memoria va per frammenti, emozioni
di Alda Merini ricordo molte cose
di altri neanche il colore degli occhi o le esatte parole, tantomeno il nome
ho scritto perlando al posto di parlando
lapsus o refuso che tengo buono e non correggo, perlando di lei
Buono, perché i gesti sono il tanto di lei che si tramanda . . per i versi ci basterà la vita a rileggerli, delibarli, di nuovo.
Maria Pia Quintavalla
ho bevuto per lei questa sera, bene e abbondantemente; pensando e rivivendo le cose che di lei ho letto e leggendo Borges in originale.
A Alda
Il mio primo, vero, internamento in manicomio e’ avvenuto all´istituto Paolo Pini di Affori, nel ’56.
Avevo già incontrato più volte i disagi della malattia,ma i ricoveri si erano sempre limitati a brevi soggiorni in case di cura.
Fui internata a mia insaputa, e nemmeno io sapevo dell´esistenza degli ospedali psichiatrici..
..perché non li avevo mai veduti,
ma quando mi ci trovai nel mezzo credo che impazzii
sul momento stesso in quanto mi resi conto di essere entrata in un labirinto dal quale avrei fatto molta fatica ad uscire.
La sera vennero abbassate le sbarre di protezione e si produsse un caos infernale:
dai miei visceri partì un urlo lancinante, una invocazione spasmodica diretta ai miei figli ..e mi misi a urlare.. e a calciare con tutta la forza che avevo dentro,
con il risultato che fui legata e martellata di iniezioni calmanti.
Fu un improvviso scatto di delirio..
..mi ero sempre ritenuta una persona tranquilla,
e invece nel profondo dell´animo covavo la mia segreta follia.
Un giorno ho perso il controllo, sono andata su tutte le furie …e ho picchiato mio marito..
Forse era soltanto un momento di stanchezza,Ettore andava sempre in giro, questo mi esasperava.
Mio marito, terrorizzato, ha chiamato l´ambulanza. Ma la più spaventata ero io: mi sono trovata al cospetto di una parte di me che non conoscevo.
Non sapevo neanche che esistessero i manicomi: è stata una rivelazione orrenda.
Il primo ricovero non è stato spontaneo. Tutti i successivi però si;
perché mi accorgevo da sola che non stavo bene.
La donna viene educata al delirio. La istruiscono fin da bambina al feticismo: deve amare le pentole, venerare gli oggetti della casa, tenerli puliti, accudirli.
Il focolare diventa il simbolo della matriarcalità.
Neppure il femminismo è riuscito a sradicare queste simbologie.
Infine ci si sente impazzire tra i feticci. I panni addosso si fanno pesanti ..
.. che cos´è la donna, che cos´è il manicomio nella donna.
Anche se non è chiusa in un contesto stereotipo, in una ospedalizzazione, ogni donna ha il suo manicomio, cioè ha intolleranze, scontri, paure, emotività, abbandoni, rivalse.
Ogni donna è sostenuta da un carisma di bellezza, che ha dentro e che a volte, nel peggiore dei casi, come nel mio, è stato duramente punito col manicomio.
Cosa si voleva punire col manicomio? La bellezza, ma non fisica, quella interiore, quella dell´intelletto.
Molte poetesse hanno avuto una vicenda simile.
Queste rivelazioni sulla pazzia spingono il pensiero della poetessa fino al desiderio di voler fuggire dal suo essere donna, perché è questa condizione sessuata, causa, presagio, castigo.
La poetessa vuole fuggire dalla maledizione che è l´essere donna. Fuggire da un sesso che non piace o che viene sopportato.
Ho sempre rifiutato a priori l´idea di poter piacere a qualcuno: il mio aspetto, la mia logorrea e quella voglia di tradire i principi migliori, mi rendevano antipatica ai miei stessi occhi.
Ma quando tornavo la sera nelle sue braccia forti che emanavano quel singolare calore della carne, quell´odore di selvatico e impuro, i miei sensi risuscitavano.
Mi chiesero:
<>
risposi:
<>
Forse non mi avrebbero rinchiusa.
Le ore in quel tristissimo luogo non passavano mai.
Ci allineavano su delle pancacce, tutti noi con le facce eguali, amorfe; e guardavamo per terra come le condannate a morte. Non ci davano mai nulla da fare.
Ma l´anima si rarefaceva ogni giorno.
Ogni giorno diventavo più spirituale e, da quell´immensa vetrata,
da quel grande lucernaio che illuminava la sala,
qualche volta vedevo scendere gli angeli.
Monologo assemblato da me a 17 anni quando la vidi sull’uscio di casa sua ai navigli: suonai il campanello per incontrarla, ma non era in casa, mi sedetti sul gradino di casa , al suo rientro mi congedò dicendomi che non voleva comperare nulla. Mi bastò vederla.
Frammenti raccolti e poi assemblati da testi di Alda Merini : “Diario di una diversa”, “Clinica dell’abbandono” e da risposte ad interviste cartacee e televisive rilasciate dalla stessa autrice.
ok, ma… fra tutti quelli che parlano e piangono, quanti hanno letto le poesie di alda merini? qual è il loro valore, oggi, oltre il muro innalzato dall’agiografia?
Se qualcuno cercasse di capire il tuo sguardo
poeta difentiti con ferocia
il tuo sguardo son cento sguardi che aihmè ti hanno
guardato tremando.
A.M.
Padre, se scrivere è una colpa
perché Dio mi ha dato la parola
per parlare trepidi linguaggi
d’amore a chi mi ascolta?.
A.M.
Io non ho bisogno di denaro
ho bisogno di sentimenti
di parole
di parole scelte sapientemente
di fiori detti pensieri
di rose dette presenze
di sogni che abitino gli alberi
di canzoni
che facciano danzare le statue
di stelle che mormorino
all’orecchio degli amanti .
ho bisogno di poesia
questa magia che brucia
la pesantezza delle parole
che risveglia
le emozioni e dà colori nuovi
A.M.
Spazio spazio io voglio tanto spazio
per dolcissima muovermi ferita
voglio spazio per cantare crescere
errare e saltare il fosso
della divina sapienza.
Spazio datemi spazio
ch’io lanci un urlo inumano
quell’urlo di silenzio negli anni
che ho toccato con mano.
A.M.
Se solo un mese fa qualcuno si fosse azzardato a portare la poesia di A.M. su N.I., sarebbe stato, nella migliore delle ipotesi, sbertucciato a sangue. Ma si sa, i tempi cambiano, le stagioni non sono più quelle di una volta…
E’ proprio vero: gli eroi son tutti giovani e belli. Soprattutto da morti. E soprattutto dopo solenni funerali di stato, con cardinali in collegamento diretto con lo spirito santo che ne ispira le omelie (dopo aver ispirato i versi dei poeti devoti).
Al di là del rispetto dovuto a un defunto, a ogni defunto, in questo caso mi chiedo: dov’è il senso critico, la misura, la percezione del ridicolo che dovrebbe trattenere gli agiografi e i santificatori “via aneddoto esemplare” dallo sbracare irreversibilmente nel grottesco?
Manca solo la ciliegina sulla torta: qualcuno che scriva che dopo la morte di un poeta il mondo perde la sua luce e siamo tutti più poveri.
E, di grazia, senza i mille operai ammazzati sul lavoro dall’inizio dell’anno, come siamo? Tutti più ricchi?
Ma no, questo è un OT, non c’entra niente, e poi mica c’era l’alto prelato a benedirne le salme… Vuoi mettere?
Per fortuna, nel mare magnum dei pippaioli necrofili in rete e su carta, scatenati e tracimanti, in febbrile attesa della prossima santificazione a reti unificate, c’è ancora qualcuno capace di una riflessione degna del nome, senza il preservativo all’aroma di incenso infilato sul cervello:
http://anfiosso.wordpress.com/2009/11/02/413-la-merini/
Fortebraccio, ho scritto di getto questo ricordo perché per me era stato un incontro bello. Punto. E sui morti sul lavoro ci ho scritto un libro, peraltro.
Bravo.
e tutti si ricordarono di lei
quelli che la derisero
quelli che mai la lessero
e tutti ne trascrissero le righe di dolore
per incastonarlo alle loro convenevoli parole.
Lei, poesia nata “di ventuno a primavera”
oltre il silenzio della neve quando si scioglie leggera,
si spegne – tremula candela –
nel viale delle foglie nel giorno di novembre.
Lei, che si respirò d’etere nel dolore dell’abbandono,
vestendo il cilicio dell’inganno,
Lei, che fu madre estirpata delle foglie fin dalla radice,
malata, sola, sciagurata
d’amore infetta ed accusata,
Lei, che visse crocifissa alla follia del vero
….
oggi tutti piangono le spine della rosa
e rifioriscono alti e puliti
i gigli di campo
***
Marco, il tuo intervento é l’unico in rete che ho sentito vero.
grazie.
n.
quelli che mai la ressero
Ma che post sono? Nessuno, nessuno parla della poesia della Merini in quanto poesia compiuta o stalcio informe?
La disgrazia in cui cade la poesia, e la perdita del mandato sociale che Benjamin indicava a proposito di Baudelaire, trova in questi commenti una riflessione: Alda brava, bravissima, cattivella, pazzerella…ma, dico io, le poesie? Siamo sicuri che trascriverne due o tre senza poi parlarne almeno un poco serva a qualcosa? Io non ne sono tanto sicuro. Anzi, mi dispiace tanto.
Davide,
fai il primo passo ..
..dicci un po’ il tuo pensiero sulle poesie della Merini.
Non ci dicce .. ^__-
Mah, da dove partire… dalla fine, per esempio, della produzione poetica della Merini. Sappiamo tutti come componeva negli ultimi anni: dettando per telefono stralci di frasi, mezze righe, parole-chiave ai suoi editor, che poi avevano il compito di raccogliere e ricompattare il materale. Mi pare che gli esiti di questa modalità oracolare di composizione fossero piuttosto poveri… soprattutto per il valore di “eco” poetica che il testo era capace di incidere nella memoria del lettore. Insomma, gran parte della poesia della Merini tende all’immediatezza, come forma (a priori) di comunicazione, e non come istanza stilistica. Ma le poesie della Merini famosa (quella che va in tv, tipo) hanno, in virtù della loro natura frammentaristica e disarticolata, una capacità espressiva ridotta all’osso.
Così, per cominciare, vorrei chiedere a tutti quelli che postano le poesie della Merini quanti libri di poesia leggono in un mese. Senza vergogna, senza imbarazzi. Insomma, una questione di onestà.
Davide, senza vergogna: tantissimi … sono la gioia di editori e librai!
saluti “carissimi”*
* carissimi, sì… anche perché in effetti incidono notevolmente sul bilancio familiare, le cito quelli acquistati negli ultimi 2/3 mesi:
E.E. Cummings – Poesie d’amore – Il nuovo Melograno € 19,50 (un furto!)
Marco Vitale – Canone semplice – Jaca Book € 14,00
Pierre de Ronsard – trad P. Valduga – Respice et Crede – Il faggio € 12,00
Aleksandr Blok – I dodici – Einaudi € 7,00
Wislawa Szymborska – La gioia di scrivere – Adelphi € 19,00 (questo un vero affare a dire il vero)
Paul Muldoon – Sabbia – poeti della fenice € 16,00
Gesualdo Bufalino – L’amaro miele – Einaudi € 12,00
José Saramago – Le poesie – Einaudi € 12,00 (anche questo un affare)
Elisabeth Jennings – La danza nel cuore delle cose – Ancora € 12,00
Pasolini – Le ceneri di Gramsci – Garzanti € 9,50
Primo Levi – Ad ora incerta – Garzanti € 10,00
Nuova poesia americana – a cura di Ballerini e Vangelisti – oscar mondadori (minuscolo volutamente) € 12,80
Nazim Hikmet – Poesie d’amore – oscar mondadori € 8,40
Sergio Zavoli – La parte in ombra – ahimé, Mondadori € 14,00
I poeti della Beat Generation – Mondadori € 8,40
Lucille Clifton – Baldini Castoldi Dalai – € 12,00
M. Strand – Uomo e Cammello – € 10,00
Strand – new selected poems – Alfred A. Knopf Publisher (questo mi é stato regalato, … )
tra quelli ricevuti in regalo, cito F. Tomada, se non lo ha mai letto, glielo consiglio di cuore!
etc… etc…
Davide, mi ascolti, ma non le pare d’aver fatto un’equazione appena appena sempliciotta? no eh?! non le pare…
ok, buonasera, salve, a presto, ciao.
n.
Cara Natàlia, non volevo certo stabilire equazioni – e, mi rendo ben conto, così poteva sembrare. Ero curioso di vagliare il margine, per così dire, d’interesse delle persone con cui mi confrontavo. Margine d’interesse, sia ben chiaro, che non vuole essere metro di giudizio. Una curiosità personale, più o meno. Tanto poi, lo si sa bene, nell’arte – e anche nella vita, bene o male! – si può dire tutto, e poi rovesciarlo.
La mia intenzione primaria, comunque, era capire che cosa i fans della Merini trovassero nelle sue poesie, quali qualità formali si insinuassero nella loro percezione (per esempio, scelte metriche, retoriche e foniche in relazione ai significati), come la materia stimolasse l’emozione personale del lettore. Insomma, non capisco che significa postare le poesie, senza spendere nemmeno due parole su quello che poi vogliono dire, almeno per noi. A meno che non si creda che i testi valgano tutto e il resto niente. Ma allora le composizioni si leggono anche in altri spazi, telematici o cartacei.
Cordialmente, D.
Tomada non lo conosco… cercherò di colmare al più presto la lacuna, grazie!
Si chiama Francesco Tomada, trovi delle sue poesie anche qui su NI
è davvero in gamba, ti piacerà, ne sono certa… magari mi fai sapere dopo averlo letto, ti va?
quanto alla Merini, la sua è una scrittura complessa nell’apparente semplicità, contorta a volte, scarna e cruda altre, si perde nei menandri della visionareità spesso, mischiando mito, sacro e profano in un’alchimia di significati, immagini e sensi che hanno sempre un retrogusto carnale, sanguigno e denso, attaccato alle cose come senso estremo di una vita al margine di una verità solo apparente nei suoi limitanti canoni sociali.
la malattia mentale è stata oggetto di ghettizzazione non meno cruda di un lager, la sua poesia oltre al valore intriseco del verso, è testimonianza di un’esitenza al margine del sostenibile, del sopportabile, del reale.
è colta, saggia e semplice nella sua lucida follia
i suoi versi sono musica, potente
alla fine dei conti, la devi sentire, non basta scorrerne i versi con gli occhi, la puoi amare visceralmente o odiare, ma la devi “ascoltare”
ed infatti la sua è una poesia da leggere a voce alta, teatrale spesso, la senti lì chiusa che si narra, che parla, si racconta e la capacità di spogliarsi e di lasciarsi vivere nei suoi versi, non ha paragoni e non può temere alcun tipo di giudizio formale, perché lei dà, ha dato, è stata ed è poesia.
qui non si fa un computo di endecasillabi, rime ed algebra del verso, qui si ascolta un testo, una vita, un’intera produzione, non la poesiola, ma un’esistenza poetica.
lo so, sembro invasata, ma grazie al cielo esiste ancora poesia capace di veicolare quest’effetto addosso
dimmi tu, Davide, cos’è la poesia se non quello che ti scorre dentro e che ti attanaglia con quella sottile sensazione di illuminazione, come avessi colto ed afferrato una scintilla?
tra i contemporanei – bravi, per carità, tanti – chi ti dà questa febbre?
beh, scusami, ho debordato
ti lascio una piccola poesia, da “clinica dell’abbandono”, s’intitola “l’altra verità”
Ai tempi dell’inutile prigione
io amai un mio compagno,
un poveraccio senza santità.
E così da quest’amore infelice
sei nata tu,
fiore del mio pensiero.
Nessuno in manicomio ha mai dato un bacio
se non al muro che lo opprimeva
e questo vuol dire che la santità
è di tutti, come di tutti l’amore.
ciao, natàlia
Natàlia, io non intendevo fare l’algebra del verso, ma capire come questo funzionasse: il verso è fatto di parole – queste si innestano in un tessuto complesso di interazioni metriche, musicali, contenutistiche, ed è per questo che il verso assume certi valori o disvalori. Intendevo questo, nei miei commenti precedenti, ché m’era sembrato che l’agiografia del momento (che scatta sempre in determinate situazioni) avesse oscurato questo dato che si tocca con mano: la poesia è fatta di parole. Vedi, il fatto che tu abbia messo in rilievo la carnalità della poesia della Merini, è una delle cose che volevo saltassero fuori. Per capirci, i testi della Merini non mi avevano mai convinto fino in fondo, si capisce, e per questo cercavo tra chi l’amasse alcuni nuovi spunti per confrontarmi con le sue composizioni, qualche dritta. La visionarietà, legata all’intrico di religiosità e passio, è un’altra caratteristica su cui riflettere. Ma non concordo, però, quando dici che questa poesia “non può temere alcun tipo di giudizio formale”: ogni lettura è un atto interpretativo, e di per sé un giudizio. E poi, diciamoci chiaro, l’esperienza di lettura ti forma sempre più. Ed è proprio questa esperienza a essere capace di illuminare la vita di una luce che si fa, a sprazzi, diversa. La poesia non è quell’emozione, quell’emozione nasce dalla poesia. Se poi, per traslato, intendiamo la seconda e la chiamiamo poesia, questo è un altro discorso.
(tra l’altro, un’altro tratto che mi sembra connotare i testi della Merini si rifrisce all’allargamento della prospettiva: la sua condizione si dilata in simbolo universale: forse da qui, perché no?, parte delle ragioni dell’alta leggibilità).
Fra i contemporanei, in Italia… mah, direi che Antonella Anedda ha scritto cose magnifiche. “Dal balcone del corpo” è fenomenale. Oltre i confini, non saprei decidere. Forse Ana Blandiana, una poetessa rumena.
Non hai debordato! Leggerò appena mi sarà possibile Tomada, ti dirò.
Ciao, Davide
bello, questo è scambio: grazie Davide!
it’s my pleasure
dimenticavo di dirti che Antonella Anedda mi trova d’accordo con te, mentre non conosco Ana Blandiana e provvedo subito a colmare la lacuna.
a presto.