UNA LINEA SOTTILE

di Claudio Piersanti


Un pomeriggio d’estate, ormai di tanti anni fa, andai a trovare Romano. Ci andavo spesso in quel periodo, forse avevo anche qualche appuntamento di lavoro a Firenze. Quel che conta è che andai, annunciandomi con una telefonata anche se Romano non usciva mai, verso le quattro come tante altre volte. Non c’era alcun bisogno di un motivo per andarlo a trovare quindi non dissi niente e mi sedetti sulla solita poltrona davanti a lui. Naturalmente dopo averlo baciato sulle guance, di solito piacevolmente ispide di barba e profumate di tabacco. “Scusa se non mi alzo” era la frase con cui mi accoglieva, e allungava la mano verso di me perché mi avvicinassi. Quel giorno Romano mi guardò a lungo un po’ di traverso, e quasi gli veniva da ridere per quello che vedeva. “Non voglio sapere dove sei stato, prima di venire qui, ma stai attento perché non perdonano” mi disse dopo il rapido esame, considerando chiuso lì l’argomento. Io non feci nulla per riaprirlo.

Non voglio attribuirgli doti paranormali ma ho sempre desiderato sapere cosa era riuscito a vedere con i suoi occhi felini. Perché una cosa almeno so farla bene: nascondermi dietro la mia faccia. Mi hanno anche preso in giro per questo: nelle foto ho la stessa espressione da quando avevo un anno. In mezza pagina non si può parlare di Romano, ma si possono ricordare i suoi occhi. Romano scriveva con la punta aguzza degli occhi. Non a caso adoperava la bic ultrasottile, pur collezionando una bella cassettata di penne blasonate. I suoi biglietti sono vergati da una linea sottile. Nitida, chiara, come il taglio di una lametta. Ma nello stesso tempo esile, il segno più sottile possibile dopo il nulla. Una scrittura sottile per scavare più lontano, o alla maggiore profondità. C’è sempre un dentro ancora più dentro. Il suo sguardo era come la sua bic, o meglio il contrario: la sua bic era come il suo sguardo. Sezionava le apparenze, trovava il nervo. Forse sarebbe diventato chirurgo se non ne avesse incontrati di assassini. Romano riusciva a percepire sintomi e pensieri anche se non erano visibili. In un certo senso il suo sguardo acuto non vedeva, ma sentiva. Dopo, accendendo un’altra nazionale, poteva anche parlarti di calcio.

[Questo ritratto del grande Bilenchi che Claudio Piersanti ci ha gentilmente “prestato” è contenuto in: Un uomo contro. Romano Bilenchi, biografia per immagini (a cura di B. Centovalli), edizioni Effigie, 2009, edito in occasione del centenario della nascita]

(la foto di Bilenchi è di Luca Carrà)

5 COMMENTS

  1. Un grande scrittore e amico di mail parla di un altro grande con una maestria spesso lontana dalle righe che di solito trovo in rete. Uno scrittore deve avere questa capacità di intuire e vedere chiaramente il mondo e di svelarlo poi con precisione a chi legge. Che poi l’editoria sia spesso un intralcio è un altro paio di maniche.
    Grazie a Claudio e a tutti voi che lo avete pubblicato
    Francesco

  2. Dell’unica visita a Bilenchi che feci, accompagnato da un comune amico, mi colpì proprio ciò che scrive Piersanti: l’attenzione sincera che rivolgeva alle persone (in questo caso allo sconosciuto che ero). Capivi che si interessava veramente all’interlocutore, e che ascoltava. Dote rara, visto che nella maggior parte di scrittori ho solo trovato narcisismo a sfare e egocentrismo a go go.

  3. @ francesco pecoraro
    Da common reader a common reader: è uscita nel 2009 una edizione completa presso BUR delle opere complete con “Vita di Pisto” (nella versione rivista dall’autore e mai ripubblicata dal 1931), “Il capofabbrica”, “Anna e Bruno e altri racconti”, “Conservatorio di Santa Teresa”, “II bottone di Stalingrado”, “Gli anni impossibili”, “Amici”.
    Sicuramente, il Conservatorio.

  4. “il segno più sottile possibile dopo il nulla”.
    Grazie per questa lettura. Io non conosco Bilenchi, adesso, in sottilissima parte, sì.

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