“Nina dei lupi” di Alessandro Bertante
di Marco Rovelli
Su facebook, Teresa Ciabatti e Giuseppe Genna hanno creato il gruppo “Nina dei lupi allo Strega”. Sarebbe giusto. Nina dei lupi (Marsilio, euro 18,50) di Alessandro Bertante è un ordigno potente. Un dispositivo mitopoietico e visionario come pochi altri tra i romanzi contemporanei. Troppo spesso di mitopoiesi si parla e basta: qua il mito lo si fa, invece. Bertante sa raccontare: crea una storia che si fa metafora di una fondazione dell’umano, che ci dice ciò che siamo e ciò che non siamo, che si struttura su una evidente dimensione simbolica, ma che prima di tutto crea un mondo in cui chi legge vive per il tempo della lettura. L’autore non ha paura, diversamente da molti della sua generazione, di sommuovere i sentimenti, con la misura precisa necessaria. Nel mondo di Nina tutto parla, e nel silenzio delle montagne è la natura a farsi sentire. Nina è figlia scampata alla “sciagura” – una sciagura che si manifesta mediante segni nel cielo, una sciagura che è il precipitato di una società come la nostra votata all’autodistruzione. Scampa alla barbarie, si rifugia sulle montagne, vive con i lupi, ama un uomo. Ci sono tutti gli elementi carsici del tempo profondo della Storia, che si manifestano all’altezza della sua crisi – che è rifondazione. Nina attraversa il tempo come la freccia da lei scoccata che uccide un daino, in uno dei suoi veri e propri riti di passaggio: è un tempo che ha un fine, ed è una fine che è nuovo inizio. Nina è la Musa primigenia di un mondo a venire, ripresentazione della Dea Bianca raccontata da Robert Graves. La ripresentazione di un mito eterno, che ha a che fare con la radice dell’umano. Non è fantasy, non è saga post-apocalittica, dunque, ma un romanzo che affronta i temi essenziali che riguardano l’umano. Mito, dunque, nella sua radice etimologica: “Durante le lunghe notti d’inverno trascorse davanti al fuoco, i bambini delle montagne occidentali volevano ascoltare solo una storia. Chiedevano di raccontare di Nina. Nina dei lupi”.
(pubblicato su l’Unità il 5/3/2011)
L’autore non ha paura, diversamente da molti della sua generazione, di sommuovere i sentimenti, con la misura precisa necessaria: beh, non parlerà mica di amore omosessuale!:)))
Quanto pregiudizio nelle tue parole, Gianluca! ;-)))
no Gianni, scherzo, è una provocazione, però sarebbe bello se il premio Strega andasse ad un romanzo sull’amore omosessuale, di uno scrittore omosessuale sostenuto da un gruppo di eterosessuali! :)))
p.s.
lo sai bene, che io non sono un scrittore e non me ne intendo di letteratura, per cui il mio giudizio o pregiudizio su qualsivoglia scrittore lascia il tempo che trova! ;)