Dio ti ma

di
Francesco Forlani

Ho letto l’ultimo libro di Luisa Muraro, pubblicato da nottetempo, Dio è violent.

Grazie a una mia amica italiana a Parigi avevo letto altre sue cose soprattutto nei quaderni di Diòtima, ovvero una splendida comunità filosofica femminile nata in Italia negli anni ottanta intorno all’idea, al pensiero della differenza ( Vi segnalo il bell’articolo intervista di Beppe Sebaste a Luisa Muraro). Mi ha colpito l’immagine in copertina. Una scritta sul muro, “nomen omen”, avrò pure pensato, ma soprattutto, ancor prima di leggerlo, ero sicuro che mi avrebbe dato una risposta a una domanda che da circa un mese mi stava impegnando la capa. In effetti, cira un mese fa, tornando verso casa, su un muro di via Rossini qui a Torino, teatro di manifestazioni, più o meno violente, per il suo essere in bilico tra gli studi della Rai e Palazzo Nuovo, su un muro, dicevo, c’era una scritta particolarmente risolutiva. Del tipo, per intenderci, facciamo la rivoluzione, o bruciamo tutto, o qualcosa così. A rimanermi dentro non era tanto la violenza del proposito ma la sua forma. Lo slogan appariva scritto piccolo piccolo, forse con un tratto pen, ad altezza degli occhi, ed era proprio questo contrasto tra il proposito roboante e la timidezza della grafìa ad avermi intrigato. Del libro della Muraro vorrei poter dire che ha esercitato su di me lo stesso effetto di quella scritta sul muro. E non perché contenga il libro un’apologia della violenza, anzi direi che la disinnesca riportandola nel quadro più spinoziano della forza giusta (come viene ribadito nel video qui sopra). Diciamo allora che il breve saggio, l’essai, riproduceva non solo la timidezza della forma di quella scritta, un libro di piccolo formato, leggero, dove si parla di urla e furore sussurrandone le ragioni e le anti ragioni, ma la sua dimensione privata. Quella scritta piccola piccola si faceva leggere attraverso una dimensione dialogica, un face à face che è il solo modo di dire le cose in faccia. Qui di seguito l’ouverture così com’è possibile consultarla sul sito di nottetempo, Dio è violent.


Dio è violent
di
Luisa Muraro

L’estate scorsa, nel centro storico di Lecce, sulla cinta esterna di un complesso in ristrutturazione, sopra la dorata pietra leccese è apparsa una scritta in nero che, quando la vidi, mi parve scritta da me in sogno. Suppongo che sia ancora là. Dice, in caratteri cubitali ma minuscoli, tolta l’iniziale che è maiuscola: “Dio è violent…!”. La frase non è interrotta ma mutilata, la lettera finale essendo coperta da una macchia bianca che si estende anche sul puntino del punto esclamativo, che però traspare. Subito sotto, sulla destra, un’altra mano ha aggiunto in lettere maiuscole, ma piú piccole e rossastre: “E mi molesta”. La duplice scritta solleva un gran numero di questioni in groppo fra loro e con il nostro tempo, come un nodo di questioni antiche dell’umanità arrivate al pettine.

La prima riguarda la cancellazione della lettera finale: è stata cancellata apposta e perché? La finale di quell’aggettivo ci direbbe di che genere è, -o = maschile, -a = femminile; il genere di un aggettivo, sempre secondo la nostra grammatica, si conforma a quello del nome e fa pensare al corrispondente genere sessuale. Dio, nella nostra lingua, sarebbe un nome di genere maschile ma la teologia femminista ci ha portati a interrogarci sul genere di Dio e sul rapporto che c’è tra Lui o Lei, e la differenza sessuale umana, cioè il nostro essere donne e uomini, differenza che si riverbera variamente in tutti i linguaggi, dalla danza allo sport, dalla moda al canto, e in molte lingue, direi tutte ma non le conosco tutte. Non solo, in molti ricordiamo quel papa che regnò un solo mese, Albino Luciani, il quale disse: “Dio è anche mamma”, attribuendo cosí alla divinità un genere femminile. Purtroppo, la lettera finale essendo illeggibile, l’intento di chi ha voluto cancellarla, uomo o donna, è doppiamente difficile da indovinare.

Altre domande spuntano se prendiamo in considerazione la scritta aggiunta: lo fu prima o dopo la cancellazione? Tendo a pensare che fu prima e che la cancellazione abbia a che fare proprio con la scritta aggiunta, come per contraccolpo.
In ogni caso, le due scritte insieme formano una breve, drammatica narrazione. Quella principale da sola, invece, sembra affermare un dogma circa il rapporto fra Dio e la violenza.
Non possiamo escludere una cancellazione di natura dotta, fatta cioè per insegnarci che Dio non ha un genere come noi. L’idea di un Dio né maschile né femminile, per quanto filosoficamente inoppugnabile, un Dio persona senza sesso, è piuttosto insulsa; per contro, l’immagine di una teologa femminista o di un dotto prete che nottetempo, secchiello di calce in mano, correggono l’errore sul muro, piace e fa ridere.

Non possiamo escludere nemmeno il fatto accidentale: le apparenze lo escludono ma nelle cose umane non si può non lasciare una parte al caso e nelle divine pure, quando s’intromettono nel nostro mondo.
La questione maggiore che pone la duplice scritta è, chiaramente, che si predichi la violenza di Dio. Violenza in generale che la scritta minore interpreta in senso sessuale. C’è anche un significato metaforico del molestare ma oggigiorno quello prevalente riguarda i rapporti a sfondo sessuale, con un’implicita allusione ai rapporti dispari, di adulti con bambini o bambine, di capi con dipendenti ecc., una disparità che, trattandosi di Dio, di colpo diventa smisurata.
Associare la violenza a Dio non è una novità: siamo abituati ai discorsi sulle Crociate, l’Inquisizione, oppure l’11 settembre, il terrorismo islamista… Sono le risorse di una cultura dei luoghi comuni. Ma predicarla, cioè fare della violenza un predicato della divinità, è insolito e sfiora la bestemmia. La scritta di Lecce non ha niente di triviale e niente di blasfemo. Punta direttamente su Dio senza passare attraverso i suoi fedeli. Ma, pur mettendolo in una luce temibile, non ha accenti di protesta o di riprovazione: prevale la constatazione, inquietante ma distaccata. Io l’ho letta come un messaggio ispirato dalla divinità stessa che da quel muro si rivolge a noi umani.
Dio che scrive sui muri, è una novità ma non per chi conosce la Bibbia. Alla scritta di Lecce non ero preparata, ma vederla fu piú una conferma che una sorpresa. Conferma inattesa di pensieri suscitati dalla lettura di La passione secondo G.H. della scrittrice brasiliana di origine ebreo-ucraina Clarice Lispector (1920-1977). A un certo punto del suo itinerario G.H., la protagonista, parla di imparare a usare Dio il quale, per parte sua, non si fa scrupolo di usarci: “Egli ci usa e non impedisce che noi facciamo uso di Lui” e nota che noi siamo parecchio arretrati e “non abbiamo un’idea di come approfittare di Dio”.

Facciamolo ricorrendo alla violenza se occorre, cosí come con le cose di questo mondo. “Anche con Dio ci si può aprire la strada mediante la violenza”. Lo fa anche Lui con noi: “Egli stesso, quando ha piú specificamente bisogno di uno di noi, ci sceglie e ci violenta”. (Non so il portoghese ma mi piace citare Lispector nella lingua originale, che è sorella della nostra: Ele mesmo, quando precisa mais especialmente de um de nós, Ele nos escolhe e nos violenta).
Che cosa significano queste parole? Credo che non chiedano di essere interpretate ma di essere prese alla lettera. E, da parte nostra, stare a quello che succede di conseguenza alle altre parole e alle cose.
Tirar fuori Dio in apertura di uno scritto laico di argomento politico non si usa e vorrei giustificarmi.
Non nominare il nome di Dio invano, dice il libro sacro degli ebrei e dei cristiani. Però, praticamente, che cosa vuole dire “invano”? Per molti ormai sarebbe sempre invano. A me nominarlo talvolta serve. Mi serve introdurlo nei ragionamenti che non lo prevedono per scavalcare certe divisioni fissate dal razionalismo borghese. Quello, per intenderci, che organizza l’enciclopedia dei saperi e lo fa in una maniera che certe volte è censura. Potrei portare degli esempi.

Sono anch’io nemica dell’invadenza clericale, come può esserlo il piú laico degli intellettuali.
Ma Dio non è un prete (né un intellettuale) e non gli somiglia lontanamente. Vero è che si lascia usare dai preti per i loro scopi. Alla stessa stregua, replico, da me per i miei. “Ele deixa”, scrive Clarice Lispector nel testo già citato: ci lascia fare, ci lascia usarlo, approfittiamone. Se ci va, naturalmente, perché è un’opportunità offerta, non un obbligo, con Dio vige la libertà e ci sono persone da Lui o Lei amatissime che nascono, vivono e muoiono senza avere mai fatto il suo nome. Il mio scopo, nel portare questo o quel nome (ne ha tanti, di tanti generi e numeri, perfino tempi e coniugazioni) dove non era previsto, è di ingrandire le vedute e di far giocare qualcosa del molto che è fuori gioco dal regime storico della vita del pensiero. Qui si tratta di trovare vedute alte e larghe sull’uso della violenza. Si tenga conto che l’operazione di tirare in ballo Dio non ci fa uscire necessariamente dal razionale, anzi certe volte è il contrario: c’è infatti una ultragenerosità razionale di Dio, se cosí posso esprimermi.

7 COMMENTS

  1. Bella intervista e bella introduzione; mi pare di non capire le ultimissime righe sulla “ultragenerosità razionale di Dio”, tu che dici, Fra’?

  2. ciau Sparz. L’ultragenerosità di cui parla la Muraro è nel suo rendersi disponibile all’uso della ragione – e dei ragionamenti- tanto dei credenti che dei non credenti, in una dimensione squisitamente laica, ecco. effeffe

  3. L’Ouverture della Muraro ha un pregio: certifica che Dio esiste. E io ne sono felice. Ho un solo dubbio: se Dio esiste, e se «con Dio vige la libertà», e se davvero abbiamo a che fare con «una ultragenerosità razionale di Dio», perché esiste la violenza?

    PS: Diotima? Ma si tratta forse di quella comunità di filosofe che si esaltò per l’incarico dato da Bush alla Condolleezza Rice? Già, una donna non può esercitare violenza …

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francesco forlani
francesco forlani
Vive a Parigi. Fondatore delle riviste internazionali Paso Doble e Sud, collaboratore dell’Atelier du Roman e Il reportage, ha pubblicato diversi libri, in francese e in italiano. Traduttore dal francese, ma anche poeta, cabarettista e performer, è stato autore e interprete di spettacoli teatrali come Do you remember revolution, Patrioska, Cave canem, Zazà et tuti l’ati sturiellet. È redattore del blog letterario Nazione Indiana e gioca nella nazionale di calcio scrittori Osvaldo Soriano Football Club, con cui sono uscite le due antologie Era l’anno dei mondiali e Racconti in bottiglia (Rizzoli/Corriere della Sera). Corrispondente e reporter, ora è direttore artistico della rivista italo-francese Focus-in. Con Andrea Inglese, Giuseppe Schillaci e Giacomo Sartori, ha fondato Le Cartel, il cui manifesto è stato pubblicato su La Revue Littéraire (Léo Scheer, novembre 2016). Conduttore radiofonico insieme a Marco Fedele del programma Cocina Clandestina, su radio GRP, come autore si definisce prepostumo. Opere pubblicate Métromorphoses, Ed. Nicolas Philippe, Parigi 2002 (diritti disponibili per l’Italia) Autoreverse, L’Ancora del Mediterraneo, Napoli 2008 (due edizioni) Blu di Prussia, Edizioni La Camera Verde, Roma Chiunque cerca chiunque, pubblicato in proprio, 2011 Il peso del Ciao, L’Arcolaio, Forlì 2012 Parigi, senza passare dal via, Laterza, Roma-Bari 2013 (due edizioni) Note per un libretto delle assenze, Edizioni Quintadicopertina La classe, Edizioni Quintadicopertina Rosso maniero, Edizioni Quintadicopertina, 2014 Il manifesto del comunista dandy, Edizioni Miraggi, Torino 2015 (riedizione) Peli, nella collana diretta dal filosofo Lucio Saviani per Fefé Editore, Roma 2017