Radio Kapital: ottimista e di sinistra


Intervista a Jean Claude Michéa (I/III) 1
Filosofo, Professore presso il Liceo Joffre, Montpellier

Quadro teorico
Le origini della società liberale

Traduzione a cura di Edoardo Frezet e Francesco Forlani
Un interrogativo che si pone per un numero sempre più grande di nostri contemporanei, in particolare nelle classi popolari del mondo intero, è come sia possibile che il progresso del mondo materiale e tecnologico generi un mondo in cui si moltiplicano gli eventi moralmente inaccettabili.
In effetti, credo che si debba ritornare alle radici dell’Occidente stesso, e rendersi conto che il suo atto fondatore è il trauma delle guerre di religione; la guerra civile ideologica è la guerra de-socializzante per antonomasia. Fondare una nuova società presuppone che si trovi una soluzione: poiché gli uomini si uccidono a vicenda in nome della morale, della religione e della filosofia, bisognerà trovare un modo per neutralizzare le cause dei conflitti e delle ostilità e fondare la vita in società su tutt’altra base.

Lo Stato dovrebbe essere neutro in materia di valori. I suoi interventi dovranno limitarsi a garantire che la libertà degli uni non comprometta la libertà degli altri. È questo il principio della modernità, e il liberalismo non è altri che questa corrente della modernità che ha portato al suo compimento estremo e più coerente tale esigenza. L’unico linguaggio comune che possiamo trovare tra gli uomini è la loro attitudine, cosiddetta naturale, a comportarsi, ovviamente, secondo il loro interesse. Quando si tratta di denaro tutti sono della stessa religione; il commercio di tutti con tutti permetterà di porre fine alla guerra di tutti contro tutti. Quando dico che nella soluzione liberale la morale perde il suo ruolo, non intendo dire che dovrebbe essere avversata o eliminata, ma che viene privatizzata. Nello stesso modo in cui i liberali privatizzano la distribuzione dell’acqua, dell’elettricità o dell’istruzione, si privatizzano i valori morali; ognuno è sempre libero di dire “penso che lo stipendio dei presidenti delle società quotate in borsa sia scandaloso.” “ Cosa è bene? Cosa è male? Se Il modo in cui sfruttiamo le risorse del pianeta corrisponde veramente alla felicità dell’umanità?” Tutte queste domande possono dare luogo a dei convegni animati, nel senso che ognuno vi apporterà la propria concezione privata dell’argomento, ma quel che è sottinteso, è che nessuna di queste soluzioni private, che in quanto tali hanno la sola funzione ornamentale e di distrazione, dovrà fungere da base per una linea politica. È per questo, d’altra parte, che i liberali si presentano sempre come i portatori di un discorso che segna la fine delle ideologie.

Il vero problema è che devono esserci delle elezioni regolari, e che ogni cinque anni bisognerà mettere in campo una retorica elettorale in modo che la base elettorale possa accettare, in forma di destra o di sinistra, la realizzazione del programma liberale; ecco perché durante le campagne elettorali è permesso ai politici liberali di invocare Dio, invocare la morale, invocare l’ecologia, criticare il sessantotto…Tutto è possibile. Ciò spiega come il presidente Sarkozy, quando un operaio che lavora in un’impresa da più di trent’anni si ritrova per strada perché quella, in modo disonesto e in base alla sua metafisica della rapacità, avrà tentato di fare profitti scandalosi, possa dire a titolo privato, seppure davanti alle telecamere, che da un punto di vista morale lo capisce; ma che -e qui sta la grandezza sua e del suo senso di sacrificio- deve sacrificare la voce della sua coscienza morale, che resta un affare privato e che quando si torna alle cose serie, quando il potere riprenderà il suo posto, bisognerà mettere tra parentesi tutti i giudizi morali.

Esempio della neutralità liberale: la prostituzione.

Per comprendere l’idea che la società liberale è una società assiologicamente neutra, cioè che non si riferisce a nessun valore religioso, morale o filosofico comune, c’è un esempio molto semplice: in nome di cosa la prostituzione, dal momento in cui è liberamente consentita, non dovrebbe essere un mestiere come un altro? È interessante vedere come in Germania, dove la sinistra è riuscita a imporre l’idea che l’attività di prostituzione, come viene definita, sia un mestiere come un altro, ad alcune operaie tedesche è stato proposto dal sindacato, in modo molto naturale e come un mestiere che dovevano accettare per non perdere il loro sussidio di disoccupazione, quello di escort in un eros-center. Siamo qui all’estremo di una logica liberale libera da ogni tabù; poichè la prostituzione è un lavoro come un altro, come l’elettricista o il panettiere, non vedo perchè l’educazione pubblica, che ha come principale obiettivo la formazione della gioventù a ogni tipo di mestiere, non debba occuparsi di istituire delle filiere di studio della prostituzione, un master in prostituzione, un corpo insegnanti specifico, gli esami adatti, un corpo ispettori opportuno.
E poichè siamo in una logica liberale la realtà supera sempre l’immaginazione. Dal 2008 in Nuova Zelanda il governo sta studiando l’organizzazione di una filiera di prostituzione, una laurea in prostituzione, un dottorato in prostituzione, e il tutto sarà insegnato all’università; e perchè non già al liceo, visto che è un mestiere come un altro?
Se sono libero di vivere come meglio credo, dal momento in cui mi prostituisco volontariamente e non ledo nessuno, con che diritto si potrebbe limitare questo diritto fondamentale dell’uomo e della donna e impedirmi di vivere? È sempre nel nome dei diritti dell’uomo che avvengono i progressi del capitalismo.

seguono seconda e terza parte

NOTE
  1. qui l’ntervista in originale e nella sua versione integrale🡅

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017