Per Giuliano Mesa

Lajri & Chirò, Mandala, 2011di Massimo Rizzante

Dall’età della pietra

a giuliano mesa,
principe dei poeti

concittadino del popolo
principe dei poeti
o intoccabile in cima alle scale della fortuna
e tu achille dal calcagno d’oro

ora che anche i pesci azzurri del mare
allargano le branchie non per respirare
ma in segno di estremo saluto all’imperatore
prenditi gioco di qualcun altro

nell’età della pietra
dal grembo di una città assediata
Leopoli, Pristina, Berlino, Cracovia che importa?
in ogni caso ai corruttori di Roma in ogni caso in contumacia

un minuto dopo la resa
come un’umile pietra mi sono catapultato al di là delle mura
(il solo modo che a Siracusa
non hanno escogitato per liberarsi di Archimede)

cadendo oltre i bengala della vittoria
come un’umile pietra alle spalle dell’orizzonte
tra i pesci azzurri del mare
non per un estremo saluto all’imperatore ma per respirare

perché a differenza di quel che si pensa
nell’età della leggerezza
il buon senso umano è una zattera di pietra
tanto più libera quanto più comunica la sua indifferenza

e se la prossima volta la storia
con la sua delicatezza
al grido di eureka eureka
busserà alla porta di pietra della tua città assediata, ti prego,

concittadino del popolo
principe dei poeti
o intoccabile in cima alle scale della fortuna
e tu achille dal calcagno d’oro

falla entrare,
gioca con lei a battaglia navale
non scambiare per eccesso di immaginazione
la vasca dell’imperatore con il respiro del mare

ma soprattutto
come un’umile pietra,
non avere la smisurata ambizione di andare a fondo

P.S.
Negli anni Novanta, mentre scrivevo le poesie della mia prima raccolta, Lettere d’amore e altre rovine, il caso, o forse quel fiuto immaginativo che ci fa avvicinare alle persone che ci sono affini senza neppure sapere chi siano, mi ha fatto incontrare Giuliano Mesa. Tra Venezia e Pesaro, abbiamo passato insieme una settimana. Un’intera settimana in compagnia di Giuliano non è un evento da poco. Io lo conservo nella mia memoria come un lungo sogno attraversato da poeti di ogni tempo: con Giuliano si passava da Omero a Vallejo nel giro di qualche battuta. Questo cortocircuito storico, per me, è l’essenza dell’arte. Si gira per i secoli spinti da un vento di inquietudini alla scoperta di parenti, amici, accoliti che formano una banda di sognatori che parlano diverse lingue, alcune addirittura già morte, aspettando che qualcosa accada.
A Giuliano erano piaciuti molto gli ultimi versi di questa mia poesia. Anche al telefono, le rare volte in cui ci siamo sentiti dopo quell’incontro tanto intenso quanto fugace, me li ripeteva, quasi a sigillare la nostra amicizia che non aveva più avuto occasioni di incarnarsi. Vedo Giuliano in quei versi, nell’«umile pietra» che non ha l’ambizione smisurata di andare a fondo… Giuliano anche quando andava a fondo, in tutti i sensi, restava di un’umiltà naturale, una virtù sconosciuta alla maggior parte dei poeti italiani che ho incontrato. E, naturalmente, proprio perché era naturale, veniva scambiata dai suoi colleghi come una forma di presunzione, di alterigia, di diserzione, di mancanza di impegno (l’impegno!), di galateo.
I poeti sono spesso gente poco frequentabile. Quasi sempre fanno la ruota e si vantano di ogni cosa. Quando poi covano il senso del potere fin dall’infanzia – naturalmente mascherandolo da giusta ambizione – vogliono a tutti i costi segnare il territorio, occupare i rami più alti, deporre le uova nei posti più al sole, Einaudi, Mondadori, Garzanti e nei loro nidi di poesia che ormai hanno assunto una dimensione spettrale, ma non purtroppo nel senso di Musil, cioè di vera radiografia del tempo, ma nel senso di apparizioni intossicate dal lungo purgatorio editoriale che hanno dovuto affrontare prima di vedere le stelle!
Sono contento che le poesie di Giuliano abbiano fatto in tempo a essere riunite e pubblicate prima della sua morte. Ha trovato un gruppo di amici, un editore entusiasta (La Camera Verde) e una piccola porta per l’eternità.

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