Lettere a chiunque : Paolo Musio
La lettera di Paolo Musio che segue è in risposta alla lettera aperta di Claudio Morganti che lancia un appuntamento di profonda urgenza culturale, il 20 novembre 2011 al Castello Pasquini di Castiglioncello, per tutti gli artisti che vogliano iniziare una riflessione sulla loro ricerca attuale. effeffe
Stato della ricerca
di
Paolo Musìo
Sono attore e scrivo testi e adattamenti. Sono impegnato da qualche tempo in un piano di smantellamento, di semplificazione e approfondimento a beneficio della comunicazione.
Cerco di smantellare tutto ciò che mi sembra accessorio, fatto solo per essere gradito, riconosciuto. Citazioni, mascheramenti, tecnologia. Ho bisogno di uno spazio vuoto da togliere il fiato. Da non saper più cosa fare, dove girarmi. Cosa dire.
Semplificare è necessario quando c’è urgenza e in un certo senso pericolo.
Approfondire è necessario a fare in modo che solo ciò cui si è concesso tempo e un po’ di cura abbia qualche possibilità di fiorire.
Come attore cerco di aprire la via all’energia del corpo per conquistare spazi di libertà.
Nella scrittura mi occupo della dimensione ritmica, fisica delle parole, perché il più possibile scrittura e pronuncia pubblica del testo siano una azione sola, e diano atto del massimo di intimità in cui le parole sono nate e del massimo di pubblicità in cui si consumano. A volte combatto per piegare la letteratura ai miei scopi, spesso perdo, ma su questo fronte devo ancora sbagliare un bel po’. Costruisco testi macchina che tendono a stritolare colui o coloro che li abitano. Questo conflitto mi interessa, come lotta di chi intraprende un’azione e deve fare fronte, in pubblico, alle conseguenze che ne derivano, a ripetuti, continui fallimenti. Mi sembra che significhi bene l’avventura umana. Mi piacerebbe portare sempre più nel mio lavoro, una autentica dimensione contemplativa, non fatta di atmosfere più o meno evocative, in cui chiunque possa partecipare emotivamente al conflitto ma al tempo stesso osservarlo a distanza.
Ho la necessità di concentrare la mia attenzione sul fluire del tempo, di ascoltare e interrogare il silenzio. Individuare ciò che senza riuscirci cerca di opporre resistenza al continuo mutamento, avere sempre presente questa doppia dimensione di costruzione e distruzione.
Nel lavoro mi trovo sempre più spesso ad osservare la vita dal punto di vista del morto, o nel dialogo con il morto. Cerco di non perdere mai di vista questo sfondo davanti al quale ogni azione umana si svolge. In quella condizione trovo qualcosa di profondamente connesso a quella che per me è l’essenza del teatro. Un luogo in cui la memoria divora il presente, ed il presente crea nuova memoria, un luogo in cui può bruciare la vita più intensa nel conflitto con la sua negazione. In questa ricerca, pur da solo, sono in ottima compagnia, tra i morti e qualche vivo col quale di tanto in tanto mi capita di parlare di questo. Solo da tali premesse posso e voglio poi occuparmi di contenuti, di vero e di falso, di storie e di Storia, di forma e di stile, di letteratura, di cronaca, di moda e anche di chiacchiere.
Ho l’esigenza di condividere con altri artisti e soprattutto con il pubblico questo percorso così spinto nell’ambito individuale. La ricerca di compagni di viaggio è uno dei punti centrali. So che questo lavoro ha senso solo in una prospettiva politica, solo come azione politica. Più precisamente come tecnica di creazione di libertà condivisibili.
Ho tempo, è chiaro che queste riflessioni vengono in mente a uno che ha tempo. Sempre più gente attorno a me ha tempo e mille preoccupazioni, come me. A volte penso che il destino della mia generazione sia stato quello di avere così tanto tempo per sé, fuori da schemi di potere, da dover trasformare questa specie di condanna in una opportunità. Non so se ci stiamo riuscendo. La vita è così breve e l’arte è tanto grande.
Mi dispiace vedere troppo spesso che gli artisti non si sentono contro il potere, ma lo cercano, un po’ come i suicidi cercano la morte. Credo che sia necessario lottare oggi per fornire a noi stessi ed a chi partecipa al nostro lavoro sempre più efficienti strumenti interpretativi della realtà, lottare per educare le nuove generazioni al libero pensiero, all’elaborazione delle informazioni, ed anche alla ribellione nelle più varie forme. Vivendo assolutamente privo di speranza sento che ancora nell’arte è contenuta una possibile azione, qualcosa di buono.
Vivo a Torino, ho 48 anni, tre figli. Sto per aprire un piccolissimo spazio a Porta Palazzo. I progetti in cui sono attualmente impegnato sono: Eremos, dai testi di Carlo Michelstaedter, con la regia di Theodoros Terzopoulos, Fatzer di Brecht, regia di Fabrizio Arcuri, Operette Morali di Leopardi, regia di Mario Martone e Voce, performance da un mio testo.
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sì.
il rigore ci salverà, ci sarà una selezione naturale e non ci sarà scampo per le Mezze Tacche
Rigore, notoriamente, è quando arbitro fischia.
“Rigore, notoriamente, è quando arbitro fischia ” (cit. Vujadin Boskov)
I fischietti stanno fischiando …
Che si citi Boskov, farà piacere anche al sampdoriano Claudio Morganti.