Previous article
Next article

La performatività vuota di Berlusconi – idee per un nuovo discorso di sinistra

di Christian Raimo
All’inizio del secolo scorso Wittgenstein nelle sue Ricerche filosofiche sosteneva l’impossibilità di uscire dai limiti che il linguaggio stesso ci impone. Cinquant’anni dopo John Austin mostrava come questo linguaggio in cui siamo immersi comprende anche molte delle azioni che compiamo (come promettere, minacciare, testimoniare…). Nell’era della comunicazione che stiamo attraversando sempre di più dovremmo aver presente questa prospettiva di riflessione sul linguaggio, proprio per renderci costantemente conto delle “gabbie” linguistiche in cui siamo rinchiusi.
Mi piacerebbe, tenendo a mente quest’orizzonte, fare interagire l’analisi che proponeva Ida Dominijanni qualche giorno fa sulla crisi di sistema che la debacle del Pdl ha messo in luce – la fine della Seconda Repubblica, così come l’abbiamo conosciuta – con le considerazioni di Giorgio Fontana sulla scomparsa del valore della verità dal discorso pubblico. Per partire dal bisogno, espresso da entrambi, di trovare un modo per opporsi a quella dittatura retorica di cui Berlusconi è tanto causa quanto sintomo.
Lo stato di crisi, secondo Fontana, è quello di una perdita, da un punto di vista logico e quindi morale, della pratica riflessiva in generale: chi ha più a cuore la verità? l’argomentazione razionale è stata soppiantata dall’opinione, dalla chiacchiera doxastica, dalla pseudoinformazione. Il punto è nodale, ma la tensione etica di Fontana rischia di illuderci sulle possibilità di contrasto che potrebbe avere un discorso che si faccia nuovamente forte di una responsabilità nei confronti della verità. Dovremmo essere parresiastici, sembra suggerirci il suo articolo: ossia contro la falsità, contro la finzionalità dell’Italia televisivoide che circonda, dovremmo incarnare quella verità bistrattata come in una forma di resistenza morale. L’esortazione è da condividere, ma il nemico è più plastico, e la domanda che ci dovremmo porre è più ampia.
A che gioco linguistico abbiamo giocato negli ultimi vent’anni? Quale è stato il linguaggio dominante della Seconda Repubblica, di cui Dominijanni dichiara la fine? Quello che va tenuto presente con chiarezza è che con Berlusconi, con la sua pervasività nella scena politica, si è attuato un cambiamento totale nel nostro modo di parlare, e quindi – per restare a Wittgenstein – per relazionarci con il mondo. La Seconda Repubblica, verrebbe da rispondere a Dominijanni, non è stato solo un sistema di potere, ma è stato un sistema di potere che si è fatto sistema linguistico, nuovo assetto sociale.
Qual è stata la più significativa trasformazione che ha portato la discesa in campo del ’93, in questo senso? Che Berlusconi ha via via fatto piazza pulita del livello referenziale del linguaggio, sostituendolo con un livello che potremmo definire “performativo vuoto”. Qualunque cosa Berlusconi dice non si riferisce a una questione in sé (che siano le tasse, il governo, il terremoto, le elezioni, o qualunque altro tema): quello che Berlusconi dice è sempre un fare. È un mostrare di esserci, è rassicurare gli italiani con i ghe pensi mì, è farsi vedere sorridente o abbronzato o ferito, è insultare l’opposizione, è fare killeraggio mediatico attraverso i giornali di famiglia, è condizionare i telegiornali pubblici fino a farli omettere le notizie o farli parlare di “strani calzini turchesi”, è vantarsi dei propri risultati o delle proprie virtù sessuali, è divertire con qualche barzelletta, è promettere cure per il cancro… Finisce con l’essere indifferente se le sue frasi siano credibili, sensate, ancorate al reale, non autocontradditorie… Il senso di ciò che dice sta sempre nell’effetto che queste frasi producono. Per questa ragione Berlusconi può permettersi di enunciare un giorno una cosa e smentirla senza troppe remore il giorno successivo. Le sue affermazioni non devono passare il vaglio della coerenza logica o morale. Quello che andrà valutato del suo discorso – se riconosciamo che il senso coincide con l’effetto – sarà solo l’effetto che farà la smentita il giorno dopo.
Si capisce forse così perché il richiamo di Fontana a un recupero della responsabilità della verità rischia di essere un’arma spuntata nei confronti della “performatività vuota” del discorso berlusconiano. È questo il gioco linguistico in cui siamo precipitati. Nell’indifferenza del senso, vale chi fa più effetto. A questo gioco siamo costretti a giocare da ormai vent’anni. È questa la retorica che si impara dai media, e poi anche a scuola, in famiglia, in tutta la società.
Se la sinistra prova a fare opposizione, se la sinistra prova a praticare un’altra retorica, se la sinistra propone le sue ragioni, Berlusconi ha sempre una gran facilità a controbattere. Sa semplicemente giocare meglio a quel gioco linguistico che lui stesso ha contribuito a rendere onnipresente, sistemico. Si tratta di performare atti linguistici persauasivi: fare la vittima anche se si è l’uomo con più potere di tutti, tagliare corto quando il confronto tocca questioni reali, inventare dati, urlare più forte, sorridere, surclassare, contrapporre sempre la propria auto-promozionalità…
Bisognerebbe allora forse – da parte di chi vuole sconfiggere Berlusconi e il berlusconismo anche quando Berlusconi in carne e ossa non ci sarà più – imparare a maneggiare un po’ meglio questa retorica “performativa vuota” e rovesciarla a proprio vantaggio. È una strategia assimilabile a quella che indica Judith Butler in Parole che provocano, quando rifacendosi alla critica che Derrida apporta a Austin, spinge verso una battaglia politica che combatta al livello performativo quello che non può essere combattuto nella normale dialettica. Ossia, nel nostro caso?
Facciamo un esempio: mettiamo che invece di provare a opporre delle ragioni logiche, un discorso realistico, a un Berlusconi che fa proclami deliranti sul cancro sconfitto in tre anni, noi scoprissimo le carte di questo stile pubblicitario: esasperandolo, parodizzandolo, prendendolo alla lettera. Di fronte a una dichiarazione del genere, un leader di sinistra potrebbe semplicemente dire: “Tre anni sono troppi: la sinistra lo farà entro l’autunno”. Oppure: rispetto a Berlusconi che disegna un qualsiasi progetto politico, si potrebbe replicare: “Apprezziamo molto le posizioni politiche di Berlusconi, l’unica preoccupazione è che Berlusconi puzza, stargli vicino è un problema”. Berlusconi è brutto, Berlusconi puzza, Berlusconi è vecchio, Berlusconi non sa l’inglese, Berlusconi si mangia le parole, Berlusconi c’ha le orecchie a sventola, Berlusconi c’ha la pelle grassa, Berlusconi ha la forfora, etc… Se non fosse per queste ragioni, sarebbe un valente statista. Questo non è abbassarsi al suo livello, questo è comprendere il suo habitus linguistico. Che è perennemente aggressivo, violento, insultante, parossistico. Se quando Berlusconi si riferisce a Rosy Bindi può liquidarla senza troppi pudori come una lesbica cozza, se un quotidiano come il Giornale può titolare a nove colonne Boffo frocio, perché non pensare di opporsi a questo stile provando a disinnescare la violenza evidente e implicita di una comunicazione di questo tipo? Non basta fare i signori. Non è sufficiente esibire un altro stile. E non  si tratta neanche di rispondere a violenza con violenza. Occorre invece  mostrare l’inefficacia di quest’aggressione, sabotando la violenza. Pensate – è uno degli esempi che fa Judith Butler – il riutilizzo della parola queer come forma di rivendicazione identitaria: l’insulto si trasforma in uno slogan. E con il linguaggio berlusconiano il passaggio di cui abbiamo bisogno è ancora più radicale: rispetto a un linguaggio che non è dialettico ma performativo, l’unico contrasto possibile è fare fallire il suo atto.
Come? Se qualcuno, per dire, fa un’affermazione, io posso oppormi replicando che è vera o falsa, condivisibile o meno: mi confronto con il contenuto di quest’affermazione. Ma se io voglio oppormi a qualcuno che non fa un’affermazione, ma una minaccia, una promessa, una testimonianza, non ha senso che io mi confronti con il contenuto di questo atto. Posso piuttosto mostrare che questa promessa non è valida, che questa minaccia non è efficace, che questa testimonianza non è credibile. Posso insomma invalidare l’atto linguistico. Così con Berlusconi non ha senso criticare questa o quella sua affermazione, ma ha più forza divincolarsi dal suo abbraccio retorico, per delegittimare costantemente il suo discorso. Smettiamo di porre questioni morali (a che è valso scandalizzarsi perché frequentava minorenni o perché la sua ricchezza è in odore di mafia?) o di disprezzare il suo progetto politico (quale?): ciò che serve per smontare Berlusconi è semplicemente mostrare che si tratta di un pessimo performer, un attore di quart’ordine, un animatore da villaggio turistico noioso, un cantante da crociera sulla via del tramonto. È un vecchio bolso e rompipalle, non una cattiva persona.

(scritto per il manifesto)

54 COMMENTS

  1. La proposta sembra provocatoria ma potrebbe essere reale, o no?

    Non so, a me viene la pecolla ogni volta che sento le affermazioni di Bersani che critica Berlusconi, tipo “Aveva detto che sarebbe stata una finanziaria giusta, e invece…”; punto primo non ci si puo’ appellare ingenuamente alle sue affermazioni, come farebbe un bambino.

    Allora, prendendo per seria la proposta di questo post, servirebbe una comunicazione su due canali, una per le “masse”, in cui si dice che B puzza, e’ vecchio, usa il viagra, ecc. ecc., una seconda per chi vuole capire (chi?), dicendo come avremmo fatto la finanziaria noi, e quali vantaggi comparativi avrebbe portato per il paese (un po’ stile lavoce.info, ma ovviamente piu’ politico). Ovviamente le due comunicazioni dovrebbero passare su canali diversi.

    La comunicazione “facile” (la prima), me la posso anche immaginare, ma il punto della seconda e’ che bisognerebbe che chi fa politica in opposizione a B trovi i mezzi tecnici e culturali per farla. Certamente questi mezzi in Italia ci sono, ma quali partiti di opposizione hanno il coraggio o la capacita’ (o solo: i mezzi?) di utilizzarli?

    Di certo, Bersani non puo’ continuare a lasciarsi dietro titoli che partono con “Berlusconi aveva detto”.

  2. Interessante. Ma, come è ovvio, mi verrebbe da dire: e poi? Non pensi che (forse) è questa un po’ la tecnica performativa di un Grillo? C’è forse un elemento che hai sorvolato, e cioè che nella pragmatica del discorso, e mai come oggi risulta ben visibile, l’importante è CHI parla, è l’autoreferenzialità del linguaggio, l’autorità/autorevolezza del’io che promette, giura, minaccia, di fronte all’autorità/autorevolezza (e maggiore o minore passività) del ricevente, il quale riceve allo stesso tempo, insieme all’atto linguistico, anche un io reversibile.
    Insomma, qualsiasi atto performativo è un’interlocuzione. Ed è per questo che forse bisognerebbe ragionare sullo statuto identitario dei due interlocutori (sui quozienti di attività e passività dello scambio). Perché se la performatività vuota di Berloscuni è efficace, è perché non solo di singoli singli atti linguistici performativi si serve, ma anche e soprattutto di NARRAZIONI performative: Berlusconi SI è costruito un’identità narrativa efficace che, reciprocamente, “dona” al ricevente (l’Italia) un’identità narrativa che, evidentemente, lo soddisfa – al meno al livello di effetto linguistico.
    Ora: come nel caso della parola queer, che citi: la sinistra ha un’autorevolezza identitaria altrettanto “efficace” da opporre a quella berlusconiana perché i suoi (della sinistra) atti performativi siano altrettanto efficaci? Perché il movimento omosessuale che riaccentua la parola queer, riappropriandosela, però partendo da un discorso identitario politicamente costruito e “forte”, è un buon esempio, ma si converte in un contro-esempio se guardiamo alla sinistra attuale. Dietro il queer c’è la ricostruzione di un mondo di vita. E’ solo da questo mondo que può convertirsi in uno slogan performativamente efficace. Non parlo di verità, ma di costruzione di mondi identitari che diano autorevolezza alla promessa, al giuramento, alla performatività dello slogan – e, da sinistra, riducendo al minimo il ruolo dell’autorità che sminuisce l’attività del ricevente.
    E’ per questo che quando sento Vendola parlare di costruire un’altra narrazione, sono d’accordo nel parlare di narrazioni. Ma da dove? E CHI è in grado di costruirla attualmente?

  3. Questa de-costruzione della retorica berlusconiana cui si opporrebbe una contro-retorica è tanto seducente sul piano analitico quanto politicamente sterile. La retorica del potere è sempre più o meno vuota (vogliamo parlare della “grandeur” mussoliniana, degli “opposti estremismi” d’epoca centrista o della “modernizzazione” craxiana?), ma essa serve a razionalizzare, a giustificare a posteriori, non a generare il consenso, che invece nasce da questioni molto reali.
    Al di là delle campagne acquisti che gli procura la sua ricchezza personale e dall’ingenua speranza della piccola borghesia di imitare le sue fortune, il consenso decisivo a Berlusconi viene dalla Lega che gli dà la maggioranza dei collegi del nord (toltogli quello il suo governo nel 94 è caduto e oggi l’asse con Bossi è l’unica forza reale su cui si regge). A sua volta il consenso della Lega nasce dal fatto che ci sono almeno tre regioni del sud soggette ad un’economia criminale, buco nero per la finanza pubblica quasi interamente sostenuta dall’economia settentrionale. Berlusconi è in ostaggio di Bossi e si appresta a varare un federalismo che è in realtà una secessione mascherata, e l’unica maniera per evitarlo è fare quello che nessuno da Giolitti in poi si è mai sentito di fare: risolvere la questione meridionale sul serio, nell’unico modo possibile, non con qualche arresto eccellente ma con una guerra vera all’economia criminale, fatta di esplorazione sistematica di conti bancari e attività imprenditoriali, insomma non bombe “intelligenti” sganciate da diecimila metri ma con il controllo del territorio, quello con cui le guerre si vincono.
    Non piace il gergo militare? Neanche a me. Ma in questo paese dove non c’è mai stata una vera rivoluzione, questa è una necessità. Dagli anni Cinquanta all’altroieri l’economia del centro-nord ha potuto tollerare l’anomalia, facendosene carico con le proprie eccedenze, ma nell’ultimo ventennio le cose sono cambiate: tutti hanno capito benissimo che il nuovo boom economico non ci sarà e la minaccia della secessione è reale, se non già iniziata nei fatti (guardate i dati su scolarizzazione, sanità e servizi). Non si tratta di corteggiare la Lega da sinistra, ma di eliminarne la ragion d’essere risolvendo la questione che la origina.
    Altro che parole vuote. Italianità e legalità sono parole piene che possono cementare un’alleanza politica, ma solo tra coloro che possono permettersi di usarle.

  4. ..e pensare che basterebbe una buona scuola primaria e secondaria.. per avere dei cittadini e non solo dei plagiabili e rozzi consumatori..

  5. La via dell’ironia e del sarcasmo, in politica, è spesso controproducente. Occorre ricordarsi il livello intellettuale di chi vota lo squalo e i “valori” che quel livello genera. Se si rispondesse che tre anni per la cura definitiva del cancro sono troppi alcuni milioni d’individui, insieme ai giornali di famiglia del berlusca, accuserebbero la sinistra di demagogia. Emilio fede e le vecchiette che lo bombardano di lasciti ereditari comincerebbero a lamentarsi di non sentirsi ringiovaniti e Ferrara di non essere dimagrito. Infine Feltri pubblicherebbe le interviste ai moribondi e le foto delle loro autopsie fatte con largo anticipo sulla tabella di marcia del progresso vantato dalla sinistra che la destra attuerà quanto prima, appena il debito pubblico lo consentirà.

  6. quello che dici è molto interessante e attiene alle strategie comunicative mirate a ottenere il “consenso” o per megli odire a “vendere” un prodotto (prendi il mio dash invece di due fustini).
    Ma la sinistra si puo’ accontentare di questo?
    seconda domanda: se Il performativo vuoto di b. riesce ad essere così efficace forse è anche perchè trova un humus culturale fertile, forse è perchè riesce a parlare al “basso ventre” di questo paese e a tirare fuori il peggio di esso.
    c’e’ un problema secondo me culturale (antropologico) nel nostro paese, una costante storica dei modelli di comportamento che viene prima e sopravviverà a berlusconi.
    In fondo le pratiche di potere degradate, eversive, la corruzione e l’ingiustizia, c’erano anche prima di berlusconi, probabilmente, la possibilità di lasciare le bricciole agli umili (facendo debito sulel spalle delle generazioni future) ci ha illuso che si stesse meglio quando si stava peggio.
    terza questione: sconfiggere l’avversario, andare al potere, non basta.
    Bisogna avere il coraggio, l’incoscienza di immaginare e costruire un sogno, per tirar fuori il meglio di questo paese. mettere al centro del discorso politico e dell’agire sociale a tutti i livelli e in tutte le relazioni, il senso del bene comune, la preoccupazione e la cura del futuro.

  7. ciao christian.

    innanzituttto una pignoleria: la tesi dell’impossibilità di uscire dai limiti del linguaggio è espressa non nelle ricerche (anche se ovviamente ritorna in maniera pluralista) ma nel “tractatus” (prima edizione 1921; la proposizione di riferimento è la §5.6). immagino sia un banale errore di confusione, visto che poi citi austin che arriva “cinquant’anni dopo” (“how to do things with words” è del ’62, siam lì).

    la lettura del berlusconismo come sostituzione del riferimento con la performatività vuota è eccellente, e centra pieno il discorso.

    non mi convince però la “soluzione” di adottare la sua retorica e rivolgerla contro il suo sistema. devo fare una premessa: nel mio articolo non volevo fare un discorso politico in senso stretto, nel senso che non era mio desiderio proporre una strategia o programma per la sinistra.
    volevo semplicemente richiamare l’attenzione su un nodo cruciale a tutti i livelli: il berlusconismo come spregio dell’argomentazione e della distinzione vero-falso attecchisce un po’ ovunque. proponevo di combatterlo innanzitutto nella vita di ogni giorno, di recuperare una tensione etica verso il vero – e soprattutto verso la logica – che mi sembra in piena crisi.

    sulla questione squisitamente politica che tocchi, non saprei. continuo a pensare che usare, anche a fin di bene, le armi retoriche e vanamente performative di berlusconi non sia affatto indolore, e si trascina dietro grossi rischi.
    questo per due motivi:

    1. forse la retorica del berlusconismo non è separabile in maniera chirurgica da chi la attua. ci vuole talento a essere immorali e assurdi quanto lui e i suoi seguaci – non è una cosa che si improvvisa e non è una cosa che si lascia separare da una notevole dose di iniquità morale. il modo in cui parla è specchio del modo in cui uno pensa – di ciò in cui uno crede.
    calato nel mondo reale: ce li vedi bersani o vendola a fare delle sparate del tipo “Apprezziamo molto le posizioni politiche di Berlusconi, l’unica preoccupazione è che Berlusconi puzza, stargli vicino è un problema”?
    attenzione: non si tratta solo di una questione relativa all’esistente. possiamo augurarci senza problemi che arrivi qualcuno in grado di elaborare un’antiretorica di questo tipo. un tizio di nuovo genere, brillante, davvero fico, che sappia parlare a più livelli, che non abbia quella forfora noiosa da linea del partito sulle spalle, ecc.
    ma non suonerebbe comunque stonato rispetto ai valori di una politica di sinistra? (che dovrebbe combattere appunto queste forme distorte di discorso politico e populistico ecc. – almeno, per come la intendo io.)

    2. se “ciò che serve per smontare Berlusconi è semplicemente mostrare che si tratta di un pessimo performer, un attore di quart’ordine”, la mia domanda è: mostrarlo a chi?
    evidentemente non a chi lo sa già, ma a chi dovrebbe capirlo: diciamo in senso molto, molto ampio i “berlusconiani”.
    da quel che ne ho capito io – ma è una mia ipotesi – ci sono due tipi di berlusconiani. quelli convinti (e mi paiono inguaribili) e quelli che lo fanno per mera convenienza (che si fanno convincere solo dal ricavo personale e non da altro – né argomentazione né satira).
    questo è il punto radicale. forse non si tratta tanto di “mostrare” a chi crede fermamente in berlusconi che berlusconi è un pessimo performer. con tutto quello che ha fatto, un berlusconiano dovrebbe averlo capito già da sé. ma è possibile convertire (perché se non c’è argomentazione, di conversione si parla) un berlusconiano della prima specie, un “convinto”, un “fideista”?
    non lo so.

    il mio invito è semplicemente quello di puntare i piedi e, sì, testimoniare che un’altra via – quella dell’argomentazione, dell’etica e del rispetto – è possibile. senza toccare l’arma dell’avversario.

    è sufficiente? non lo so. forse no. non sono affatto un esperto di strategie politiche.

    giorgio

  8. scusate rispondo solo a giorgio perché non posso dilungarmi ora, cercherò di farlo in seguito.
    a) anche nelle ricerche in vario modo wittgnestein sostiene o sottintende l’impossibilità di uscire dal linguaggio, sono idee che elabora nel Tractatus hai ragione, e quei cinquant’anni stavano a segnare questo passaggio
    b) ho talmente apprezzato il tuo articolo come vademecum privato – come ha ragione da vendere ares che chiede una nuova alfabetizzazione che parta dalla scuola – che ho provato un discorso che mostrasse l’altra faccia di questa ricostruzione dell’identità della sinsitra, che per me non può che ripartire da due valori fondamentali e dimenticati: educazione e uguaglianza.
    c) il punto è che questa pars costruens non vale niente se non diventa bravi a contrastare la retorica berlusconiana. Se il linguaggio che ci tocca è il fascismo della pubblicità bisogna essere scaltri come volpi. Ma pensate a un leader di sinsitra che dica semplicemente: Berlusconi parla un inglese di merda, scusate ma come cazzo si fa a mandare questo leader nel mondo. Perché nessuno lo fa? Perché Rutelli, Veltroni o Bersani parlano un inglese deperito quanto quello di Berlusconi. Non attaccano ciò che metterebbe in cirsi il loro tipo di autorevolezza. E’ questo il grosso limtie della sinistra. Berlsuconi è un alibi alla loro inconsistenza.

  9. @massimo vaj:
    non è ironia è sarcasmo, è disvelazione del meccanismo perfomativo vuoto, del linguaggio pubblicitario
    se berlusconi feltri o bossi si sono appropriati della retorica della violenza – stando al governo! è questo il paradosso! – occorre sfarinare quest’arma retorica.
    Se una persona mi dice: ti stupro; la sola arma retorica che ho per disinnescare la violenza delle sue parole, è dire: va bene stuprami, vuol dire che godrò per farti dispetto.
    Zizek insegna.

  10. @ carmelo
    sono d’accordissimo, il senso del bene comune.
    come occorrerebbe un corso di educazione civile a scuola, così occorrerebbe un corso di marxismo di base per chi si schiera a sinistra. La divisione del lavoro, la condivisione dei mezzi di produzione, l’accesso ai saperi, etc…
    Non sarebbe neanche un discorso complicato se il Pd non lottasse per affermarsi come partito liberale di centro da contrapporsi all’egemonia berlusconiana nella destra moderata. Bersani propone Tremonti come leader, altra gente Casini, altri Montezemolo.

  11. A parte la morte naturale per infarto o emorragia cerebrale fulminante, io penso che l’unica strategia per scalfire Berlusconi e la sua aura da bulletto di quartiere pieno di ruffiani, donnine e dane’ sia quella di prenderlo a sberle. Sberle reali. L’unico momento in cui tutto il berlusconismo e’ stato sul punto di cedere come un castello di carte e’ stato la sera di Tartaglia, l’ingegnere fallito e psicopatico che gli tiro’ la statuetta del Duomo in faccia. Li’, nell’incredulita’, nello spavento del vedersi minacciato lo spazio vitale, e’ emerso il vecchio impaurito. Non solo, ma impaurito.

    Ora, questi discorsi rozzi, violenti, andavano bene a fine Settecento, nell’Ottocento e nel Novecento russo o cinese e quindi non e’ elegante farli nel 2010 occidentale, ma la reazione naturale, animale, alla “societa’ di vecchi” che ha fermato il Paese puo’ essere solo quella di rompergli il culo e lasciarli morti a terra. Perche’, rendetevi conto, mentre abbondano le analisi, i ragionamenti, le punte di fioretto in stile declamatorio, in un mare di mezzi squali lo squalo piu’ grande ha mangiato tutto e fatto il resto a sua immagine e somiglianza. Immagini ridicolizzate dalla stessa sinistra di comici: il Caimano e altre iconografie semi mafiose di malcelato apprezzamento, invece che di sano e conflittuale istinto di classe

    (la classe dei figli di un dio minore, dei non raccomandati, non truffatori, quelli che non hanno una pensione di invalidita’ finta, non hanno due o tre case e macchine intestate a societa’ fittizie, non hanno mamma e papa’ che li tengono in casa fino a quarant’anni… in una parola, animali adulti che hanno bisogno di un certo decente spazio per vivere e sbranano chi li tiene in cattivita’).

    Ci sono nobili precedenti sulla strada della violenza di massa popolare che appende al muro ladroni e parassiti, il piu’ illustre vicino a noi essendo la Rivoluzione Francese, ma mi viene anche in mente il Ruanda se vediamo ormai l’incomunicabilita’ tra sinistra e destra a livello di diversita’ tribali quasi ontologiche.

    Se pensate che gli istinti piu’ anti ordine costituito vengono dalla feccia europea e asiatica che emigra tutta contenta nel nostro Paese e si butta contro i nostri bei campioni indigeni nella gestione delle piccole e grandi attivita’ criminali, potete rendervi conto che l’Italia e’ gia’, allo stato attuale, una nazione finta, una di quelle terre a sovranita’ limitata, in effetti a sovranita’ parziale, essendo il sud in pratica controllato dalle mafie e il resto d’Italia in mano ad infiltrazioni o bande di predoni locali.

    Quindi altro che performativita’ vuota o discorso linguistico… i mezzi per rovesciare un governo sono altri e il primo passo e’ non accettarne piu’ le regole compiendo atti di anti legalita’ reali, il conflitto, la lotta strada per strada. Magari in nome di altre regole presuntamente migliori, ma che la Storia dimostra non essere mai veramente migliori… solo diverse, un altro gruppo di predoni che si ritiene piu’ furbo e non viene fatto mangiare abbastanza, quindi sale sui monti.

    Per questo il discorso sul berlusconismo, sul suo sultanato corrotto e crapulone, e’ solo una vuota lagnanza di gente tagliata fuori dalla divisione della torta. Qualcosa di pre-economico e anche di pre-politico. Siamo proprio a livello basilare, c’e’ una torta sola e il piu’ bastardo se la mangia tutta.

  12. @ giusco
    non sono d’accordo
    berlusconi lascia ancora un argine agli istinti politici peggiori: il rischio è che dopo non venga montezemolo ma un karadzic, un berisha, un crapulone sul modello di gheddafi o del montenegro, un mafioso tout-court come accade in vaste terre del sud con cosentino, cappellacci, o in vaste zone del nord con personaggi impresentabili come borghezio, salvini, il trota, etc…
    berlusconi è comunque un uomo di altri tempi, veste in giacca e cravatta. il suo successore potrebbe essere un uomo tatuato con fantasmini e pinocchietti, che parla non alla pancia ma direttamente al cazzo della gente.
    vuoi sdoganare questa rovina antropologica?
    prendere a sberle berlusconi non vale se queste sberle non hanno un valore simbolico. Sarebbero sberle moralistiche e come tali inefficaci – Tartaglia è matto, lui stesso l’ha riconosciuto. Sarebbe stato allora utile che Tartaglia invece legittimasse simbolicamente quel gesto, dicendo: gli volevo menare, da vicino mi sta proprio antipatico, non sono di sinistra o di destra, ma A PELLE Berlusconi mi sta sul culo. Mi faccio due anni di galera, ma rivendico quest’insofferenza.

  13. @Raimo

    Berlusconi non e’ della pasta e di quelli che citi tu e ha di buona una cosa: fa intravedere il meccanismo di creare piu’ di una torta, cosicche’ lui possa mangiare indisturbato la sua e gli altri indisturbati la loro. In effetti si tratta di pirati, non c’e’ alcuna creazione di valore aggiunto, ma e’ tutta sottrazione (di beni pubblici, di tasse del contribuente, di fondi europei, di fondi a provenienza illecita).

    E’ un sultanato, uno di quei paesi in stile Golfo nei quali la vita e’ apparentemente tranquilla, ordinata, ma un pesante apparato repressivo mediatico (chiedi a Boffo e Fini) killera gli indesiderati e tiene imbrigliate le energie spesso ingenue delle masse, che qui da noi occidente evoluto si chiamano cittadini o meglio contribuenti. Per non parlare dell’apparato poliziesco che ben si manifesta in ogni occasione di manifestazione alternativa.

  14. @giorgio fontana
    da quel che ne ho capito io – ma è una mia ipotesi – ci sono due tipi di berlusconiani. quelli convinti (e mi paiono inguaribili) e quelli che lo fanno per mera convenienza (che si fanno convincere solo dal ricavo personale e non da altro – né argomentazione né satira).

    Se in questo paese (non in spagna o in nuova zelanda) Berlusconi nonostante l’inconsistenza della sua azione di governo (che pagheremo tutti a caro prezzo) e l’inarrestabile degrado civile e culturale cui questo paese sembra condannato, ha un forte e reale consenso, ci sara’ un motivo, o no?
    Se accanto ai milioni di elettori che votano imperterriti le veline, i mafiosi, gl iavvocati, i lacchè di questo signore,
    ci sono altri milioni di elettori che pur sapendo, sono ben contenti dello sfasci odel paese perchè pensano che piu’ il pase si sfascia piu’ aumentano le possibilità di creare il folle sogno di una padania ricca e incontaminata, ci sarà un motivo, o no?
    Il motivo è semplice: Bossi e Berlusconi hanno dato cittadinanza al lato oscuro e latente che è insito nel comportamento della maggioranza degli italiani;
    L’individualismo estremo (non solo e’ lecito che io persegua i miei interessi a scapito del bene comune, ma rivendico il diritto di compiere illegalita, di non pagare le tasse, di commettere un abuso edilizio, di sottrarmi alla giustizia, pur di perseguire i miei interessi) e cinico ( se tu commetti un abuso, inquini e distruggi un bene comune – esempio il paesaggio – ti comporti contro gl iinteressi collettivi, non me ne frega niente a patto che non ledi e tocchi i miei interessi).
    Questa è l’ideologia in cui si specchiano gli italiani.
    Ma come e’ possibile che delle bravi madri, magari onesti e lavoratrici, impongano l’espulsione di bambini perche i genitori non hanno soldi per pagare la mensa?
    Allora dobbiamo una volta per tutti essere consapevoli che questi comportamenti Corporativi, incivili, egoisti e deleteri per la convivenza civile rigaurdano una larga fetta della popolazione italiana.
    M;a davvero pensate voi che i milion idi abusi edilizi che ci sono stati in questo paese siano solo opera di una banda di di speculatori reazionari e fascisti?
    ha ragione christian raimo, sono completamente d’accordo con la sua analisi e la sua ricetta, circa l’urgenza da parte della sinistra e di coloro che schierano a sinistra, di essere consapevoli di dover rifiutare non a parole , ma nell’azione quotadiana, nei comprtamenti , nelle relazioni sociali, questo modello corporativo, familiare, clientelelare. mettere l’interesse collettivo, il bene comune in cima alla scala dei valori, prima del profitto, prima degl iaffetti familiari, prima della perversione consumista, prima delle ambizioni…
    nei nostri comportamenti e in quelli dei nostri figli, dei nostri cugini, nipoti, amici conoscenti, specie se rivendicano di stare a sinistra.
    E’ illusorio pensare che la sparizione di berlusconi, o che la vittoria del pd (?!!!) possono da sol icambaire le cose

  15. Christian, io ho una domanda. Ammettiamo che la strategia funzioni. Come ricostruiamo un senso condiviso in politica? Con quali idee? Quali parole? Quali sensi? Al di là della testimonianza di cui parla – brutalizzo – Giorgio, intendo.

  16. federica: il lavoro di rialfabetizzazione è immenso. ma anche piacevole. scuola, arte, educazione, condivisione, relazioni… tutto quello che è stato utile dalla Atene del V secolo in poi

  17. e poi federica veramente se fossi un leader di sinistra, accanto a questa strategia destruens, metterei in campo una strategia costruens: una biblioteca in ogni quartiere, un teatro in ogni quartiere, più fondi alla scuola e all’università. è quello che diceva Blair – Blair!!!! – vent’anni fa.

  18. non ho letto tutti i commenti, ma questo pezzo di christian raimo mi lascia abbastanza sconcertato; chissà poi perché dover tirar dentro (un po’ maldestramente) Wittgenstein e Austin e Derrida, per parlare di un vecchio fenomeno, che non ha inventato Berlusconi – anche se lui ne è l’ultimo, oltranzista interprete italico – il fenomeno della menzogna politica e della verbosità;

    non ti ricordi più Christian delle “convergenze parallele” e delle tante astuzie lessicali che infarcivano il linguaggio DC? La caduta del referente e le formule iperboliche (oltre che gli eufemismi) sono pane quotiduano dei totalitarismi novecenteschi: Franco Cordero, in “L’Italia nel nodo scorsoio” ricordava come fu ribattezzata la legge dei pieni poteri di Hitler: “legge che libera popolo e stato dalla miseria”…

    quindi, giustissima l’osservazione che già hai fatto qui in passato su NI riguardo alla lotta contro la riflessione, l’argomentare, propria della macchina d’aggressione e ululato di Berlusconi… ma davvero non capisco il senso finale della tua proposta…

    Non ho letto la Butler, ma il modo in cui la applichi al caso Berlusconi mi sembra poco intellegibile. Dobbiamo buttare a mare la verità (magari anche la scienza, i bisogni reali) per giocare al gioco di uno psicotico, che con mezzi potentissimi e diabolica efficacia, sta plasmando la realtà sul modello della sua allucinazione? Buttiamo via tutti gli strumenti del pensiero critico, delle scienze sociali, i valori fondamentali che ancora tengono assieme le società per rovesciare granghignolescamente la retorica del nostro piccolo e micidiale premier? Questo è quello che già, quotidianamente, ognuno di noi fa nella vita privata. E lo si fa spesso e volentieri anche in piazza. Ma da un forza parlamentare di opposizione mi aspetto qualche cosa di diverso. Innanzitutto, che non ceda su alcuni valori fondamentali. E poi che sappia aprire lotte su obiettivi strategici per il vivere comune e diversi da quelli – pur sacrosanti – della difesa di alcuni principi costituzionali.

    Due ultime osservazioni. Dici “È questa la retorica che si impara dai media, e poi anche a scuola, in famiglia, in tutta la società.” Calma. Forse nei media, e non in tutti. A scuola mi pare proprio di no, e ci lavoro. Noi a scuola abbiamo ancora materie come la matematica, la storia, la filosofia, le scienze sociali… In famiglia, calma. Non tutte le famiglie hanno i gusti del Caimano e della sua banda. In “tutta la società”? Se così fosse il tuo pensiero sarebbe incomprensibile. ll quadro è già abbastanza nero, non c’è bisogno di annerirlo con iperboli.

    Poi concludi: “ciò che serve per smontare Berlusconi è semplicemente mostrare che si tratta di un pessimo performer, un attore di quart’ordine, un animatore da villaggio turistico noioso, un cantante da crociera sulla via del tramonto. È un vecchio bolso e rompipalle, non una cattiva persona.”

    Ma stiamo scherzando? Ma qui quale sarebbe il gioco al quale dovremmo metterci a giocare? Berlusconi è un individuo altamente pericoloso e malvagio. Non solo, ma a differenza di quanto dici: come performer è estremamente efficace. Ma hai mai visto i filmati di Mussolini? Non c’è forse qualcosa che oggi ci appare più risibile di quelle smorfie dal balcone? Eppure sotto c’era la piazza estasiata ed urlante. Dunque i politici più pericolosi saranno anche attori di quart’ordine – in un teatro – ma sulla scena politica sono sufficientemente abili da farsi passare per statisti di prim’ordine.

  19. Io invece lo capisco Raimo, vuole far soffrire berluschi, anche io la penso così, mi accontento di piccole cose, godo quando il milan perde nei derby o quando lo contestano per la campagna acquisti inesistente, con lui che dice “dovrebbero farmi un monumento e invece mi contestano” lo dice a bondi, lo dice a fede, lo dice a tutti che soffre quando non lo amano e a me piace pensarlo sofferente, e mi sento di appoggiare l’iniziativa di Raimo, dirò a tutti quelli che incontro, quando sarà il caso di polemizzare contro berluschi, che c’ha il cazzetto, lo colpirò sul vivo, dirò “ma chi, berlusconi, quello col cazzetto?” Voglio che si sparga la voce. sai come ci soffre quel vecchio imbottito di viagra. bersani dovrebbe dirlo in campagna elettorale, da alessio vinci. dire “sono molto dispiaciuto che il nostro premier abbia un piccolo pene, come si dice in giro, questo lo squalifica agli occhi della comunità internazionale, squalifica noi come italiani tutti, è davvero inacettabile che un uomo che ha fondato la sua politica sulla vendita della donna intutte le sue forme abbia, come dire, un piccolo pene. è davvero intollerabile”
    Un cazzetto sconfiggerà berlusconi. chi l’avrebbe detto. non ci voleva tanto. ;)

  20. Alessandro Ansuini: per carità, gli esorcismi fanno sempre bene. Ma rimangono esorcismi. Si può andare anche in giro dicendo, a qualche indigente, che in realtà Berlusconi è molto più povero di lui. Per qualche minuto ci si sente magari tutti meglio. Questione di minuti.

  21. Andrea, non sono d’accordo. Un nemico è tanto più pericoloso quanto lo si sopravvaluta pubblicamente. E con questo si tratta di sottovalutarlo privatamente. Mussolini era un retore più decente in un mondo di analfabeti. Berlusconi è una palla quando parla in un mondo di gente che sa cos’è la comunicazione.

    Non voglio essere né paradossale né sarcastico né provocatorio in quello che propongo. Non serve: i discorsi paradossali, trasversali sono solo di destra.

    La performatività vuota berlusconiana è diversa a mio avviso, da un punto di vista teorico, dalla menzogna politica. Si mente quando c’è un piano referenziale da occultare. La performatività vuota di Berlusconi è diversa da una retorica totalitaria, che ha bisogno di una censura esplicita che non ne sveli la possibilità di critica. La performatività vuota di Berlusconi è diversa da una retorica orwelliana, che può fare a meno della censura solo se ha un capillare controllo dei dispositivi di creazione del linguaggio. La performatività vuota di Berlusconi è pura performance infallibile, perché perennemente verbigerante, con possibilità di autocontraddirsi ogni giorno. Hitler o Mussolini o i potentati della Dc indossavano sempre la stessa maschera, o facevano fatica a cambiarla: Berlusconi ne può cambiare dieci in un giorno.

    Dico che l’opposizione culturale, il lavoro capillare di resistenza culturale noi – a scuola, nelle università, sui giornali, in rete, in famiglia – noi lo facciamo già. Questo è il punto fondamentale. Io ho deciso di smettere di collaborare a Repubblica e insegnare in un liceo perché mi sembrava più importante – da un punto di vista intellettuale, morale – questa seconda ipotesi.
    Non voglio disegnare un quadro fosco per iperboli apocalittiche: dico solo che i frutti dell’educazione televisiva berlusconiana oggi si stanno raccogliendo da una semina avvenuta venti o trent’anni fa. Sono i nativi berlusconiani, persone che non hanno conosciuto un mondo senza cellulare, senza internet, e senza televisioni commerciali, e senza Berlusconi. La sola presenza di questo fenomeno è contagiosa.
    E il problema è prorpio che in Italia si è diffusa un’indifferenza linguistica, morale, logica, di cui probabilmente non abbiamo ancora una consapevolezza sufficiente: questo è il frutto del personaggio malvagio Berlusconi, un modernizzatore senza modernità, un perfetto epigono di Craxi in questo senso.
    Le forze culturali in questo paese ci sono. Quanta gente dedica la vita all’educazione, alla ricerca, alla condivisione dei beni. Quello che manca è legare questa forza a una forza di un messaggio politico. Negli anni ’90, nella buona stagione del volontariato e dei movimenti, uccisa probabilmente a Genova, questo legame seppur labile c’era. Oggi non c’è perché il discorso berlusconiano ha altri dieci anni di rodaggio. E’ pervasivo, è legittimato da un’opposizione che su alcune questioni fondamentali la pensa come Berlusconi: l’uguaglianza, le competenze, i beni comuni, i rapporti con il Sud del mondo,
    Il fascismo è finito perché qualcuno aveva nutrito un repertorio valoriale differente ma anche perché quella retorica militare si era rivelata inconsistente alla prova dei fatti. Non ci sarebbe stato come dire nessun venticinque aprile senza un otto settembre, credo. Come non ci sarebbe stato nessun otto settembre se non ci fossero state quelle forze che avrebbero portato al venticinque aprile.

    Mi dispiace di essere confuso. Ho solo un po’ di stanchezza. Provo a articolare alcuni pensieri meglio in un altro commento.

  22. Berlusconi è solo la manifestazione più evidente di una peste del linguaggio (Calvino) che per comodità potremmo chiamare berlusconismo, a patto di non farla coincidere B. I dirigenti del cosiddetto centro-sinistra non sono diversi, se non per sfumature e accenti, da B., perché parlano un linguaggio anch’esso autoreferenziale: giocano cioè allo stesso gioco di B.
    Per riprendere l’esempio di Wittgenstein, una contro-risposta che resti sul terreno dei giochi linguistici non aiuterebbe la mosca a uscire dalla bottiglia. Il problema non è di trovare la battuta giusta, ma di trovare la battuta che sia la giusta espressione di una prassi che ha luogo fuori dalla bottiglia. Vendola può affascinare per il suo linguaggio poetico, ma la poesia è solo l’espressione di una politica in grado di mobilitare, quando era opposizione come ora che governa, i cittadini su questioni concrete: Vendola può giocare fuori dalla bottiglia perché le sue parole hanno come correlativo oggettivo (faccio un esempio) il milione di firme (su circa uno e mezzo) contro la privatizzazione dell’acqua raccolte nella sola Puglia. Per battere non B., ma il berlusconismo (perché sconfiggere il guerrafondaio B. per ritrovarmi il guerrafondaio D’A. al ministero della guerra, com’è successo nel 2006, non mi provoca alcuna emozione) è necessario connettere le parole di chi oggi detiene il potere con pratiche che lo facciano cortocircuitare. Come, faccio un altro esempio, la distruzione del campo di OGM fatta dai No Global a Pordenone, che ha provocato una spaccatura verticale tra Galan e Zaia. Se un centrosinistra degno di questo nome esistesse, dovrebbe dire subito che Zaia, contrario agli OGM, ha ragione nell’invocare il principio di precauzione sugli alimenti transgenici, e subito dopo spostare il peso sulla generalizzazione di questo principio in ogni ambito, dunque anche sulla sicurezza sul lavoro, e spaccare ulteriormente il nesso tra un pezzo di centrodestra e il mondo imprenditoriale: ma il centrosinistra di Ichino e Damiano, il centrosinistra che ha fatto il salto della quaglia sul traforo per la TAV in Piemonte e ha promesso più inceneritori nel 2008 potrebbe mai farlo? Col rischio di dover essere poi conseguente, se per caso vincesse le elezioni?
    Wittgenstein è importante, perché il linguaggio ha bisogno di terapie: ma con Wittgenstein si corre il rischio di dimenticare che il mondo esiste non solo nel linguaggio, ma anche al di là dei suoi limiti, e che i problemi del mondo non sono solo frutto di una cattiva o sbadata sintassi.

  23. Christian, è tardi e neppure io sono fresco;

    “E il problema è prorpio che in Italia si è diffusa un’indifferenza linguistica, morale, logica, di cui probabilmente non abbiamo ancora una consapevolezza sufficiente:”

    questo è certo il punto fondamentale, sul quale concordiamo in diversi;
    ma davvero non comprendo la proposta che fai: mi sembra davvero un esorcismo; laddove la Guzzanti – per dire – finisce per fare un documentario politico, tu chiedi alla politica di fare satira come strategia per sconfiggere Berlusconi…

    è vero che il discorso razionale è manomesso e reso inservibile di fronte alla potenza di fuoco televisiva, del carisma, dell’immagine, dell’ululato sgarbiano ed è vero che anche l’immagine è un terreno di conflitto sul quale le forme di opposizione devono poter giocare, ma non sarà su quel terreno possiamo illuderci di sconfiggerlo; anche perché, prima o poi, sarà sempre la realtà a chiedere il conto, al di là di ogni vuota performatività…
    anche qui ci sarà un 8 settembre; non so se ci sarà un piazzale Loreto ( per Craxi alla fine c’è stato)

  24. @girolamo e andrea
    mi dite delle cose che mi fanno riflettere non solo su questa questione.
    Ma quello che vorrei esprimere – forse è illusorio – è questo: non è con la satira, con il paradosso, con una strategia che sta solo sul piano di un rovesciamento paradossale che posso liberarmi della strategia comunicativa di Berlusconi. Ma il Berlusconi che esiste nella realtà sarebbe sconfiggibile, il problema è sconfiggere il Berlusconi che esiste nell’immaginario – quello che ha le televisioni, che blatera su troie e tumori, che racconta barzellette. Come si può fare? Per me rianlaizzando continuamente il contesto e usando una performatività piena, ridondando al linguaggio performativo un suo valore.
    Se io fossi un leader di sinistra, per fare un esempio, e mi invitassero da Vespa, invece di rispondere a Berlusconi su questo o sul quel punto, me la prenderei con la confezione della trasmissione che invita le veline a fare le opinioniste, che viene interrotta di continuo dalla pubblicità: comincerei a non dare per scontato quel meccanismo di comunicazione che – anche se fosse vinto Berlusconi – darebbe come esito un consenso pubblicitario.
    E poi attaccherei. Non con la satira? Con la forza verbale che si getti contro l’unica cosa che Berlusconi mette in campo nell’agone politico: l’immagine trasfigurata del suo corpo. Direi: Berlusconi fa schifo. A PELLE. E’ l’unica cosa che dice Berlusconi, il suo messaggio è chiaro: se voti per noi, ti diverti di più, non ti rompe i coglioni nessuno, scopi di più. Punto. Non c’è altro. Basta mostrare – mostrare non dimostrare a parole – che questo non è vero.
    Ma pensate all’atroce, violentissima, reazione che Berlusconi ha avuto rispetto alla separazione con la moglie: una didattica più forte che qualsiasi programma elettorale.
    Quella gli diceva: ti scopi le minorenni, e lui negava. I giornali di famiglia mettevano in prima pagina lei a vent’anni con le tette di fuori e titolavano: troietta ingrata. Nella separazione Berlusconi non ha mai – mai – dato un cenno di tristezza, di rimpianto. Ha trattato veramente la moglie come una troia. Una donna con cui è stato trent’anni. Questo modello di comportamento è stato premiato dalla gente perché nessuno ne mette in luce gli aspetti violenti. Si potrebbe fare.
    Si potrebbe non stringere la mano quando Berlusconi la tende.
    Pensate se ci fosse un leader di sinistra che raccontasse una barzelletta che fa veramente ridere, o che dice qualcosa di assolutamente divertente: non un buffone. Ma una volta sola, una cosa che uno dice: “ammazza, carina questa”. Berlusconi sarebbe in panne. E invece l’ironia del centrosinistra è sempre una palla mortale. Più pallosa di quella da piano bar di Berlusconi.

  25. a christian,

    a parte le perplessità che ho già espresso precedentemente, ti do atto comunque di una cosa: che riflettere su come rispondere a Berlusconi, su come sia DIFFICILE farlo, per qualcuno che comunque DEVE farlo (l’opposizione politica), non è certo inutile né banale.
    Dei due esempi che fai: rimettere in discussione il quadro della trasmissione e la violenza verbale, io credo che sia sopratutto la prima via che non è stata battuta, e non sono certo che la seconda sia la via giusta.

    Un’ultima cosa: che si è spesso detto – ma in orecchie sorde di politici del PD – anche la sinistra può muovere passioni, anche lei gioca con la fede, con l’emozione, con l’irrazionale: ma può farlo coerentemente alla sua storia e alla sua funzione sul piano dell’UTOPIA. E di utopia, in periodo di collasso finanziario e climatico, ce ne sarebbe da mobilitare. Ma su questo, sono più utopici i vescovi CEI che i dirigenti del PD.

  26. andrea su questo sono d’accordo.
    il punto è proprio questo: Berlusconi sul piano della violenza verbale, potrebbe essere liquidato in due minuti. la sinistra non lo fa perché scenderebbe sul piano del nazismo verbale che usa la destra. basterebbe che dicesse: “c’hai i capelli finti, ti si vede una chierica fosforescente in controluce da qua” o cose simili e Berlusconi-l’uomo cerone sarebbe politicamente morto.
    ma questo è un escamotage che toglie il sintomo, non la causa. Su questo mi vorrei soffermare. Curare la causa del berlusconismo è un lavoro molto meno semplice e meno lungo. C’è da analizzare sempre il quadro, ristabilire una nuova etica, delle nuove deontologie, un nuovo codice linguistico; fare un lavoro di fisioterapia sociale enorme. Anche facendo riemergere – non come puri slogan elettorali – i desideri di una sinistra vile e frustrata. Utopia, condivisione, relazioni…. Ma ti rendi conto che la parola “futuro”, dopo la parola “libertà” e diventata patrimonio della destra?

  27. Così a pelle, mi piace la proposta di Raimo. Ma il problema politico non è esattamente quello. I berlusconidi esistono ovunque nel mondo, in alcuni luoghi hanno modo di manifestarsi pienamente (e in questi luoghi la loro inettitudine anche comunicativa si traforma magicamente in capacità comunicativa perchè buona parte del sistema informativo si compiace di definirla così) in altri sono contenuti entro qualche tipo di limite. Quello che voglio dire è: l’anomalia italica non è berlusconi, l’anomalia italica è l’assenza di una opposizione; non la debolezza comunicativa e mediatica dell’opposizione, ma proprio l’assenza di un progetto politico alternativo e anzi, peggio ancora, la presenza di un progetto politico sostanzialmente identico. Educatamente sussurrato anzichè sguaiatamente gridato, ma sostanzialmente identico (vedi il caso Pomigliano ecc.)

  28. @christian
    è vero quello che dici, che cioè di fronte a una strategia comunicativa di tipo chiaramente pubblicitario (scusa se volgarizzo il tuo discorso ben piu’ profondo), che parla al basso, bassissimo ventre, la sinistra non sa opporre una comunicazione efficace di “denudamento del re”.
    Ma il problema, insisto, è chiedersi perchè la maggioranza dell’elettorato accetta questo linguaggio performativo vuoto come l odefinisci.
    Questo paese e’ una sommatoria infinita di interessi corporativi (persino all’interno della classe operaia sin dagli anni 70 si e’ teroizzata l’esistenza di un mercato del lavore centrale forte e di uno ben consistenbte, “periferico”, flessibile e non tutelato) anche forti, le cui contraddizioni, in qualche modo, all’epoca dei democristiani venivano ricomposte grazie alla spesa pubblica (e alla svalutazione) finanziata dal debito, ovvero dalle future generazioni: le imprese facevano profitti garzie alla svalutazione, la mafia si prendeva la sua bella fetta di reddito nazionale intercettando la spesa nel mezzoggiorno, i professori andavano in pensione dopo 15 anni di lavoro, i merdionali (tutti comunisti, fascisti mogli di avvocati…) ricevevano i sussidi dallo stato come (falsi) braccianti e (falsi) invalidi e grazie a un sistema efficiente e discreto di raccomandazioni gestite dalle clientele dei partiti venivano assunti nell’apparato dello stato, Nel frattempo veniva fatto scempio del paesaggio e del territorio.
    Oggi si dice che la società e’ bloccata. traduco, ogni fazione, ogni gruppo di interessi ha paura del cambiamento perche’ teme di perdere le sue rendite di posizione (i farmacisti, i tassisti, i negozianti, gl ievasori….); il padre di famiglia con i figli disoccupati pensa di poter fare affidamento solo sul suo patrimonio (piccolo o grande che sia), sul suo sistema di relazioni (le famigerate raccomandazioni) e non intende pagare le tasse.
    Berlusconi dice a quel padre di famiglia:
    Non sentirti in colpa se il tuo comportamento è antisociale, se va contro l’interesse collettivo, costruisci pure abusavimente, fai raccomandare tuo figlio anche se e’ un imbecille, io non metto le mani nelle tue tasche, non metto le mani sui tuoi risparmi, sulla tua casa dove abiti o che affitti, anzi taglio le spese agòli intellettuali, alla cultura a questi signori che vivono alle spalle dello stato……
    Questo sistema è destinato a collassare e saranno gui per tutti.
    allora?
    allora io dico che bisogna parlare non allo stomaco ma all’intelligenza e bisogna farlo non già attreverso la televisione (bruno vespa?) ma attraverso l’autoimposizione di comportamenti basati sull’etica del bene comune. avendo il coraggio di rinunciare all’interesse privato, magari illegale e lesivo per la comunità. Perche’ cio’ alla lunga torna a vantaggio di tutta la societa’
    Invece la sinistra inseguendo questo modello consumistico, corporativo, non fa altro che spostarsi sempre piu’ a destra e rafforzare l’deologia del basso ventre che e’ alla base del blocco dominante attuale.
    Un blòocco di potere potente, non dimentichiamolo mai, che nei momenti di crisi non ha esistato e mettere le bombe

  29. @Carmelo

    Sì sì, all’intelligenza… Un mio vecchio amico diceva così: ” State ancora a fa’ l’analisi der paese che quello se so’ già magnati! “

  30. Mi è venuto da scrivere un lungo commento che forse sarebbe più comodo leggere in un post a se stante. Intanto lo metto qui.

    La scena politica italiana presente assume ogni giorno tratti più spettacolari e tardo-imperiali: un’apocalisse di serie b, un viale del tramonto scalcinato, una tragedia che si è già trasformata in farsa e che si ripete come in una sit-com in sindycation sui canali satellitari, l’audio delle risate registrate ormai usurato. Le varie narrazioni che Berlusconi ha sdoganato negli ultimi anni sono diventate un modello pervasivo, ritrovabile in mille ambiti sociali e culturali, sono le forme di vita con cui si presenta spesso lo scenario politico, quello culturale, quello semplicemente umano: è l’Italia che si racconta, e si lascia guardare, sfatta e mostruosa, senza pudore. C’è la storia di quello che lo beccano con le mani in pasta e non si giustifica, c’è quello che dice una bugia e dichiara appena dopo di non averla detta, c’è quello che fa il gallo con le donne e si vanta con gli amici, c’è quello che dice che qualsiasi problema c’è lo aggiusta lui… Berlusconi è un carattere sempre più poliedrico, autocontradditorio, imprendibile ma definitivo, di questa commedia all’italiana acida e ripetitiva. Per questo suo diventare “carattere”, Berlusconi è oggi ancora più pericoloso: anche quando sarà uscito dalla dimensione pubblica, la sua figura (le sue infinite figure) – non le sue idee politiche, beninteso – resteranno. Questo è quello che si dice il berlusconismo oltre Berlusconi: la sua forza è di essere riuscito a rendere il linguaggio pubblico non più referenziale, ma perennemente performativo, attoriale. Non importa cosa Berlusconi dica – il significato non è più passibile di verifica (come è per Frege un enunciato linguistico), ma è solo performance: il senso di quello che viene pronunciato è il suo effetto.
    Ma se vogliamo forse focalizzarci su quali sono i due tratti che meglio rappresentano la sfaccettata, inafferrabile maschera di questo commediante dobbiamo rifarci ad altri personaggi emblematici del nostro tempo. Cogliere le ragioni di successo del personaggio in altre figure, provare a considerare come – è così in ogni tradizione drammaturgica che si rispetti – Berlusconi sia oltre che seminale anche derivativo.
    Tra i personaggi che più ci svelano il senso del “carattere” Berlusconi possiamo trovare Jean Claude Romand, Telespalla Bob, e Rupert Pupkin. Ricordiamo chi sono.
    Jean Claude Romand sale alle cronache il 9 gennaio 1993, perché in un incendio nella bassa Lorena muoiono sua moglie, i suoi figli, i genitori, i suoceri, il suo cane, mentre lui la scampa per un pelo. Subito si scopre in realtà che è stato proprio Romand a aver appiccato fuoco alla casa, e a aver sterminato la sua famiglia. Ma questa scoperta atroce non è la più sconvolgente. La verità impensabile che sta dietro alla vicenda è che quest’uomo mente sistematicamente da diciotto anni. Come ricostruisce Emmanuel Carrère nel romanzo-inchiesta L’avversario, Romand ha cominciato a fantasticare la propria vita quand’era all’università, millantando con i suoi la buona riuscita di un esame che invece non aveva passato, per poi continuare senza interruzione a mentire fino a quando non poteva più non essere sbugiardato: a quel punto ha dato fuoco al suo mondo. Nel frattempo ha inventato di essersi laureato, ha finto di essere un importante medico dell’Oms, si è sposato e ha condotto una vita borghese per cui è stato ammirato, come marito, padre, uomo, professionista. In realtà la sua esistenza è stata uscire di casa tutte le mattine dicendo di andare al lavoro e passare invece intere giornate, per anni, per decine d’anni, a passeggiare nei boschi o a bere caffè in qualche bar dell’autogrill. Si è sostentato per tutto questo tempo grazie ai soldi affidatigli dai parenti a cui ha promesso fruttuosi (ma inesistenti) tassi d’interesse in banche svizzere. Quando non è riuscito più a controllare questa montagna di invenzione, ha preferito far esplodere tutto ciò che aveva intorno a sé.
    Telespalla Bob è invece un personaggio dei Simpson. Il suo vero nome è Robert Underdunk Terwilliger, ma in è conosciuto come Telespalla Bob (Sideshow Bob, nell’originale) perché è stato la spalla televisiva di Krusty il Clown, prima di finire in prigione proprio per aver cercato di vendicarsi contro Krusty, colpevole ai suoi occhi di averlo vessato per anni, relegandolo a un ruolo infimo di spalla. Il suo piano di rivalsa è fallito perché Bart Simpson l’ha scoperto attirandosi così proprio l’ira omicida di Telespalla. Nelle varie puntate successive in cui compare, Telespalla Bob segue una lunga parabola circolare di tentativi di uccidere Bart, carcerazioni, redenzioni, nuovi piani assassini, etc… Nel finale di una delle più belle puntate dei Simpson, “Il promontorio della paura”, nella quinta serie, Bart riceve alcune lettere anonime scritte col sangue che lo minacciano di morte: l’autore, noi spettatori lo sappiamo, è proprio Telespalla Bob, desideroso di vendetta, che in carcere pur di griffare col proprio sangue la carta, vediamo cadere più volte svenuto.
    Quando Telespalla Bob viene rilasciato (riesce a convincere la giuria che il tatuaggio che ha inciso sul petto, Die Bart Die, non vuol dire “Muori Bart Muori”, ma è tedesco e sta per “Il Bart Il”), la famiglia dei Simpson chiede dunque aiuto all’Fbi, che decide per un programma di protezione testimoni, facendo cambiare identità a Homer e compagnia. Non sono più i Simpson, ma i Thomson: che si trasferiscono in una casa-barca in riva a Horror Lake. Nel viaggio transamericano non si accorgono però che Telespalla Bob li riesce a pedinare agganciandosi al sotto della macchina. E una notte scatta l’agguato: Telespalla Bob sale a bordo della barca-casa, lega tutti i Simpson tranne Bart e si appresta a compiere la sua vendetta. Bart, ormai condannato a morte, gli chiede allora di poter veder esaudito un ultimo desiderio: assistere alla rappresentazione del Fantasma dell’opera. Telespalla Bob è incerto, ma alla fine accetta, e ingegnandosi con costumi super-improvvisati (stracci come parrucche…) interpreta tutti i personaggi dell’opera, in un’intensa performance da one-man show che dura ore. È il tempo che serve perché la barca, senza nessuno al timone, finisca per arenarsi sugli scogli e perché la polizia allertata dalla scomparsa dei Simpson, arresti Telespalla Bob.
    Il terzo personaggio, Rupert Pupkin, è invece frutto della fantasia di Paul Zimmermann, sceneggiatore di Re per una notte, film di Martin Scorsese del 1983. Rupert Pupkin è un comico dilettante ma assai convinto del proprio talento, interpretato da Robert De Niro. All’inizio lo conosciamo come un semplice fan del comico televisivo Jerry Langford (impersonato da Jerry Lewis), ma dopo un cordiale incontro fortuito, Pupkin comincia a perseguitarlo, si apposta di fronte gli studi: vuole a tutti i costi un’audizione. Jerry Langford passa dalla cortesia all’insofferenza. E Pupkin decide con la complicità di una sua amica di sequestrare Langford e di ricattare la polizia: lo ucciderà se non gli lasciano fare un’apparizione nello show televisivo di prima serata. La polizia accetta e la performance di Pupkin, che lui chiosa con la frase del titolo “Meglio re per una notte che buffone per tutta la vita”, avrà un enorme successo. Subito dopo la serata, viene arrestato. Ma dopo qualche anno di prigione che gli servirà a scrivere la sua biografia di artista incompreso e folle, otterrà la fama agognata.
    Dove sono le somiglianze tra questi tre personaggi e il personaggio Berlusconi? Nella dialettica quasi schizoide tra il desiderio di piacere, la potenza narcisistica, e la rabbia cieca che si scatena nel caso questo desiderio venga frustrato. Romand non riesce ad accettare il suo insuccesso e costruisce un ricatto paralizzante con se stesso: sceglie di rinunciare all’intera autenticità nella sua vita pur di vedersi riconosciuto in un ruolo che susciti l’ammirazione degli altri. Telespalla Bob vuole vendicarsi delle angherie di Krusty il clown che non lascia emergere il suo talento, e trasforma la sua voglia di palcoscenico in pura violenza omicida diretta contro Bart; il quale Bart però, intuendo la personalità scissa di Telespalla Bob, per salvarsi, fa leva proprio sul suo desiderio wagneriano di esibizione, e gli chiede di rappresentargli da solo un’intera opera teatrale. Rupert Pupkin è invece più efficace nel gestire questi istinti narcisistici: il ricatto che mette in atto pur di poter apparire in tv sa che lo priverà di anni di libertà, ma gli consentirà anche di diventare famoso e ammirato, ammirato anche in quanto ha perseguito il proprio obiettivo senza sconti.
    Il desiderio di piacere a tutti i costi e la violenza di rappresaglia nel caso il mondo non risponda più alla propria proiezione narcisistica sono proprio le caratteristiche della psicosi berlusconiana (sua e nostra, della società che gli è intorno) di questo ultimo tratto della sua commedia quasi ventennale (diciott’anni, proprio come il tempo in cui regge la menzogna di Romand, viene da riflettere). Da una parte il suo atteggiamento suasivo, seducente, le barzellette ripetute in modo sempre più compulsivo, l’assoluta assenza di autocritica, l’ergersi a modello di successo in ogni campo (politico, economico-sociale, ma anche sessuale, relazionale, genetico…); dall’altra il livore con cui viene affrontata la possibilità di opposizione a questa sua idea proiettiva del mondo. Non sono le critiche dei giornali o degli altri partiti politici o dei finiani che Berlusconi non tollera, ma gli è letteralmente insopportabile qualunque cosa che scalfisca la sua realtà. Il prezzo del delirio narcisistico è illimitato. Romand fa esplodere la sua casa e stermina la sua famiglia, Telespalla Bob impazzisce nell’ultima puntata in cui appare, Rupert Pupkin è capace di sequestrare e uccidere, pur di portare a termine il suo disegno. È chiaro che stretti tra le corde di questo ricatto portato alle sue estreme conseguenze ci siamo ancora noi.
    E questa non è una semplice metafora. Possiamo ragionare proprio come in realtà le più efficaci e condivise forme di opposizione culturale a questo dilagare berlusconiano, abbiano dei toni simili: speculari, o complementari.
    Non sembrerà un caso che negli ultimi anni, meccanismi di difesa narcisistica si siano annidati anche nei più strenui oppositori del “discorso” berlusconiano. Prendiamo ancora due casi simbolici: Daniele Luttazzi e Roberto Saviano.
    Il caso di Daniele Luttazzi, emerso in rete un paio di mesi fa, ha delle assonanze inquietanti con la vicenda di Romand. Il comico di Santarcangelo – il leader della satira, studioso dei meccanismi delle narrazioni emotive, teorico raffinato della retorica comica – viene accusato da una serie di fan (diventati ex dopo la vicenda) di aver attinto in modo massiccio al repertorio di comici americani perlopiù sconosciuti in Italia, come Bill Hicks, Emo Phillips, George Carlin… L’accusa è più pungente: quello che gli si rimprovera è di non aver mai ammesso questi debiti, anzi di essersi sempre scagliato a gran voce contro coloro, come Paolo Bonolis o Silvio Berlusconi stesso che copiavano le sue battute. Per esempio a Bonolis rivendicava la paternità della freddura “Come si fa a capire quando una mosca scoreggia? Vola dritta”, e a Berlusconi di essersi appropriato della di quella che dice: “Quanti hai anni hai, bambino? Cinque? Pensa che alla tua età io già ne avevo sette”. Il problema è appunto che anche queste due battute sono rispettivamente di George Carlin e di Eddie Izzard. Di fronte a un sito come ntvox.blogspot.com che elenca centinaia di plagi per una massa di un terzo del suo intero repertorio comico, Luttazzi si è difeso dichiarando di seminare questi omaggi-plagi nei suoi spettacoli per cautelarsi in caso di processi per volgarità, vilipendio: un metodo che ha copiato, questo sì esplicitamente, da Lenny Bruce – quando questo venne processato dimostrò che le battute più oscene dei suoi monologhi erano farina del sacco di Aristofane.
    Ma il punto che Luttazzi non coglie è un altro: è come se si fosse messo in una posizione in cui lui ha deciso di non poter essere più attaccabile. È il paradosso della vittima, che è stato e che è. Un artista di valore estromesso dal fare il suo mestiere – una mortale censura di stato. Purtroppo però in nome di questo paradosso, sembra che nessuno possa muovere più nessuna critica a Luttazzi, o quanto meno che lui non le recepisca. E così i suoi fan o ex-fan alzano il tiro, fino a spulciare ogni iota del suo repertorio in cerca di plagi e fino a massacrare la sua credibilità artistica. Ne valeva la pena?
    Potremmo chiamare questo paradosso della vittima nella sua versione estrema “il cul-de-sac di Eric Clipperton”. Eric Clipperton è un personaggio di Infinite Jest di David Foster Wallace: un bravo tennista incapace di perdere che gioca sul campo con una racchetta in una mano e una pistola puntata alla tempia nell’altra, che pone ai suoi avversari un ricatto costante: se non vinco, mi sparo. L’assurdità geniale che coglie Wallace è che Clipperton non è una schiappa, ma è un atleta di talento: probabilmente vincerebbe gran parte dei match a cui partecipa, ma non sa perdere.
    Non vi sembra – e qui arriviamo a un punto delicato – un vicolo cieco in cui si è infilato l’unica figura veramente contrastiva a Berlusconi degli ultimi anni: Roberto Saviano. Saviano è quanto di più conflittuale l’opposizione culturale abbia saputo creare nei confronti della maschera berlusconiana. Uomo del Sud, giovane, intellettuale, stigmatizzatore morale fino al suicidio civile… Saviano rappresenta – da un punto di vista dell’immaginario – la vera opposizione al berlusconismo. Eppure ne incarna specularmente una debolezza struttuale: il narcisismo portato alle sue estreme conseguenze. Anche Saviano non è criticabile a meno di rendersi complice di una sua gogna. Anche Saviano come Eric Clipperton si è messo nella posizione terribile per cui se non gli viene data visibilità continuamente, se l’attenzione dei media cala su di lui, se non viene difeso, noi lettori saremmo più ignari della criminalità di questo paese e alla fine la malavita avrà buon gioco a vendicarsi delle sue denunce. Anche Saviano in fondo, dice: se non mi leggete, se non siete d’accordo con me, a me mi fanno fuori – o comunque chi mi critica, fa il gioco sporco della calunnia mafiosa (quella di un Roberto Castelli o di un Emilio Fede per dire che hanno fatto loro rispetto a Saviano la formula camorristica: che vuole questo che ha fatto i soldi?). Il libro di Dal Lago, molto impreciso e pretestuoso in vari punti, coglieva però questo nodo.
    E il ricatto di Saviano è assurdo per due motivi. Uno perché appunto è uno scrittore di talento, un ottimo giornalista, e in definitiva – ed è questo un altro equivoco che andrebbe chiarito – un perfetto uomo politico. Due, perché questa strategia comunicativa di Saviano non intacca l’avversario con cui se la prende in un punto fondamentale: quello del narcisismo mediatico. La faccia di Saviano sparata sull’Espresso o su Vanity Fair o moltiplicata per mille nelle pubblicità ma anche la sua ammirazione per personaggi-icona come Bono Vox o Leo Messi impedisce a chi lo ascolta di non associarlo anche a una maschera promozionale che è la stessa di Berlusconi o di un Fabrizio Corona: finisce per farlo diventare un corpo-icona. Compie, non volendo probabilmente, una conferma implicita a quel linguaggio berlusconiano che ci dice: si è ciò che si appare. L’unico obiettivo a cui aspiriamo tutti in fondo è avere attenzione dagli altri, essere sotto l’occhio dei riflettori.
    Da questo cul-de-sac Saviano come ognuno di noi dovrebbe cominciare a svincolarsi, provare a guarire da quel ceppo virale del berlusconismo per cui il mondo è proiettato su di noi.

  31. @larry massimo
    immagino che il tuo amico nel frattempo cercava di arraffare le bricciole
    uccidere il passato, la memoria, l’esperienza, ecco cos’e’ l’informazione e la comunicazione oggi, senza memoria appunto schiacciata nell’eterno presente. dire una cosa ora e dire l’opposto un secondo dopo come berlusconi insegna

  32. @Carmelo

    come si arrabbia?! Non le fa bene, sa! Volevo magari dire che l’intelligenza, in Italia, non è così innocente, soprattutto quella alle dipendenze di Berlusconi. In ogni caso, anche fosse l’intelligenza più responsabile del mondo, è minoranza nel paese, diciamo roba che elettoralmente vale meno del 2%: si ricorda ALLEANZA DEMOCRATICA? IDDU è battibile solo se gli si sottraggono gli elettori, che sono quelli che sono. A meno che, questa è un’idea politica per la quale le suggerisco di battersi, la prossima riforma elettorale non istituisca l’albo degli elettori, al quale si accederà solo dopo un SEVERO esame fatto presso i blog degli italiani intelligenti. Che ne pensa?

    @Raimo

    Siami (pl) sicuri che Roberto Saviano è stato prodotto dall’opposizione culturale? Sicuri che sia uno scrittore di talento e un ottimo giornalista? Ottimo giornalista no perché le sue fonti sono spesso traballanti. Scrittore di talento bisogna vedere cosa si intende per talento… Per me, per limitarsi all’Italia del novecento, viene dopo altre decine di scrittori viventi, nonché dopo centinaia di scrittori deceduti: quanto basta per non leggere di lui una riga.

    Raimo si è anche dimenticato le indecenti dichiarazioni di poetica letteraria fatte da Saviano nel salotto di Fabio Sazio. Ma penso lo faccia per ” amicizia “… Per il resto sono assai d’accordo con lui, a parte la farsa, che è l’unica cosa seria che abbiamo in Italia.

  33. @raimo christian
    non ti seguo piu’ ora scusami
    tu rischi di ridurre il problema di questo paese alla capacità di un solo uomo che grazie ad una efficace strategia comunicativa è riuscito (almeno in parte) a mettere in pratica il progetto politico di licio gelli.
    Dimentichi che quest’uomo è riuscito a costruire un impero economico utilizzando ogni risorsa lecita e illecita (e la storia, temo, avrà molto da raccontare al riguardo e l’unica grande capacità che gl isi deve riconoscere. Sentire, captare e interpretare il basso ventre, dell’italiano standard. l’italiano televisivo.
    Tu dimentichi che questo signore ha costruto un blocco sociale reale, fatto di interessi corporativi (o almeno come tali percepiti) reali, un blocco sociale che puntualmente conferma il suo consenso ben sapendo. tutto si puo’ dire tranne che gli italiani siano stupidi.
    Tu dimentichi che oltre al consenso diretto, c’e’ una vasta area rappresentata dalla lega, che follemante si illude che lo sfascio completo di questo paese è funzionale allo sviluppo e alla ricchezza delle regioni del nord, affrancate dal peso delle regioni povere.
    E’ assurdo illudersi che sparito quest’uomo, il paese ritrova di incanto le sue virtu’. E’ assurdo ridurre il nostro futuro alla speranza che quest’uomo sparisca
    Come ha scritto Paolo Febbraro anche nel ’94 molti pensavano che tolto di mezzo Craxi le cose finalmente sarebbero cambiate

    “”””””
    E cosa accade, in questa Italia in libera uscita, meno ricattabile, non ancora sommersa dallo strapotere televisivo di un solo uomo, bruscamente risvegliatasi dall’edonismo degli anni Ottanta grazie a una crisi economica severa, che induce alla riflessione e all’autocritica?

    Questa Italia dà la maggioranza dei seggi a Berlusconi, già appartenente alla loggia eversiva P2, amico di quel Craxi sfuggito alle inchieste con la fuga, sorridente propagatore di imbonimenti mediatici. Con questo, la Storia italiana giunge al punto di non ritorno. Proprio quando con l’attivismo delle procure ogni italiano mediocremente informato può riprendere il celebre Io so di Pasolini e aggiungevi e ho anche le prove, la maggioranza degli italiani si consegna alla più smagliante, miracolistica, corrotta e corruttrice continuità.

    “””””””
    se voi parlate con l’impiegato, l’uomo delle pulizie, la laureata, il manager e anche il disoccupato, sanno perfettamente per filo e per segno come stanno le cose eppure continuano a dare il loro consenso
    Ma scusate non succedeva uguale con i democristiani?
    tutti si lamentavano e tutti li votavano?
    Una cosa mi ha colpito del tuo discorso e mi troiva d’accordo, quando parlavi di educazioni civica
    il che vuol dire che chiunque, sis chiera a sinistra dovrebbe riflettere se alle convinzioni politiche ed ideologiche corrispondono i conportamenti nell’ambito privato, familiare, lavorativo, nelle relazioni ….

  34. Osservazione marginale. Visto che alcuni dei testi dei quali si discute sono in rete, sarebbe carino mettere dei link. Così ci si raccapezza anche il lettore che non segua abitualmente “il manifesto”, il blog di Giorgio Fontana e Nazione indiana. Per chi non li avesse già ricuperati:
    – l’articolo di Giorgio Fontana è qui,
    – L’articolo di Ida Dominijanni è qui.

  35. Carmelo: “Ma scusate non succedeva uguale con i democristiani?
    tutti si lamentavano e tutti li votavano?”
    Non li votavano tutti ma, a seconda dei periodi, fra il 33 e il 45 % circa. Con tali percentuali, e con la conseguente occupazione di buona parte dei centri di potere, la DC veniva definita partito-stato. Oggi abbiamo un apparente bipolarismo e mezzo, senonché la distanza in termini di progetto politico fra un polo e l’altro è oggi meno significativa di quella che ieri esisteva fra le correnti in seno alla DC. In pratica oggi c’è un solo metapartito le cui correnti si chiamano partiti. Le differenze sono oggi misurabili solo secondo il metro dello stile della comunicazione ma su ogni argomento strategico (due esempi tanto per non parlare a vuoto: le missioni “di pace”; la controriforma del pubblico impiego) l’unanimità è appena increspata dallo spostamento di qualche virgola. Ben vengano strategie di comunicazione capaci di fronteggiare il biscione, ma se sono a supporto di una politica, altrimenti è solo trippa per i talk show.

  36. A parte gli scherzi e le provocazioni, mi sento di dire una cosa, non è questione di berlusconi o non berlusconi, di chi lo vota o meno, di strategie di marketing mirate e di consultazione dei sondaggi prima di fare ogni comunicato, io ho idea che la rete di forza italia non si basi sul consenso ma sul clientelismo, alla stessa identica maniera dei socialisti degli anni 80, non so, io lavoro in un albergo, e anni fa, verso il 2000, c’erano queste aziende che ti vendevano cose, tipo assicurazioni serissime, e avevano quella struttura piramidale che ti prometteva guadagni altissimi in poco tempo se convincevi altri a fare la stessa cosa che facevi tu, ossia chiamare i tuoi conoscenti ad aderire a questa fantomatica società che prometteva benefici e guadagni per tutti. Quel sistema, all’inizio andò a pescare fra i ceti più nobili, fino via via, andando esaurendosi le scorte, ad adescare extracomunitari e disoccupati, li ricordo bene, al punto che, esaurito il bacino, si sono dissolti. bene, pensandoci, non si sono dissolti, sono confluiti in politica. forza italia e adesso il pdl non è un partito, è una tela che organizza incontri e butta dentro persone in cambio di promesse di benessere di ogni tipo, dai soldi al piazzamento di un amico o famigliare in qualche struttura. quindi la loro rete è molto più solida di quello che si pensi. la sinistra deve convincere le persone con gli argomenti mentre a “loro” non serve. promettono cose materiali, e spesso le danno. Pensate che a capo di quei famigerati gruppi c’era la brambilla, non mi ricordo come si chiamano, dovrei fare una ricerca, ah, i circolo ecco, quei circoli sono proprio quello di cui sto parlando. Ora, io non so se il sistema si esaurirà con la scomparsa di berlusconi, poiché il nano, mentre accadeva tutto questo, è riuscito a fare quello che in nessuna democrazia era mai stato fatto prima, ossia controllo dei media e della politica, fino alla cosa paradossale, che ormai non ci fa più ne caldo né freddo, che se ti stanno per arrestare ti cambi la legge. sotto questo punto di vista siamo davvero un’avanguardia, non solo in europa, ma addirittura nel mondo.

  37. Christian, su Saviano sbagli. E, di nuovo, fai uno sbaglio “wittgensteiniano”, rinchiudendo nella bottiglia della comunicazione anche ciò che è “prima”, o “al di fuori”, dell’ambito linguistico. In altri termini, [1] confondi gli enunciati di Saviano, come se costituissero un unico discorso – e invece no: io posso non considerare Mesi un grande giocatore, il Bono di “One” un grande cantante, posso non condividere questa o quella presa di posizione sulla politica corrente, su Israele, ecc., senza per questo cambiare opinione di “Gomorra” e sulle sue inchieste sulla camorra; e [2] confondi le enunciazioni di Saviano (meglio: dell’autore di “Gomorra”) con il dispositivo comunicativo costruito attorno alla sua persona. In questo modo finisci per avvalorare l’operazione-Dal Lago, che consiste nell’enunciato: “l’autore di queste forme comunicative non può essere credibile, dunque non lo è neanche quando afferma l’esistenza di un rapporto di correlazione oggettiva tra le parole di “Gomorra” e la realtà della camorra casalese, dunque “Gomorra” non è altro che fiction spacciata per docu/fiction”. In realtà i tentativi di smontare la correlazione tra il “dentro” e il “fuori” della bottiglia si sono dimostrati, questi sì!, falsificazioni in qualche caso attribuibili a letture frettolose o di seconda mano, in altri non giustificabili se non con un’aperta malafede (qui mi permetto di rimandare alla lettura fatta da noi di carmilla, che a sua volta rimanda ad altre letture, come quelle di Cesari, Sofri, Janeczek, ecc.). In altri termini, la “pistola alla tempia” l’autore di “Gomorra” la tiene solo in riferimento a “Gomorra”, perché se quel libro non fosse credibile la sua stessa denuncia perderebbe credibilità: il che, però, in primo luogo non è una finzione letteraria alla Wallace, ma esiste davvero, fuori dalla bottiglia, come ben sai (a meno – ma non è certo il tuo caso – di non condividere le infamie di chi dice che S. è uno sborone, che i killer della camorra se li è cercati), e in secondo luogo, pistola alla tempia o no, “Gomorra” ha resistito (dal piano ermeneutico a quello giudiziario) ad ogni tentativo di smontaggio e falsificazione. Benché, aggiungo, sia un testo perfettamente “falsificabile”, nel senso che enuncia con molta chiarezza quali sarebbero le condizioni di falsificazione dei suoi enunciati: ma porre le condizioni di falsificazione è la conditio sine qua non di ogni enunciato che pretenda di affermare la verità, e rimanda a uno stato di cose che avviene nel mondo. Quello che, soggettivamente o oggettivamente, possiamo pensare di Israele, degli U2, di Fini, di Céline, di Messi e dei Co’ Sang può falsificare altri enunciati, ma non quelli di “Gomorra”. Rimane un fatto: che, come ha scritto Bruno Accarino (scaricabile qui) sul “manifesto” del 5 giugno scorso, «Ci è cascato addosso, disseminato tra i molti guai che dobbiamo fronteggiare, un nodo tanto imprevisto quanto elementare: quello del coraggio individuale. Imprevisto perché l’Europa, dopo appena un sessantennio senza scannatoi di guerra (al suo interno, per altri territori il discorso è diverso), ci ha detto inorgoglita: potete rilassarvi e abbassare la guardia. Ecco perché la figura di Saviano si gonfia in modo abnorme, i latini direbbero che si è inflazionata». Il problema allora, non dovrebbe essere quello di modificare lo stato di cose esistente affinché il coraggio individuale smetta di essere un’eccezione e diventi parte di una qualche normalità e quotidianità: nel senso in cui fanno parte della quotidianità il lavoro di volontariato presso gli ospedali di Emergency, la protesta – da Genova 2001 ai precari che salgono sui tetti o sulle torri – che mette in gioco il proprio corpo, il giornalismo d’inchiesta, da Pippo Fava e Giancarlo Siani a Ilaria Alpi passando per i tanti cronisti (compreso l’autore di “Gomorra”) minacciati dalla malavita organizzata?

  38. @ larry massimo

    Fonti trabballanti? Ma perche’ sibacrivono vale cosi’? Tutti i pm Dell antimafia di Napoli contenevo il calde giudiZiario storico e diinchiesta. Gomorra ha vinto tutte le cause che gli hanno mosso resiste eccome alle diffamazioni. Perche’ queste balle da bile ancora?

  39. Mi par la scoperta dell’acqua calda, anzi del miraggio di essa. Sono almeno 10 anni che la “sinistra” (e tutto ciò che nel frattempo si forma perché essa ormai non basta più) dice proprio quello che qui si suggerisce per mandar a casa un pagliaccio del globo-capitalismo che PIACE, diobono ancora non ve ne rendete mica conto, sì PIACE=E’ VOTATO PROPRIO PERCHE’ E’ COSI’!!!

  40. Girolamo, vorrei risponderti diffusamente ma ora non posso.
    Il discorso su Saviano va articolato. E qui mi basta dire che sono completamente d’accordo con te come con Cesari e con Helena. Le critiche di Dal Lago puntano un oggetto che in realtà non esiste. Non sono filologiche. Saviano va stimato e protetto. Quello che secondo me Roberto non fa però è prendere le distanze dall’effetto che fanno le sue parole, dall’icona-Saviano. Non è colpa del suo libro? Non è colpa sua? Beh, però lui ha la responsabilità nel ruolo in cui è, secondo me, di trovare un modo per cui la difesa delle sue idee non corrisponda a un’iconizzazione narcisistica. La pericolosa ambiguità altrimenti è qui: da una parte è uno scrittore e quindi può difendere cose indifendibili, stare dalla parte del torto , identificarsi con il lato peggiore del mondo. Dall’altra è un politico, e quindi quello che dice è sempre una difesa del giusto. Questo è un altro sintomo narcisistico: l’elusione del conflitto interno. Non lo dico di roberto, chi sono io per consocerlo o psicanalizzarlo? lo dico della sua figura.

  41. Ho visto che hai postato il commento autonomamente, ti rispondo di là, sennò ci complichiamo la vita.

  42. comunque tutti devono ammettere che berlusconi non fa tutto male pubblicando per esmpio il grande saviani attraverso la mondadori della figlia silvia berlusconi. che anche se fu acquisita con la corruzione come spiega travaglio è la più grande casa editrice italiana che ha almeno il coraggio di pubblicare anche altri artisti contro il sistema come d’alema rutelli e il romanzo le rondini di montecassino se non sbaglio. grazie e scusate

  43. @Albanova

    Non ho voglia di fare polemica sul miglio scrittore del mondo, ho già dato qui, non smentito. Rivendico il diritto, per capriccio mio, di non piacermi in nessuna maniera la sua scrittura, nè il suo pensiero né il suo comportamento. I suoi articoli, invece, rivendico il diritto di ritenere traballanti le fonti per esempio di un recente articolo circa traffici di biglietti della lotteria (pare che si si comprino per ripulire il danaro sporco). Evviva Saviano, anche se a me non piace, neanche il suo amico Fabio Sazio, neanche la sua aberrante poetica letteraria, più arretrata del realismo socialista sovietico, che il Sazio medesimo gli fa esporre senza contraddittorio. Non mi piace nemmeno, per pura invidia, il fatto che lui possa ricevere compensi sia da Debenedetti che da Berlusconi, senza che i puristi dicano nulla. Che invece i puristi ci hanno da ridire sui tutti.

    Il resto se lo faccia spiegare da Rotowash, che è più informato di me, a parte le rondini di Montecassino, pubblicato da Guanda, mentre la sua autrice è dipendente di Mondadori, quindi non c’è nessun conflitto di interessi.

  44. […] si legge un articolo di Christian Raimo (già pubblicato nel quotidiano il manifesto) intitolato La performatività vuota di Berlusconi: idee per un nuovo discorso di sinistra. Non credo di condividerlo, ma mi pare interessante (è interessante anche la discussione). […]

  45. Berlusconi non esiste. La mafia non esiste. Dio è morto, anzi, non esiste. Il cinema è morto. Il romanzo è morto. L’ideologia è morta. La sinistra è normativa, la destra è esistenziale. Per questo vince la destra. Kant contro Nietzsche, vince sempre Nietzsche perché Kant è palloso.
    Il conflitto d’interessi non esiste. Mondadori non esiste.
    Wittgenstein non esiste. Per adesso c’è Quelo.
    Adesso, se volete, continuate pure il dibattito. No, il dibbattito no!

  46. Su Berlusconi: giusto, ci vorrebbe Dario Fo. Sul serio. Immaginarselo a rispondere alla battuta sul cancro. Lo polverizzerebbe in 5 secondi. con la violenza dell’ironia e la capacità di un grande attore, un guitto di quart’ordine come il b. non potrebbe neanche parlare.
    Ma Fo è ancora sospetto alla sinistra ufficiale…
    Ci aveva provato solo Santoro, ovviamente dal punto di vista di un giornalista intervistatore, a contrapporsi al linguaggio berlusconiano e lo racconta in “Michele chi?”. Non si opponeva ai contenuti, anzi fingeva di prenderli sul serio, interrompendo i monologhi senza fine di b. per chiedergli precisazioni, approfondimenti, esprimendo stupore, costernazione, incredulità, ma sempre partendo da quel che il b aveva detto, senza contestarlo. E l’altro perdeva il filo e la scena, non poteva più far l’imbonitore, si impappinava e alla fine lo aveva guardato come a dire “ma mi prendi in giro”? Quindi i professionisti della comunicazione non è che non saprebbero come rispondere, le armi ci sono…

    Saviano: mi sembra curioso paragonare un tennista che gioca puntandosi una pistola alla tempia a un giornalista scrittore minacciato di morte dalla camorra. Una camorra che uccide anche dopo dieci anni dalle minacce (lo raccontava al Manifesto di due giorni fa il procuratore che indaga sui Casalesi, per dire, a proposito dell’assassinio recente di un imprenditore che aveva denunciato un’estorsione). Veramente ben trovato. Chapeau! E nessuno ci aveva ancora pensato. Questo sì che chiarisce i termini della questione. Il livore provocato da Saviano invece si capisce un po’ meno, ma dev’essere tanto se arriva a questi voli pindarici. Saviano è un narcisista? Saviano si espone troppo? Bah, perché non facciamo un giochino? Troviamo un po’ di killer che vadano a minacciare di morte chi scrive, ad esempio, citando il nome “Wittgenstein” (e si badi che sto parlando per assurdo e in modo puramente accademico), poniamo che Wittgenstein sia un’organizzazione affaristica multinazionale e poi vediamo se i mincciati non sono capaci di cantarci un’opera intera per ore e ore…
    Saviano politico e dàgli. Tanti han già detto che Saviano può assumere una valenza politica non di per sé, ma in un contesto di assenza della politica, ciò mi sembra più appropriato. Saviano non ha mai detto di voler fare il politico e spero continui a non farlo, a mio giudizio non è politico, come non lo è un Moretti (per citare un altro intellettuale che in un certo periodo e in modo decisamente più politico aveva guidato una protesta diversa e certo più politica di quella di Saviano). Però a tanti dà fastidio che Saviano sia sbandierato da certa ignava opposizione per sostenere una concezione della politica a mio giudizio limitata, ma di cui trovo meschino e inesatto attribuire la nascita a Saviano o alle sue scelte o addirittura al suo narcisismo! Ovvio che se si riesce a far passare l’idea che Saviano “è un politico, in realtà…” tutto riesce più facile… Come dice la Gelmini? “Non ricevo i precari perché sono politicizzati”, mah, sarà proprio quello il punto principale? Magari no, via. Sarebbe più onesto e a mio parere anche appropriato criticare direttamente la manovra politica e non aggrapparsi al nome di Saviano perché risuona di più. Immagino che di pressioni per fare il politico, chessò, il candidato alle europee? – Saviano ne abbia ricevute tante, se non ha acconsentito – per ora – una ragione ci sarà.
    Per il resto ha ragione Gerolamo.

Comments are closed.

articoli correlati

La versione di Alessio

di Stefano Zangrando   C'è una forma del male che nasce nel linguaggio, ed è quando quest’ultimo abdica alla sua funzione...

Genocidio in Libia – Eric Salerno

Genocidio in Libia Le atrocità nascoste dell’avventura coloniale italiana (Manifesto Libri)   INTRODUZIONE ALLA TERZA EDIZIONE   Nel 1979 Genocidio in Libia fece conoscere...

Della liquefazione del “tu”

di Mariasole Ariot "Un senso di decadenza ci deprime, se opponiamo allo scatenamento senza misura, all'assenza di paura, il calcolo." G. Bataille Esiste...

Da che mondo è mondo

di Francesca Fiorletta Paolo Morelli ci ha da tempo abituati a una vivace sperimentazione linguistica, e il suo stile -...

A debita distanza

Prosegue la pubblicazione di interventi sul tema “scrittura non assertiva”. Il primo intervento di Mariangela Guattteri è qui, quello di...

Un certo impressionismo: la scuola non è una setta di poeti estinti

di Giovanni De Feo Da qualche tempo gira sul web una lista di compiti delle vacanze di un...
marco rovelli
marco rovelli
Marco Rovelli nasce nel 1969 a Massa. Scrive e canta. Come scrittore, dopo il libro di poesie Corpo esposto, pubblicato nel 2004, ha pubblicato Lager italiani, un "reportage narrativo" interamente dedicato ai centri di permanenza temporanea (CPT), raccontati attraverso le storie di coloro che vi sono stati reclusi e analizzati dal punto di vista politico e filosofico. Nel 2008 ha pubblicato Lavorare uccide, un nuovo reportage narrativo dedicato ad un'analisi critica del fenomeno delle morti sul lavoro in Italia. Nel 2009 ha pubblicato Servi, il racconto di un viaggio nei luoghi e nelle storie dei clandestini al lavoro. Sempre nel 2009 ha pubblicato il secondo libro di poesie, L'inappartenenza. Suoi racconti e reportage sono apparsi su diverse riviste, tra cui Nuovi Argomenti. Collabora con il manifesto e l'Unità, sulla quale tiene una rubrica settimanale. Fa parte della redazione della rivista online Nazione Indiana. Collabora con Transeuropa Edizioni, per cui cura la collana "Margini a fuoco" insieme a Marco Revelli. Come musicista, dopo l'esperienza col gruppo degli Swan Crash, dal 2001 al 2006 fa parte (come cantante e autore di canzoni) dei Les Anarchistes, gruppo vincitore, fra le altre cose, del premio Ciampi 2002 per il miglior album d'esordio, gruppo che spesso ha rivisitato antichi canti della tradizione anarchica e popolare italiana. Nel 2007 ha lasciato il vecchio gruppo e ha iniziato un percorso come solista. Nel 2009 ha pubblicato il primo cd, libertAria, nel quale ci sono canzoni scritte insieme a Erri De Luca, Maurizio Maggiani e Wu Ming 2, e al quale hanno collaborato Yo Yo Mundi e Daniele Sepe. A Rovelli è stato assegnato il Premio Fuori dal controllo 2009 nell'ambito del Meeting Etichette Indipendenti. In campo teatrale, dal libro Servi Marco Rovelli ha tratto, nel 2009, un omonimo "racconto teatrale e musicale" che lo ha visto in scena insieme a Mohamed Ba, per la regia di Renato Sarti del Teatro della Cooperativa. Nel 2011 ha scritto un nuovo racconto teatrale e musicale, Homo Migrans, diretto ancora da Renato Sarti: in scena, insieme a Rovelli, Moni Ovadia, Mohamed Ba, il maestro di fisarmonica cromatica rom serbo Jovica Jovic e Camilla Barone.