… nella notte lo guidano le stelle…
Felice Cascione
[Imperia, 2-5-1918 – Alto, 27-1-1944 ]
[ Felice Cascione Lettera testamento spirituale |
di Orsola Puecher
Nella notte d’inverno le stelle scintillano, ancora più nitide, fredde nel freddo apogeo. Al fuoco del bivacco, appoggiato alle pietre, nude, del muro a secco, il dottore [‘U Megu] non parla e dentro di sé sente la sventura vicina. Come degli animali senza fuga, braccati dalle sagome incerte del buio silenzioso, che aspettano la fine nell’ombra che avanza.
Ho solo te al mondo, figlio mio.
Madre mia, si muore una volta sola.
Il figlio le risponde mentre guarda lontano.
La Maestra Maria aveva una sciarpa rossa e questo figlio biondo da crescere da sola. Orfano del padre a cinque mesi, delicato e taciturno. Nato nell’anno mille novecento diciotto. Lei disegna aste e cerchi sulla lavagna nera, ma il saluto fascista non lo vuole insegnare, non celebra il sabato, balilla e moschetto. Qualcuno del paese organizza l’agguato.
Eccola… addosso! O vincere, o morire!
Uno degli “arditi” la riconosce.
E’ la mia maestra… e non la si tocca!
Il ragazzo timido a soli quattordici anni lascia la casa, per frequentare il ginnasio, a Genova, al collegio Cristofoto Colombo degli orfani di Guerra. Ogni volta che parte, piange di malinconia. Scrive lunghe lettere alla mamma lontana: nonostante il clima e il cibo pessimo, nella stanza nemica, pieno di nostalgia, cercherà di studiare e di diventare uomo.
Mi sento così solo lontano da te,
dalla casa di cui ho il profumo nel naso.
Gareggia nella Squadra Nazionale di Pallanuoto. Ma sulla Spiaggia d’Oro non indossa la maglia con la scritta del GUF, unico nella foto, fra i compagni ridenti. Per salute e forza si sente invincibile. Nell’acqua intorbidata dalle bracciate fitte esce alto a mezz’aria, sopra il gorgo e la mischia. Vince la coppa Orti contro l’Ungheria, nell’ultima stagione prima della guerra.
Mia carissima mamma, non puoi immaginare
in quale stato d’animo mi trovi quest’oggi.
A Imperia conosce il Segretario ed entra nel Partito Comunista clandestino. Dalla madre ha imparato a essere antifascista. Nei due anni a Genova, Facoltà di Medicina si espone per le sue idee e deve andare via. Altri due anni a Roma e viene individuato. E’ scoppiata la guerra.
“Un’ora segnata dal destino
batte nel cielo della nostra patria!”
Urla testa di morto dal balcone.
“Guerra! Guerra! Ecco il grido pazzesco di oggi. Che tristezza, mamma. Come vorrei a essere a te vicino. Perché tanto odio verso i nostri fratelli d’oltralpe? Cristo ci insegnò ad amare il nostro prossimo. Io penso che solamente i buoni, solamente coloro che si adoperano con tutte le loro forze per il trionfo della pace, possano dirsi veramente suoi seguaci. Le guerre di oggi sono una follia di uomini crudeli, ambiziosi, egoisti. La pace crea, la guerra distrugge. La prima affratella gli uomini, la seconda li spinge a dilaniarsi a vicenda.”
[ Roma 29 Maggio 1940 – lettera alla Madre ]
La “giovinezza” dell’inno cerca un’altra “primavera”. Delusa quella “di bellezza”, del “marciam verso l’avvenire”. Nel paese allo sfascio, in balia della crudele ritirata dei nazisti, viene meno ogni speranza di futuro. La virile mistica giovanile dell’interventismo della Prima Guerra Mondiale, dello squadrismo, della marcia su Roma è lontana. I giovani si staccano dal fascismo. La gioventù colta si sottrae al regime. E’ il momento della scelta. O soccombere, o ribellarsi.
Il ragazzo ora è dottore e fa la sua scelta. Raccoglie sulle colline sopra Imperia un piccolo gruppo di giovani. Dopo il primo scontro a Monte Grazie vengono catturati due repubblichini, un ufficiale e un milite. I compagni vorrebbero ucciderli subito. Li picchiavano. Il dottore li ferma. “Se tu fai così, sei come i fascisti.” Li interroga. Li tengono con loro due mesi. Era convinto di recuperarli. Sembrava che volessero diventare partigiani.
Ho studiato vent’anni per salvare
la vita di un uomo e ora voi volete
che io permetta di uccidere?
Se c’era un bambino ammalato, faceva anche 20 chilometri per curarlo. La sera si riunivano, qualcuno aveva portato il Manifesto di Marx ed Engels. Leggevano e poi lui spiegava. Era il suo un comunismo di valori etici universali. Il giorno di Natale scendono a Corennna. E’ finita la Messa delle 11 e vengono invitati due per famiglia a dividere il pranzo.
Io sono venuto in montagna,
non per ammazzare la gente,
ma per farla vivere meglio.
Dall’ottobre del ’43 al gennaio del ’44, nei momenti di pausa il dottore scrive le parole di una canzone. Tutti ci mettono qualcosa. Sull’aria della malinconica Katjuša, portata da un reduce dal fronte russo. C’era chi la voleva più dura. Il dottore la voleva più umana e sostituisce “rossa” con “nostra” per “primavera” e “bandiera”, perché possa essere, come sarà, la canzone di tutti i partigiani. La Maestra Maria correggerà “soffia” in “fischia”. Il 6 gennaio 1944, giorno dell’Epifania, la cantano tutti insieme sulla piazza di Alto.
Alla fine uno dei due prigionieri repubblichini scappa e conduce i nazisti e i fascisti al rifugio. Lo scontro inizia al mattino all’alba e dura per tutto il giorno. Le munizioni finiscono. Si ritirano più in alto. Il dottore decide di tornare giù, per recuperare carte e documenti e viene ferito. E’ a terra dietro un muretto, nascosto, ma quando i fascisti torturano il suo compagno per fargli dire dov’è il capo, si alza e dice ”Il capo sono io.”. La raffica di mitra lo falcia immediatamente.
La gente del paese di Alto, cessata la battaglia, sale pietosa a recuperare il corpo. Su di una barella. Scende la lenta processione. Gli orli dei prati velati di brina e le spoglie fronde gelate sembrano ritrarsi al passaggio. Lo portano nell’oratorio. Attendono una settimana. Non si riesce ad avvertire la famiglia. Così lo seppelliscono nel piccolo cimitero. La notizia e il vento della sua canzone soffiano dovunque. La Maestra Maria talvolta sale su a trovarlo. Come tutte le madri che restano vive ai figli.
Fischia il vento…
Katjuša [1938]
cantata da Lidiya Ruslanova
Musica di Matvei Blanter
Testo di Michail Isakovskij
Meli e peri erano in fiore,
La nebbia scivolava lungo il fiume;
Sulla sponda camminava Katjusha,
Sull’alta, ripida sponda.
Camminava e cantava una canzone
Di un’aquila grigia della steppa,
Di colui che lei amava,
Di colui le cui lettere conservava con cura.
O canzone, canzone di una ragazza,
Vola seguendo il sole luminoso
E al soldato sulla frontiera lontana
Porta i saluti di Katjusha.
Fagli ricordare una semplice giovane ragazza,
Fagli sentirla cantare
Possa lui proteggere la terra natia,
Come Katjusha protegge il loro amore.
Meli e peri erano in fiore,
La nebbia scivolava lungo il fiume;
Sulla sponda camminava Katjusha,
Sull’alta, ripida sponda.
[ che ringrazio in modo speciale per avermi spedito il suo bellissimo documentario, preziosa archeologia e conservazione della memoria dei luoghi, dei volti e delle parole dei compagni e degli amici di Felice Cascione: Silvano Alterisio, Nando Bergonzo, Francesco Biga, Carlo Cerrina, Cesare De Andreis, Paolo De Andreis, Antonio Forchero, Manfredo Manfredi, Adele Morelli Natta, Giovanni Roncallo, Tommaso Roncallo, Raimondo Ricci, Angelo Setti, Antonio Simonti, Carlo Trucco, della cugina Felicita Ponte, ancora, dopo tanti anni, piene della luce e dell’esempio della sua straordinaria figura, e capaci di rendere viva e presente la storia e di creare le suggestioni che hanno originato questo racconto, insieme alla lettura del prezioso libro di Francesco Biga “Felice Cascione e la sua canzone immortale.” ⇨ Istituto Storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Imperia, 2007 ]
⇨ FELICE CASCIONE Perseguitato politico, all’annuncio dell’armistizio iniziava l’organizzazione delle bande partigiane che sotto la sua guida ed al suo comando compirono audaci gesta per la redenzione della Patria. Arditi colpi di mano, atti di sabotaggio, azioni di guerriglia sulle retrovie nemiche lo videro sempre tra i primi, valoroso fra i valorosi, animatore instancabile, apostolo di libertà. Ferito in uno scontro contro preponderanti forze nazifasciste rifiutava ogni soccorso e rimaneva sul posto per dirigere il ripiegamento dei suoi uomini. Per salvare un compagno che, catturato durante la mischia, era sottoposto a torture perché indicasse chi era il comandante, si ergeva dal suolo ove giaceva nel sangue e fieramente gridava: « Sono io il capo ». Cadeva crivellato di colpi immolando la vita in un supremo gesto di abnegazione. Val Pennavaire, 27 gennaio 1944. |
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Grazie per questo post.
che meraviglia che hai creato per questa memoria. ma grazie davvero, Orsola.
Buona Resistenza.
grazie di cuore
r
la cosa che più mi emoziona è quella correzione materna: “fischia”; un abbraccio resistente a tutti
GRAZIE!
Bellissimo. Grazie.
Post emozionante e magnifico.
ricordare la resistenza di ieri per imparare a resistere oggi.
buon 25 aprile
la parte migliore degli italiani
La democrazia e l’entropia.
La democrazia come prodotto a lunga scadenza, da consumarsi preferibilmente entro e non oltre un tempo sufficientemente virtuoso, poi si ricomincia da capo, si disarmano e, caso per caso cancellano i privilegi e tutti quei sedimenti dove le opportunità hanno creato feudi, caste e monopoli che non ridistribuisco opportunità e ricchezza, paralizzano il lavoro, la creatività e la crescita.
Chi attiva la conseguente sintropia ?
per fortuna stasera ho fatto un salto su nazioneindiana…grazie
belle queste nostre stelle….bella anche la scelta di diversi linguaggi per diverse storie che per troppo tempo abbiamo “imbalsamato” fino a dimenticare che noi siamo liberi grazie a loro. Oggi ricordiamo e festeggiamo, da domani riprendiamo a resistere.
“Strappato dal sonno, forse per sbaglio, e buttato fuori dal treno in una stazione di passaggio. Di notte; senza nulla con me…”(Luigi Pirandello.Una giornata)
http://www.charlesayoub.com/mp3/public/uploads/music/disk1/disk1/English/The%20Cranberries/The%20cranberries%20live/zombie.mp3
Grazie per questo post.
Magnifico, monumentale post, grazie con affetto garbato, Gaetano dall’Irpinia
Grazie a tutti.
E quando ancora si sente ciarlare di “querra civile”, a proposito della Resistenza, si rafforza, attraverso le parole e le storie di chi “scelse”, la certezza che fu invece una “guerra di civiltà”, di valori alti e condivisi e perduti opposti alla barbarie etica, mai perduta, invece.
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Anche questa scrittura è alta e civile.
Grazie.