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Biagio Cepollaro a Brera

di Antonio Sparzani
venerdì 17 dicembre, ore 14.30
Accademia di Brera, Milano, via Brera 28, aula 25
a cura di Italo Testa

reading di poesia di Biagio Cepollaro.
 
 
 

Ecco qui una delle prime poesie di Biagio, quella che apre la raccolta Scribeide, Piero Manni, Lecce 1993.
 
 
 
Metro ‒ Metrò

 

‘O lengua scottiante,
como si stata usante
de farte tanto ennante,
parlar de tale estato?

 
[Jacopone da Todi, lauda XXXIX]

 
 

stravolto il vecio

intra ed esce

como bimbo o tinège

schianta limbo

del metrò de schege e

spira d’in su l’occhio

la chiassosa

forescenza de lumi

e de scudi logi

vedi como sono rinchiusi i vetri
como il tempo rifugga la sustanza
e la bruta forza grandiosa avanza

col bianco il ceco

scanza e svaga

un altro sbotta

sine riso

ca rispondo ugualo
ca non c’ho voglia

ca lo schifo nero

ripete col tristo faccio

il celo

limacciosa donna

e ‘mpecorita

scende la scala

en sua spesa

manco sente

effluvio de mela

fannosa e presta

s’arritira

no spira vento

che la desta

annotta al video

tutta sera

specchio al viso

se richiude

non sprime nulla

l’abitude

vedi como sono richiusi i vetri
come il tempo rifugga la sustanza
e la bruta forza grandiosa avanza

l’altra ‘ngrana

la gracchiata

salta al picciolo

sbadiglio

tremando dita

tocca figlio

ca lo vorrebbe

mai uscito

ca non la salva

l’assicurata

ca non la salva

l’appaciata

ca non la move

la figliata

ca non se gode

la scopata

i’ ca vurria far docia simbianza
e all’affrasar far de miele usanza
mi veco frantumato in una stanza
ca nun succorre né bio né scienza
e all’intorno sulo veco la suffranza

e tale è l’empassità

l’insolvità

l’eccità

c’aggio a dire

dove andranno a milioni?
da un’ora all’alba. ad accendere la lucente
mescolanza delle sfere. compiteranno i voli
sopra la terra e
nel profondo dei mari. li vedrai capovolti
al voltare dell’emisfero. aggrovigliati
ai cavi del telefono

Donna ca m’arivolgo in fellonia
in me puisia s’accende a vita
nel metro purulento
svia l’annotto e l’afasia
scioglie il groppo

e così sia

ca mi move è Apparizione
seguo pelle e Cunsulazione
ma ferita e scheggia spia
il detto e lo cuntorce e lo smetra lo allunga a dismisura
lo stringe al bianco
lo connette all’insolvenza

(tale è l’empassità

l’insolvità

l’eccità

che in vita rattrippa lengua
l’assomiglia all’internata
l’accruda all’empazzata
la gela alla monnata)

tale e tanta è l’insolvità
c’ammàro e logio vano
strambo l’incunabolo
sciolgo l’afferragliato
sono l’abiutto cecolaro

pigiati su scale mobili tentennanti sul metrò
fanno ressa a tutte le entrate della città.
non sono sguardi sono lenze aggrovigliate
ai piedi e frecce da sterile veleno.
non c’è morte né vita spariscono i pesci
dal lago senza rumore

Donna ca rètore t’addita
ca ti so madre saporita
madre mai tradita
madre mai saputa

e avvece v’è ramingo
v’è postringo de tote facultà
v’è gisco crudo e strutto
d’ogni degnità do mundo

i conti col tempo sono errati. la macchina
si muove anche senza di noi. anche un black
out non sarebbe un ripensamento. e il buio
può esser seme solo se appartiene alla terra
e la terra lo ha perduto.

Donna che m’hai colto nel tuo disperso
stranita dal tanto romore
giovanita da ‘mperitura ‘nfanzia
vedi como annottando s’apre scia
e levigato bacio fa iustizia
do mundo
Donna aperta
disserrata
offerta all’isioso iocundo de lengua
al crillo tempestoso c’avvèla e vàgula
ascolta como sognando sogno e dico

andrò per corridoi e il saputo
sarà labirinto e caleidoscopio
vengo dall’arsura e il tempo
gioca con il rosso e il giallo

il ferro non risponde solo alla ruggine
se battuto si piega alle volùte
e guarda le finestre con le sue dita
e le finestre guardano lui
(come capelli)

lengua de sogno ca nun pratico
como foco insperato e luntano
i’ ca son scriba sanza loco
mi veco sintagma sperso
scriba de pesanza
de voce rauca
de chiodo cunficcato
de stilema ossissiunato
de lengua sabutato

distruzione profonda l’avventura del nome.
tenerle in vita. quando le sirene quando più fioca
la luce nella clinica. le piazze come avverbi
di tempo e gli occhi mangiavano parole.

il motto s’è franto da mundo
e la sperienza v’ha mistificato

sulo nel letto i’ m’appacio
si sciolgo tua dulenza

si participo co resto de core
al sangue assirragliato

vedi como sono richiusi i vetri
como il tempo rifugga la sustanza
e la bruta forza grandiosa avanza

i’ ca vurria far docia simbianza
e all’affrasar far de miele usanza

mi veco frantumato in una stanza
ca nun succorre né bio né scienza
e all’intorno sulo veco la suffranza

(se volete conoscere altri testi di Biagio, e sentirne alcuni recitati dalla sua voce, cosa che raccomando molto, andate sull’antologia sonora del suo sito, peraltro assai ricco di testi e notizie. Se volete notizie sulla sua arte pittorica, provate qui.)

2 COMMENTS

  1. grazie Gino, ma sul mio schermo appare esattamente la stessa giustificazione dell’originale, come qui, del resto controllata dall’autore medesmo.

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Antonio Sparzani, vicentino di nascita, nato durante la guerra, ha insegnato fisica per decenni all’Università di Milano. Il suo corso si chiamava Fondamenti della fisica e gli piaceva molto propinarlo agli studenti. Convintosi definitivamente che i saperi dell’uomo non vadano divisi, cerca da anni di riunire alcuni dei numerosi pezzetti nei quali tali saperi sono stati negli ultimi secoli orribilmente divisi. Soprattutto fisica e letteratura. Con questo fine in testa ha scritto Relatività, quante storie – un percorso scientifico-letterario tra relativo e assoluto (Bollati Boringhieri 2003) e ha poi curato, con Giuliano Boccali, il volume Le virtù dell’inerzia (Bollati Boringhieri 2006). Ha curato anche due volumi del fisico Wolfgang Pauli, sempre per Bollati Boringhieri e ha poi tradotto e curato un saggio di Paul K. Feyerabend, Contro l’autonomia, pubblicato presso Mimesis. Ha curato anche il carteggio tra W. Pauli e Carl Gustav Jung, pubblicato da Moretti & Vitali nel 2016. Scrive poesie e raccontini quando non ne può fare a meno.