TQ – fenomenologia di una generazione letteraria allo specchio (prima parte)

Performance di Michelangelo Pistoletto

Sognai che ero una farfalla
che d’esser me sognava
guardava in uno specchio
ma nulla ci trovava
-Tu menti-
gridai
si svegliò
morii.

R.D. Laing

‘O Tale e Quale
di
Francesco Forlani 1
Mi ha sempre affascinato il modo in cui la cultura popolare traduce le parole  che indicano le cose attraverso l’uso che di queste stesse  se ne fa. Così, dalle nostre part,i il Juke Box veniva chiamato ‘o cascione ra musica e lo specchio, ‘o Tale e Quale. Sono passati pochi giorni dall’incontro TQ che si è svolto a Roma alla sede Laterza e  forte di quel minimo di distanza temporale, necessaria per elaborare una qualsiasi esperienza, vorrei tentarne una mia personale lettura.
Pur sapendo che se indugiassi su alcuni dettagli, se mettessi in scena anzi fuori scena i tic e i tac dei presenti, l’osceno per antonomasia,  tentando alla maniera di Anna Maria Ortese, con la sua stessa geniale cattiveria, di descrivere l’erezione di un giovane critico all’ascolto di una voce autorevole di una critica italiana o la sua stramba montatura, di occhiali, alla  stregua della calza (il calzino?) rotta di Domenico Rea descritta nel Mare non Bagna Napoli, questo post farebbe tremila commenti, vi dirò che  per scelta ideologica, non lo farò.
Sempre per restare sul popolare, quello migliore, terra terra, Assunta, Susunta per noi piccoli- i miei lavoravano entrambi e noi sei pargoli eravamo governati da lei-  quando gli raccontavamo in maniera concitata i sogni, se ne restava in silenzio. A quel punto impauriti gli chiedevamo, Susù (pausa) è bbuone o malamente? E lei perentoria  ci diceva, ‘o scarafun è buone, i denti, perdere un dente, è malamente.Per me questo incontro è stato bbuone e tenterò di spiegarvi perché. Con ricognizione della causa, spero.

1. Caserta TQ: ‘o Tale e Quale di Pier Paolo Pasolini

Negli anni  settanta e ottanta, a Caserta non c’erano scrittori. Artisti, certamente, e anche molto all’avanguardia, fin dalla fine degli anni sessanta e i pieni settanta come il Gruppo  Proposta 66- La comune 2, una delle risposte più profonde che l’emarginato Sud, e una delle sue più belle voci, LuCa, aveva elaborato al coevo Gruppo 63. Ne facevano parte tra gli altri Andrea Sparaco, Livio Marino, Paolo Ventriglia, Crescenzo del Vecchio e Attilio del Giudice. A Caserta negli anni settanta e ottanta non c’erano scrittori, ma autori tout court, ovvero scritture, linguaggi, sperimentazioni, di cui i protagonisti di quell’esperienza sarebbero stati maestri (per documentarsi vd Arte in Terra di lavoro dal dopoguerra al 96, Spring edizioni, a cura di Vincenzo Perna Giorgio Agnisola, Enzo Battarra)

Certo, negli anni ottanta quei linguaggi avrebbero trovato un’eco profonda in teatro e in musica, i Potlatch o il Teatro Studio d Toni Servillo, gli Avion Travel o la Nuova Compagnia di Canto popolare. Da una conversazione con Enzo Battarra, critico d’arte militante ho appreso che sicuramente quei decenni erano anni di grande scambio tra i vari percorsi, all’ombra di una vera e propria comunità civile innanzitutto ancor prima che artistica e o intellettuale. E infatti devo dire che i fratelli maggiori, a Caserta erano davvero impegnati politicamente, socialmente, ma ad un progetto comune e certo non a costruirsi una carriera autoriale. Facevano Volontariato, organizzavano campi di lavoro internazionali, ciclostilavano nelle varie sedi politiche, facevano radio libere (Radio Città Futura, do you remember Silvia?) insomma cose che ancora oggi si ricordano alla maniera di un libro a cura di tantissimi autori di cui non si sanno i nomi.

Vi scrivo queste cose perché Nicola Lagioia  nella sua lettera Manifesto TQ, ha scritto:

” I nostri padri o fratelli maggiori hanno più potere, ma valgono molto meno di noi.”

Ecco. Poiché penso che quelli erano i miei fratelli maggiori ritengo che on solo non avessero (e abbiano) nessun potere reale (artistico o politico che sia) ma che soprattutto erano e sono di gran lunga migliori di noi.

Negli anni Novanta e duemila a Caserta c’è un numero impressionante di scrittori (e questa è una buona notizia, diciamolo). Qualche settimana fa camminando per Caserta con Enrico Remmert gli indicavo una dopo l’altra le residenze d’origine degli autori casertani: qui Roberto Saviano, qui invece Gino Ventriglia, lì Francesco Piccolo, poco oltre Antonio Pascale, più in là Paolo Mastroianni, Marilena Lucente, Lucio Saviani, Silvia Tessitore e tanti altri.

Per tutti noi non c’erano fratelli maggiori a cui ispirarsi e da cui difenderci, eventualmente, ma sicuramente l’eco di una presenza, quella di Pier Paolo Pasolini tra le mura diroccate di Casertavecchia, dove il poeta aveva deciso di ambientare una parte del suo Decameron.

Sul sito curato da Angela Molteni, Pagine Corsare, si legge come ” Il secondo episodio-guida è quello dell’allievo di Giotto, interpretato dallo stesso Pasolini: in chiave autobiografica il regista-attore sottolinea il rapporto tra la vita, il sogno e l’arte. Al termine del film, l’allievo di Giotto-Pasolini festeggerà con i suoi lavoranti l’impresa compiuta, poi, guardando l’affresco – il suo film – dirà: “Perché realizzare un’opera, quando è così bello sognarla soltanto?”.

Prosegue Angela Molteni:

Nel Decameron Pasolini recita dunque il ruolo di un allievo di Giotto e si veste come il Vulcano (vedi qui sopra) di Velázquez nel dipinto del Museo del Prado di Madrid: grembiule di cuoio e fascia bianca sulla fronte. Pasolini aveva visitato il museo madrileno nel 1964 e si era scoperto “tale e quale” nel quadro di Velázquez. “

Questo per dire come oggi a Caserta ci siano molti pregevoli autori TQ, con più o meno successo e fama nel mondo letterario, sicuramente e indiscutibilmente autori. Prima di noi c’era una comunità, e ora, basteranno tanti autori a crearne una? O almeno a sognarla?

Sognai che ero una farfalla
che d’esser me sognava
guardava in uno specchio
ma nulla ci trovava
-Tu menti-
gridai
si svegliò
morii.

R.D. Laing

Per la serie, genealogia dei saperi, questa citazione di Laing la devo al mio amico filosofo Lucio Saviani. Avevamo vent’anni e me la disse in macchina andando a Cassino da Caserta. Non mi ha mai abbandonato. effeffe

segue- à suivre

NOTE

  1. Pubblico qui in forma di note successive, work in progress, l’articolo che sto scrivendo per Nazione Indiana sull’incontro dello scorso venerdì svoltosi a Roma intitolato, Generazione TQ, Oltre la linea d’ombra.🡅

30 COMMENTS

  1. (bella lettura, Francesco) ma scusatemi tanto, io da un paio di giorni sto cercando di capire cosa significhi questo TQ. Se qualcuno me lo spiegasse scrivendolo per esteso, non potrei che essergliene grata, poi, magari sorriderei e passerei semplicemente avanti, tuattavia almeno avrei capito di che si tratta.

  2. @ effeffe bel pezzo e anche divertente

    @ natalia nell’articolo sul Sole è spiegato.
    TQ è un acronimo a significato aperto che va da Trenta-Quaranta a Tarantino-Quentin a …. forse, la famosa filastrocca-canzone Trenta-Quaranta la gallina canta.
    Ma penso che tutto sommato sarà molto, ma molto, meglio della sigla che si sono dati … ma, a proposito, chi è l’inventore del nome?

    Ci sono periodi in cui sono andati di moda i movimenti con numero: gruppo 47, gruppo 63, gruppo70 e quelli di caserta nominati da effeffe e periodi in cui prevalgono invece gli acronimi: NIE, TQ, ecc.

  3. aspetta natalia a sorridere, prima leggiamo gli interventi quando saranno disponibili, il nome non è altro che un nome e quando un numero di persone si mette in cammino è sempre buon segno.

  4. @ francesco
    del tuo post tutto mi è più o meno chiaro fuorché la citazione di laing nel suo significato più intimo, ti chiedo se puoi di sfarinarla per me che la leggo e rileggo imprigionata in un cortocircuito

  5. cara Rosa, la citazione che accompagna questi diversi interventi, non solo miei sull’affaire TQ, è suggerita dal titolo, fenomenologia di una generazione letteraria allo specchio. In questa fase del progetto ho pensato, e di qui la citazione, che la compagine che si sta mettendo in campo era come sospesa tra il sogno sognato (l’assalto dalle barricate al castello) e il sogno di essere sognati (il passaggio di testimone non accaduto tra le generazioni precedenti e quelle successive). Spero di aver sciolto il nodo, ma in ogni caso si chiarirà con la seconda parte. Intanto, per rispondere a Natalia e come indicato da Georgia a breve ci saranno degli altri interventi sull’incontro alla Laterza. Non so se ci sarà da sorridere, ma di una cosa ne sono certo, ci sarà da riflettere
    effeffe

  6. Sai, France’, ultimamente tutte queste cosette mi lasciano fredda, mi fanno sorridere, sarà conseguenza dei fatti che viviamo, ma sicuramente è un atteggiamento di distacco difensivo e personale. Se ci sarà da riflettere si rifletterà, o comunque avrete modo di riflettere qui tra voi, io al momento non trovo grandi cose su cui riflettere e tante pose letterarie che – ripeto, sarà un malessere mio – mi nauseano. Non volermene, esco dalla discussione. ciao.

  7. natalia per ora avresti ragione, il nome che si sono dati, la tristezza con cui si analizzano e si lamentano e chiedono si essere svezzati (non si sa bene da chi), il tormentone generazionale in cui sembra quasi che gli scrittori precedenti (sempre che siano esistiti) debbano, per generosià, suicidarsi collettivamente (visto che uno scrittore non può andare in pre-pensionamento) per lasciare il posto agli altri, come se, in questo campo, ci fossero posti a numero chiuso … esce uno entra un altro. Un’aria quasi stizzosa come se il ruolo di intellettuale fosse una conquista passiva a punteggio
    Tutte queste cose ti darebbero ragione … però a me sembra anche che ogni movimento (proprio nel senso di qualcuno che si muove) sia sempre positivo … tutto sta però nell’avere ben presente che la loro è (almeno al momento sembra) unicamente una lotta sindacale (anomala) e non culturale. La costruzione di una Arte (nel senso di primitiva corporazione) che aiuti chi lavora con la tastiera a fare lobby (lobby non nel senso horror e satanico, ma solo di sindacato, in una epoca idiota che ha ucciso tutti i suoi veri sindacati e partiti democratici (costruiti con lacrime e sangue e che andavano difesi a tutti i costi, ma gli dei fanno sempre impazzire chi vogliono perdere).
    Una generazione obbediente educata dalla tv ad odiare Sindacati, Partiti e Sinistra in generale, se vuole fare comunità, non può che fare lobby e questa sarebbe (se in realtà facesse ridere invece che piangere) l’ironia della legge del cotrappasso dantesco:
    Condannati per una intera generazione a fare lobby;-)

    Poi io non posso dimenticare un articolo di Scurati sulla stampa veramente e sgradevolmente pedofobo … quindi mi domando che voce e autorevolezza collettiva possa avere uno scrittore (che si definisce generazionale) che ha detto nei confronti delle futura generazione cose ai limiti del razzismo? Potrebbe essere divertente se parlasse solo a titolo personale (uno scrittore maledetto ci vuole sempre in ogni generazione) ma addirittura fare parte di un manifesto e di un movimento (anche se dal buffo nome) mi sembrerebbe quasi pericoloso ;-)
    geo

  8. “I giovani scrittori sono di destra”? Oggi, Goffredo Fofi sull’Unità, nella rubrica “La domenica degli italiani”… Un bla bla bla anche sul “Riformista”, sempre di oggi, di tale Mastrantonio…

  9. Ha ragione Fofi a dire che i giovani scrittori cercano il loro bene, il loro PASTO al sole (possibilmente all’ombra, aggiungerebbe causticamente il ” reazionario ” S. Lec).

  10. @francesco
    grazie francesco, il nodo è stato sciolto come un’epifania, lo riannodo questa volta al dito, per non dimenticarlo

  11. Quel che mi spiace di più in questo thread (per fortuna via mail si è sviluppato un discorso ben più interessante e anche qui non sono mancati spunti) è che dei tipi alla Bassoli intervengano una due tantum, sparino la loro cazzatella e se ne vadano fischiettando. Non uno che dica, e da …, per esempio, mi aspetterei qualcosa di più, il furlèn sta tentando di “capire ” qualcosa che per quanto non sia accaduto, ci si dovrebbe tutti augurare che accada. Condivisione di tempi e spazi di lotta comuni. Chest è. E magari pensare che il TQ è solo un punto di partenza, non certo un fine in sé, e così è per me.
    effeffe

  12. Certo che hanno scelto una sigla veramente troppo facile da prendere per il culo, questo è uno dei problemi fondamentali del gruppo già dalla sua nascita, e anche Scurati!
    Ma che discorso è mai quello? Riflettiamo un attimo sull’espressione “traumatizzati senza trauma”:

    ps: Continuo a sostenere che dovrebbero fondare una tq-web-tv, nessuno, mi prende sul serio, appunto.

  13. caro Beppe è che a volte pare si debba per forza scegliere tra sfigati di sinistra e fighetti di sinistra. non è forse venuta l’ora di contarci?
    effeffe

  14. Ho letto il “manifesto” dei TQ pubblicato sul Sole24ore.

    I criteri di partecipazione – per chiamata diretta o convocazione spontanea – non è che mi siano chiari, ma poco importa. Una riunione sullo stato dell’arte, che male di certo non fa, e che al di là degli spunti iniziali, debolucci secondo me, si può così chiarificare: diamoci una organizzata.

    L’intenzione, superando la immediata tentazione del cinismo, ovvero della rassegnazione e della stagnazione a priori, resta meritoria.

    L’errore, secondo me, consiste nell’operazione “tempo reale” che sta dando una spiacevole sensazione di dilettantismo allo sbaraglio.

    Meglio per tutti sarebbe stato: effettuare la riunione, dare un tempo limite a tutti i partecipanti per stilare qualche nota personale, eleggere, che so, per alzata di mano, una rappresentanza di dieci su tutti con la responsabilità di stilare un documento conclusivo, magari previa approvazione da parte di tutti o della larga maggioranza – democrazia a zaffate, proprio! -, contenente, nella maniera più attraente ma meno piaciona possibile, una sintesi delle premesse, dello svolgimento e del risultato fin qui.

    Sarebbe stato un procedimento più lento, vero, ma più professionale e soprattutto avrebbe permesso una stura del dibattito a partire da qualcosa di più concreto di cui avere consapevolezza.

    Pubblico avrebbe meritato di essere il risultato, insomma, piuttosto che tutta l’operazione, che pubblica non è stata. Vuoi per volontà di trasparenza o, per opposto, di visibilità, così come stanno andando le cose, così pare a me, si sta dando la sensazione non di un punto di svolta nel dibattito critico-letterario, ma del solito ingorgo delle opinioni che non va in nessun senso.

    Naturalmente, la possibilità di fornire una sintesi accattivante, pertinente e chiarificatrice c’è ancora tutta.

    Un saluto,
    Antonio Coda

  15. caro effeffe, non mi riconosco nella conta, né nell’esigenza di contarsi. né in quella, sopratutto, di “contare”… solo in quella di raccontare (forse)…

  16. Beppe per me quel contarsi andava nel senso da te auspicato. Non certo per intruppamento, e come scrive giustamente Antonio, anch’io mi auguro che questa sia un’occasione, come ce ne sono state in passato, di condivisione oltre che storicamente di immaginari, di costituzione di un collettivo. La parola farà sobbalzare i più, lo so, perché richiama infine discussioni liceali sull’opportunità di avere un servizio d’ordine o meno al portone della scuola oKKupata (vd dizionario affettivo dei fighetti di sinistra)
    . per me invece è una parola potente, nel senso di open source, di marxista general intellect, per dirla con Paolo Virno. La mia difficoltà maggiore in questo momento è nel cercare di “liberare”,nel mio piccolissimo, questa dinamica in atto dal label TQ che almeno per il momento è fonte di difficoltà e presta il fianco a critiche difficilmente confutabili. Per il resto trovo certe analisi, perfino quella di Fofi, frettolose, lapidarie e diciamo la verità anche un po’ pretestuose. effeffe

  17. Io trovo molto interessante questo articolo

    http://www.minimaetmoralia.it/?p=4322

    mentre non mi pare di aver letto alcuna ostilità da parte dei TQ nei confronti di tutti gli altri, ne vedo viceversa una spropositata ad essi destintata, il che non fa che accrescere ogni giorno di più le mie simpatie verso i TQ ai quali non posso fare altro che augurare un buon lavoro.

  18. l’analisi di Leogrande non fa una piega e spiega
    sergio Bologna, Paolo Virno, insomma fratelli maggiori a cui guardare
    effeffe

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francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017