Sei poesie di Volker Braun

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  1. Bellissime poesie, trasmettono un senso di dolcezza e malinconia, e speranza, nonostante gli inganni e le sconfitte del tempo e della storia; da leggere con un adeguato sottofondo musicale.

  2. “I suoi sono versi protesi in avanti” (viene inevitabilmente da pensare come siano fatti i versi protesi all’indietro); “utopia di uguaglianza”; “di un intellettuale che proprio per questo” (proprio per questo cosa?); “domande alla società… mettendone a nudo… stridori” (una società i cui stridori sono messi a nudo?).
    La vita custodisce il sogno inerme dell’uguaglianza?
    La lotta contro le ingiustizie si fa con la poesia critica e demistificante?

    C’è chi non veda quant’aria riesca a friggere l’ineffabile Chiarloni nel giro di una paginetta sola? A parte il vuoto pneumatico di pensiero, c’è chi non veda quanto scriva, veramente, male, leggi: ai limiti del grammaticale, questa che pure tira uno stipendio da docente universitaria? – E qui ci sarebbero parecchie cose da aggiungere a chiosa, ma sarebbero tutte secondarie. Basta, appunto, un breve assaggio per rendersi conto di come tutto, davvero, si tenga.

    Le liriche di Braun, mi spiace, ma non le leggo: non in una versione del genere. Chissà in che stato le ha ridotte.

  3. […] L’Africa più interna, ma anche la più intima: è un’Africa come realtà organica, quasi corpo stesso dell’io, a fare da punto di partenza per questa lirica. Volker Braun l’ha scritta nel 1982, ma non ha perso smalto. Se allora si collocava perfettamente sulla scia del caso Wolf Biermann – il cantautore fedele all’utopia socialista ma critico nei confronti dell’apparato, a cui il regime impedisce di tornare da una tournée in Germania Ovest – oggi colpisce per la sua forza profetica,  per il dettato quasi affannoso e pure chiarissimo, per la capacità di mettere in luce le tensioni in cui è invischiato l’io che vi parla: i sentimenti, assurdamente slegati dalla ‘politica’, le speranze ancora oggi frustrate. L’orizzonte esotico si risolve in un viaggio interiore intorno al concetto di confine, drammaticamente attuale in un mondo ancora costellato di muri e di confini: alcuni concreti, altri interiori, tutti ugualmente complicati da attraversare. […]

  4. Anfiosso, perché tanto livore? Davvero lo stile di alcune, e così poche righe, può irritarti al punto da mettere da parte il “beneficio d’inventario” e ingiuriare, senza motivo, una persona che non conosci?

    Se lo stile di quelle righe può essere criticato, la responsabilità è in buona parte mia, che le ho scelte e assemblate estraendole dalla ampia postfazione al volume. Fuori dal loro contesto può darsi che acquistino un suono diverso, che ci si senta qualcosa di stonato. Se ne può discutere.

    A me sono sembrate belle e significative.

    Ma bisogna saper (e voler) leggere. Trovo che “versi protesi in avanti” sia una metafora efficace per contrapporre una poesia (oggi rara) animata da una visione utopica, che guarda al futuro, a una poesia (oggi più comune) che invece guarda al passato o al presente. Non mi pare un concetto astruso, né il linguaggio di questa o di altre espressioni autorizza agli equivoci e allo sprezzo che tu esprimi.

    Ma non sta a me fare da esegeta ad Anna Chiarloni. Postando, grazie all’ospitalità di Domenico, queste sei poesie volevo solo segnalare ai lettori di Nazione Indiana un poeta, che mi sembra tra i più interessanti del secondo novecento, e che in Italia era pressoché sconosciuto.

    Trovo che Anna Chiarloni e Giorgio Luzzi siano stati generosi nel tradurlo, prestandosi a un lavoro lungo e tutt’altro che semplice, e con risultati a volte eccezionali. Questi risultati possono naturalmente essere discussi, ma meritano rispetto.

    Se non vuoi leggere le poesie, sei libero di farlo. Non c’è bisogno di lasciare nel web le tracce biliose delle tue idiosincrasie. Né di adoperare la lingua come un randello, brandendola per colpire qualcuno.

    Inquinare lo spazio dei commenti in questo modo è un atto vandalico. Stavamo leggendo poesie. Perché fare irruzione nella stanza e sputare per terra?

  5. Se non vuoi leggere le poesie, sei libero di farlo. Non c’è bisogno di lasciare nel web le tracce biliose delle tue idiosincrasie. Né di adoperare la lingua come un randello, brandendola per colpire qualcuno.

    Inquinare lo spazio dei commenti in questo modo è un atto vandalico. Stavamo leggendo poesie. Perché fare irruzione nella stanza e sputare per terra?

  6. @ Anfiosso
    Avresti potuto esprimere le tue riserve con maggiore calma, senza giungere a tanto. Sono dispiaciuto per Anna Chiarloni, ma anche per te, delle asperità che a volte mostri e che oscurano, quando vengono alla superficie, tutto il resto.
    Spero, sinceramente, che questo diverticolo termini qui.

  7. Io dico sempre quello che penso, e certi oscuramenti mi preoccupano pochissimo: magis amica veritas. Né vedo come si potrebbe essere dispiaciuti per la Chiarloni, che ha ben da consolarsi, dato come pare esserle andata in genere, comparativamente al merito, ma non mi riguarda.
    Una volta manifestati dispetto e noja per l’ennesima dimostrazione di insipienza e incompetenza della cosiddetta, no, altro non ho da dire; tranquillizzatevi tutti.
    Non mi mancano le sedi in cui esprimermi, anche con maggior esplicitezza.

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domenico pinto
domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.