ZANZOTTO
di Franco Buffoni
data l’eccezionalità dell’evento e l’emozione che provo, vengo meno alle regole di buona educazione indiana.
NESSUN DIRITTO E’ RISERVATO
MAGARI DA ME SI COPIASSE
TANTO QUANTO DAGLI ALTRI HO COPIATO
Andrea Zanzotto
Lo voglio ricordare in piena attività, capace di scandalizzarsi e di stizzirsi, come quando mi scrisse questa lettera, pubblicata su Testo a fronte n 22, I semestre 2000.
Pieve di Soligo TV, 31 ott. 99
Caro Buffoni,
sempre più spesso vedo apparire traduzioni di scritti poetici senza testo a fronte. E’ terribile l’implicito che c’è in una simile tendenza, soprattutto quando si tratta di confronti fra lingue “europee”.
Qui si dà per scontato che se sono in gioco lingue molto lontane (o abbastanza tristemente lontane per la media dei lettori anche colti) da sempre si è affidati a una vaga speranza di aver fortuna.
Sul “legame musaico” destinato comunque a saltare quasi del tutto, salvo rare e famose eccezioni, il soccorevole e necessario spazio del testo a fronte ha una parte essenziale, e serve anche a tener viva la consapevolezza che le lingue non sono solo strumenti, ma strutture antropologiche.
Scusami se vengo a tirar fuori argomenti simili con te che ne sei particolarmente edotto. Ma il disordine, il vero caos che si sta producendo, cresce a vista d’occhio, più marcio dei mostruosi grammelot, (non) dialetto e (non) inglese, che qui in Italia ci assediano perfino dalle insegne dei negozi.
Io mi son visto tradurre “Pasque”, e bene, per vederlo poi apparire senza testo con un editore quasi fantasma, ed oggi, mentre da Gallimard filtra l’intenzione di pubblicare un’antologia generale del mio lavoro senza testo a fronte (e Donzelli ha pubblicato Waterhouse senza testo, come avrai visto, e lascio perdere altri casi) mi pare che sarebbe giusto fare qualcosa per evitare quella che sarebbe l’emarginazione della res poetica in quanto tale. Non so.
Immagino che tu abbia già idee sul fenomeno, ben più chiare delle mie, anche per l’immediata conoscenza dei casi e dei problemi derivante, oltreché dall’interiore sensibilità ed esigenza, dalla tua specializzazione.
Io purtroppo mi trovo fuori della possibilità di aprire adeguatamente il discorso e anche di svilupparlo … omissis…
Sappimi dire, ti prego, qualcosa su una realtà che mi sembra (insieme a tante altre anche peggiori che ci assediano) desolante, e su una possibile forma di intervento…
Cari saluti e auguri
Andrea Zanzotto
NESSUN DIRITTO E’ RISERVATO
MAGARI DA ME SI COPIASSE
TANTO QUANTO DAGLI ALTRI HO COPIATO
Andrea Zanzotto
Proprio qualche giorno fa avevo riguardato l’intervista che gli fece Marco Paolini. Mi dispiace.
E’ morto un poeta, è morto un amico, è morto un partigiano e qua in veneto io non è che abbia tanti amici, Nè in Ytaglia ci sono poi tanti poeti, di partigiani poi….
Tocca a noi nani ora…
Che peccato non averlo conosciuto di persona, non aver risposto alle sue domande, essere lontani dal suo mondo. forse. I poeti non sono interscambiabili.
Sono terribilmente addolorato per queste due morti, quella di Giuliano Mesa e ora quella di Andrea Zanzotto, che nel giro di due mesi hanno tolto per sempre a tutti noi la possibilità di dialogare in vita con il più grande poeta europeo della seconda metà del novecento e con una delle più grandi voci poetiche italiane degli ultimi vent’anni. Credo che queste scomparse segnino un punto di non ritorno per la poesia italiana. Sono già iniziate le lamentazioni di rito delle prefiche insonni del potere culturale che vogliono appropriarsi di una voce che in vita, fino agli ultimi giorni, le ha sempre sonoramente irrise. Per Zanzotto, beninteso. Per Giuliano il potere non ha, coerentemente in questo caso, emesso un solo alito. L'”oltranza” e l'”oltraggio” con cui Zanzotto tenta, penetra, violenta i confini di ciò che illusoriamente chiamiamo “reale” portano con sé una potenza eversiva senza precedenti. E, ahimé, senza successori o quasi. Il “ritorno all’ordine” che domina il linguaggio poetico di questi anni, di questi mesi (e che hanno in parte segnato, io credo, anche la solitudine di Giuliano) testimonia il cancro dell’anima con cui il potere culturale segna le sue vittime: concedere qualche briciola di transitoria notorietà in cambio di un linguaggio tranquillizzante, naturalistico, descrittivo, ipnotico, con cui rendere stabile, abitabile la realtà, e rianimare artificialmente quel defunto rapporto denotativo di corrispondenza univoca tra parola e cosa che è la garanzia del mantenimento di ogni potere, e che Andrea Zanzotto ha il merito eterno di aver distrutto per sempre. Adesso la lotta si farà ancora più dura. Ma le armi, per chi abbia il coraggio di usarle, sono a portata di mano: leggere, e rileggere, e leggere ancora i versi di Andrea e Giuliano.
Concordo con l’amico Lello. Dopo Meneghello e Rigoni Stern ci lascia anche Zanzotto. Il Veneto, l’Italia ora sono vedovi di un’altra grande persona, di un altro uomo vero. FF
Ai casoeàri
(Nel dialetto Trevigiano dell’Opitergino-Mottense)
ad Andrea Zanzotto, in memoria
Morosi de l’erba, ‘ven vissù tea pianura
misuràndo i passi fra un foss e ‘na scuìna,
co’i òci spersi, là in fondo, ae montagne,
tee rece ‘na capa che ssisa onde conpagne
ae zhope de tèra nera te un canp ‘pena arà
arà via anca ‘a tèra dae nostre canpagne pa’
inpiantàr botéghe, capanóni, ‘dèss ‘i tó ossari
caro Andrea, i ‘é tuti ‘sti caseoàri, ‘sti casoni
coeònici che cròea a tòchi, rossi, fra ortìghe
e ignoranza, fra Mercedes e un diaéto che no’
vòl pì ‘ver ‘e paròe creanza, buazha, che l’à
arà via sorìsi e vaeóri co’a fadìga, che ‘l conta
caìo i só schèi tignùdhi sconti aa fémena
e al fisco che, cussì zharpìo, tradìo, i ‘o voràe
insegnà parfìn tee scùoe. Rivolgersi ai casolari
con il più disperato rispetto. Mì, incùò, pers
te ‘sta pianura strenta fra ‘l griso dei autlet
e dee fabriche, fra ‘sto verdo strangoeà, fae
el mé sòito peegrinàjo ‘torno ‘ste pière rosse
e ‘sti tre travi in crose, me ferme a pregàr
fra ‘e ortìghe alte come desgràzhie, ‘scolte
‘e vose morte de chi savéa de ver un cuòr
passàr come sói rosa fra ‘e fòjie dee piòpe,
preghe pa’a tèra te un diaéto che fae rima
co’ rispèto, e spere sol che l’erba lo vòpie.
Ai casolari
Fidanzati dell’erba, abbiamo vissuto nella pianura / misurando i passi fra un fosso e uno scolatoio, / con sguardi sognanti, là in fondo, alle montagne, / nelle orecchie la conchiglia che mormora onde simili / alle zolle di terra scura di un campo appena arato // arata via anche la terra dalle nostre campagne per / piantare centri commerciali, industrie, ora i tuoi ossari / caro Andrea, sono tutti questi casolari, questi casoni / colonici che crollano a pezzi, rossi, fra ortiche / e ignoranza, fra Mercedes e un dialetto che non // vuole più avere le parole accoglienza, letame, che ha / arato via sorrisi e valori insieme alla fatica, che conta / avido i suoi soldi nascosti alla moglie / e al fisco che, così troncato, tradito, lo vorrebbero / persino insegnato nelle scuole. Rivolgersi ai casolari // con il più disperato rispetto. Io, oggi, vagando / per questa pianura soffocata fra il grigiore degli outlet / e delle fabbriche, fra questo verde strangolato, compio / il mio consueto pellegrinaggio intorno a questi mattoni rossastri / e queste tre travi in croce, mi soffermo a pregare // fra le ortiche alte come disgrazie, ascolto / le morte voci di chi seppe di possedere un cuore / passare come voli rosacei fra le foglie dei pioppi, / prego per la terra in un dialetto che faccia rima / con rispetto, e spero soltanto che l’erba lo accolga.
FF
non posso parlare parole vane, ascolto le sue, e tutto ricordo e tutto serbo, e tutto di lui ci nutre. siamo anche molto più soli, da oggi lo saremo di più
Maria Pia Quintavalla
P.S Grazie, a te , Franco. ti abbraccio per avere mostrato la sua nota, a tutti ma non capita, immensa umiltà, oltre che sapienza,che è dei grandissimi.
Grazie Franco Buffoni.
Soprattutto in poesia la traduzione è dialogo tra due terre
e testa a fronte
è per me due fiumi
seguo la vita della lingua
terra natale e terra straniera.
Il brutto è che d’accordo con Marco Palasciano abbiamo postato quell’articolo su Zanzotto poco prima che morisse…
No, il brutto è solo che è morto; ma, a consolazione, è vissuto più del doppio di Leopardi, per dirne uno. In ogni caso sono rimasto male per due giorni, una tristezza appiattente. Dopodiché non resta che coltivare e ricoltivare.