Coro degli «aspiranti» scrittori, intellettuali, scrittori-intellettuali del nostro tempo…

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di Evelina Santangelo

Noi aspiranti scrittori, intellettuali, scrittori-intellettuali del nostro tempo… (ridete pure, sghignazzate pure, sollevate il sopracciglio con aria di sufficienza, per quel che ci riguarda lo scriveremo anche dinanzi ai vostri lazzi, nonostante le vostre risa, contro le vostre oscenità, con la determinazione di chi sa che ce ne sono più di quanti voi pensiate, più di quanti vadano in giro a fare sfoggio di sé, più di quanti sia consentito vederne, più di quanti vi faccia comodo non vederne)…

Noi aspiranti scrittori, intellettuali, scrittori-intellettuali di questo nostro tempo in cui l’arte sembra impossibile e la fiducia nel pensiero un segno di arretratezza culturale, saremo pure (chi più chi meno) degli illusi, alcuni di noi anche dei poveracci (pochi quattrini, poco allure), persino un po’ patetici nel nostro tentativo di commisurare le parole alle cose che diciamo, evochiamo, storpiamo, dissezioniamo o proviamo a far deflagrare… nella convinzione, antiquata, che è dissennato, ingiusto e anche un po’ disonesto, sì, a volte molto disonesto, dissipare un bene prezioso come le parole. Così siamo soliti concepirle nel nostro intimo, prima ancora di pronunciarle… per una sorta di abitudine mentale ostinata e alquanto inattuale; per ossequio convinto nei confronti di una lezione impartitaci da scrittori e intellettuali o scrittori-intellettuali migliori di noi; per senso di responsabilità.

Perché, in fine dei conti, cos’è uno scrittore o un intellettuale, o uno scrittore-intellettuale, cosa è stato e cosa dovrebbe essere più che mai in tempi in cui l’arte sembra impossibile e la fiducia nel pensiero un segno di arretratezza culturale?

Un tessitore di senso, o anche di nonsenso, attraverso orditi di parole circostanziate.

Questa definizione non sarà esaustiva, certo, però nemmeno così imprecisa. Tessitore di senso, o anche di nonsenso, attraverso orditi di parole circostanziatecircostanziate anche quando si piegano in torsioni impossibili o si librano in slanci funambolici, o ancora, si scagliano in attacchi terroristici contro tutta l’ottusità, l’inespressività, la cieca conformità di cui sono impastate le nostre esistenze.

Qualcuno potrebbe dire: «Una cosa sono gli scrittori, altra cosa gli intellettuali, e altra cosa ancora gli scrittori-intellettuali». Avrebbe ragione. Ci sarebbe molto da dire, ridire e contraddire. Ma non è di questo che intendiamo parlare, in questa occasione. Qualcuno potrebbe dire: «Come vi permettete a definirvi scrittori, scrittrici, intellettuali o scrittori/scrittrici-intellettuali! Non sarete certo voi a consacrarvi tali!» Avrebbe ragione. Ma non è neanche di questo che intendiamo parlare. Di un’aspirazione, piuttosto, di una tensione cui alcuni hanno dedicato, con esiti mirabili, gran parte della loro vita e altri provano ancora oggi a farlo, con esiti che… si vedrà. È di un fare con le parole proprio degli scrittori, degli intellettuali, degli scrittori-intellettuali che vogliamo parlare, di un modo di concepire quel fare con le parole.

In questi nostri tempi in cui l’arte sembra impossibile e la fiducia, l’esercizio stesso del pensiero un segno di arretratezza culturale – a costo di farci dare degli ingenui, degli antiquati, dei velleitari – vogliamo difendere e rivendicare quell’idea suicida («disperata, inutile», direbbe Pasolini) che hanno alcuni aspiranti scrittori, intellettuali o intellettuali-scrittori del nostro tempo… e diciamo «aspiranti», perché non c’è niente di più marginale e ininfluente, oggi, di tipi così che perseverano nell’idea suicida, appunto, che le parole siano l’unico bene che gente come noi può ritenere di aver conquistato, e dirlo con l’orgoglio con cui si conquista un amore difficile o si imparano a conoscere pezzetti di terre straniere (reali o immaginarie, poco importa), e dirlo con la consapevolezza di aver imboccato un solco segnato da altri migliori di noi, e dirlo assumendosi tutta la responsabilità di un noi, che è un io condiviso, anche se disseminato, disperso, marginale, indesiderabile nella sua prosaicità, e oltremodo ininfluente.

10 COMMENTS

  1. pescatori-intellettuali, fabbri-intellettuali, architetti-intellettuali, fisici-intellettuali, artisti visivi che sono anche intellettuali, conosco medici-intellettuali, economisti-intellettuali, filosofi-intellettuali, conosco un palazzinaro-intellettuale, coatti-intellettuali, conosco un ristoratore-intellettuale: gente che riflette, vive, produce cose & pensiero e non la fa tanto lunga.

  2. Il mio maestro e mentore, colui che mi ha illuminato la via, è un commercialista-intellettuale (classe 1936) un uomo che a sessant’anni ha voluto laurearsi in filosofia perché ne sentiva l’urgenza (l’unico commercialista che ho visto in queste condizioni).

  3. I più acuti (o comunque tra i migliori) sono i pizzaioli-intellettuali, che nessuno ha menzionato però.

  4. Condivisibile nelle intenzioni, ma per me s’indugia troppo sulle parole. Va bene la fiducia nelle parole, fiducia che anch’io ho, ma indugiando in questo modo si rischia di perdere il senso del senso. Si rischia di rendere la scrittura uno specchio, un’immagine narcisistica (a proposito di io…). Ah, poi è scappato un refuso su: funaNbolici.

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