Nota su Geologia di un padre
di Livio Borriello
Ci sono libri che non sono solo libri, ma cose della vita che attraversano lo stadio di libro , per diventare poi nel lettore di nuovo cose della vita. Sono libri spesso lungamente sedimentati, che si sono depositati da sé sulla pagina, che hanno imposto le proprie leggi e la propria fisionomia espressiva allo scrittore quasi riluttante, e che proprio perciò, trascendendo l’intenzione letteraria, diventano parola nel senso più pieno. Uno di questi libri è forse Geologia di una padre di Valerio Magrelli, scritto nell’arco di 10 anni, in una forma anti-narrativa in cui convergono la massima densità linguistica e la tenuta e capacità di coinvolgimento di un racconto.
Magrelli, che finora se ne era tenuto allergicamente e coscienziosamente alla larga, per la prima volta riconosce una psiche, e si decide a descriverla. Se ne è sentito forse autorizzato dal fatto che a quella psiche appartiene quanto essa gli appartiene: è la psiche di quel personaggio in sé metapsichico, precluso all’oggettivazione dai meccanismi libidici, che è un padre.
Magrelli riesce a descrivere la figura paterna tenendosene sempre sull’orlo metafisico, sul ciglio. E’ la prima volta, a mia conoscenza, che una psicologia è descritta in tutta la sua insondabile vertiginosità, proprio perché viene a coincidere con quel limite del mondo che è un io, quello del figlio che, per raccontarla, si sovrappone e identifica ad essa.
Se ne delinea un oggetto che è insieme un mostro e un reperto fossile, un meccanismo animale e un vividissimo tipo caratteriale. Ed è tuttavia anche, stranamente, inspiegatamente, fatalmente, un oggetto del suo amore…
Tutto il libro è percorso da una cruenta tenerezza, da una tenerezza che svaria dal beffardo al commosso, dall’algido al rovente, dallo straziato allo straniato.
La violenza irascibile del padre dal nome di fiore, di Giacinto, appare come un dimenamento, un divincolamento, uno spasmo con cui tenta di sventare la presa del mondo. Giacinto non si scaglia, ad ogni provocazione, contro l’ingiustizia, ma contro una condizione di prigionia del corpo nella lingua..
Corrisponde peraltro simmetricamente al sofisticato culto (in origine un’etica) del martirio del figlio..ma tutto ciò non è da scambiare per un banale e patologico incastro nevrotico…padre e figlio sferrano piuttosto da fronti opposti un prometeico e congiunto attacco alla morte e alla meccanicità della vita.
Non saprei se questo è il libro migliore di Magrelli, per qualche verso no, per molti versi è più compiuta, organica, riuscita e conchiusa la sua poesia, quella esatta e trasparente di Ora serrataretinae o Nature eVenature, delle ineccepibili, perfette Didascalie per la lettura di un giornale, quella più spessa, matura e potente dei Disturbi del sistema binario… è certo però che questo è un libro non superfluo, un libro che aggiunge qualcosa a quel che si sapeva del mondo.
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Volevo capire. Allora, il ‘padre’ è un dato anagrafico non una sostanza metafisica, su questo penso siamo d’accordo. In psicologia si parla di funzione genitoriale che si declina in certi aspetti di cura. Che sia un portatore di pene a fare il caregiver o individuo con diversa dotazione intima, non fa differenza.
Ora io non ho letto il libro, quindi mi chiedo se questo testo mi restituisce la solita figura del ‘padre’ come sostanza metafisica, accrocchio di simbologie (e magari fobie) culturali che costituiscono l’humus della letteratura italiana, con la nota orticaria per gli studi di genere, oppure c’è una prospettiva moderna sulla questione?
Anch’io non ho ancoar letto il libro, ma come Andrea mi piacerebbe capire un po’ meglio, grazie!
No, a mio avviso non c’è alcuna prospettiva moderna. Ma mi domando: questo che significa? Sottrae forse qualità letteraria al testo? La figura del padre è classicamente corrispondente al padre lacaniano (il forcluso), ma stilisticamente è raccontata in modo esemplare, se vuoi classico e, per questo motivo, riesce a renderla esemplare, infinitamente esemplare e indimenticabile.
non sono assolutamente d’accordo con caserza…nel libro non c’è affatto il classico punto di vista psicologico..peraltro, a quanto mi risulta, la forclusione del padre di lacan entra in gioco nelle dinamiche della psicosi…qui semmai il padre rappresenta una legge più profonda, quella etica e non quella della norma…ma paragonare ad es. il padre all’obitorio a un biscotto raffermo, non è né un esrcizio di originalità stislitica, né simbolismo, come sospetta barbieri, di stampo tradizionale, è immagine necessaria e vertiginosa che lo racconta appunto da un orlo del percepibile, del sensibile…da qui il padre è e non è, è un meccanismo di pulsioni che però hanno la loro ragion d’essere non solo nella sua storia psicologica, antropica ecc, ma dalla sua posizione in un campo più ampio del reale…sono leggi ontologiche e prepsichiche che lo detrminano..così magrelli va oltre alcune cause troppo circoscritte individuate dalla psicanalisi…
Borriello: “leggi ontologiche e prepsichiche”?!?
Occorre masticare un fungo allucinogeno per entrare bene nel testo… :-D
Domanda Guido Caserza: “No, a mio avviso non c’è alcuna prospettiva moderna. Ma mi domando: questo che significa? Sottrae forse qualità letteraria al testo?”
Per come la penso c’è una relazione tra letteratura e verità. Quindi la parte cognitiva ha un peso.
barbieri, il fungo allucinogeno potrebbe essere un metodo, un altro attraversare una nevrosi d’angoscia, e un altro leggere heidegger comprendendolo. sono tutte esperienze che possono portare a risalire dai meccanismi psicolgici a quelli preliminari che li determinano…se c’è una relazione fra scrittura e verità, ci sarebbe più verità in questo che nell’andare avanti per fedi percettive e per blocchi già lavorati di concettualizzazioni… d’altronde il citato lacan l’edipo lo capisce meglio di freud prorpio perchè lo riduce a una meccanica di significanti…risale cioè a un livello più elementare e costitutivo…ma si può andare più indietro…
Senta Borriello, io non è che voglio mettere in pericolo la sua identità intellettuale. Lei può benissimo andare avanti con le sue espressioni suggestive tipo ‘prepsichico’, ‘onotologico’, ‘fedi percettive’, ‘blocchi già lavorati di concettualizzazioni’ e l’Edipo sopra e sotto. Tutto questo fa parte della performance letterario-intellettuale italica (è ritengo una faccenda tipicamente maschile). Può anche continuare a pensare che un tizio risultante padre all’anagrafe sia perciò partecipe dell’ontologia del Padre Metafisico – magari mentre la moglie si occupa della cura domestica.
Come si può altrettanto bene avere un’attitudine diversa. Formarsi un’idea delle cose interrogando le discipline che le studiano oggi, perché lo stato dell’arte ha un senso. E scrivere libri in base a un sapere che abbia corrispondenza col mondo.
Le faccio solo un esempio di quanto retrò sia la sua visione: gli psichiatri di formazione psicoanalitica ragionando in base all’ipotesi dell’Edipo non si sanno spiegare come mai i figli di coppie omogenitoriali invece di impazzire crescono benissimo. Tanto che recentemente leggevo Galimberti affannarsi a spiegare, da psichiatra, che no l’Edipo non è una regola valida per tutti, solo per alcuni, e questo già lo diceva il professor Freud. Dato che Galimberti Heidegger lo ha certamente letto e capito, ha le carte in regola per godere della sua stima letterario-intellettuale italica maschile.
mah, non è che la performance italica maschile, cara amica, non stia più nell’accusare il prossimo di visioni retrò?
tutto il mio discorso letterario consiste semplicemente nell’invitare a notare che una faccenda domestica, ad es. stirare, ci appare tale per un’abitudine percettiva e culturale, e che l’uomo che l’osservasse dal proprio orlo, o l’uomo disaderente e fuori da sé, come direbbe novarina, ne potrebbe dare una spiagazione meno italicocentrica, meno antropocentrica, meno logocentrica ecc, e ipotizzare un sapere che non abbia corrispondenza col “nostro” mondo, ma col mondo che realmente è, percettivamente inesauribile, infinitamente complesso, infinatamente reinventabile e decidibile…e insomma infine stirare meglio
Guardi, ‘Il dominio maschile’ lo ha scritto un sociologo; ‘The subjection of women’ lo ha scritto un filosofo. Insomma, occhio agli stereotipi di genere.
Comunque va bene, ho capito. Non voglio essere un persecutore. Tenga nel cassetto quello che ho scritto, un giorno potrebbe avere un qualche effetto. Magari leggerò anch’io il libro di Magrelli per recensirlo dal mio punto di vista. Del resto senza la sua rece non avrei nemmeno saputo che esisteva.